CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 21

“Scusa ma resto qui” di Alessandro Barbaglia: quando un messaggio cambia tutto

TORINO TRA LE RIGHE

Per Torino tra le righe volevo parlarvi di un libro per ragazzi che mi ha molto colpito: Scusa ma resto qui di Alessandro Barbaglia.
L’autore, nato a Novara nel 1980, è uno degli autori italiani contemporanei più originali e poetici. Scrittore e libraio, alterna con passione la vita in libreria alla creazione di storie che sanno emozionare e far riflettere. Finalista al Premio Bancarella con il suo esordio La Locanda dell’Ultima Solitudine (2017) e vincitore del Premio Strega Ragazze e Ragazzi con Scacco matto tra le stelle (2021), Barbaglia è capace di muoversi con naturalezza tra narrativa per adulti e letteratura per ragazzi, firmando romanzi, raccolte poetiche e progetti di storytelling.
Il suo nuovo libro, Scusa ma resto qui (Mondadori), inaugura la collana “Ossigeno”, pensata per i lettori giovani con storie brevi, intense e di immediato impatto.
La trama si apre con un’ora precisa: le 15.32. È il momento in cui Zeno, studente quattordicenne, riceve un messaggio da una misteriosa “Luna”. Zeno è chiuso in casa da giorni, dopo che un atto di bullismo subito a scuola – ripreso in un video diventato virale nella chat degli studenti – lo ha isolato e ferito profondamente. Tra insulti e meme crudeli, il silenzio sembra l’unica difesa possibile.
Quel messaggio di scuse, però, cambia tutto. Inizia così un dialogo fatto di chat, vocali ed e-mail, in cui Luna, logorroica e vulcanica, si insinua pian piano nella vita di Zeno. I due fanno un patto: non incontrarsi mai di persona, pur frequentando la stessa scuola. È in questa distanza che nasce un legame capace di dare respiro, forza e coraggio a entrambi. Zeno, fragile e ferito, trova in Luna uno specchio delle proprie emozioni; Luna, enigmatica e solare, nasconde un segreto che solo alla fine verrà svelato, portando nuova luce sull’intera storia.
L’ambientazione è quella scolastica, ma il vero “luogo” del romanzo è lo spazio virtuale: un rifugio dove i protagonisti si sentono liberi di raccontarsi, lontani dal giudizio immediato del mondo reale. Lo stile epistolare, reso attraverso i mezzi di comunicazione contemporanei, rende la lettura veloce, coinvolgente e immersiva, come se il lettore spiasse direttamente lo scambio dei loro messaggi.La copertina, vivace e simbolica, cattura lo spirito del romanzo: un messaggio di speranza e resistenza, un “resto qui” che diventa dichiarazione di presenza nonostante le difficoltà.
Scusa ma resto qui è una storia di amicizia e di coraggio, che affronta con delicatezza temi importanti come il bullismo, l’isolamento e il bisogno di trovare una connessione autentica. Un romanzo che scorre veloce ma lascia il segno, capace di parlare ai ragazzi e agli adulti, e che merita di essere letto – soprattutto da chi, almeno una volta, si è sentito invisibile.
Marzia Estini
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Sunshine Gospel LABS, doppio appuntamento

“Il gospel ci insegna che ogni giorno è una nuova opportunità,
che la vita è un viaggio che ci porterà alla luce
e che siamo più forti di quanto pensiamo”

A promuovere l’iniziativa il Sunshine Gospel Choir che, dopo aver conquistato il Golden
Buzzer di Joe Bastianich nell’edizione 2020 di “Italia’s Got Talent”, è stato eletto nel 2024 il
miglior coro d’Europa presso la prestigiosa Royal Albert Hall di Londra, vincendo il concorso
“How Sweet The Sound”, uno dei concorsi americani Gospel di maggior prestigio.

