CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 206

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Marina Cicogna “Ancora spero” -Marsilio- euro 19,00

Marina Cicogna Mozzoni è stata la contessa del Cinema italiano, al quale ha dedicato la sua strepitosa vita. Prima produttrice cinematografica del nostro paese, è riuscita ad imporsi in un ambiente prevalentemente maschile. E’ morta nella sua casa romana stroncata dal cancro il 4 novembre, ad un soffio dall’89esimo compleanno, accudita dalla compagna- figlia adottiva Benedetta.

Marina Cicogna Mozzoni Volpi di Misurata era nata il 29 maggio 1934 a Roma, e la roulette della vita le aveva assegnato subito eccellenti carte in mano. Il padre era il conte Cesare Cicogna Mozzoni, della casata lombarda i cui quarti di nobiltà risalgono al Cinquecento e a Carlo V; la madre, la contessa Annamaria Volpi di Misurata, famiglia veneziana con radici che risalgono ai Dogi. Suo padre (nonno di Marina) Giuseppe Volpi era imprenditore, ministro dell’Economia e delle Finanze e colui che inventò la Biennale, la Mostra del Cinema nel 1932 e di conseguenza il Lido di Venezia. Mossa notevole, dettata non tanto dall’amore per il cinema, quanto dall’intento di riempire i suoi alberghi di un turismo “alto”, con le star come richiamo.

Questi i gloriosi natali, ma in seguito si è fatta strada soprattutto con la sua tempra. Il cinema in parte lo ha ereditato nel corredo genetico del Dna, poi è diventata la passione e il fulcro della sua vita. Praticamente è cresciuta nella culla della Mostra del Cinema, assistendo anche a 4 film quotidianamente e incontrando, a fianco del nonno, miti come Liz Taylor, Greta Garbo, Charlie Chaplin, e molti altri. Inoltre il padre aveva vinto l’Oscar per aver prodotto il film “Ladri di biciclette”.

Importante fu l’incontro con il produttore di “Via col vento” David O. Selznick che seriamente avrebbe voluto adottarla, e lei considerò sempre un secondo padre.

Dopo la maturità a New York intraprese studi universitari, sempre in America, in arte, letteratura e cinema. Ebbe come insegnante niente meno che Marguerite Yorcenaur, e come vicina di stanza al college Barbara Warner, figlia del famoso produttore. Fu lei a presentarle mezza Hollywood, tra cui pezzi da novanta come Marlon Brandon e Montgomery Clift.

Oltre alle star Marina Cicogna si divertì parecchio anche a frequentare il Jet Set, da Gianni Agnelli ad altri nomi del Gota internazionale. Conobbe la Monroe e fu amica di Jackie Kennedy….giusto per dare l’idea.

Dopo la laurea, tornata a Roma si occupò subito di cinema insieme al fratello Bino. Da allora dimostrò lungimiranza, acume e coraggio. Sua l’intuizione nel 64 di produrre “Belle de jour” di Buñuel con cui vinse il Leone d’Oro a Venezia. E via di successo in successo, fino all’Oscar nel 71 con “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e l’anno scorso il premio alla carriera.

Una vita ai massimi livelli, affrontata con coraggio anche nelle scelte di vita privata. Il cinema fu il colpo di fulmine per eccellenza, poi l’amore con l’attrice Florinda Bolkan durato quasi un ventennio. L’approdo degli ultimi 40 anni con Benedetta Gardona (più giovane di 25 anni) che adottò per garantirle un futuro e con la quale condivise case, viaggi, interessi.

Ma nella vita di questa donna amante della mondanità e dei nomi altisonanti ci sono state anche storie d’amore con Alain Delon quando era una ragazzina attratta dal mito, e con Lex Barker protagonista di “Tarzan”.

Questo e molto altro lo trovate in questa biografia senza veli che offre a tutto tondo una vita straordinaria. E se volete entrare ulteriormente nel mondo di questa produttrice rivoluzionaria, guardate il documentario di Andrea Bettinetti “Marina Cicogna-La vita e tutto il resto” del 2021.

 

 

Bret Easton Ellis “Schegge” -Einaudi- euro 23,00

E’ il primo romanzo in cui lo scrittore americano mette in scena se stesso adolescente nella Los Angeles degli anni 80: tra sesso in abbondanza, droghe, psicofarmaci, soldi, serial killer, e anche un po’ di nostalgia per un tempo ormai passato. Ed è un ritorno in libreria dopo 13 anni di assenza in cui si era concentrato su sceneggiature per cinema e serie televisive.

Bret Easton Ellis è nato a Los Angeles nel 1964, ricco rampollo di una famiglia abituata allo sfarzo: padre imprenditore immobiliare, madre “socialitè”, villa ultramilionaria in un quartiere extralusso. “Le schegge” è nato prima come serie di episodi nel suo podcast, ora diventato un libro di oltre 700 pagine che potrebbero scandalizzare parecchio.

Torna a raccontare la Città degli Angeli tra feste in piscina, strisce di coca, sesso promiscuo, musica new wave, in cui sono protagonisti i 17enni degli anni 80, che con Bret frequentavano la prestigiosissima Buckley School. Dunque anche un romanzo di formazione.

Oltre ai turbamenti per la scoperta della sua omosessualità, l’autore ricorda pure il caso di quegli anni in cui un serial killer seminava terrore e morte. Chiamato “Il Pescatore” si dilettava a sbudellare le sue vittime e i loro animali e, non si sa bene per quale motivo, aveva preso di mira il gruppo di Bret. Aspettatevi anche momenti horror e splatter.

