CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 21

Sanremo, Conti svela il cast ufficiale

Si parte come ogni anno: l’appuntamento è fissato per domani, domenica 1 dicembre, su Rai 1, durante l’edizione delle 13.30 del Tg1. Carlo Conti svelerà, in diretta da Sanremo, il cast ufficiale dell’edizione numero settantatrè del Festival della Canzone italiana; così avremo modo di scoprire tutti i protagonisti in gara dell’amata e/o odiata tradizionale kermesse canora. Secondo le dichiarazioni del direttore artistico Conti alla stampa in questi ultimi giorni, il numero dei cantanti che si esibiranno al Teatro Ariston dall’11 al 15 febbraio 2025, salirà rispetto ai 24 artisti annunciati inizialmente.

Ci saranno come sempre grandi ritorni ed anche tanti volti nuovi della scena musicale italiana, ed il TotoSanremo è già in corso da mesi. La novità di quest’anno riguarda i vincitori di Sanremo Giovani, che non saranno più ammessi in gara con i big, ma gareggeranno all’interno della ripristinata categoria delle “Nuove proposte”.

 

Al momento, hanno avuto accesso alla finale che si svolgerà a Sanremo mercoledì 18 dicembre, e  che verrà trasmessa su Rai 1 con la conduzione di Carlo Conti e del tortonese Alessandro Cattelan, nove “giovani”: Alex Wyse, Bosnia, Arianna Rozzo, Grelnos, Settembre, Selmi, Tancredi, che è il più conosciuto di tutti, della scuderia degli Amici di Maria De Filippi, ed ancora, Mew e Mazzariello. Si aggiungeranno a loro i finalisti di Area Sanremo./ Quindi è oramai tutto pronto per l’edizione 2025!

Ma lo sapete chi inaugurò la prima di edizione, presentata dal Salone delle feste del Casinò municipale di Sanremo dal “mitico” Nunzio Filogamo, il 29 gennaio 1951, in un’atmosfera rilassata e priva di quella tensione che caratterizzerà il Festival da lì a pochissimo?! Si tratta del brano dal titolo ” Sorrentinella”, nell’interpretazione del torinesissimo Duo Fasano che partecipò a ben 5 Sanremo per poi avere successo in tutta Italia e girare per tutto il mondo in tournée con gli altri affermatissimi cantanti dell’epoca come Nilla Pizzi, la “Regina della Canzone” e vincitrice dei primi 3 Festival, Achille Togliani, Gino Latilla, Giorgio Consolini e Carla Boni.

Perchè quindi non dedicare una via od un giardino a Torino alle gloriose gemelle Secondina, detta Dina, e Terzina, detta Delfina, nate proprio nel capoluogo piemontese, il 21 settembre 1924, esattamente 100 anni fa? Debuttarono con il Maestro Cinico Angelini negli anni ’40 accompagnando come coro i solisti più popolari ed in breve arrivarono persino ad inaugurare il Festival di Sanremo! Un bel ricordo da parte della loro città se lo meriterebbero.

 

Igino Macagno

Rock Jazz e dintorni a Torino: Mario Biondi e i Fast Animals And Slow Kids

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Martedì. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Hang Massive. All’Inalpi Arena arriva Tananai.

Allo Spazio 211 si esibiscono i The KVB.

Mercoledì. Sempre allo Spazio 211 sono di scena i King Hannah.

Giovedì. Al teatro Colosseo si esibisce Mario Biondi. Al Circolo Margot di Carmagnola

suona Karl Phillips And The Rejects. All’Hiroshima Mon Amour per 2 sere consecutive è

di scena Cisco.

Venerdì. Al teatro Concordia suonano i Fast Animals And Slow Kids. Allo Ziggy si esibisce

Massimo Pupillo + Ramon Moro. Al Blah Blah sono di scena i Date At Midnight. Allo Spazio 211

si esibiscono i Le Feste Antonacci. Al Magazzino sul Po suonano i Monkey Sound. All’Inalpi

Arena arriva Irama. Al Folk Club si esibisce Ken Stringfellow. Al Circolo Sud è di scena Raissa.

Sabato. Al Folk Club suona il trio di FLO. Al teatro Concordia è di scena il Sunshine Gospel Choir.

Al Circolo Sud Nicolò Piccinini canta Ivan Graziani. All’ Inalpi Arena arriva Gigi D’Alessio.

Al Magazzino sul PO sono di scena i Narratore Urbano. Al Blah Blah suonano i Hell in The Club.

Domenica. Al Blah Blah si esibiscono i Bull Brigade+ Fantastici 4 R-Evolution.

Pier Luigi Fuggetta

Natale nei beni FAI in Piemonte

In occasione del Natale 2024, il FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano ETS invita a vivere la magia di questo periodo dell’anno nei suoi Beni aperti al pubblico, luoghi speciali che testimoniano la straordinaria ricchezza e varietà culturale e paesaggistica che il nostro Paese esprime.

I giorni di festa, trascorsi insieme alle persone a noi più care, sono un’ottima opportunità per visitare i Beni del FAI in tutta Italia, addobbati e decorati per le festività natalizie, e scoprire le tante storie e meraviglie che custodiscono, oltre che per trascorrere tempo libero di qualità grazie alle numerose iniziative a tema che verranno organizzate per adulti e bambini: castelli, abbazie, parchi storici, aree naturalistiche, ville e palazzi signorili apriranno le loro porte e sorprenderanno i visitatori con allestimenti di presepi artistici, mercatini di prodotti artigianali ed eccellenze gastronomiche, incontri incentrati su antiche tradizioni, laboratori creativi, concerti, degustazioni, visite speciali e tanto altro.

