CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 213

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Amelie Nothomb “Il libro delle sorelle” -Voland- euro 16,00

Segue il filone autobiografico questo 31esimo romanzo della prolifica scrittrice belga Amélie Nothomb (ne pubblica uno all’anno); e viene dopo quello dedicato alla figura paterna (“Primo sangue” Premio Strega europeo e strepitosa ricostruzione della vita del padre).

Anche questa volta la narrazione è in ambito familiare. Non è quello dell’autrice, ma di spunti dalla sua esperienza personale ne ha presi sicuramente parecchi. Perché qui il focus è sul rapporto simbiotico tra due sorelle, e sappiamo che la Nothomb ha un legame fortissimo con la sorella maggiore Juliette, tanto che, da adolescenti, hanno condiviso anche una fase anoressica.

Il romanzo racconta l’unione tra due sorelle, Tristan e Laetitia, figlie di Florent e Nora, genitori innamorati pazzi e parecchio distratti nei confronti della prole.

Le sorelle sono Tristan, la primogenita: matura, responsabile ed autosufficiente. Però ha patito parecchio il sentirsi esclusa dal bozzolo del rapporto di coppia dei genitori. Lei è cresciuta prima del tempo, intelligente sopra la media ed eccellente in tutto, ma con il tarlo di essere insignificante e invisibile per chi l’ha messa al mondo.

Quando nasce la sorellina Laetitia, per Tristane è amore puro fin dal primo sguardo, e poco importa che i genitori continuino a costituire una loro inespugnabile fortezza. La sorella maggiore diventa un tutt’uno con quella minore e crescono più unite che mai.

Nella storia un ruolo importante è giocato anche dalla sorella della madre Nora, la sconclusionata zia Babette, che vive allegramente di sussidi ed ha 4 rampolli di ascendenze paterne incerte, ma chi se ne importa.

Tristane stravede per quella zia e se ne occupa con la maturità che la contraddistingue. Nel romanzo si contrappongono due coppie antitetiche: Nora – Babette sorelle diametralmente opposte e incomprensibili l’una per l’altra, e Tristane – Laetitia coppia simbiotica.

Vedrete poi come la storia si evolverà e le direzioni che prenderanno le sorelle; inclusa una tragedia e un legame fortissimo tra Tristane e chi non c’è più. Questo è un romanzo in cui si parla molto con i morti, con lo stile apparentemente leggero della Nothomb, raffinato, profondo, ma leggibilissimo.

 

Gian Marco Grilli “Ferrovie del Messico” -Laurana Editore Milano- euro 22,00

Pochi esordi letterari sono stati fortunati come questo dell’astigiano Gian Marco Grilli che con il suo monumentale romanzo “Ferrovie del Messico” ha fatto incetta di premi e si ritrova in lizza per lo Strega.

Il 46enne autore di mestiere fa tutt’altro; è direttore del Margara Golf Club di Fubine, tra Asti e Alessandria, e prima aveva scritto solo qualche racconto.

Galeotto fu il lockdown durante il quale tutti i giorni si piazza davanti al computer, per 8-9 ore, e scrive più di 2000 pagine. Davvero troppe, così rivede tutto e alla fine ne rimangono 800, stampate da un editore coraggioso e lungimirante. Prima tiratura di poco meno di 200 copie che però le librerie snobbavano. E’ stato lo storico Alessandro Barbero a dare il là a questo romanzo colto ed ambizioso.

Protagonista è il soldato repubblichino Cesco Magetti, nato nel 1921 (come il nonno dello scrittore) ad Asti. Quando viene occupata dalla Wehrmacht il giovane si arruola (più per necessità che per convinzione) nella Guardia Nazione Ferroviaria. All’epoca il Führer credeva che la chiave per la vittoria fosse dalle parti del Messico.

Ed ecco che al povero Cesco viene affibbiato il compito di tracciare di corsa, nel giro di appena una settimana, una mappa aggiornata delle ferrovie messicane. Pare che l’ordine arrivi dall’alto, dai vertici del Reich, forse da Hitler in persona.

La richiesta ha del surreale, ma non si discute, ed inizia così la rocambolesca avventura di Cesco, che interseca la vita di decine, centinaia, di personaggi anche parecchio bizzarri.

Un libro imponente dosato con ironia, scrittura alta e citazioni colte, forte di un linguaggio semplice e ricco di neologismi legati alla terra d’origine del protagonista che, scopriremo, non sa bene come muoversi.

 

Rosella Postorino “Mi limitavo ad amare te” -Feltrinelli- euro 19,00

Dopo la vittoria del Campiello con “Le assaggiatrici” nel 2018, ora la scrittrice racconta un’altra storia ispirata a un fatto vero, durante l’assedio di Sarajevo.

Sullo sfondo di quella guerra nel cuore dell’Europa durata 10 anni nell’ex Jugoslavia, la capitale della Bosnia, Sarajevo, fu assediata per 1425 giorni (da aprile 1992 a febbraio 1996) e la Postorino ne scrive riportando tutto l’orrore del “viale dei cecchini” dove i tiratori vigliacchi sparavano a chiunque passava.

Una mattina di luglio 1992 dalla città martoriata parte un convoglio umanitario con a bordo anche 46 bambini provenienti dall’orfanotrofio di Bjelave. Un viaggio verso la salvezza, in Italia.