Un romanzo denso di contenuti: turbamenti, difficoltà ad accettare la propria diversità, escamotage per nascondere la sua vera natura, fidanzate di facciata e attrazione per i compagni dai corpi prestanti, sesso estremo, comportamenti sopra le righe, dinamiche spinose dei rapporti in una fase complicata come quella adolescenziale…e una buona dose di cronaca cruenta e reale. E “Le schegge” diventerà quasi sicuramente una serie tv.

 

 

R.C. Sheriff “Nuove abitudini” -Fazi Editore- euro 18,50

Lo scrittore, drammaturgo e sceneggiatore inglese Robert Cedric Sheriff, nato nel 1896 e morto nel 1975, è stato un grande cantore della vita quotidiana, quella fatta di piccole cose e abitudini ripetute e rassicuranti.

In questo romanzo protagonista è il 58enne Mr Baldwin che sta per andare in pensione dopo 40 anni di onorato impiego presso una compagnia di assicurazioni della City (stesso lavoro svolto dall’autore prima di arruolarsi nel reggimento dell’East Surrey all’inizio della Prima Guerra Mondiale).

Lo spettro dell’età pensionabile serpeggia foriero di vita svuotata e sul precipizio del suicidio, fase in cui ci si sente improduttivi e quasi inutili. Mr Baldwin è un abitudinario che durante la pausa pranzo amava osservare dal London Bridge il carico /scarico delle chiatte, e l’ultimo giorno riceve il classico regalo dai colleghi, un orologio che dovrebbe scandire tempi nuovi….ma tutti da reinventare.

Vive con la moglie (placida casalinga) da sempre in una vecchia casa nei sobborghi di Londra. La coppia ha i suoi ritmi consolidati che ora vanno rivisti alla luce del tempo a disposizione che si dilata a dismisura. Il protagonista se le inventa tutte per combattere noia e momenti morti; da letture corpose a maldestri tentativi di giardinaggio, pisolini in poltrona e piccoli battibecchi senza peso, di quelli che animano le coppie collaudate da una vita insieme.

Poi qualcosa cambia e la vita riprende sprint. Durante la passeggiata abituale nella campagna del Surrey si imbattono nei frenetici lavori di nuove case in costruzione, moderne e dotate di ogni comfort. Una vita fuori dal caos che ha il prezzo di oltre 1.000 sterline. Ecco cosa catapulta i Baldwin in una nuova euforia. Contano i risparmi e mettono in vendita la loro vecchia abitazione con mobili annessi, pregustando -ma anche un po’ temendo- l’apertura di una fase inedita delle loro esistenze. Non resta che gustarvi il clima di questo piacevole romanzo.

 

 

Amira Ghenim “La casa dei notabili” -edizioni e/o- euro 19,00

Questo è un dramma familiare narrato da più voci e ricostruito anche attraverso lettere e testimonianze dei vari personaggi. A scriverlo è stata l’autrice tunisina Amira Ghenim, docente di linguistica, che con questo suo secondo romanzo rende omaggio alla figura di intellettuale e riformatore Taher-al-Haddad. Personaggio che nel 1930 scrisse il testo “La nostra donna nella sharia e nella società” facendo scalpore tanto da renderlo un reietto condannato a finire i suoi giorni in miseria. Lui è il protagonista silenzioso di questa saga familiare.

La vicenda è ambientata nella Tunisia degli anni 30 del Novecento ed è un potente affresco sociale, politico e culturale del paese in quel periodo. Al centro le vicende di due famiglie dell’alta borghesia tunisina: gli en-Neifer decisamente tradizionalisti e conservatori convinti, e gli ar-Rassa, invece, progressisti e liberali

La famiglia altolocata degli en-Neifer è formata dalla madre Jnaina, il padre Othman, i figli Moshen e Mhammed e dalla nuora Zubaida, moglie di Moshen.

La loro pace domestica viene totalmente stravolta dall’arrivo di una lettera per Zubaida che sarà l’inizio di una serie di eventi drammatici che, oltre alla famiglia en-Neifer, coinvolgerà anche quella della donna, gli ar-Rassà, e un’altra nutrita pletora di altri personaggi.

La missiva scatena il putiferio perché sembra accusare Zubaida ar- Rassà di avere avuto una tresca con il suo precettore ai tempi in cui era nubile, Taher al-Haddad.

Sarà l’inizio di una vicenda che travolgerà le due famiglie; di fatto non si capirà se davvero la giovane sia colpevole di adulterio, oppure vittima di una montatura per distruggere la sua felicità. Ogni personaggio darà la sua versione dei fatti; ma quello che più conta è l’affresco di quella società in bilico tra vecchio e nuovo, e sulla strada del cambiamento.

 

Fondazione Amendola, festa di fine anno

/

CON INAUGURAZIONE DELL’INSTALLAZIONE “SCENARIO”

Appuntamento aperto a tutti martedì 19 dicembre dalle ore 18 
nella sede di via Tollegno 52 a Torino, nel quartiere Barriera di Milano

In occasione delle festività natalizie, la Fondazione Amendola – da sempre protagonista nei percorsi di riqualificazione urbana e nell’organizzazione di manifestazioni artistiche e culturali nel quartiere Barriera di Milano – apre le porte della sua sede per un evento di fine anno aperto a tutti.