Da sabato 30 novembre a lunedì 6 gennaio 2025 sono in programma oltre 40 eventi che coinvolgeranno 22 Beni FAI, dal Trentino alla Sicilia, e potranno regalare preziosi momenti di serenità e arricchimento culturale, da condividere con parenti e amici. Questi gli appuntamenti che verranno organizzati nei Beni del FAI in Piemonte:

CARAVINO (TO)

CASTELLO DI MASINO

In viaggio verso il Natale – Visita per famiglie

1, 8 e 15 dicembre, ore 11.30–14–15.30

Domenica 1, 8 e 15 dicembre al Castello di Masino, splendida dimora dei conti Valperga di Masino che da oltre mille anni domina la vasta piana del Canavese, proporrà alle famiglie una particolare visita guidata in cui scoprire come si festeggiava il Natale e come si preparava la tavola delle feste in un antico castello e quali erano i giochi in voga nel passato. I piccoli visitatori e i loro accompagnatori faranno dunque un viaggio nel tempo che permetterà loro di conoscere usi e giochi della tradizione, immersi nella magica atmosfera natalizia che si respirerà nelle sale del Castello “vestito” a festa.

Natale al Castello

1, 7, 8, 14 e 15 dicembre, ore 11–13.30-15.30

In alcuni giorni di dicembre – 1, 7, 8, 14 e 15 – sarà proposta una visita guidata per immergersi nell’atmosfera del Natale al Castello di Masino: dall’Adorazione di Gesù di scuola piemontese conservata nel Salotto Rosso – uno degli ambienti più preziosi del maniero del FAI – al prezioso Presepe in corallo di manifattura trapanese nella Galleria dei Poeti, dai servizi da tè e da cioccolata alla tavola imbandita nella Sala da pranzo estiva, fino ai ricordi della Vigilia di Natale di metà Novecento. Un’occasione unica per vivere il Castello, riccamente addobbato per le feste, e per conoscere le tradizioni e le abitudini di casa Valperga.

Piccoli artigiani a Natale – Laboratori creativi per famiglie

1, 8 e 15 dicembre

Aspettando il Natale, domenica 1, 8 e 15 dicembre al Castello di Masino verranno organizzati laboratori creativi per famiglie con artigiani del Canavese. Ogni domenica un laboratorio diverso in cui i bambini e i loro accompagnatori potranno sperimentare e creare piccoli oggetti natalizi da portarsi a casa per le festività. Questo il programma: 1 dicembre – alle ore 11.15, 14.15, 15.15 e 16.15Laboratorio artigianale di candele, a cura di Ludovica Andrina, dalla colatura della cera fino alla realizzazione di una piccola candela profumata a tema natalizio; 8 dicembre – alle ore 14, 14.45, 15.30 e 16.15Laboratorio artigianale di traforo e intaglio del legno, a cura di Roberto Montrucchio, per dar vita a piccoli oggetti natalizi in legno da appendere al proprio albero di Natale; 15 dicembre – alle ore 11.15, 14.15, 15.15 e 16.15Laboratorio artistico di illustrazione, a cura di Shirley Cordisco, durante il quale si realizzerà, a partire dalla scelta della carta, passando poi alla progettazione e all’illustrazione, un piccolo libro delle “cose belle”, un bellissimo ricordo da portare a casa.

I laboratori sono pensati per tutta la famiglia e si svolgeranno nel Palazzo Marchesa. Per i bambini, l’età consigliata è dai 5 ai 12 anni.

Con il Patrocinio di Regione Piemonte, Città metropolitana di Torino, Comune di Caravino.

Per altre informazioni, prezzi e prenotazioni: www.castellodimasino.it; email: faimasino@fondoambiente.it; tel. 0125.778100.

MANTA (CN)

CASTELLO DELLA MANTA

Avventura natalizia. Percorso per famiglie

30 novembre, 1, 7, 8, 14 e 15 dicembre, ore 14.30

Aspettando il Natale il Castello della Manta, fortezza medievale dal fascino severo che custodisce una delle più stupefacenti testimonianze della pittura tardogotica profana, invita i più piccoli a partecipare a una divertente avventura natalizia. Il 30 novembre, l’1, 7, 6, 14 e 15 dicembre verrà proposta una particolare visita guidata della durata di circa 50 minuti, dedicata a famiglie con bambini dai 4 ai 10 anni, durante la quale occorrerà tenere gli occhi aperti per scoprire tutti gli indizi natalizi nascosti nelle sale del Castello e le orecchie spalancate per ascoltare le fiabe di Natale che gli indizi rivelano.

Avventura natalizia. Laboratori per famiglie

1, 8 e 15 dicembre, ore 14 e 15.30

Creatività e manualità saranno al centro dei laboratori per famiglie con bambini dai 4 ai 10 anni organizzati domenica 1, 8 e 15 dicembre al Castello della Manta per festeggiare il momento più magico dell’anno, ormai alle porte: tanti materiali e idee per realizzare addobbi per la casa e per l’albero, centritavola e ghirlande, chiudi pacco e biglietti d’auguri. La durata del laboratorio è di circa 90 minuti.