Alcuni di loro non sono orfani, ma solo poverissimi e affidati dai genitori a quella struttura nella speranza di salvarli, garantirgli un tetto di protezione e pasti caldi.

Destinazione del pullman è dapprima una colonia sull’Adriatico, poi un istituto di suore, lontano da padri, madri e fratelli che non ne seppero più nulla, e adottati da famiglie solidali e caritatevoli che decisero di accudirli.

Sullo sfondo di questa immane tragedia seguiamo le vicende di tre bambini.

Omar ha 10 anni ed è ossessionato dall’ansiosa attesa che la madre ritorni; Nada detta “moncherino” perché le manca un anulare, gli è vicina con la dolcezza dei suoi occhi celesti e la mano stretta per non farlo sentire solo. Strada facendo, incontrano l’adolescente Danilo che una famiglia ce l’ha.

Ognuno di loro avrà reazioni diverse rispetto al destino che gli viene riservato. A partire da Omar che non si rassegna all’idea di avere un’altra madre, mentre l’assenza di quella biologica sarà una spina per sempre dolente nella sua anima. Tutti i protagonisti vivono sospesi tra due alternative: adeguarsi alla nuova vita in salvo in terra straniera e tagliare il cordone ombelicale con il passato, oppure tornare a Sarajevo.

 

Ildefonso Falcones “Schiava della libertà” -Longanesi- euro 24,00

E’ la prima volta che il re del romanzo storico spagnolo racconta il passato coloniale, intriso di razzismo, spiritualità afrocubana, realismo magico, amore, vendetta, tra l’Ottocento e la Madrid odierna. Dunque la new entry di un’incursione nel presente, focalizzata soprattutto nel quartiere di Salamanca, tra lussuose ville e banche poco etiche.

Il romanzo viaggia su due piani temporali che si alternano: la Cuba schiavista e coloniale del 1856 e la Madrid moderna della finanza.

Due le eroine. La schiava Kaweka, rapita in Guinea e arrivata in catene sulla spiaggia di Jibacoa insieme ad altre centinaia di ragazzine. Kaweka è una yoruba di appena 11 anni, obbligata a lavorare 20 ore al giorno sotto le frustate, usata come schiava sessuale per farla ingravidare così da sfornare altri futuri schiavi.

L’altra protagonista è María Regla Blasco, detta Lita, manager nella banca dei marchesi Santadona e figlia della domestica Concepción, da sempre al servizio della ricca famiglia di banchieri.

Lita ha la pelle color caffelatte e su di lei pesa l’ombra delle origini schiaviste dei suoi avi. E’ piena di talento coltivato con gli studi, che le hanno aperto le porte di una carriera in ascesa.

Due autentiche lottatrici, spiriti liberi, come è sintetizzato perfettamente dall’ossimoro del titolo “Schiave della libertà”. Ricordiamo che la Spagna è stata l’ultima nazione ad abolire lo schiavismo nel 1880, e le giovani schiave avevano 4 opzioni per difendersi dalla crudeltà dei bianchi. L’aborto, la fuga, il suicidio e il più importante di tutti: la religione che consentiva di tornare alle origini, specie il rapporto con la religione yoruba e i suoi santi, gli orishas.

Addentrandoci nelle pagine del romanzo, Falcones ci conduce nell’inferno della schiavitù, attraverso il sentire di Kaweka, il suo modo di affrontare quello che il destino le ha scagliato addosso, in una narrazione che mescola storia, magia e realismo magico.

Rock Jazz e dintorni a Torino. I Baustelle e i Modà

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Pala Alpitour il compositore Hans Zimmer propone i suoi classici cinematografici da “Dunkirk” a “Il re leone” accompagnato dalla band e l’orchestra.

Mercoledì. Al Jazz Club blues con Fast Frank e Andrea Scagliarini. All’Osteria Rabezzana suona il pianista Emanuele Sartoris in duo con il contrabbassista Marco Bellafiore per un omaggio a Baudelaire. Al Lambic si esibisce il cantautore Peppe Voltarelli.

Giovedì. Al Dash è di scena Martin Craig. Al teatro Colosseo si esibisce Fabrizio Moro. Al Maffei sono di scena Federico Pianciola e Andrea Marazzi. Al Concordia di Venaria si esibisce il rapper Mostro. Al Blah Blah punk con i Forty Winks.

Venerdì. All’Istituto Musicale di Rivoli suona il trio Quartocolore. I Modà si esibiscono al teatro Colosseo per 2 sere consecutive. Al Vertigo di Pianezza è di scena Max Forleo. Al Cap 10100 suona il chitarrista Matteo Mancuso. Allo Ziggy arriva il veterano del rock Pino Scotto. Al Folk Club si esibisce la cantautrice Rachel Croft. All’Hiroshima Mon Amour suona il quintetto Bull Brigade con Medusa e Frammenti. Al Blah Blah si esibisce il quartetto Rosegarden Funeral Party.

Sabato. Al Bunker suonano gli Instambul Ghetto Club. Al Concordia di Venaria “sold out” per i Baustelle che presentano in tour il nuovo album “Elvis”. Al Blah Blah suonano i Fulci.