Un doppio appuntamento mercoledì 24 settembre e mercoledì 1 ottobre a cui possono
partecipare tutti. Non è necessario aver studiato musica, ma basta avere passione per il
canto e voglia di imparare dagli eccellenti insegnanti del Sunshine.
A presentare e coordinare le serate saranno infatti i tre leader del coro, il direttore Alex Negro
e le due storiche voci soliste Rosanna Russo e Joe Nicolosi. Ad accompagnarli dal vivo
al pianoforte i Maestri Paolo Gambino e Silvano Borgatta.
“Nella prova – racconta Rosanna Russo – presentiamo il corso e insegniamo ai presenti a
imparare un brano insieme, in maniera semplice ed intuitiva. Dimostriamo insomma come
cantare in coro, se ben guidati, possa essere facile e divertente. Dopo due ore siamo certi che
chi partecipa capirà già se la Sunshine family può diventare la sua nuova famiglia di amici,
dove poter dar sfogo alla propria creatività dimenticandosi per qualche attimo a settimana di
tutti i problemi della quotidianità.”
Continua Alex Negro: “Dirigo questo coro da oltre ventotto anni e incontrare nuove voci è
sempre un’emozione. Non potete capire quanti talenti e anime straordinarie si nascondano in
mezzo a noi e al contempo quanto il canto gospel possa creare connessione tra le
persone. Vi assicuro che ai nostri corsi, così come ai nostri concerti, è facile emozionarsi. Per
questo consiglio di partecipare ai nostri laboratori, anche solo per gioco o per curiosità. È già
successo che chi è arrivato svogliato, solo perché coinvolto da un amico appassionato di
canto, si sia ritrovato ad innamorarsi dell’atmosfera e a diventare protagonista poi di eventi
eccezionali che abbiamo realizzato con gli allievi dei Sunshine Gospel Labs insieme al
Sunshine Gospel Choir. Per citarne alcuni, dalle Universiadi del 2024 con la cerimonia di
apertura delle FISU World University Games Winter 2025; dall’International Mass Choir
all’Auditorium del Lingotto al format Broadway Celebration al Teatro Alfieri di Torino.”

Il laboratorio gospel diventa quindi a tutti gli effetti una vera e propria esperienza formativa e
non a caso la sede scelta è la Fondazione Educatorio della Provvidenza, punto di riferimento
per Torino per l’impegno in coniugare tradizione e innovazione attraverso una presenza
costante e radicata sul territorio; con la missione di promuovere percorsi educativi e culturali
per rispondere ai bisogni sociali in modo concreto.
Per conoscere ulteriori dettagli sulle due serate e per prenotare la propria prova gratuita per i
Sunshine Gospel LABS è possibile:
– consultare il sito ufficiale del coro www.sunshinegospel.com
– chiamare il numero 392/0739595
– scrivere all’indirizzo e-mail segreteria@sunshinegospel.com

La Francesca da Rimini di Zandonai inaugurerà la stagione del Regio

Sarà  la Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai l’opera che inaugurerà la stagione 2025-2026  di Opera e Balletto del teatro Regio di Torino venerdì10 ottobre alle ore 19. A dirigere sul podio dell’Orchestra e del Coro del Regio il capolavoro di Zandonai, creato per Torino in un nuovo allestimento di Andrea Bernard, sarà il maestro Andrea Battistoni. A istruire il coro il maestro Ulisse Trabacchin. Partner della produzione è Intesa Sanpaolo, che accompagna il teatro Regio dal 2011.

Opera intensa e liricamente vibrante, Francesca da Rimini è  tratta dalla tragedia di Gabriele d’Annunzio, ispirata al celebre episodio dantesco del V canto dell’inferno, una delle pagine più celebri della letteratura italiana che ancora oggi continua ad attrarre centinaia di lettori. Racconta l’amore proibito e travolgente di Paolo e Francesca, un amore che sfida la legge, che si nutre di desiderio e di colpa, che si consuma nel rosso della passione e del sangue. Un altro amore segna la nascita della Francesca moderna, quello ardente, complesso e appassionato tra Eleonora Duse e il Vate . Per il poeta  la “Divina” rappresenta la Musa che alimenta la tragedia, penetra il personaggio dantesco con un’interpretazione superba.
Nel gennaio 1902, pochi mesi dopo il debutto romano della pièce al teatro Costanzi di Roma, lo spettacolo approda a Torino, segno che testimonia l’apertura del teatro Regio alla prosa, in anni di curiosità e sperimentazione dei linguaggi diversi in scena.
Sono gli anni in cui Arturo Toscanini collabora con l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, il teatro ospita le prime di Manon Lescaut ( 1893), La Bohème (1896) di Puccini e, nel 1906, la prima italiana assoluta di Salome diretta da Richard Strauss. L’ultima grande prima assoluta del Regio antico è proprio la Francesca da Rimini di Zandonai e d’Annunzio, nel 1914, poco prima della chiusura per la prima guerra mondiale.

Il testo preserva il gusto estetizzante della poesia dannunziana e si traduce in una partitura dal linguaggio armonico avanzato, in cui parola e canto si fondono in un unico flusso espressivo. Gli arcaici dannunziani trovano il loro corrispettivo musicale  nei raffinati “falsi storici” di Zandonai e nell’inserimento di strumenti dal sapore antico, che arricchiscono una scrittura moderna e sofisticata. Sia che ci si avvicini all’opera come oggetto culturale, sia come estimatori di Dante o d’Annunzio, o semplicemente mossi da una grande storia d’amore, Francesca da Rimini resta un capolavoro tutto da scoprire.
A dare voce a Francesca sarà  il soprano  Barno Ismatullaeva, rivelazione al teatro Regio in Madama Butterfly nel 2003, alla quale si alternerà Ekaterina Sannikova, il 14 e 23 ottobre. Paolo avrà il timbro inconfondibile di Roberto Alagna e il suo ruolo per le recite del 19, 21 e 23 sarà affidato a Marcelo P!uente. La parte di Gianciotto vedrà protagonista George Gagnidze, con Simone Piazzolla nelle recite del 14 e del 23 ottobre.