In attesa del Natale tra storia, affreschi e tradizioni

30 novembre, 1, 7, 8, 14 e 15 dicembre, ore 11.15 – 12.30 – 15.30

Al Castello della Manta sarà possibile immergersi nell’atmosfera del Natale grazie a una speciale visita guidata: nel percorso che unisce le cantine e la cucina alle sale affrescate si dipanerà la narrazione delle tradizioni e delle pratiche più diffuse legate ai simboli natalizi, dalla corona dell’Avvento all’albero addobbato, dal presepe alle ghirlande, dall’agrifoglio al vischio. Gli ambienti del Castello del FAI, decorati per l’occasione, accoglieranno i visitatori, diventando teatro del racconto della sua storia e delle sue memorie, tra affreschi e aneddoti. La durata della visita è di circa 50 minuti; prenotazione consigliata.

Con il Patrocinio di Regione Piemonte, del Comune di Manta e Provincia di Cuneo.

Per altre informazioni, prezzi e prenotazioni: www.castellodellamanta.it; email: faimanta@fondoambiente.it; tel. 0175.87822.

I visitatori potranno inoltre curiosare nei Negozi del FAI al Castello di Masino e al Castello della Manta lasciandosi ispirare per gli acquisti natalizi. Tra le proposte regalo una accurata selezione di libri, prodotti gastronomici realizzati con le materie prime provenienti dai Beni del Fondazione, come le marmellate di agrumi antichi del Giardino della Kolymbethra, l’olio extravergine di oliva dagli ulivi secolari della Baia di Ieranto e il sale integrale delle Saline Conti Vecchi. Doni esclusivi, originali e “di valore”, anche perché l’acquisto va a sostegno delle attività del FAI volte alla tutela e alla valorizzazione del suo straordinario patrimonio d’arte e natura. Gli Iscritti FAI avranno l’opportunità di usufruire del 10% di sconto su tutti i prodotti in vendita.

Il calendario “Eventi nei Beni del FAI 2024” è reso possibile grazie al fondamentale sostegno di Ferrarelle, partner degli eventi istituzionali e acqua ufficiale del FAI e al contributo di Pirelli, accanto al FAI dal 2006, che rinnova per il dodicesimo anno la sua storica vicinanza all’iniziativa e di Delicius che conferma per il quarto anno il suo sostegno al progetto.

Per informazioni, orari e prezzi e per prenotazioni:

www.aspettailnataleconilfai.it

Le terre blu di Nico Orengo

Vengo da un paese di mare; un paese che si confonde e affonda in quel giardino”. Con queste parole lo scrittore Nico Orengo si presentava nel suo racconto Terre blu.

Quel giardino” dove si sentiva a casa erano i Giardini Botanici Hanbury che si distendono dal promontorio della  Mortola verso il mare di Ventimiglia, a pochi chilometri dal confine francese. Diciotto ettari sull’estrema punta del Ponente ligure al quale dedicò la sua opera letteraria, ambientando racconti e poesie. Un gioiello naturalistico prezioso, uno dei giardini di acclimatazione più belli e preziosi d’Europa e dell’intero bacino mediterraneo. Orengo raccontava che sono blu le terre della Liguria quando fioriscono i carciofi, quando il mare “rimbalza il suo colore sotto i pini, quando si alza il fumo degli sterpi sulle fasce, quando la campanula buca i rovi e quando la bungavillea e il glicine sui muri incontrano il tramonto”. In questo modo il blu si imprime indelebilmente nella memoria, trasformandosi nel colore del ricordo e della terra. Quella terra “aspra e dolce della Liguria di Ponente che da Imperia a Ponte San Luigi corre anguillesca sul mare e su, verso l’interno di paesi d’incanto, umidi e solari”. Con Terre blu Nico Orengo raccontava una geografia sospesa tra la realtà e l’immaginazione come può essere solo quella di “un viaggiatore che ritorna sui suoi passi per constatare che c’è un albero in più e una pietra in meno, che il pollaio è una villetta, o che quel tal orto si è fatto casa”. Alla terra di confine dove ambientò quasi tutti i suoi romanzi Nico Orengo rimase sempre legatissimo. La sua Liguria non era solo uno spazio naturale pieno di odori e colori, suggestioni straordinarie sospese tra il blu del mare e i colori forti dell’entroterra  ma anche un luogo della memoria, degli anni della giovinezza e dell’adolescenza. Un mondo intero dove si intrecciavano indimenticabili ricordi che rievocò nei suoi romanzi (Dogana d’amore, Il salto dell’acciugaLe rose d’EvitaLa guerra del basilicoRibesLa curva del latte) con la sua scrittura lieve e ironica. Nel suo penultimo romanzo, Hotel Angleterre, accompagnò i lettori in un viaggio della memoria rimescolando ricordi, rievocando la figura della nonna paterna, la contessa Valentina Tallevitch, che, nelle fredde sere invernali, mentre gettava bucce di mandarino nel fuoco acceso nel camino, narrava ai nipoti vecchie storie della nobiltà russa in Costa Azzurra e nella Riviera di Ponente, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Nell’ultimo, Islabonita, ambientato a metà degli anni Venti, usa l’espediente narrativo del bestiario e di una figura antropomorfica di anguilla voyeur, per raccontare un epoca che stava per lasciare una traccia dolorosa e indelebile sulla pelle della nazione. Spesso nei suoi libri riecheggia l’amarezza per il  tramonto della società contadina e il declino dei suoi umanissimi valori a scapito  del rapido imporsi del modello industriale e urbano che il boom economico avrebbe poi codificato nell’avvento della società dei consumi. E la natura e l’ambiente, entrambi da difendere e tutelare, rappresentano desideri che emergono in molti racconti come Gli spiccioli di Montale dove, in un tratto di mare al confine con la Francia, un uliveto che rischia di scomparire, provocando uno strappo violento nella memoria, quasi come se un ricordo venisse rubato. Ci restano in eredità i suoi versi, le filastrocche ( A-ulì-ulè ) , i racconti, le battaglie contro la speculazione edilizia e per la salvaguardia dell’ambiente e delle tradizioni culturali, il bellissimo ritratto delle langhe fissato nelle pagine del romanzo Di viole e liquirizia. Nico Orengo morì a Torino, nella mattinata di sabato 30 maggio 2009, all’ospedale delle Molinette dove era stato ricoverato dopo una crisi cardiaca. Aveva 65 anni. Al capoluogo piemontese ( vi era nato il 24 febbraio del 1944)  era legato per l’intensa collaborazione con Einaudi e la lunga direzione di Tuttolibri, il settimanale letterario de  La Stampa, quotidiano per cui scriveva. Non casualmente scelse come ultima e definitiva dimora il piccolo cimitero dei Ciotti tra La Mortola e Grimaldi, aggrappato alla roccia e affacciato sul mare blu cobalto. Come scrisse lui stesso nell’agosto  del 2000, lo scenario non poteva che essere quello di “ una Liguria favolosa di sapori, fico polveroso e gelsomino stordente, di buganvillea e cappero, di garofano, calendula e rose, mirto e rosmarino”Un buon modo di ricordarlo è quello di leggere le sue opere magari accompagnandone il piacere con un buon bicchiere di vino, preferibilmente rossese o vermentino, secondo le antiche ricette della cucina ligure.