Domenica. Al Jazz Club si esibiscono gli Sweet Soul Singer mentre al Magazzino sul Po è di scena Deian.

Pier Luigi Fuggetta

“Nati per leggere”, ecco i finalisti

NOMINATI I FINALISTI DELLA SEZIONE NASCERE CON I LIBRI

 

 

Il Premio nazionale Nati per Leggere, giunto alla sua XIV edizione, anche quest’anno ha lavorato con slancio ed entusiasmo a sostegno delle eccellenze editoriali dedicate ai più piccoli. Forte dell’esperienza positiva delle edizioni precedenti, il concorso, che premia la migliore produzione editoriale per l’infanzia, i progetti bibliotecari per la promozione della lettura condivisa e il lavoro dei pediatri per incentivare la lettura in famiglia, ha mantenuto l’istituzione dei finalisti per i libri partecipanti nelle categorie 6-18 mesi, 18-36 mesi e 3-6 anni della sezione Nascere con i libri.

 

La sezione Nascere con i libri premia i migliori libri editi o inediti in Italia ed è suddivisa in tre diverse categorie,

corrispondenti a tre diverse fasce di età e di sviluppo del bambino: “Il primo libro” per libri che risultino adatti alle capacità manipolative, percettive e cognitive di bambini tra i 6 e i 18 mesi di età; libri o albi illustrati per bambini di età compresa tra i 18 e i 36 mesi e libri o albi illustrati per bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni.

Il Premio non perde la sua forza, ma come ogni edizione la rinnova e la moltiplica: negli anni il numero di candidature presentate cresce a ritmo costante e le proposte editoriali presentano sempre maggiore qualità, segnale di un’editoria viva, pulsante e molto aperta al cambiamento. Per questa edizione le candidature pervenute sono state 173.

 

La giuria della XIV edizione del Premio è presieduta da Rita Valentino Merletti, scrittrice e studiosa di letteratura per l’infanzia, e da Luigi Paladin, psicologo, bibliotecario ed esperto di letteratura per l’infanzia. Insieme ai Presidenti altri dieci membri con professionalità e competenze trasversali (la Vicepresidente Katia Rossi, Amalia Maria Amendola, Domenico Bartolini, Valter Baruzzi, Egizia Cecchi, Antonella Danusso, Danilo Di Camillo, Silvia Ranzetti, Rossana Sisti, Lucia Tubaldi) sono stati chiamati a esprimere la propria valutazione su una rosa di 173 libri candidati.

 

Di seguito i titoli finalisti e le motivazioni espresse dalla giuria:

 

FASCIA D’ETÀ 6-18 MESI

Lo sai chi siamo? di Tana Hoban, Editoriale Scienza

Naso nasino di Cristina Petit ed Elisa Mazzoli, Pulce edizioni
Oh di Giovanna Zoboli e Massimo Caccia, Topipittori

 

FASCIA D’ETÀ 18-36 MESI

Piccola pantera di Chiara Raineri, Camelozampa
Il libro dell’orsetto di Anthony Browne, Vanvere edizioni
Bimba gatto acqua papera di Daniela Martagón, Ellen Duthie, Logos

 

FASCIA D’ETÀ 3-6 ANNI

Nella foresta silenziosa e misteriosa di Delphine Bournay, Babalibri
Il saggio di pianoforte di Akiko Miyakoshi, Nomos
Ora di nanna di Kjersti Annesdatter Skomsvold e Mari Kanstad Johnsen, Beisler editore

 

I vincitori della sezione Nascere con i libri e delle altre sezioni del Premio – Crescere con i libri, Reti di libri e Pasquale Causaverranno annunciati durante la cerimonia di premiazione in programma alla XXXV edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino lunedì 22 maggio alle 15.30 in Sala Blu.

 

La Fondazione Firpo, l’omosessualità, l’antifascismo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Dopo il libro dei due figli gemelli di Luigi Firpo che solo chi scrive e radio Radicale hanno recensito, pensavo che la Fondazione Firpo  avesse subito un duro colpo.
Il discredito su  Firpo gettato dal malevolo libro dei due figli pubblicato da Aragno ritenevo che travolgesse le Fondazione che vive, in buona parte, di risorse pubbliche ed ha sede alla Biblioteca Nazionale dopo lo sfratto dal palazzo d’Azeglio dove resta la Fondazione Luigi Einaudi finché l’ex Fiat lo consentirà. Credo  sia l’unico caso in cui una istituzione pubblica come la Biblioteca Nazionale  ospiti un ente privato come quello intitolato a Firpo  sorretto persino per la realizzazione del sito  dalla Fondazione San Paolo,  da Città di Torino e Regione Piemonte che non hanno mosso un dito dopo l’uscita del libro che getta ombre sinistre sul professore a cui è intitolato.
Ho scoperto, curiosando su Facebook, che la Fondazione è in piena attività ed ha retto al colpo, anche se le cariche che appaiono sul sito sono datate al 2016 e lo stesso sito non appare  debitamente aggiornato. Mi ha colpito una delle prossime attività concentrata sull’omosessualità di Fra’ Paolo  Sarpi, il grande storico veneziano del Concilio di Trento, la cui opera venne subito messa all’ Indice. Sarpi è stato un grande uomo controcorrente in un Seicento dominato dall’oscurantismo della Controriforma. Al di là del libro di  Vittorio Frajese che indaga sulla sua omosessualità, credo che i temi dominanti di Sarpi siano ben altri, soprattutto in una Venezia a suo modo laica e libertina. Non so cosa ne penserebbe Firpo che fu solo un erudito e non un vero studioso delle dottrine politiche. L’erudito Firpo sarebbe stato sicuramente interessato al tema, ma non credo che  l’omosessualità sia un tema dominante. Mi sembra al contrario  un argomento marginale rispetto ad un grande ed eroico frate perseguitato, ma sempre coraggioso e coerente della laicità in tempi in cui essa era di là da venire.
Ricordo  però che una volta a cena Firpo ironizzò sugli omosessuali, allora coraggiosamente sdoganati da Pezzana. In fondo era un uomo all’antica: non sarebbe forse inorridito di fronte all’idea di un museo dell’omosessualità? La Fondazione Firpo ha anche sostenuto una manifestazione a Borgo Vittoria sul 25 aprile, la Resistenza, l’ antifascismo, temi non proprio congeniali a Firpo che in gioventù fu un fascista convinto, secondo i figli anche durante la Repubblica sociale italiana. Essa farebbe meglio ad attivare una ricerca sul professore a cui è dedicata, tra il 1943 e il 1945 per verificare davvero cosa fece Firpo in quegli anni. Tacere non serve a nessuno, in primis alla Fondazione Firpo.