“Siamo davvero contenti – ha spiegato il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, Presidente della Fondazione Teatro Regio – di dare il via alla nuova Stagione di Opera e Balletto 2025-2026 con Francesca da Rimini,  una rappresentazione che andò in scena per la prima volta proprio in questo teatro, nel 1914. Anche questa stagione farà del teatro Regio non solo un punto di riferimento per un’offerta musicale e artistica di livello internazionale,  ma anche quello di bussola culturale,  di spazio in cui la città si interroga e si riconosce su temi profondi e importanti. L’invito rivolto a tutte e tutti è di concedersi il piacere di godere di un programma straordinario reso possibile dai tecnici, dagli artisti e dal personale del teatro, un’istituzione culturale di primo piano, ma anche luogo capace di regalare emozioni”.

“La stagione 2025-2026 del teatro Regio, intitolata Rosso, – spiega il sovrintendente del teatro Regio Mathieu Jouvin – indaga quella regione cruciale dell’anima in cui l’essere umano è chiamato a misurarsi con le proprie scelte, sospeso tra passione e conflitto, tra giustizia e violenza. In Francesca da Rimini il rosso diventa il colore del tradimento che si compie e del sangue che suggella la colpa. L’opera di Zandonai, potente e preziosa, torna al teatro Regio dove debuttò nel 1914, come pagina di raro fascino, profondamente italiana e al tempo stesso aperta al respiro della cultura europea. Proprio il 1914 , anno della prima assoluta della Francesca da Rimini, segna la conclusione di un periodo d’oro per il teatro Regio, che aveva visto la presenza assidua di Toscanini, le prime assolute di Puccini, la Manon Lescaut e la Bohème, la prima italiana di un’opera di Richard Strauss con Salome, e che si interrompe con l’inizio della Grande Guerra.

Zandonai, allievo di Mascagni, compositore colto e cosmopolita nato in una terra di confine, a Rovereto, e spentosi a Pesaro, consegna a Torino un’opera profondamente radicata nella storia della cultura italiana ma, al tempo stesso, proiettata verso i linguaggi musicali europei di Ravel e Debussy e di area tedesca, quali Wagner e Strauss. Il fatto che questo tipo di scelta avvenisse alla vigilia di una capitolazione politica continentale è  un fatto che sottolinea, ancora una a volta, la circostanza che l’arte tende all’unità, non alle divisioni.
Inaugurare la nuova stagione con questo titolo significa valorizzare un capolavoro che appartiene alla storia del teatro, che sa parlare con forza al presente  ed è testimonianza viva di un passaggio cruciale della nostra civiltà.
Questa scelta conferma l’identità del Regio come teatro di arte e di pensiero, capace di affrontare il grande repertorio con autorevolezza e, al contempo, restituire vitalità a opere rare spesso escluse dai cartelloni contemporanei. Un cammino di riscoperta che prosegue idealmente la rotta intrapresa con la Juive e con la trilogia Manon Manon Manon, entrambe premiate con l’Abbiati”.

Mara Martellotta

Si ispira agli iperspazi la stagione 2025/2026 di Fertili Terreni Teatro

Prende il via la stagione 2025/2026 di FTT Fertili Terreni Teatro, nono appuntamento del percorso comune intrapreso da A.M.A. Factory Cubo Teatro e Tedacà, che realizza una innovativa stagione di teatro diffusa sul territorio. L’edizione di quest’anno ha scelto come focus la ricerca degli iperspazi, luoghi della mente più che spazi fisici in cui ricostruire la nostra condizione di esseri umani mettendo a fattor comune esperienze di vita e aprendosi sempre più a confronto e a inclusività. Per farlo, si è dato vita a un calendario di spettacolo da ottobre 2025 a maggio 2026, articolati in 37 titoli, con 4 prime nazionali e 5 prime regionali, a cui si aggiungono le due retrospettive dedicate al collettivo MAMIMO, dal 29 al 31 gennaio 2026 con gli spettacoli “Alfredino – l’Italia in fondo a un pozzo” e “Patria-il paese di Caino e Abele” e a Beppe Rosso, dal 17 al 22 marzo 2026, con le repliche di “Liquori fatti in casa” e “Un giorno di fuoco”. Il tutto per 118 serate di spettacolo.