Marco Travaglini

Questo “Giardino”, Leonardo Lidi irrompe nei giorni nostri

Sino al 1° dicembre, al Carignano

 

Nella scena anonima inventata questa volta da Nicolas Bovey, ancora prima che il “Giardino” cechoviano inizi tutto pare già aver avuto un esito, sedie bianche disseminate sul palcoscenico, a terra come dopo lo saranno i ciliegi, il rovesciamento dell’ordine e l’abbandono. Soltanto il sussurro del vecchio Firs dimenticato. Poi attraverso i grandi teli neri di plastica che delimitano il palcoscenico, che cadranno o verranno staccati con rabbiosa decisione, ancora i ciliegi nel finale, irrompono gli attori, vestiti di colori e di abiti moderni, tute giubbotti giacche a vento, qualcuno – per la necessaria distribuzione? – scambiando ruoli maschili e femminili, per cui la governante di casa Charlotta è Maurizio Cardillo in calzoncini corti, giacchetta color limone e barba e occhi segnatissimi di blu mentre la sempre ottima Orietta Notari da Leonid Gaiev s’è fatta inevitabilmente Lenja, la sorella della padrona di casa. Irruzione nei nostri giorni, e raggiranti quanto personali comodità, che rientrano in quel campionario a cui Leonardo Lidi ci ha ormai abituati, tutto sta a vedere se noi quell’abitudine ce la siamo fatta (per tacere dei mugugni altrui nel corridoio d’uscita dal teatro).

Con “Il giardino dei ciliegi”, produzione dello Stabile dell’Umbria e coproduzione di quello torinese e del Festival dei Due Mondi spoletino, sino a domenica 1 dicembre al Carignano, Lidi conclude la terna che in precedenza ha visto “Il gabbiano” e “Zio Vanja”, sconvolgendo ancora molti, giocando con il giubilo sfrenato delle nuove generazioni (che nelle aule della scuola dello Stabile da lui stanno imparando), tentando in ogni modo di épater le bourgeois (cerco ancora adesso che butto giù queste note una ragione, abbassato il soffitto, per averlo fatto diventare una spiaggia dove tutti possano prendere il sole in costume da bagno; come mi chiedo perché certi personaggi debbano diventare delle macchiette, penso all’Epichodov di Massimiliano Speziani, già eccellente Vanja) e forse ingannando quei mostri sacri che se non hanno una vera, felice motivazione per essere strattonati meriterebbero di dormirsi un sonno tranquillo. 

Lidi ha confessato – sto prendendo a prestito una sua intervista a La Stampa dei giorni scorsi – di aver preso il “Giardino” e di averlo affrontato “da un altro punto di vista, esaltandone l’aspetto rivoluzionario, di forza, molto presente nel testo”, andando in direzione opposta a un teatro che va contro i nostalgici e il teatro della nostalgia, pare proprio a spada tratta, ed esaltando la “concentrazione sul presente” che avrebbe tutti i requisiti per essere profondamente salvifica. Guardando altresì quel “testo della nostalgia” con sin troppa supponenza, una sorta di bullismo questa volta teatrale, e scomodando l’anima del buon Strehler che di quella nostalgia s’era imbevuto nella propria messinscena del ’74, che aveva guardato con occhio di dolore soffocato alla “camera dei bambini” e riempito di foglie cadenti l’ombrellino della Cortese e fatto scivolare attraverso il palcoscenico, tra una “carambola” e l’altra, il trenino dell’infanzia lontana di Santuccio. Che poi in un gioco, che è eguale dal 1904, a sei mesi dalla morte dello scrittore, che sempre ritorna, la nostalgia è ancora lì, vicinissima a noi, a portata di mano, tutti la tocchiamo, il testo di Lidi non può non mantenerla e gli attori la nominano.