“Memorie di Palazzo”: storie e curiosità dell’Arsenale

Il  libro di Maria La Barbera e Fabrizio Luperto

Con Memorie di Palazzo l’ Arsenale è di nuovo protagonista, al centro di vicende storiche e  curiosità, tra un passato glorioso e un presente che lo vede al centro di importanti eventi culturali. Dalla letteratura al cinema, dai matrimoni reali ai gemellaggi con paesi all’altro capo del mondo, da questo luogo straordinario, capolavoro urbanistico di Felice De Vincenti e Filippo Juvarra e sede del Comando per la Formazione Scuola di Applicazione dell’Esercito, sono passati personaggi celebri come Camillo Conte Benso di Cavour e Michail Gorbaciov, hanno fatto tappa statisti del calibro di Francesco Cossiga,  papi di straordinaria levatura come Wojtyla e Francesco, sono stati girati diversi programmi televisivi, l’ultimo è Freedom Oltre il confine di Roberto Giacobbo, film e fiction tra cui Cuori, Il sogno del maratoneta e Palazzo di Giustizia.

Memorie di Palazzo, arricchito dalle belleillustrazioni di Giuseppe Calì, è un tour all’interno dell’edificio, un viaggio nelle sue teche dove sono esposti cimeli come il Crispillo, famoso come Risiko, o edizioni preziose tra cui Civitates Orbis Terrarum con le sue preziose mappe. Come scrive Gianni Oliva nella sua introduzione “Su queste pagine del passato apre ora uno squarcio l’agile volume di Maria La Barbera e Fabrizio Luperto con uno stile giornalistico che rende fruibile la lettura. E’ un omaggio alla città senza scadimenti nella retorica del “come eravamo”, ma un proporre con intelligenza il Palazzo per quello che è stato e per quello che è diventato, un luogo militare aperto alla società esterna”. L’obiettivo degli autori, Maria La Barbera sociologa e giornalista pubblicista, e Fabrizio Luperto, esperto di cinema, è di avvicinare ancora di più Palazzo Arsenale alla cittadinanza confermando la volontà di restituire ai torinesi, e non solo,   questo luogo straordinario, testimone, spesso silenzioso, delle vicende di questa città.

Le bellissime foto che ritraggono i tesori di Palazzo Arsenale, mostrandone ancora di più la sua ricchezza, sono di Vincenzo Moro e Gianluca Vantaggiato.

Il libro sarà a disposizione a Palazzo Arsenale fino ad esaurimento scorte.

“Prospettive / Perspectives”. Arte contemporanea, clima e paesaggio

Due nuove, coraggiose opere d’arte contemporanea nel cuore di Langa chiudono il progetto transfrontaliero per la “fruizione consapevole” del territorio

Alba (Cuneo)

Due i borghi langaroli coinvolti: Roddino, poco più di 400 abitanti cerniera fra la Langa del Barolo e l’Alta Langa, e Neviglie, 357 abitanti nella terra di confine con la zona del Barbaresco. Cominciamo proprio da Neviglie che, in un nuovo parco pubblico sorto sull’area dell’acquedotto, all’ingresso del paese e dalla vista mozzafiato, ospita “The Traveler (Il Viaggiatore)”, imponente scultura, racchiusa fra mito e leggenda, opera dell’artista francese di Brest, Jean-Marie Appriou. Magnifica, inattesa presenza: una grande nave a vela alta (fusione di alluminio) ripescata in chissà quale epoca e civiltà arcaica, la cui prua si affaccia sulle simboliche onde marine delle colline sottostanti, coltivate a vite, come fosse in procinto di salpare. A Roddino, invece, gli artisti Liam Gillick (artista concettuale di New York) e Hito Steyerl (nativa di Monaco di Baviera) sono intervenuti in coppia  sull’architettura di quella che era un tempo la scuola elementare (e che oggi ospita uno studio medico, una biblioteca e uno spazio multifunzionale frequentato dai cittadini locali e dai turisti) con un’opera murale di grandi dimensioni e dai colori vivaci, intitolata “However Many Times We Ran The Model The Results Were Pretty Much The Same (Per quante volte sia stato applicato il modello, i risultati sono stati più o meno gli stessi)”.