Appuntamento martedì 19 dicembre a partire dalle ore 18, in via Tollegno 52 a Torino: buffet e brindisi saranno accompagnati dal dj set a cura dell’associazione Original Artisti.

Durante la festa ci sarà l’inaugurazione di “Scenario”, installazione visiva e sonora unica a cura di Matilde Ugolini, Matteo Bilotto, Leonardo Moiso e Michele Grosso. Sarà anche possibile visitare la mostra attualmente ospitata nelle sale della Fondazione Amendola, “La pittura dell’Invisibile. Piero Rambaudi e l’astrattismo torinese tra gli anni ’50 e ’70”, inaugurata lo scorso 7 dicembre, che mette in luce la figura dell’artista piemontese Piero Rambaudi in dialogo con sei astrattisti: Albino Galvano, Paola Levi Montalcini, Filippo Scroppo, Carol Rama, Mario Davico e Gino Gorza.

SCENARIO 
L’installazione “Scenario” accompagna visivamente l’omonimo brano Scenario dei Casino Royale in una riflessione rivolta al futuro, sull’Io e sul Noi. Quali sono le priorità e in quale direzione andare?

Il percorso inizia con l’avvio del brano Scenario e si sviluppa in tre macroaree:

  • una mostra per i posteri sui risultati dell’Io consumistico e individualista, ovvero una galleria di rifiuti, che rappresenta il nostro percorso fino a oggi;
  • una tenda delle memorie, il punto centrale del percorso, dove il visitatore si immergerà in memorie fisiche (rappresentate da floppy disk, cd e vhs) in cui fermarsi a riflettere sulla direzione cui tendere, a partire da quanto imparato finora;
  • un salotto di ascolto, in cui l’utente sarà immerso nell’ascolto del podcast “Post – Un Radiodramma Post Apocalittico”, scritto da Davide Mela, producer e sceneggiatore torinese, e interpretato dall’attore Stefano Accomo. È la storia di un uomo comune che, dopo aver coltivato l’Io, si ritrova in un futuro prossimo in cui non esiste più il Noi e dovrà affrontarne le conseguenze. Questo ascolto porrà il visitatore fisicamente di fronte a quattro schermi, che proiettano immagini di accompagnamento, e uno specchio digitale, in cui monitorare la propria reazione all’esperienza.

Charlie Brown, Snoopy & company … quelle poetiche “strisce” immortali

Cuneo dedica una “mostra immersiva” all’opera di Charles M. Schulz, il più grande cartoonist del XX secolo

Fino al 1° aprile 2024

Cuneo

“Se poesia vuol dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Schulz è un poeta”: così scriveva Umberto Eco nell’introduzione alla prima raccolta in italiano dei celebri “Peanuts” (“Arachidi”), fra i fumetti più popolari di tutti i tempi, creature immortali di Charles Monroe Schulz(Minneapolis, 1922 – Santa Rosa 2000), “autore della più lunga storia illustrata mai raccontata nella storia dell’umanità”. “Le 17.897 strisce e tavole pubblicate dal 2 ottobre del 1950 al 13 febbraio del 2000 sono una tenera, a tratti feroce seduta di autoanalisi: la terapia di un fumettista rimasto fanciullo che si confronta con il mondo, gli affetti le relazioni con gli altri e gli slanci di fantasia”: il tutto abbondantemente condito da toccanti suggestioni di ingenua “poesia” messa su carta in forma di parole e disegni.


Federico Fiecconi
, giornalista, esperto dell’“immaginario disegnato” (inviato speciale a “Cartoonia e dintorni” per diverse testate, all’attivo oltre 300 reportage, pubblicazioni e interviste) con queste sue affermazioni si pone in linea con le parole di Eco e, ancora una volta dimostra, la piena “venerazione”  portata avanti per tutta la vita per quel “genio gentile” di Schulz che ebbe modo di intervistare per la prima volta, nei primi anni ’80, nel suo studio in “One Snoopy Place”, a Santa Rosa, nella California del Nord. Ed é proprio a lui, al romano Fiecconi (autentica garanzia!) che si deve la curatela della rassegna “Charles M. Schulz, una vita con i ‘Peanuts’. Mostra immersiva nell’opera del più grande ‘cartoonist’ del XX secolo”, ospitata, fino a lunedì 1° aprile 2024, presso lo “Spazio Innov@zione” di via Roma 17, a Cuneo. Promossa da “CRC Innova” e Associazione Culturale “Cuadri” (in accordo con il “Charles M. Schulz Museum” di Santa Rosa), l’esposizione permette ai visitatori di entrare in dialogo con la vita di Schulz (Schulz vedi Charlie Brown) e di immergersi nel mondo ideato dal mitico fumettista: storia, timeline e curiosità vengono raccontate attraverso oggetti, videowall e applicazioni interattive. Uno spazio apposito è anche dedicato ai più piccoliin chiave ludica e interattiva”, interagendo attraverso frasi celebri e disegni.  “La storia di un timido ragazzo di provincia – spiega Andrea Borri, presidente di ‘Cuadri’ – che supera un difficile apprendistato e arriva ad essere il fumettista più pubblicato al mondo può essere di grande ispirazione per le nuove generazioni … Proprio in quest’ottica, i contenuti dell’esposizione sono stati interamente realizzati in inglese ed in italiano, rendendo l’opera di Schulz comprensibile al pubblico più vasto”. Pubblicata quotidianamente per quasi 50 anni, la striscia dei “Peanuts” (il termine venne scelto perché indicava a teatro i posti più economici riservati solitamente ai bambini, ma non piaceva per nulla a Schulz che ebbe a definire la scelta “ridicola e senza senso o dignità”) è apparsa fino alla morte dell’autore su 1600 quotidianiin ben 75 Paesi. E ancora oggi, le repliche (nel suo testamento, Schulz richiese espressamente che non si disegnassero nuove strisce basate sulle sue creature) sono distribuite e pubblicate ogni giorno sui quotidiani di decine di Paesi del mondo: in Italia, dal “Post”. Della popolarità e dell’influenza della “striscia” – nonché dei suoi personaggi più celebri, soprattutto Charlie Brown, Snoopy e Linus – si parlerà, nell’ambito della mostra cuneese in un incontro, programmato per sabato 21 ottobre, ore 18, presso lo “Spazio Incontri” della “Fondazione CRC” (via Roma, 15) , fra Claudio Massari – per trentadue anni agente per l’Italia con la sua “BIC Licensing” dei diritti commerciali dei “Peanuts” – e il curatore della mostra, Federico Fiecconi, di cui già si è detto.