Immancabili, incancellabili, ci mancherebbe, per sottolineare il nuovo corso, “l’aspetto rivoluzionario”, i cambiamenti sociali e i proprietari terrieri che scapperanno a Parigi con il magone delle loro perdite e non capiscono quel presente che già li sta travolgendo, l’eterno studente dalle idee liberali e il figlio del servo della gleba, quello sempre preso a calci e obbligato ad andare con i piedi nudi d’inverno, che s’è fatto grande e furbastro e s’è comprato lui il giardino (Mario Pirrello, bravissimo nel suo Lopachin, uno studio perfetto di gesti e di frase smozzicate e di parole cercate nell’aria della chiacchiera), i ricordi delle giovani figlie di Ljuba, gli attimi trascorsi in quella casa, un arrivo e una nuova partenza che sembrano avvolgere la Storia e le tante storie. L’ultima stazione, questa del “Giardino”, di un viaggio, quello intrapreso da Lidi post pandemia, uno sconquasso per ritrovare ancora il teatro e il pubblico: ma “termineremo il viaggio confusi, pieni di domande e con pochissime risposte”, chi l’avrebbe mai detto?, e già nella mente del regista non ancora quarantenne si agita un filo rosso, “mi è sempre sembrato palese che il nostro giardino è sinonimo di nostro teatro.” Non vuol già dire voltarsi indietro, la ricerca del sarcasmo e dello spigolo dissacrante che cambiano in affetto, forse lontanissimo, forse non ammesso, verso questa vecchissima scatola magica? Chissà che cosa riuscirà a inventare la prossima volta Lidi, a dissacrare: per adesso io mi tengo stretto il ricordo – la nostalgia – di quel trenino e di quell’ombrellino riempito di foglie.

Gli appassionati della parola di Cechov e gli inseguitori di Lidi avranno modo di partecipare – bella occasione davvero – alla maratona inventata dal nostro Stabile, domani 30 novembre: sempre al Carignano, “Il gabbiano” alle 11,30, “Zio Vanja” alle 15,00 e “Il giardino dei ciliegi” alle 18,30 tour de forse fisico e mnemonico per tutti gli attori. Nella globalità del racconto, chi sarà a vincere, l’autore classico o il regista spericolato?