Le due nuove opere d’arte contemporanea site-specific, pensate per Roddino e Neviglie, sono state inaugurate nei giorni scorsi e rappresentano gli esiti (decisamente suggestivi) del progetto “Prospettive / Perspectives”realizzato, con il sostegno del “Programma Europeo Interreg Alcotra Italia/Francia 2014 – 2020”, dall’“Ente Turismo Langhe Monferrato Roero”, insieme alla “Fondazione Sandretto Rebaudengo” (con sede a Torino e a Guarene) e a “Villa Arson”, istituzione afferente al “Ministero della Cultura” francese dedicata alla “creazione contemporanea”, in sinergia con l’“Università della Costa Azzurra”. Obiettivo del progetto:quello di costruire e trasferire attenzione e conoscenza sui temi del “cambiamento climatico”, in territori inseriti nella lista del “Patrimonio Mondiale dell’Unesco”, attraverso la costruzione di “simboli” che diventino patrimonio comune. E proprio in questo senso l’“arte contemporanea” e le opere degli artisti sono il tassello finale di un lungo percorso che “Prospettive / Perspectives” ha disseminato nei territori fra Piemonte e Costa Azzurra.

L’intento del “murale”, che a Roddino copre l’intera facciata dell’edificio a tre piani con vista sulla campagna circostante, era quello di produrre un’opera d’arte “apparentemente astratta ma con una complessità di fondo, qualcosa di audace e rassicurante che sembrasse esprimere futuro, continuità e cambiamento”. Inoltre, utilizzando un semplice programma di simulazione che traduceva le pubbliche informazioni (l’evoluzione storica dell’area e i potenziali cambiamenti economici, ecologici e sociali) nella gamma cromatica alla base dell’opera, “gli artisti si sono resi conto che i risultati erano, come suggerisce il titolo, ‘praticamente gli stessi’ indipendentemente dai dati inseriti”. “I due elementi che hanno completamente rovinato lo schema sono stati i cambiamenti climatici estremi e i conflitti”. Nell’intervento di Gillick e Steyerl, che rivela il loro comune interesse per i “dati”, il paesaggio si formalizza dunque come “ritratto sociale allo stesso tempo astratto e radicato nella realtà del luogo”.

Per quanto riguarda, invece, la scultura di Neviglie, l’idea è nata in seguito a una conversazione tra l’artista e i rappresentanti locali del borgo, nonché alla curiosa comparsa di una nave tra gli stemmi della cittadina priva di sbocchi sul mare, forse un riferimento ai tempi delle Crociate. “The Traveler”suggerisce al tempo stesso “un posizionamento e un movimento: occupa un punto di osservazione privilegiato, che consente allo sguardo di spaziare e rimanda all’idea di avventura evocata dalla nave”. A fare da contrappunto, un’assenza: quella del viaggiatore che dà il titolo all’opera, senza tuttavia essere rappresentato. Una figura carica di potenziale narrativo nella quale chi osserva può identificarsi.

L’inaugurazione delle due opere è avvenuta al termine di un lungo percorso di condivisione con le scuole e con gli abitanti del territorio in cui si è sottolineato “quanto sia fondamentale cambiare prospettiva e costruire un futuro capace di limitare gli effetti del cambiamento climatico di origine antropica”.

Per info: “Ente Turismo Langhe Monferrato Roero”, piazza Risorgimento 2, Alba (Cn); tel. 0173/35833 o www.prospettive.art.it

  1. m.

Nelle foto:

–       Jean-Marie Appriou: “The Traveller”, Neviglie, Ph. Lavezzo

–       Gillick – Steyerl: “However Many Times We Ran The Model The Results Were Pretty Much The Same”, part., Roddino, Ph. Lavezzo

–       Gillick – Steyerl: “However Many Times We Ran The Model The Results Were Pretty Much The Same”, Roddino, Ph. Lavezzo

“Finalmente sola”, a teatro lo spettacolo sulla dipendenza amorosa

 

Allo Spazio Kairos sabato 29 aprile il monologo di Paola Giglio

Un assolo teatrale che ha ricevuto molti riconoscimenti: il Premio per monologhi inediti “Anima e Corpo del Personaggio Femminile“, “Miglior Attrice Protagonista” e Miglior Allestimento” al Premio Nazionale Città di Leonforte, la menzione speciale “Premio Giovane Scena delle Donne” a Sesto al Reghena, il “Premio MaldiPalco” a Torino.

Arriva allo Spazio Kairos di via Mottalciata 7 a Torino “Finalmente sola“, un testo affronta con pungente ironia il tema della dipendenza amorosa: prodotto dalla Compagnia Giglio/Prosperi di Roma è stato scritto da Paola Giglio che lo interpreta, sola, sul palco. La regia è di Marcella Favilla. L’appuntamento sabato 29 aprile alle 21.