“In un tempo in cui sembrano smarriti i punti di riferimento- spiegano i direttori delle tre realtà fondanti  di FTT Ferili Terreni Teatro, Simone Schinocca di Tedacà, Girolamo Lucania di Cubo Teatro e Beppe Rosso di A.M.A. Factory – e dove l’apocalisse è una possibilità che l’uomo età scegliendo di esplorare, rischiandone l’attrazione verso l’oblio e l’annullamento, Fertili Terreni, quest’anno, volge lo sguardo verso possibili iperspazi, luoghi all’apparenza lontani, dove le strade sono ancora inesplorate,  dove il dialogo è una possibilità, il tempo dell’incontro necessario, dove la vita è il suo respiro soffiano nella direzione della convivenza e della scoperta reciproca.

Trovare una dimensione nuova in cui è ancora possibile sorprendersi, perdersi, ritrovarsi più vicini e dove la costruzione di un futuro possibile è l’obiettivo del viaggio. Un iperspazio fatto di luoghi e persone, storie e parole da raccontare, e dalle diversità accolte come ricchezza. Un luogo dove l’impossibile diventa possibile. Un luogo, uno spazio in cui poterci riconoscere, essere a nostra volta iperspazi, se lo vogliamo”.

Nutrita la proposta di spettacoli di TFF, a partire dai due spettacoli d’apertura: dall’8 all’11 ottobre Angelo Tronca, con la partecipazione di Maddalena Sighinolfi, porterà in scena Moby Dick, produzione A.M.A., ispirato al romanzo di Melville, con il pubblico dotato di cuffie tra richiami alle balene e conflitti con demoni interiori. Dal 20 al 23 ottobre prossimi sarà dato spazio a “Molly”, produzione di Cubo Teatro e diretta da Girolamo Lucania. Con Letizia Alaide Russo il racconto di un amore della protagonista con un’altra ragazza in tutto e per tutto simile a lei, salvo scoprire una verità tanto atroce quanto inaspettata. Dal 19 al 23 novembre prossimo, e dal 25 al 30 novembre, una lunga kermesse di due settimane per “Giulio Cesare e la notte della Repubblica”, progetto Il Mulino di Amleto/A.M.A. Factory. Una rilettura contemporanea della tragedia shakespeariana diretta da Marco Lorenzi, dove la storia della disgregazione della Repubblica Romana è usata come un luogo con cui possiamo indagare e interrogare questioni che toccano da vicino il nostro presente e lo determinano. Nel periodo natalizio ritorna, per il quarto anno di repliche, al teatro Juvarra, dal 31 dicembre al 18mgennaio 2026, il fortunato spettacolo firmato Tedacà “Whiskey & Soubrette”, mentre l’anno nuovo si aprirà con il debutto assoluto del “Borghese gentiluomo” da Moliére, nell’allestimento firmato Crack 24 ed A.M.A. Factory in scena dal 16 al 20 gennaio 2026, per l’adattamento e la regia di Lorenzo De Iacovo. Si tratta della rilettura immaginata intorno al personaggio di Jordan, intento a rincorrere il successo tra corsi di ballo, canto e dizione. Da ultimo, il 6 maggio 2026, andrà in scena “Il corpo della donna è un campo di battaglia”, nuova produzione di Cubo Teatro presentata in forma di studio per un viaggio nei meandri dell’orrore, della colpa, dell’impotenza, da ultimo della vita, con protagonista una giovane donna incinta dopo una violenza subita da un gruppo di suoi connazionali in tempo di guerra.

MARA MARTELLOTTA

Spazio Tonti celebra il genio dell’artista

Inaugurando, sabato 27 settembre a Sala Monferrato, lo Spazio Tonti, si avvera il sogno a lungo accarezzato, di creare uno polo permanente delle opere di un geniale artista qui vissuto dal 1999 al 2021, anno della scomparsa, dove trovò, tra la bellezza e la tranquillità dell’atmosfera collinare, il luogo adatto per le sue sperimentazioni.
Giorgio Tonti fu uno di quegli artisti cosiddetti Isolati, non perché insulare, rinchiuso nella torre d’avorio, distaccato dal contesto storico ma in quanto, non inserendosi in un movimento specifico, volle mantenere una propria identità accostandosi liberamente ad ogni espressione artistica che lo stimolasse rendendosene interprete ed innovatore al tempo stesso.
Con libertà di pensiero non cedette alle lusinghe delle mode e alle leggi di mercato che imponevano scelte obbligate nel periodo in cui spingevano all’arte aniconica, penalizzando l’arte figurativa. Pur sperimentando, con stile personale, anche l’arte non figurativa attraverso una continuità creatrice ed innovativa dell’astrattismo spiritualistico di Kandinsky e delle larghe, colorate campiture di Rothko, oltre alle informali graffiature di Wols e del geometrismo di Klee, mai Tonti volle una decisa rottura con l’immagine che desse corpo all’Idea privando l’arte dei valori storici e umani, cadendo in una sorta di nichilismo niechtzschiano. Si scoprirà un’arte complessa, dai sublimati significati profondi da parte di un uomo pregno di cultura umanistica, aperto ad ogni risvolto espressivo, ora sintetico e rigorosamente arcaico, ora, allacciandosi all’Art Brut con immagini sgradevoli ma belle in quanto arte, ora enigmatico ed ambiguo, come amava definirsi nel far scaturire sensazioni evocative di un mondo interiore al di là della scorza effimera della realtà visibile. Un’occasione in più per valorizzare non solo Sala ma l’intero territorio monferrino, rendendo in seguito uno spazio fruibile anche per ulteriori iniziative culturali.
Giuliana Romano Bussola 