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Gianluca Pantaleo

Al 42mo TFF storie di famiglie e i rapporti madre/figlia

La nascita, le scelte fatte e da farsi, la volontà di tener nascosto il proprio stati, il saper
condurre avanti una vita insieme e l’affidamento, la sparizione e la ricerca di un essere
umano a te così vicino, i rapporti e la loro complessità. Quelli della famiglia, dei legami
madre/figlia, delle unioni che coinvolgono visceralmente, sono i temi che più hanno
trovato spazio nelle scelte fatte per il concorso del 42mo TFF, quelle che più hanno
colpito il sentimento del gruppo selezionatore. Felicità e dramma eterni, a ogni
latitudine del mondo, sotto sguardi e con prospettive diversissimi, dal Belgio alla
Tunisia, dalla Corea del Sud all’Iran, dalla Danimarca alla Germania. Di qui, da
quest’ultimo paese, arriva una delle opere più belle del festival, avvolta di una cruda
realtà, di un oggi esasperato, di un panorama che ha parecchie ombre di una certa
gioventù che vediamo stranamente vivere nelle città, della sua debolezza, dei non-
sogni che continuano a coltivare, dei molti rapporti in cui non si possono intravvedere
luci, della miseria di certi ambienti, della sicura solitudine. Il titolo è “Vena”, la regista
è Chiara Fleischlacker, trentenne, con studi di psicologia a Friburgo, già autrice di
cortometraggi e documentari, questo è il suo diploma di sceneggiatrice e regista
all’Accademia del cinema del Baden-Wuerttemberg. Questo è forse un piccolo
capolavoro che guarda con occhio più sicuro a certe esistenze giovanili, dove la
commiserazione e i sentimenti stereotipati non trovano posto, ma anche ogni piccolo
attimo di una relazione, ogni più piccola area buia vengono guardate, analizzate,
lavorate con un bisturi che apre altre ferite, un lavoro eccellente di scrittura prima e di
direzione poi. Una storia che in tutta la sua gelida quanto struggente evoluzione non
dovrebbe lasciare indifferenti i giurati, un’interpretazione, quella della matura e più
che umanamente espressiva Emma Drogunova, da tenere presente quando si tratterà
di assegnare i premi finali.
Jenny già alcuni anni prima s’è vista obbligata dai servizi sociali ad affidare alla madre
il suo primo figlio, adesso è incinta del suo nuovo compagno Bolle, passione smisurata,
un’attrazione fisica e d’emozioni ma le giornate riempite dalle droghe che coinvolgono
pienamente entrambi. Il suo stato dovrà essere affidato a una giovane ostetrica,
dicono ancora i servizi, una decisione che rende Jenny dapprima chiusa, decisamente
contraria, scettica e arrabbiata contro quella persona che dovrebbe sorvegliarla e
decidere per lei: poi inaspettatamente, giorno dopo giorno, le asprezze si allentano e
un legame fatto di sincera complicità si instaura tra le due donne, prende posto la
fiducia che lascia alla ragazza affidare il proprio segreto a Marla, un segreto che la
lega al passato e che la condannerà a staccarsi da sua figlia quando nascerà. Estrema
verità, lucido racconto, attenzione estrema alla tragedia di una giovane donna e al suo
staccarsene, un ritratto autentico – e quello del compagno contiene altrettanto le
necessarie asprezze e quei momenti che dovrebbero portarlo a una liberazione che
non avviene – che è al centro di un film che convince appieno.
Dalla Danimarca arriva – claudicante e imperfetta – la storia di Cecilia, una quindicenne
orfana ospite di un orfanotrofio all’inizio degli anni Cinquanta. Aspetta un bambino, e
lo spettatore presto intuisce chi ne abbia approfittato. Non è quello che interessa
all’opera prima del giovane Jacob Møller, “Madame Ida”, il film non andrà ancora una
volta a descrivere il rapporto tra vittima e carnefice. La realtà da scoprire è altrove, tra
le nebbie di una campagna che dovrebbe rassicurare. Per nascondere la gravidanza,
Cecilia è condotta nella casa di Ida, nella ricca casa dove un tempo si svolgevano
concerti e feste e cene e dove ora ogni cosa appare chiusa in un silenzio e in
un’assenza di vita che coinvolgono la padrona di casa e l’anziana domestica Alma: con
la decisione che la creatura alla nascita verrà affidata a Ida in adozione, cancellato
ogni diritto di Cecilia. Non accetta la ragazza la nuova coabitazione nei primi tempi ma
poi prendono il sopravvento gli atti di affetto, le premure, i gesti e le serate passate a
cercare una certa unione, si fa largo quell’amore di una famiglia che Cecilia non ha
mai provato. Come allo stesso tempo Ida ritrova quel legame che in precedenza aveva
​perso. Fino a questo punto la scrittura di Møller è sicura, si lascia seguire con
attenzione; poi come per la volontà sconsiderata d’infilarsi in un vecchio romanzone
d’appendice dell’Ottocento, di quei racconti a puntate che avrebbero fatto il successi
di qualche gazzetta, quella medesima scrittura ci informa della disgrazia che ha
colpito Ida anni prima, del suo allontanarsi dal mondo, del perché una certa porta della
grande casa continui a essere chiusa, perché una cena di bentornati amici prenda
strade che ribollono di una sessualità a lungo dimenticata, come Cecilia debba
ubbidire alla decisione del ritorno e come il finale s’inviluppi in modo disordinato, non
trovando una via d’uscita che confezioni appieno quelli che erano stati dei promettenti
preamboli.
Elio Rabbione
Nelle immagini, scene da “Vena” (Germania) e da “Madame Ida” (Danimarca)

Lo sguardo insignificante dall’Italia, lo sguardo tragico dall’Ucraina

In concorso sugli schermi del 42mo TFF

 

Credo che di tanto in tanto ci si debba fermare a chiederci che cosa sia il cinema (la stessa cosa vale per l’arte, per il teatro, ogni espressione che riusciamo a definire ancora umana), quali possano essere i suoi mezzi e quale il suo fine, non solo una dimensione ludica ma soprattutto la componente istruttiva che qualche volta s’affossa. Ci si dovrebbe fermare a chiedere, di questo o quel progetto, come sia stato pensato e portato avanti, e proposto e come abbia raccattato in giro quei tanti o pochissimi quattrini che gli sono serviti, l’autrice che al cellulare chiede aiuto a papà “sono pur sempre tua figlia”, come abbia avuto dalla sua – con ottime intenzioni – chi lo abbia proposto sugli schermi di un festival, per l’occasione una squadra di giovanissimi dai 23 ai 33 anni, di cui in questi giorni si dice un gran bene ma che al contrario io credo non ami molto il cinema di casa nostra (facciamo il paio della rappresentanza con “Europa Centrale” di cui qui già s’è detto). Mi sono fermato e mi sono fatto la domanda dopo essere uscito all’aperto dalla proiezione di “n-Ego”, l’opera più recente di Eleonora Danco, scrittrice attrice regista, camuffata a passeggiare, trascinandosi dietro sui sampietrini sobbalzanti una flebo e una cartucciera di sonnifero, per le strade di Roma con un collant che le deforma il viso (una sorta di manichino dechirichiano? mah!) e avvolta in un impermeabile di tela cerata, rossissimo, “a esplorare la condizione umana” ci avvertono i programmi.