Il 13 febbraio 2000, venne pubblicata l’ultima “striscia” dei “Peanuts”. Esattamente il giorno dopo la morte del suo creatore, Charles Schulz, che affidava a Snoopy il compito di congedarsi dal suo pubblico con queste parole: “Cari Amici, ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant’anni. E’ stata la realizzazione del mio desiderio d’infanzia. Sfortunatamente, la mia situazione non mi permette più di disegnare una striscia ogni giorno. La mia famiglia non vuole che nessun altro continui a disegnare i Peanuts al posto mio e per questo devo annunciare il mio ritiro. Sono grato ai miei editori per la fedeltà che mi hanno dimostrato in tutti questi anni e ai fan dei miei fumetti per l’affetto e il sostegno che mi hanno dato. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy … come potrò mai dimenticarli…”.

Gianni Milani

“Charles M. Schulz, una vita con i ‘Peanuts’”

 Spazio Innov@zione, via Roma 17, Cuneo; tel. 0171/452711 o www.crcinnova.it

Fino al 1° aprile 2024

Orari:dal mart. al ven. 15,30/20; sab. e dom. 9/13 e 15/20

Photo credit: “Charles M. Schulz Museum” e Loris Salussola

“Percorsi …” In mostra al “Forte di Bard” le fotografie di Silvano Ruffini

Da sabato 16 dicembre a domenica 21 gennaio 2024

Bard (Aosta)

Un mare vivo, infinito. Di color bianco. Nel mezzo, a fatica, il bianco s’interrompe con uno “spruzzo” appena percettibile di grigio – nero. Sono i “Pascoli di montagna” realizzati nel 2019 dal fotografo “di gran vaglia” Silvano Ruffini, origini emiliane (Castelnovo ne’ Monti in provincia di Reggio Emilia, 1954), ma ormai da tempo valdostano d’adozione. Il soggetto spacca al millesimo la realtà, quella di un gregge pascolante a perdita d’occhio di pecore domestiche, da poco tosate, che nel suo bel mezzo lascia un piccolo varco, quel tanto che basta per far apparire la testolina incerta e curiosa e un po’ impaurita di una capretta (che sembra pensare e dire ma io che ci faccio qui, sarà pericoloso?) dalle corna corte e sottili che a quel bianco senza fine regalano un pizzico di chiaroscuro dal grigio al marrone al nero, teso a scuoterci dall’incantesimo di un’immagine che ci tieni lì, fermi a osservare e a goderci belle emozioni. Lo scatto appartiene al gruppo di fotografie, varie serie fotografiche, realizzate da Ruffini e raccolte (per la prima volta nello stesso luogo), da sabato 16 dicembre a domenica 21 gennaio 2024, nelle “Scuderie” del valdostano “Forte di Bard”. Fotografie in bianco e nero (ad enfatizzare le emozioni), pur se l’artista non si esime dal cimentarsi in tavolozze di colori accesi resi con grande carica visiva e talento da vendere espresso, a mo’ di esempio, in quei magnifici palloni aerostatici (?), “Color of Air” (2017), a fatica trattenuti sul campo innevato e gonfi di vento in una vibrante danza di gialli verdi blu e grigi che ne esalta le forme e l’incontrastata volontà di librarsi in volo. La mostra si articola in cinque sezioni – tematiche, con l’obiettivo di far scoprire al pubblico le diverse tappe dell’ormai quarantennale viaggio artistico di Ruffini, di certo fra i fotografi più creativi dell’attuale panorama artistico italiano. E non solo. Un iter che racconta l’amore per le sue montagne (per anni l’artista ha vissuto a Charvensod e oggi ad Aosta) e per la campagna, senza disdegnare i centri urbani e soprattutto e sempre le strade e le persone. Donne e uomini, suoi prim’attori.