Cuneo ricorda Marcello Soleri

La manifestazione in ricordo di Marcello Soleri alla Provincia di Cuneo con gli studenti delle scuole superiori della Città. Con Ivana Casale,  Olimpia Soleri, Pier Franco Quaglieni e il presidente del Memoriale degli Alpini in Russia. Un incontro storico che ha unito giovani di scuole diverse nel ricordo dello Statista liberale morto 80 anni fa.

“Premio Lattes Grinzane” XV Edizione

Si avvicina, a lenti ma costruttivi passi, la cerimonia di premiazione ad Alba alla presenza dei cinque finalisti

Da giovedì 25 settembre, le prenotazioni per partecipare alla cerimonia

Alba (Cuneo)

Manca poco meno di un mese, ma la “macchina organizzativa” del “Premio Lattes Grinzane” (il riconoscimento internazionale intitolato all’indimenticato Mario Lattes, scrittore editore, fra i più fini intellettuali del secolo scorso, organizzato dalla “Fondazione Bottari Lattes” di Monforte d’Alba e dedicato ai migliori libri di “Narrativa” pubblicati nell’ultimo anno) è ormai da tempo accesa a pieni giri, per arrivare, con tutto (come sempre) in ordine, al fatidico sabato 11 ottobre, allorché al Teatro Sociale “G. Busca” di Alba verrà annunciato il nome del vincitore o della vincitrice della XV Edizione del “Premio”, espressamente voluto da Caterina Bottari Lattes, in memoria del grande marito. A comporre la cinquina finalista sono quest’anno tre scrittori e due scrittrici, un solo italiano. I loro nomi: Mathieu Belezi – nato a Limoges, ma oggi residente fra Roma e Parigi – con “Attaccare la terra e il sole” (“Gramma Feltrinelli”, traduzione di Maria Baiocchi), la scrittrice  e regista teatrale tedesca Jenny Erpenbeck con “Kairos” (“Sellerio”, traduzione di Ada Vigliani), lo scrittore irlandese Paul Lynch con “Il canto del profeta” (“66thand2nd”, traduzione di Riccardo Duranti), la cilena Alia Trabucco Zeràn con “Pulita” (“Sur”, traduzione di Gina Maneri) e il fiorentino Sandro Veronesi con “Settembre nero” (“La Nave di Teseo”).

Contestualmente alla cerimonia di premiazione, all’autrice etiope Maaza Mengiste verrà conferito il “Premio Speciale Lattes Grinzane”, attribuito in ogni edizione a un’autrice o a un autore internazionale di fama riconosciuta a livello mondiale e che nel corso del tempo abbia ricevuto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Nata ad Addis Abeba nel 1971, a soli tre anni, nel 1974 Maaza fu costretta con la famiglia a lasciare la sua terra, a seguito del colpo di Stato orchestrato da Menghistu Hailè Mariàm contro l’imperatore Hailé Selassié I, al potere dal 1930. Numerosi i suoi spostamenti da Lagos, in Nigeria, a Nairobi, in Kenya e infine a New York, dove studia “Scrittura creativa” all’ Università de “La Grande Mela” e dove a tutt’oggi vive. Fra i vari Premi conseguiti, è stata nominata “New Literary Idol” dalla Rivista “New York Magazine” e nel 2021 con il libro “Il re ombra” (dedicato alle donne che si ribellarono a Mussolini) ha vinto il Premio “Gregor von Rezzori” di Firenze ed è stata finalista all’“International Booker Prize” nel Regno Unito. Sarà quindi una grande e davvero attesa presenza, quella della scrittrice d’origine etiope alla cerimonia di premiazione al “Busca” di Alba, per la quale – attenzione! – il pubblico potrà prenotarsi a partire da giovedì 25 settembre, tramite il sito www.fondazionebottarilattes.it. L’appuntamento sarà anche trasmesso in “diretta streaming” sul sito e sui canali social della “Fondazione Bottari Lattes”.

Domenica 12 ottobre, invece, per il secondo anno si rinnova la collaborazione tra la “Fondazione” e la Rassegna “Cervo in Blu d’inchiostro”, appuntamento che dal 2012 porta i grandi protagonisti della Letteratura Contemporanea nello splendido borgo di Cervo (Imperia): al “Castello dei Clavesana” il finalista francese Mathieu Belezi sarà in dialogo con Walter Scavello, docente di Inglese del “Liceo Cassini” di Sanremo, e con Francesca Rotta Gentile, curatrice della rassegna. Gli intermezzi musicali saranno a cura della cantante e pianista Ines Aliprandi.