La storia

  1. è sempre stata fidanzata, dall’età di 5 anni. Nella sua vita è saltata da una storia all’altra senza soluzione di continuità, schiava dell’amore e degli uomini, ai quali proprio non sa dire di no. Ora, però, qualcosa è cambiato: è rimasta sola, faccia a faccia con sé stessa, senza nessuno cui rivolgersi, da cui farsi consolare. Del resto non ne poteva più della spirale amorosa in cui era incastrata da sempre, con uomini tutti banalmente diversi. Finché non è arrivato F., che l’ha portata dove si trova ora. Dove P. ha fatto un passo avanti nella consapevolezza di sé: non c’è bisogno di avere un uomo accanto per sentirsi completa.
    C’è voluta una relazione violenta per farglielo capire. E no, non ha avuto un’infanzia difficile, nessun problema in famiglia. Capita, anche alle migliori di rimanere invischiate in rapporti malati e potenzialmente pericolosi.

È possibile uscirne indenni, senza segni di mani strette sul collo o costole fratturate? È ciò che si chiede P., che la sua esperienza l’ha avuta e certo sa, al contrario di noi, come è andata a finire.

La riflessione
Un rapporto sentimentale malato per farsi alcune domande: quando una relazione difficile diventa insana? C’è stato un momento che ha segnato l’inizio della fine? C’è un modo, in mezzo alla tempesta, per restare lucidi e salvarsi dall’onda lunga che si avvicina inesorabile, alta come un edificio di otto piani, prima che si abbatta sulla propria testa?

BIGLIETTERIA

Su www.ticket.it

Intero 13. Ridotto 10.  Info: biglietteria@ondalarsen.org.

Valerio Binasco e i “Sei personaggi” pirandelliani: un altro sguardo

Sul palcoscenico del Carignano, per la stagione dello Stabile torinese

I preamboli sono sotto gli occhi di tutti. “Ma ho già la testa piena di nuove cose! Tante novelle… E una stranezza così triste, così triste: ‘Sei personaggi in cerca d’autore’: romanzo da fare. Sei personaggi, presi in un dramma terribile, che mi vengono appresso, per esser composti in un romanzo, un’ossessione, e io che non voglio saperne, e io che dico loro che è inutile e che non m’importa di loro e che non m’importa più di nulla, e loro che mi mostrano tutte le loro piaghe e io che li caccio via… – e così alla fine il romanzo da fare verrà fuori fatto.” Così scriveva Pirandello al figlio Stefano nel luglio del 1917. E poi ancora, nelle “Novelle”: “È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle. Cinque ore, dalle otto alle tredici. M’accade quasi sempre di trovarmi in cattiva compagnia.” E ancora: “Oggi, udienza. Ricevo dalle ore 9 alle 12, nel mio studio, i signori personaggi delle mie future novelle. Certi tipi. Non so perché tutti i malcontenti della vita, debbano venire proprio da me.”

Un fardello, un peso, quella “stranezza”, che Pirandello si portò addosso per anni. Poi la tragedia, la tragedia in commedia, sulle tavole del Valle di Roma e l’esito disastroso della prima, la sera del 9 maggio 1921, con il pubblico beffato e contrario agli esperimenti teatrali e abbastanza inferocito ad attenderlo fuori, qualche disordine a piazza Navona, tutti a chiedersi, come il capocomico, perché dalla Francia non arrivino più dei testi come dio comanda e si sia costretti a rappresentare quelli assurdi e fumosi di questo signor Pirandello. Poi il trionfo di Milano nel settembre successivo, poi i Pitoëff a Parigi e i successi europei e americani, e cent’anni senza soste quei sei disgraziati a cercar di far rappresentare il loro dramma, per passare in casa nostra tra i Buazzelli i Valli i Pilotto i Pagni gli Scaccia e altri ancora. Fino a oggi.

A inizio di stagione, mi chiedevo: ma ancora i “Sei personaggi”, ne varrà ancora la pena? sappiamo tutto ormai. Testo più per una bella prova d’attori che per altro. No no. La scommessa l’ha vinta pienamente Binasco, a cui il signor Pirandello e i suoi “Sei personaggi” sino a ieri stavano piuttosto antipatici, rimettendo in scena il testo dell’autore siciliano, e lo Stabile torinese tutto, con i confratelli di Genova e di Napoli (in tournée nelle due città sino al 28 maggio). Certo un testo “nuovo” e non freddamente “nuovo”, attuale, completamente “odierno”, affrontando con fine intelligenza un classico, ma non per rivolgerlo ai propri interessi, ai personalismi di affermato regista, un testo che non deve essere considerato un intoccabile pezzo museale ma che deve respirare aria mai provata prima. Per analizzarlo dall’interno, per rigirarlo come un calzino, per toglierlo da gran parte di quel filosofeggiare con cui, pur nell’involucro di una bellezza che non fa altro che colpirti ancora e sempre, l’autore lo ha ricoperto. Poggiando su entrambe le edizioni del ’21 e del ’25, ha lavorato di passione, di modernità, di gusto teatrale e di invenzioni; ha lavorato saggiamente di linguaggio, per cui magari “cotesta frenesia” non ti arriverà più alle orecchie, per cui quella anacronistica e ormai ridicola “busta cilestrina” – di cui tante volte si è sorriso – ha lasciato il passo a una più comune “busta celeste”, ha snellito l’azione svaporando e togliendoci Madama Pace, ma magari dopo l’altra sera vediamo i “Sei personaggi” in chiave più realistica e non tanto come seduta spiritica. Ha giocato allo sberleffo, improvviso, inaspettato come un gioco di prestigio, divertito e divertente, dicendoci “chi l’ha detto che in questo testo non si possa ridere?”, quando nel momento più angosciato del dramma, allorché il Padre, nelle stanze della peccaminosa ‘Robes et Manteaux’ s’intrattiene con la Figliastra, due giovani attori, due ragazzi, stravolgendo i ruoli, danno vita a un siparietto di gustosa comicità.