Donne e uomini volutamente o casualmente incontrati, fermati in un “click” che vale un infinitesimo di secondo e che racconta, nell’immediatezza, mai un istante di più, di gioie dolori fatiche sofferenze amori rabbie o ingiustizie capaci di fiaccare corpi e anime. Si veda in proposito la serie dei suoi “Ritratti” in bianco e nero, su cui tanto ha giocato la “post-produzione” in digitale: quei volti, minuti paesaggi di rughe infinite (ognuna è racconto di spazi vitali capaci di scuotere pancia, anima e cuore), le barbe bianche frugate con certosina minuzia, i cappellacci sgualciti e in piena rovina portati da una vita, sopra grandi occhiali che nascondono occhi neri come il carbone. Sono soggetti in cui “il fotografo – è stato scritto – si cancella completamente a favore dell’immagine”, attraverso cifre stilistiche inconfondibili e del tutto singolari. Dice in proposito lo stesso Ruffini: “Mi piace essere riconosciuto ed essere riconoscibile da uno ‘stile’ che ho cercato nel tempo … Non ho miti a cui ispirarmi, il mio mito è la ‘fotografia’, non solo quella dei grandi maestri ma anche quella molto più modesta da cui traspare solo l’amore per questa splendida arte!”.

Gianni Milani

“Percorsi. Fotografie di Silvano Ruffini”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino a domenica 21 gennaio 2024

Orari: dal mart. al ven. 10/18, sab. dom. e festivi 10/19. Lunedì chiuso

Nelle foto:

–       Silvano Ruffini: “Pascoli di montagna”, 2019

–       Silvano Ruffini: “Color of Air”, 2017

–       Silvano Ruffini: “Distort”, 2014

In cerca di pepite…

CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60

Continuiamo ad addentrarci nel fitto sottobosco delle etichette di piccolo-medio cabotaggio degli anni ‘60 a stelle e strisce… C’è da rilevare che in molti casi si trattava di produzioni discografiche eterogenee, che toccavano generi musicali anche molto diversi tra loro, con artisti dagli stili ben diversificati e per ascoltatori dai gusti anche diametralmente opposti. Ne derivava che si tendeva a non privilegiare nessun genere in particolare, lasciando tutto un po’ in superficie; forse col timore del fatto che lo specializzarsi in un certo stile musicale potesse portare con sé il rischio di diventare “di nicchia” o “per pochi”, in una sorta di suicidio commerciale dell’etichetta.

A volte si operava un altro tipo di scelta: veniva lasciato un certo specifico genere musicale unicamente ad una propria “sottoetichetta”, rivolta ad un pubblico più di settore, senza che il potenziale insuccesso potesse “intaccare” l’etichetta “madre”. In altri casi ancora anche le “sottoetichette” presentavano il carattere eterogeneo dell’etichetta principale; ma non di rado erano proprio queste “etichette figlie” (ex-post per i cultori e per i moderni appassionati del garage rock) a riservare le sorprese più gradite a livello storico, dal momento che tuttora vi si possono continuamente scovare “pepite nascoste” o brani ingiustamente dimenticati dalla storia del rock e ben degni di rientrare in compilations dedicate al genere.

Presentiamo qui l’esempio di una sottoetichetta di Lynn Records di Houston (Texas), cioè “Sabra Records”, attiva tra 1961 e 1965; anno, quest’ultimo, in cui si manifestò quell’interessantissima fase di passaggio tra il rock ‘n roll / rockabilly e il garage rock, seminando già il terreno per le primissime forme di quel protopunk che sboccerà in pieno in tutto il 1966. Sottoetichetta eterogenea per eccellenza (spaziava dal rock’n roll al funk al jazz, dal rhythm and blues al garage), ma che ebbe il merito di presentare due notevoli esempi del 1965 di quel periodo di transizione appena indicato, quando al ritmo trascinante e travolgente si aggiunse la forza e la rabbia del garage rock, con una convinta trasformazione nel canto e nel “sound”, più “sporchi” e “vissuti”. Riportiamo qui di seguito la discografia (allo stato attuale delle conoscenze) di “Sabra Records”, evidenziando i due esempi del 1965 sopra accennati:

– C.L. and The Pictures “I’m Asking Forgiveness / Let’s Take A Ride” (517) [1961];

– Mickey Gilley “I Need Your Love / Valley Of Tears” (518) [1961];

– The Epics “The Magic Kiss / Last Night I Dreamed” (516) [(2.), ca. 1962];

– Cecil & Ann “Through The Night / You Wrote This Letter” (520) [1962];

– Louis (Blues Boy) Jones with Bobby Scott Orchestra “Come On Home / I Cried” (524) [1964];

– The Jones Boys “Honky / Beatlemania” (555) [1964];

– Billy Patt Quintett “Passion (An Act Of Love) / Desafinado” (556) [1964];

– THE EMPEROR[‘]S “I Want My Woman / And Then” (5555) [1965];

– JOHN ENGLISH III AND THE HEATHENS “I Need You Near / Some People” (5556) [1965];

– Louis (Blues Boy) Jones with Bobby Scott Orchestra “I’ll Be Your Fool / Someway, Somewhere” (519);

– Bobby Scott “Swanee River Twist / Nifty” (521).

Gian Marchisio

“ContemporaneA Giovani” a Biella

Al rush finale la rassegna promossa da “BI-Box Art Space”

Sabato  16 dicembre, ore 10,30

Biella

Chiude alla grande l’edizione 2023 di “ContemporaneA Giovani”, la rassegna di “ContemporaneA. Parole e storie di donne” – progetto di “BI-Box Art Space”, associazione di promozione socio-culturale nata a Biella nel 2011 – dedicata ai più piccoli, dai cinque ai tredici anni. Ospite d’eccezione, sabato 16 dicembre (ore 10,30) presso la “Biblioteca Ragazzi Rosalia Aglietta Anderi”, in piazza La Marmora 5, a Biella, sarà Beatrice Masini (giornalista, scrittrice e traduttrice milanese) in dialogo con la “storica” bibliotecaria biellese Patrizia Bellardone. Incontro particolarmente significativo e atteso “se si considera – dicono i responsabili – che già nell’estate del 2020, poco dopo l’avvio del progetto ‘ContemporaneA’, Masini fu recensita all’interno della rubrica social ‘A ruota libera’ e poi intervistata un anno più tardi nell’ambito dei ‘rendez-vous online’ intitolati Caffè con le ragazze’.