Come sempre a determinare i romanzi finalisti e il “Premio Speciale”, è stata una “Giuria Tecnica”, presieduta per questa edizione dalla giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica Loredana Lipperini, cui s’affiancheranno i 400 studenti e studentesse delle “Giurie Scolastiche”, ancora oggi impegnati nella lettura delle opere finaliste per individuare l’opera vincitrice di quest’anno.

Nella mattinata di sabato 11 ottobre, i ragazzi avranno l’opportunità di incontrare i cinque finalisti in un appuntamento a loro dedicato al “Castello di Grinzane Cavour”. In totale sono 25 gli “Istituti Superiori” coinvolti, sparsi in ogni parte d’Italia e per la prima volta anche in Perù, con l’adesione del Colegio Italiano “Antonio Raimondi” di Lima. Fra i 25 prescelti, tre sono in provincia di Cuneo e due i torinesi: il Liceo Classico e Linguistico “Vincenzo Gioberti” di Torino e il Liceo Scientifico Linguistico e di Scienze Umane “Charles Darwin” di Rivoli (Torino). Sottolinea, circa la scelta della cinquina finalista, la presidente Loredana Lipperini“Le opere ammesse in finale raccontano storie che vanno in controtendenza rispetto al filone sempre più ossessivo dell’autonarrazione, opere che grazie alla letteratura riportano la memoria, la Storia (anche trasfigurata nel futuro), le questioni sociali all’attenzione di tutti. Una cinquina preziosa e importante, che dimostra come le possibilità della scrittura siano ancora infinite, e non solo limitate al rispecchiamento del sé”.

Per info: “Fondazione Bottari Lattes” via G. Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo): tel. 0173/789282 o www.fondazionebottarilattes.it

Gianni Milani

Nelle foto: Cover cinquina finalista e Maaza Mengiste; Mathieu Belezi (Credits Elliott Verdier)

Carducci e la sua ode al Piemonte dalle “dentate scintillanti vette”

Su le dentate scintillanti vette salta il camoscio, tuona la valanga da’ ghiacci immani rotolando per le selve croscianti :ma da i silenzi de l’effuso azzurro esce nel sole l’aquila, e distende in tarde ruote digradanti il nero volo solenne. Salve, Piemonte! A te con melodia mesta da lungi risonante, come gli epici canti del tuo popol bravo,scendono i fiumi…”.

Chi non l’ha imparata a memoria e recitata a scuola questa poesia? Secondo alcuni esperti di storia della letteratura, i versi dell’ode “Piemonte” vennero composti da Giosuè Carducci durante il suo soggiorno al Grand Hotel di Ceresole Reale nel luglio del 1890.

 

Nato a Valdicastello, una frazione di Pietrasanta, nella Versilia lucchese, il 27 luglio 1835, il poeta e scrittore, fortemente legato alle tematiche “dell’amor patrio, della natura e del bello”, fu il primo italiano – nel 1906 – a vincere il Premio Nobel per la Letteratura.  Questa la motivazione con la quale gli  venne assegnato, vent’anni prima di Grazia Deledda, l’ambito premio dell’Accademia di Svezia: “non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”. Giosuè Carducci morì un anno dopo, il 16 febbraio 1907, all’età di 72 anni, lasciando alla cultura italiana una vasta produzione di poesie, raggruppate in diverse raccolte: dagli “Juvenilia” fino ai lavori della maturità. Tra questi ultimi si distingue in particolare la raccolta  “Rime nuove”, composta da 105 poesie, tra cui sono contenuti i versi più conosciuti dell’autore, presenti in “Pianto antico” ( “L’albero a cui tendevi la pargoletta mano..”) e “San Martino” (“La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar;ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar..”).

Nella sua produzione non mancano anche alcuni lavori in prosa, tra cui la raccolta dei “Discorsi letterari e storici” e gli scritti autobiografici delle “Confessioni e battaglie“.  Alla notizia della sua morte – nella sua casa delle mura di porta Mazzini, a Bologna –  la Camera del Regno ( Carducci, dopo essere stato a lungo Senatore del Regno era stato eletto alla Camera nel collegio di Lugo per il gruppo Radicale, di estrema sinistra)   sospese la seduta. L’Italia intera vestì il lutto per la scomparsa del poeta  che aveva cantato il Risorgimento. Durante i funerali, che si svolsero il 18 febbraio, i cavalli che portavano il feretro alla Certosa avevano gli zoccoli fasciati. Il cuore di Bologna, piazza Maggiore, e molte case private si presentarono parate a lutto. I fanali lungo il percorso vennero accesi e “guarniti di crespo“. La salma del poeta, fu “rivestita dalle insegne della massoneria, alla quale fu affiliato, e molti massoni partecipano alle esequie”.  Pochi giorni dopo la casa e la ricca biblioteca del poeta vennero donate dalla regina Margherita al Comune di Bologna. 