La sua storia di 82’ non è una storia, è un tragitto slabbrato che gode dello spericolato montaggio di Marco Tecce e incrocia la piazza di Trastevere e il Gianicolo, i lavori interminabili di piazza Venezia e il portico d’Ottavia, i monumenti e le rovine, il moderno e l’antico, camminando avanti e all’indietro, strisciando gattonando e raggomitolandosi, ascoltando massime e stralci di vita, abitudini e azioni di ogni giorno e in fin dei conti con quale importanza, filmando visi e mani e donne con cartelli insignificanti, le provenienze dei tanti quartieri, uomini e donne che hanno sognato un futuro migliore, i pochi che si sono realizzati i tantissimi no, ed elencano i tanti passati di infelicità e di solitudini, gente che racconta gli anni della galera e la quasi obbligatorietà a entrare e uscire da quella, “papà ladro e mamma donna delle pulizia, non potevo stare in un altro posto”, “me li son proprio fatti tutti quelli che stanno in giro per l’Italia”, i mestieri e i mestierucoli, la donna che impiega mezz’ora al giorno per truccarsi, qui sta l’oasi felice della giornata, e il ragazzo più o meno trentenne, “ma tu ti masturbi? lo fai tutti i giorni? ma no, non sempre, mi masturbo per capire il mio corpo” e altri particolari perché s’allarghi la nostra conoscenza, i rapporti tra generazioni, quella che vuol essere la madre/amica per sapere se il piccolo di casa “l’ha già fatto” e “mi padre me picchiava de brutto”. E molto molto altro ancora. Danco deve girare un film e semina appunti e fogli bianchi per le strade di Roma, complici a un certo punto anche Filippo Timi e Elio Germano. Quei fogli dovrebbero esserle utili a costruire la sua “sintassi di epifanie”, il tutto rimane un insignificante esercizio davanti a una macchina presa che avrebbe persino in sé la pretesa di voler divertire.

Meglio tutta le naturalezza, la singolare “povertà” del racconto, di “Kasa Branca”, opera prima che arriva dal Brasile per la regia di Luciano Vidigal. Dé è un ragazzo di una favela di Rio de Janeiro, che vive con la nonna Almerinda, affetta da Alzheimer e ormai arrivata ai suoi ultimi giorni. Con l’aiuto di un paio di amici, decide di farle vivere quei giorni nel migliore dei modi. Andranno a vedere il passare dei treni, la porteranno a fare qualche gita lassù in montagna, caricandosela sulle braccia, inventeranno una festa a casa sua con l’invito a qualche rapper di maggior successo al momento: magari facendo anche i conti con la polizia che perlustra le strade, con la padrona di casa che reclama l’affitto degli ultimi mesi, con un furto nella farmacia vicino perché le spese del settore non incidano troppo. Ogni cosa negli occhi e nella più che pingui forme del ragazzo, nel suo dire la fatica del vivere giorno dopo giorno vicino ad una malata anziana e delle corse in ospedale, degli affetti – i lavaggi, la musica fatta ascoltare, i segnali forse neppure avvertiti -, del dolore che sopraggiunge con la perdita. Attori del tutto sconosciuti per noi, davvero bravi, di quelli che non sembrano avere davanti a sé qualcuno che li filmi.

C’è la storia privata e quella di un intero paese, c’è la memoria di un tempo che fu le repressioni di Kyiv e di Praga riflessa in quello che stiamo vivendo, la paura e la guerra, ci sono i fuochi e i suicidi in “Dissident” diretto da Stanislav Gurenko e Andrii Alf’erov. C’è Oleg che ha combattuto contro la Germania nazista quanto contro l’Unione Sovietica del comunismo, tutto teso all’indipendenza del proprio paese; come c’è la moglie Vilena che sogna una vita serena e dei figli e che deve salvare il suo uomo da un nuovo arresto; c’è l’ambizioso scrittore Taras che cambierebbe la loro esistenza offrendo all’uomo una collaborazione per il romanzo che sta scrivendo e al quale Vilena non rimane insensibile. I dissidenti, le lotte, l’ondata di arresti che invade la città la decisione del suicidio, la speranza della libertà. Ne risulta un film di una tensione che coinvolge lo spettatore, che illustra con personale e autentica partecipazione il racconto di un dramma, che pone in primo piano l’ispirazione che lo ha fatto nascere, che sa porre con estrema precisione ognuno davanti alla Storia. Che non dovrebbe sfuggire alla giuria capitanata da Margaret Mazzantini.

Elio Rabbione

Nelle immagini, scene da “n-Ego” di Eleonora Danco a rappresentare l’Italia, di “Kasa Branca” di nazionalità brasiliana e di “Dissident” proveniente dall’Ucraina.

“Sensitive Stones”, un’opera di Andrea Caretto e Raffaella Spagna

 

 

Il Castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea, sabato 30 novembre prossimo, presenta il progetto “Sensitive stones”, una liloteca Esperienziale, che coincide con l’attivazione dell’opera di Andrea Caretto e Raffaella Spagna, presentata nell’ambito della mostra “Mutual Aid-Arte in collaborazione con la natura”. L’opera del duo artistico Caretto-Spagna è stata presentata nella biblioteca di Rivoli ed è rappresentata da un’installazione interattiva fondata sull’incontro intimo e personale tra soggetti umani e minerali. “Sensitive Stones. Progetto per una litoteca Esperienziale” si compone di una collezione di ciottoli e blocchi di roccia raccolti dagli artisti su vari siti della Val Seriana, in particolare nel territorio di Alzano Lombardo. In seguito levigate e lucidate, queste pietre lisce e lucenti, ma dalla forma inalterata, sono messe a disposizione del pubblico per un prestito temporaneo tramite una modalità simile a quella adottata dai libri in biblioteca.

La coppia artistica Caretto-Spagna coinvolge le persone auspicando che il contatto e l’intimità con questi oggetti, corredati di scatole di legno e taccuini per appunti, generino nel fruitore una relazione di inedita interdipendenza, convivenza e incontro con il mondo animale e i suoi microracconti.