L’appuntamento di sabato 16 dicembre si svilupperà a partire dai libri “La cena del cuore. Tredici parole per Emily Dickinson” e “Quello che ci muove. Una storia di Pina Bausch”, entrambi editi dalla palermitana “rueBallu”, in cui l’autrice spiegherà perché conoscere queste due donne del passato (la prima fra le principali esponenti della poesia americana dell’Ottocento e la seconda coreografa e ballerina tedesca del secolo scorso inventrice del cosiddetto “Tanztheater” o “Teatrodanza”) sia così importante ancora oggi.

La partecipazione è gratuita ed è consigliata a partire dai 10 anni in su.

Autrice di opere per l’infanzia e stimata traduttrice, Masini è nota anche per aver tradotto diversi libri (dal terzo al settimo) della “saga di“Harry Potter” di J. K. Rowling ed è attualmente direttrice di divisione “Bompiani”, dopo essere stata “editor responsabile” della “Rizzoli”. Tra i riconoscimenti ottenuti, “Premio Pippi” (per “Signore e signorine”), “Premio Elsa Morante” (per “La spada e il cuore”) e, in cinque occasioni, “Premio Andersen – Il mondo dell’infanzia come miglior autore”. Nel 2010 il suo “Bambini nel bosco” (Fanucci) è stato finalista al “Premio Strega”, prima opera per ragazzi ad aver mai concorso nella storia del prestigioso Premio. Le sue opere sono tradotte in quindici Paesi.

L’iniziativa “ContemporaneA Giovani” ha visto svolgersi, da ottobre ad oggi, sette appuntamenti, tra laboratori creativi e incontri con gli autori, che si sono tenuti in vari punti della città, quali la galleria “BI-BOx Art Space”, la “Libreria Giovannacci” e la “Biblioteca Rosalia Aglietta Anderi”. La musica è stata al centro del primo incontro, con ospite Maddalena Vaglio Tanet, già finalista al “Premio Strega Ragazze e Ragazzi” nel 2021 per il miglior esordio, mentre con Ruggero Poi è stato affrontato il tema della comunità. I “lab creativi” sono stati guidati dalle artiste Alessandra Maio e Michela Cavagna e a fine novembre si è tenuto un doppio appuntamento con la scrittrice ligure Sara Rattaro.

Gli incontri riprenderanno a inizio anno e presto saranno annunciati i nuovi ospiti.

“ContemporaneA Giovani” è un progetto di “BI-BOx Art Space”, realizzato in collaborazione con la “Libreria Giovannacci”, a cura di Elisa Giovannacci, Irene Finiguerra e Stefania Biamonti.

g. m.

Nelle foto:

–       Immagine di repertorio “ContemporaneA Giovani”, 2023

–       Beatrice Masini, Ph. Isabelle Boccon Gibod

“Opere in viaggio”: la celebre “La Falaise et la Porte d’Aval” di Monet

In esposizione a “Villa Cerruti”, Casa-Museo del “Castello di Rivoli”

Fino al 18 agosto 2024

Rivoli (Torino)