Marco Travaglini

Creatività e trasgressione, la continua “pazza idea” di Angelo Frontoni

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Alla Mole, sino al 9 marzo

Osservate, indagate, decifrate il significato intenso di ogni proposta consegnata da Angelo Frontoni. La fotografia è più complessa del cinema che inganna l’occhio con il movimento dell’oggetto e il suono della parola; la fotografia è un furto breve, è un istante di rapimento posseduto dal quale l’operatore sottrae alla vittima la sua muta confessione”, parole di Alberto Lattuada, anno 1990. Ed è una ampia carrellata, che s’inerpica su e su per la scala elicoidale, all’interno della Sala del Tempio della Mole di Antonelli, di queste fanciulle in fiore – in questi termini avrebbe parlato il regista -, quella che srotola immagini e immagini, sotto il titolo di “Pazza idea”, prodotta in proprio e realizzata dalla Fondazione del Museo del Cinema e attingendo da quel vasto patrimonio che è l’archivio Frontoni – 546.000 immagini acquisite vent’anni fa dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dalla Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma: per la mostra se ne sono scelte 200 in rappresentanza di 62 artisti nazionali e internazionali. Chissà quante diverse mostre e differenti titoli potranno nascere da tutto quel ben di dio. Curata dal direttore Carlo Chatrian con Roberta Basano e Elena Boux, la mostra ha il giusto sottotitolo di “Oltre il ’68: icone pop nelle fotografie di Angelo Frontoni”, dove sono indicate la volontà e la scelta di restringere il campo visivo, di focalizzare una dozzina d’anni, di interessare lo sguardo esclusivamente al corpo – femminile soprattutto ma anche maschile che quegli anni di digressione e rivoluzionari avevano sdoganato -, di guardare alla carta patinata e no, alle riviste che con quelle immagini quasi triplicavano le loro vendite, agli spazi occupati su Stern, Paris Match, Sunday Times, Photo e persino Playboy americano, magari mescolando – sempre con il gusto dell’ironia una provocazione più o meno accentuata – il clima della Swinging London con i panorami agresti delle campagne intorno a Roma. Uno sguardo a fissare un’epoca piena di personaggi, taluni a consolidare un successo altri alla ricerca di una fama, obiettivi e sguardi ben lontano sempre dal voyeurismo.

L’immagine mi ha sempre attirato. Vivo d’immagini, la bellezza delle immagini le luci, le espressioni del volto umano…La realtà; la vita. Faccio il fotografo per cogliere, fissare, rubare la vita… Abbellirla, quando mi riesce”, parole di Frontoni, anno 1989, che richiamano le parole di Roberta Basano, in conferenza stampa, circa “la sua grande libertà con il mezzo espressivo”. A lui, nei decenni che vedevano attentati e sangue e atti rivoluzionari, che incrociavano gli anni di piombo, non interessavano i cortei che sfilavano per le strade e davanti ai cancelli delle fabbriche, la Storia stava da tutt’altra parte, lui continuava a cercare le luci e i volti e i corpi. Il presidente Enzo Ghigo esprime “il livello di soddisfazione altamente significativo” per l’operazione come tiene a sottolineare “l’interesse che produrrà nelle persone che quegli anni e le vicende, personali e no, delle tante interpreti di quelle immagini hanno vissuto: e anche quelli che non erano ancora nati, la mostra è in ogni modo uno spaccato della storia di casa nostra. Mentre il direttore e curatore Carlo Chatrian guarda alla “valorizzazione del patrimonio del fotografo come all’aspetto umano” nell’intento di continuare a fare ricerca, secondo le direttive della Fondazione. “Tante le immagini ma quella che guida la mostra è l’immagine di Patty Pravo, icona tra le principali del mondo di Frontoni, emblema di creatività e trasgressione, davvero artefice di una continua “pazza idea”, lei scelta un giorno, in tutta la sua fierezza, per essere avvicinata o inghiottita tra i dentoni di uno squalo, a pubblicizzare il film di Spielberg.