Nel corso dell’attivazione gli artisti raccontano il procedimento di selezione e preparazione delle pietre e invitano a sperimentare i molteplici usi delle rocce, dalla pura contemplazione allo studio fino all’esplorazione di diverse forme di contatto, come il portarle nelle proprie tasche o posizionarle sotto il cuscino per favorire l’incontro notturno con dimensioni inconsce differenti.

Nella giornata di sabato l’attivazione dell’opera è prevista dalle 12 alle 13, dalle 16 alle 17 e dalle 17 alle 18. Ogni sessione è preceduta da una visita guidata alla mostra “Mutual aid. Arte in collaborazione con la natura”, a cura del Dipartimento di Educazione del Museo alle 11, alle 15 e alle 16.

L’appuntamento si inserisce nell’ambito del progetto di public program “Vibrant Natures. On telluric Cosmologies”, a cura di Guido Santanadrea e Marianna Vecellio e nato dalla collaborazione tra Almanac, castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea e Orti generali.

Il programma prosegue la riflessione iniziata con “On decay and rebirth”, realizzato tra febbraio e marzo 2024, mantenendo come base di ricerca i caratteri di complessità, pluralità, coesistenza e reciprocità propri della natura. Fil rouge del percorso lo sviluppo di un pensiero ecologico e di una coscienza ambientale che riposizioni l’umano all’interno della natura, rispondendo all’urgenza di sviluppare politiche di resistenza alle economie di sfruttamento della natura fondate sul superamento dell’opposizione tra oggetto e soggetto, tra natura e cultura, tra umano e non umano.

Offrendo una ridefinizione del concetto di natura come agente attivo e vitale, “Vibrant natures On telluric cosmologies” esplora come artisti e ricercatori di diversi ambiti riflettano sulle possibilità di azione e influenza di entità non umane, ponendole come condizioni necessarie per mettere in discussione le condizioni che hanno condotto all’attuale crisi climatica e ambientale.

 

Mara Martellotta

A San Raffaele Cimena è tempo di “Antiqua”

ANTIQUA 2024

07 dicembre – San Raffaele Cimena ore 21,15

Chiesa di S. Raffaele Arcangelo

Ars Baroca

Lo splendore della musica da camera nel 700’ Napoletano”

Il 7 dicembre, alle 21,15, a San Raffaele Cimena (To), presso la chiesa di San Raffaele Arcangelo in via Maestra, la rassegna musicale “Antiqua” proposta dall’Accademia del Ricercare si congederà dal suo pubblico dando appuntamento alla prossima edizione con il concerto di Ars Baroca Ensemble dal titolo “Lo splendore della musica da camera nel 700’ Napoletano”.

Ingresso a offerta libera. Per informazioni scrivere agli indirizzi segreteria@accademiadelricercare.com e accademiadelricercare@gmail.com oppure telefonare al numero 331.1095412. Sito web https://accademiadelricercare.com/

Programma

Domenico Natale Sarri (1679-1744)

Concerto per flauto, 2 Violini, Viola e b.c in la minore

Largo – Allegro – Largo – Spiritoso

Francesco Mancini (1672-1737)

Sonata per Flauto e due violini in re minore

Amoroso – Allegro – Largo – Allegro

Francesco Durante (1684-1755)

Concerto per archi n. 7 in do Maggiore

Moderato– Allegro – Larghetto – Presto

Alessandro Scarlatti (1660-1725)

Sonata per Flauto, due violini e b.c. in la minore

Allegro – Largo – Fuga – Piano – Allegro

Francesco Mancini

Concerto per Flauto, due violini e viola in Sol minore

Comodo – Fuga, Allegro – Larghetto – Allegro

Interpreti

Luisa Busca – flauto

Yayoi Masuda, Efix Puleo – violini

Elena Saccomandi – viola

Lorenzo Fantinuoli – violoncello

Federico Bagnasco – violone

Laura La Vecchia – tiorba

Claudia Ferrero – clavicembalo

Nota di sala

Il complesso Ars Baroca Ensemble è stato costituito con l’intento di affrontare con l’adeguata consapevolezza storica e musicologica il grande repertorio sei-settecentesco, da un lato valorizzando importanti inediti e dall’altro proponendo le opere più celebri e amate di compositori come Claudio Monteverdi, Alessandro Scarlatti, Antonio Vivaldi, Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart. Il nucleo base di questa formazione è composto da due flauti, un violoncello e clavicembalo, a cui possono aggiungersi, a seconda delle necessità, altri strumenti e cantanti. Pur dovendo confrontarsi in un ambito repertoriale molto conosciuto e frequentato da ensemble di grande prestigio, il complesso ha sviluppato una personalità artistica ben definita e un caratteristico stile esecutivo che traggono linfa dallo spiccato talento dei suoi membri e da una coesione sempre maggiore. Dopo avere inciso il disco «L’arte della trascrizione», apparso allegato al mensile CD Classica nel catalogo dell’etichetta bolognese Tactus, l’ensemble barocco si esibisce spesso in importanti concerti, molti dei quali abbinano le note dei compositori più famosi del XVII e XVIII secolo ai versi immortali di poeti come Lodovico Ariosto e Torquato Tasso, creando in questo modo una sorta di ‘ponte’ che consente di apprezzare arti diverse in passato strettamente legate tra loro. Tutti gli strumentisti vantano importante attività con prestigiosi ensemble, all’interno dei maggiori circuiti concertistici internazionali.