Un prestito-scambio, a tempo determinato. Un Monet per un Modigliani. Stretta di mano fra il “Museum Barberini” di Potsdam e la “Staatsgalerie Stuttgart” di Stoccarda con il nostro “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea”. L’intelligente accordo avviene all’interno di un nuovo programma di “scambi culturali” (“Opere in viaggio”) ideati dal “Castello” rivolese e avviati il 25 novembre scorso con l’esposizione nella “Sala Rettangolare” della “Villa Cerruti” (dal 2019 nuovo “Polo Museale” del Museo di piazza Mafalda di Savoia) della celebre “La Falaise et la Porte d’Aval”, olio su tela (65 x 81 cm.) realizzata da Claude Monet, fra i più grandi protagonisti della rivoluzione impressionista francese. Opera di grande suggestione e indiscutibile valore storico, appartenuta in primis al cantante lirico parigino Jean-Baptiste Faure, “La Falaise” monetiana passò solo nel 2010, dopo vari transiti in alcune importanti gallerie e collezioni, al “Museo Barberini”. Ma di “prestito – scambio” s’è parlato. Così per il Monet (appartenente al “Barberini”, sede della Collezione di Hasso Plattner) a noi arrivato, e in visione al pubblico fino al 18 agosto del prossimo anno, i due importanti Musei tedeschi, di cui sopra, hanno richiesto il prestito del dipinto di Amedeo Modigliani“Jeune femme à la robe jaune”, 1918, olio su tela, 92 x 60 cm., in occasione della mostra “Modigliani: Modern Gazes”, che si terrà fino al 17 marzo 2024 alla “Staatsgalerie Stuttgart” e dal 26 aprile al 18 agosto 2024 al “Museum Barberini” di Potsdam. La presenza a “Villa Cerruti” di una delle più importanti opere di Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926), artista mai acquistato dal grande imprenditore e collezionista Francesco Federico Cerruti (Genova, 1922 – Torino, 2015) “integra – sottolinea Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli” – l’interesse dimostrato dal collezionista per il movimento impressionista, che negli anni si è manifestato con l’acquisizione di opere di Alfred Sisley, Pierre-Auguste Renoir, Paul Cézanne e dell’italiano Federico Zandomeneghi”Realizzata nel 1885 (in un periodo in cui l’artista viaggiò intensamente visitando, cavalletto e colori a tracolla, le coste settentrionali della Francia e, in particolare, la località di Étretat, in Normandia, famosa per le sue spettacolari scogliere e il caratteristico arco in pietra naturale della Porte d’Aval“La Falaise e la Porte d’Aval” rivela appieno la cifra stilistica, di impronta fedelmente impressionista, di Monet fatta sempre e rigorosamente di rapide pennellate e piccoli tocchi di colore, assolutamente lontana dalla rappresentazione dettagliata del reale e totalmente coinvolta, invece a “cogliere i mobili riflessi della luce del sole sull’acqua” trasformando “la solidità di una scogliera in una massa fluida di impressioni vibranti”. Eccezionale spettacolo della natura, cui l’artista s’avvicinò timidamente, ben conoscendo il prodigio pittorico compiuto, negli stessi luoghi, dal “realista” Gustave Courbet ne “La Falaise d’ Étretat après l’orage” (1870). A testimoniarlo le parole scritte da Monet alla futura moglie, Alice Hoschedé“Voglio dipingere un grande quadro delle scogliere di Étretat, anche se è piuttosto audace da parte mia farlo dopo Courbet, che lo ha fatto in modo così mirabile; ma cercherò di farlo in modo diverso”. E così fu. Con risultati non meno validi e del tutto diversi per narrazione e punti di osservazione da quelli di Courbet. In un profluvio di piena libertà espressiva, nella scioltezza della pennellata e in quell’onirica resa luministica in cui amava confondere e disperdere i tratti più peculiari del paesaggio: caratteristiche che si compiranno appieno nelle sue ultime opere, realizzate nei primi decenni del ‘900 e dedicate alle “ninfee” o al “ponte giapponese” del suo giardino, nella casa di Giverny in Normandia, dove si trasferì nel 1883. Ad Étretat, Monet conobbe anche lo scrittore, padre del “naturalismo” francese, Guy de Maupassant, che ne ritrasse un folgorante ritratto: “Ho seguito spesso Monet alla ricerca di ‘impressioni’, ma in verità, egli non era ormai più un pittore, ma un cacciatore … L’ho visto cogliere così una cascata scintillante di luce sulla scogliera bianca e fissarla con un profluvio di toni gialli che rendevano in modo strano l’effetto sorprendente e fugace di quel riverbero inafferrabile e accecante. Un’altra volta prese a piene mani un temporale abbattutosi sul mare e lo gettò sulla tela. Ed era davvero la pioggia che aveva dipinto, nient’altro che la pioggia che penetrava le onde, le rocce e il cielo appena individuabili sotto quel diluvio”. Diluvio di luce. E di fugaci pennellate, sfuggite agli occhi, per ascoltare le voci del cuore.

Gianni Milani

“Opere in viaggio. Un dipinto di Claude Monet alla Collezione Cerruti”

Castello di Rivoli – Villa Cerruti, Vicolo dei Fiori 5, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 o www.castellodirivoli.org/sedi/villa-cerruti/

Fino al 18 agosto 2024

Orari: sab. e dom. 11,45/19

Nelle foto: Claude Monet “La Falaise et la Porte d’Aval”, olio su tela, 1885, Museum Barberini, Potsdam; Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice Castello di Rivoli; “La Falaise et la Porte d’Aval” esposta in “Villa Cerruti”, Ph. Andrea Guermani  

Capitale Italiana della Cultura 2026: Alba Bra Langhe Roero tra le dieci finaliste

#ABLR2026

Alba Bra Langhe e Roero è tra le finaliste candidate a Capitale Italiana della Cultura 2026. Il Ministero Italiano della Cultura ha reso nota oggi la selezione delle dieci candidature in shortlist.

È un grandissimo orgoglio sapere che il nostro territorio è riuscito a entrare nella rosa finale dei candidati a diventare Capitale italiana della Cultura 2026″, dichiara Carlo Bosindaco di Alba e Presidente del Comitato per la candidatura di Alba Bra Langhe Roero a Città Capitale della Cultura“Una candidatura unica che ha coinvolto 88 comuni evidenziando la nostra capacità di lavorare in sinergia e che mette in luce l’importante patrimonio culturale alla base del successo delle nostre colline, riconosciute patrimonio dell’Umanità dall’Unesco”.

Dopo aver esaminato i sedici progetti, la Giuria, presieduta da Davide Maria Desario, ha presentato la lista delle dieci città finaliste che vede anche la partecipazione di Alba Bra Langhe Roero.
Gli enti presenteranno i propri dossier alla Giuria in un’audizione pubblica che si svolgerà al Ministero il 4 e 5 marzo 2024, in una serie di incontri di approfondimento dei progetti di candidatura, mentre la proclamazione ufficiale della Capitale Italiana della Cultura 2026 avverrà entro il 29 marzo 2024.