Era nato Frontoni nel marzo del ’29, ma altre fonti anticipano al ’26, a Roma, dove scomparve nel 2002. Primo di nove figli, abbandonò ben presto quel familiare forno Frontoni che era celebre per la “pizza romana” e sfamava l’intera famiglia, non ne sentiva alcun aggancio. Se ne volò a Parigi e dopo poco in America, sperimentando la propria tecnica del bianco e nero che lo portò al primo successo di una lunga professione: la foto di Gina Lollobrigida. Dopo quell’immagine sarebbero arrivati i tanti servizi, “firma ben riconoscibile per il suo stile barocco ai limiti dell’eccesso” – sempre concepiti nella villa di Zagarolo o nell’ampio studio di via dei Monti di Pietralata 90, nella capitale – a immortalare, con la Patty, Elsa Martinelli e Marisa Mell (anche i film di serie B andavano a pennello, l’attrice austriaca sul set di “Una sull’altra” di Lucio Fulci, 1969, ne è un esempio) e una piratesca o campagnola Loredana Bertè, le più gettonate, ma pure Jane Fonda, metallizzata sul set di “Barbarella”, Claudia Cardinale e Ornella Vanoni impellicciata, le proteste degli animalisti erano ancora di là da venire, Rossella Carrà e l’androgina Jane Birkin, Catherine Spaak avvolta nelle piume e la dimenticata Maria Grazia Buccella, il caschetto nero di Rossana Podestà (1966), all’apice del successo con “Il grande colpo dei 7 uomini d’oro” ma pronta di lì a poco ad abbandonare il marito regista Marco Vicario per le montagne e per Walter Bonatti. E ancora Raquel Welch e Mariangela Melato fotografata in abito arancio tra le scogliere di “Travolti da un insolito destino”, le sorelle Kessler ed Edvige Fenech elegante negli abiti di Rocco Barocco o nature come mamma l’ha fatta (primi anni Ottanta), sotto il segno del Capricorno – una serie legata ai segni zodiacali assolutamente da non perdere -, le sorelle Bandiera di arboriana memoria e Ira von Fürstenberg di nobili natali e Renato Zero, che forse non aveva ancora raccolto le orde dei sorcini attorno a sé ma che ci teneva a mostrarsi trasognato ai margini di una solitaria spiaggia con la “storica fidanzata” Lucy Morante. Era, più o meno, il 1979 e lui ci blandiva con “il carrozzone riprende la via / facce truccate di malinconia / tempo di piangere, no, non ce n’è / tutto continua anche senza di te”. Fine di un grande amore?

Chiuso nel capitolo “Dancing Queen” troviamo Enzo Avallone – poi Truciolo, dal nomignolo che gli affibbiò il non ancora pentastellato Beppe Grillo -, conquistatore di un quarto d’ora di successo grazie a Heather Parisi che lo volle nel ’79 accanto a sé per “Fantastico”, qui slanciato in abito immacolato contro uno di quei fondali metallici che maggiormente permettevano a Frontoni di giocare con la luce e i suoi tanti effetti. Proseguendo alla voce maschietti, l’efebiche forme di Helmut Berger tra le fresche frasche di Ischia, Visconti finissimo occhio osservatore e protettore, Fabio Testi issato poderoso su un bianco cavallo, lo sguardo di Lawrence d’Arabia prima della battaglia ma con assai meno paludamenti, Jean Sorel mollemente adagiato. A dirla tutta – sono le ospiti di due delle sei “cappelle” (più o meno “votive” ad un mondo che mostrava già parecchi scricchiolii) approntate al temine del tragitto artistico, Ilona Staller (con tanto di sussurri, e poche grida, a matrice erotica) e Moana Pozzi immersa nella tinozza; nonché Luciana Turina, che mette in (bella?) mostra il proprio fisico over size, con una (grande) tonnellata d’ironia ma certo con una qualche caduta di gusto cui anche il maestro della fotografia non ha potuto sottrarsi.

Alla Mole sino al 9 marzo, gli occhi di tutti hanno tempo e modo di sbizzarrirsi. Si prevede, nelle intenzioni degli organizzatori, una festa anni ’80, chissà dove chissà quando chissà se, e altrettanto “certo certissimo anzi probabile”, l’arrivo della icona Patty Pravo e del nipote di Frontoni, Daniele, felicissimo – ha detto – che il Museo del Cinema abbia ricordato in maniera così significativa lo zio.

Elio Rabbione

Presenze, nei lunghi anni di lavoro di Frontoni, sono stati Brigitte Bardot, Helmut Berger, Jane Fonda e Patty Pravo che della mostra “Pazza idea” è l’immagine principe.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Ronald Baker &Tony Match Trio

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Lunedì. Alle OGR suona Ronald Baker & Tony Match Trio.

Mercoledì. Al Blah Blah si esibiscono I Cospiratori.

Giovedì. Al Vinile è di scena Simona Palumbo Quartet. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Lina Simons + Juma. Al Blah Blah suonano i The Dirteez + Bone Rattler.

Venerdì. Al Peocio di Trofarello è di scena il sestetto di Luca Vicini. Al Circolino suona il Just in Trio. Allo Ziggy si esibiscono i GoTho + Codcreep.

Sabato. Al Vinile sono di scena i The Bartenders. Al Peocio di Trofarello và in scena Music for Burkina. Al Magazzino sul Po suonano gli Ecko Bazz & Still.

Pier Luigi Fuggetta