E ancora. Sin dall’inizio, scordatevi le battute iniziali con il capocomico che chiede più luce in scena o “Oh! Che fai?” / Che faccio? Inchiodo”, scordatevi i ritardi della prima attrice e il suo cagnolino da chiudere in camerino, la troppa sicurezza di questo o di quello, il disinteresse totale a quanto stanno facendo, la prova di Socrate a sbatter le uova nel dar vita al secondo atto del “Gioco della parti” che la compagnia dovrebbe rappresentare. Binasco s’è circondato di venti allievi della Scuola per Attori dello Stabile torinese, per loro ha inventato di sana pianta, dando maggior spazio rispetto all’originale, parole e gesti e cose da fare, scambi di battute, ragazzi di oggi con le loro risate e i loro visi immusoniti, le piccole ripicche e gli abbandoni, e il gioco regge e diverte e interessa. Ed è soprattutto giusto, autentico. E poi il dramma, che Binasco – qui coraggioso e magari sfrontato più che in altre occasioni: in veste d’attore, racchiude il dolore e le miserie di un animo umano alla deriva, ben consapevole del marcio che lo ha circondato ma che in una sacrosanta legge di contrappasso che vede l’ora di rivivere – sfaccetta in ogni suo più piccolo dolore, nel mostrare padre madre figlio e figliastra in uno stretto vortice (i piccoli della famiglia, le vittime, quelli che non parlano e che saranno eliminati dall’acqua e da un colpo di pistola, sono subito sostituiti da due giovani leve tra gli allievi), come certe anime di Dante, che cercano qualcuno che le ascolti e che in quell’ascolto trovano pace e eternità. Nel mostrarli in quella richiesta a essere rappresentati, a entrare dentro a un copione, “a viverlo adesso questo dramma”. Dentro una sala prove, pressoché spoglia, una scala e una porta sul fondo, fredde luci al neon (la scena è di Guido Fiorato), tutti insieme, attori e personaggi, come una grande famiglia. Al centro di quello che pare essere il suo regno un capocomico tra l’inguaiato e lo stupito, difficile a entrare in quel (preteso) gioco che gli è piombato addosso, un po’ sempliciotto anche che Jurij Ferrini rende con grande convinzione, con tratti di grande trasporto verso il pubblico. Sara Bertelà, chiusa in quella prima parte che non le lascia spazio, se non in quei gesti di tacita presenza, esplode in lamenti e disperazione poi, ridando spazio e vita alla Madre troppe volte lasciata al fondo del palcoscenico; Giovanni Drago efficacemente fa sua la rabbia, il risentimento di quel Figlio cupo e appartato, in una prova davvero positiva. Negli abiti della Figliastra (i costumi sono di Alessio Rosati), Giordana Faggiano, spregiudicata e sfacciata, allegra e tristissima, dolce e ad un passo dall’ira, sguaiatissima nelle sue tante risate, una bambola anni Trenta appena uscita da qualche film di ragazze perdute, un trucco pesante attorno agli occhi, dimostra la grinta, la pienezza, la drammaticità, l’intensità – vera ad ogni istante – della grande attrice. Un successo, repliche al Carignano sino a domenica 7 maggio.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Luigi De Palma

Visita guidata della chiesa di San Domenico a Torino

#flashcult VISITA GUIDATA
Visita guidata della #ChiesadiSanDomenico a #Torino
Il 29 aprile 2023, con inizio alle 10.30-
“l 29 aprile 2023, con inizio alle 10.30, approfittando della disponibilità del padre Enrico Arata, esperto di arte e spiritualità domenicana, sarà possibile visitare la chiesa di San Domenico di via Milano a Torino.
La chiesa è, nel suo nucleo originario, una delle più antiche di Torino, essendone documentata la costruzione nei primissimi anni del 1300. L’aspetto attuale è il risultato di modificazioni, anche profonde, intervenute nei secoli e causate o dalle crescenti necessità dei Padri Predicatori o da esigenze di tipo urbanistico. Nel corso dei secoli la chiesa è stata vissuta da almeno dieci frati consacrati Vescovi, di cui due creati Cardinali, nonché da importanti e famose figure religiose: da ultimo, i Beati Padre Giuseppe Girotti e Pier GiORGIO Frassati.
Attualmente, nonostante lo stato di conservazione non ottimale, San Domenico è ancora sede di numerosi movimenti (in primis il Laicato Domenicano) e meta di numerosi turisti. Sinteticamente, si può affermare che la chiesa è una delle più interessanti di Torino per antichità, storia, posizione e bellezza: una bellezza particolarmente apprezzata perché diversa da quella di tante altre chiese del periodo barocco presenti in città.”