“SPA”… come dire “Spazio Per Arte”

Lo storico “Palazzo Bellini” di Oleggio, nel Novarese, diventa importante “spazio espositivo”, grazie ai progetti di Laura e Luigi Giordano

“BIANCO”, la prima mostra realizzata. Fino al 31 luglio 2024

Oleggio (Novara)

C’è un nuovo, importante “paradiso” dedicato all’Arte Contemporanea in Piemonte. Si trova ad Oleggio. Lì, a poco più di un centinaio di chilometri da Torino e a metà strada fra Novara e le rive del Lago Maggiore, in pieno centro storico cittadino, ci si imbatte nel neoclassico (reso tale nel Settecento dall’architetto Stefano Ignazio Melchioni) “Palazzo Bellini”, origini quattrocentesche. Alt, fermiamoci! Siamo arrivati a destinazione. E’ infatti, nelle sale del Palazzo, tornato al suo antico splendore – con gli stucchi, gli eleganti bassorilievi e i soffitti in legno – grazie ad un accurato restauro commissionato all’architetto Lorenzo Bini – Studio Binocle (in stretta collaborazione con la “Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio” per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli) che dal 25 novembre scorso ha aperto le porte “SPA – Spazio Per Arte”, un progetto per la città dedicato all’approfondimento e alla diffusione dei valori e della storia dell’arte contemporanea.

Il tutto, grazie all’entusiasmo (e alla volontà di dare, a modo loro, ulteriore lustro alla città) messo in pista da Laura e Luigi Giordano, imprenditori e proprietari del “Bellini” dal 2020 e da oltre trent’anni dediti ad un’ importante attività di collezionismo d’arte contemporanea che, a oggi, comprende oltre 200 opere di diverse generazioni di artisti, nonché di altrettanto diversi medium e generi espressivi e stilistici. “Abbiamo immaginato ‘SPA | Spazio Per Arte’ – afferma Luigi Giordano – come uno spazio aperto alla città e a tutti i visitatori che vorranno scoprirlo affinché, attraverso l’arte contemporanea, diventi anche ‘SPAzio per l’anima’ e uno ‘SPAzio per sé stessi’”. E prosegue: “ Ho scoperto l’arte contemporanea per curiosità ed è diventata una parte fondamentale di me stesso che mi ha guidato non solo nella ricerca della bellezza, della poesia, della filosofia, ma anche nel lavoro e nella vita.  Per me aprire questo spazio significa invitare le persone ad avvicinarsi a qualcosa che non vediamo o che non sentiamo, ma che è dentro di noi, la ricerca di conoscenze profonde che ci aiutano a vivere meglio e a sfruttare tutti i nostri sensi nel modo migliore”. Tanto impegno e tanta passione per Laura e Luigi che hanno voluto dare il via al progetto in maniera molto concreta con l’avvio di una suggestiva collettiva visibile fino al 31 luglio del prossimo anno, curata da Risha Paterlini (già responsabile dell’archivio della “Collezione Giordano”) e dall’emblematico titolo “BIANCO”.

“‘BIANCO’” – afferma Laura Crola Giordano – è infatti il colore che ci permette di osservare, senza distrazione, le bellezze del Palazzo. ‘Bianco’ è il colore del latte ed è senza dubbio il colore più amato dalla nostra famiglia. E così ‘BIANCO’ è il titolo della prima mostra che abbiamo deciso di dedicare al padre di Luigi, Amedeo, trasferitosi dalla Costiera amalfitana ad Oleggio a soli 22 anni, dove non solo incontra l’amore e costruisce la sua famiglia, ma fonda la sua azienda fino a farla diventare in Piemonte la prima produttrice di mozzarella di solo latte italiano”. 25, fra dipinti, sculture, opere fotografiche e di video arte, i pezzi esposti. D’obbligo una selezione dei nomi rappresentati: dall’artista sudafricano Robin Rhode, eterno “funambolo in equilibrio, nelle sue opere, fra stasi e movimento” al tedesco (dallo scambievole operare fra “Land” e “Minimal Art”) Wolfgang Laib, fino alla libanese Mona Hatoum passata dalla performance al video per poi, verso la fine degli anni ’80, fermarsi alla scultura ed all’installazione. Opera da attenta meditazione la tecnica mista “Cette obscure clarté qui tombe des étoiles” (tratta da “Le Cid” di Pierre Corneille) a firma del tedesco Anselm Kiefer, maldestramente tacciato per le sue “Occupazioni” (serie giovanili di azioni artistiche) di neo-nazismo da alcuni critici, ben accetto invece da altri come artista che, anzi, “mette il dito nella piaga in quello che è stato l’incubo della Germania nazista”.

E il percorso continua con le artiste multivisive Anne Imhof e l’americana Trisha Baga, affiancate dalla genovese Vanessa Beecroft con i suoi “quadri viventi” e dal giovane varesotto videomaker Diego Marcon. Misterica e inquietante, infine, la bianca “Taliban Beard Test” dell’irlandese Padraig Timoney, tanto eclettico nel linguaggio di segni e colori che “le sue personali – è stato sottolineato – sembrano a volte collettive di artisti diversi”.

Gianni Milani

“BIANCO”

Palazzo Bellini, piazza Martiri della Libertà 10, Oleggio (Novara). Info: www.spazioperarte.it

Fino al 31 luglio 2024

Orari: ogni primo sab. del mese 9/13

Nelle foto di Mattia Micheli: Luigi Giordano; Robin Rhode “Promenade”, tecnica mista, 2008; Anselm Kiefer “Cette obscure clarité qui tombe des ètoiles”, tecnica mista, 1991-’92; Podraig Timoney “Taliban Beard Test”, Gesso, 1997