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA (nel pomeriggio dopo le 18) al tel. 347.8229860 (Riccarda) lasciando il proprio numero di telefono e la propria mail; oltre i 30 partecipanti, sarà prevista un’ulteriore data.
*FONTE: SITO DELLA Diocesi di Torino, https://www.diocesi.torino.it/site/wd-appuntamenti/visita-guidata-della-chiesa-di-san-domenico-a-torino/

I racconti dei migranti al Mei di Genova

C’erano anche loro, i piemontesi, che emigrarono verso le Americhe e alcuni Paesi europei. Fuggivano dalla guerra, dalla povertà, andavano in cerca di fortuna, bastava un modesto lavoro per fare un po’ di quattrini da mandare ai famigliari.
Partivano lasciando ogni cosa, come fanno i migranti di oggi. Molti hanno fatto fortuna e sono diventati anche persone importanti nel campo dell’industria, del commercio e della politica. Oggi sono sei milioni i piemontesi nel mondo. A centinaia di migliaia, quasi un milione e mezzo, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si sono diretti verso la Francia, l’Argentina e gli Stati Uniti. La Francia è dietro l’angolo ma l’America è molto più lontana raggiungibile in quaranta giorni di viaggio, ammucchiati nelle stive tra tempeste e mal di mare. Ma si partiva lo stesso da Genova e da Napoli per il nord e il sud America. I racconti delle migrazioni italiane verso il mondo sono ora raccolti al Mei di Genova, il Museo nazionale dell’Emigrazione italiana, aperto un anno fa dal Ministero della Cultura, Comune di Genova e Regione Liguria, sulle ceneri del vecchio ma prestigioso museo che narrava la storia della Commenda. A Nuova Iorche, come la chiamavano i migranti, attraccarono nei primi decenni del Novecento centinaia di navi con decine di migliaia di italiani pronti ad iniziare una nuova vita in terra americana. In Argentina invece arrivarono, a partire dal 1880, molti contadini piemontesi che lasciarono le Langhe e il Monferrato, la maggior parte dei quali finì a lavorare nella Pampa. Da Genova partirono milioni di italiani diretti verso tutti i continenti. Il Mei racconta le storie di vita dei migranti attraverso diari, autobiografie, lettere, fotografie, video, giornali, documenti d’archivio, i canti e le musiche dei protagonisti dell’emigrazione come “Parto per La Merica”. Un museo in gran parte multimediale dislocato su tre piani suddivisi in 16 aree tematiche, senza oggetti, senza collezioni, con allestimenti scenici collocati in uno degli edifici medievali più antichi della città che mille anni fa ospitava i pellegrini prima di partire per la Terrasanta. Il Mei illustra anche il fenomeno migratorio nel dopoguerra e fino agli anni Settanta del secolo scorso con gli intensi flussi di migrazione interna, dal meridione verso le città industrializzate del Settentrione, tra le quali Torino. Il Museo nazionale dell’Emigrazione (Mei) nasce all’interno di una cornice architettonica ricca di storia quasi millenaria come quella della Commenda di San Giovanni di Prè.
Un tema, l’emigrazione, strettamente legato a questo storico edificio, uno dei gioielli di Genova, da sempre animato da viandanti, viaggiatori e navi. Per secoli è stato un luogo di accoglienza per pellegrini e crociati, fino agli emigranti dell’Ottocento. Fin dal 1100 la Commenda era un ostello e ricovero dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (i futuri Cavalieri di Malta) e ospitava coloro che erano diretti in Terrasanta per visitare i luoghi di Gesù e partecipare alle Crociate. Ecco perché, sostengono in Comune a Genova, non c’era location migliore da destinare al Museo dell’emigrazione. Certamente non si può obiettare nulla, il museo merita una visita, ma un rammarico c’è, almeno per chi scrive. Entrare nella Commenda e non trovare più nulla del precedente museo è una profonda delusione. In attesa delle galee che partivano da Genova dirette a Gerusalemme, cavalieri, pellegrini e mercanti si riposavano e si rifocillavano alla Commenda di Prè. Nel 1180 furono poi costruite due chiese, una sopra l’altra, con l’ospedale attiguo, in modo che i malati potessero assistere alla Messa dal letto.
Sofisticate tecnologie avevano permesso di animare gli antichi muri della Commenda facendo tornare in vita i personaggi del tempo viaggiatori cristiani, ebrei e arabi, geografi e vescovi nonché i protagonisti delle Crociate come Baliano d’Ibelin e il Saladino. Tutto ciò era la storia della Commenda che adesso è stata cancellata dal Museo dell’Emigrazione. Un gran peccato, si poteva lasciare almeno un piano della struttura per continuare a raccontare come si viveva in questo straordinario edificio del XII secolo.
                        Filippo Re
Gli orari per visitare il Mei (Museo nazionale dell’Emigrazione italiana), Piazza della Commenda, Genova: ottobre-maggio, da martedì a venerdì 10-18, sabato e domenica 11-19, giugno-settembre, da martedì a venerdì 11-18, sabato e domenica 11-19
nelle foto il Mei di Genova alla Commenda di Prè, foto migranti, interno Museo