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CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 199

“L’altra metà: la donna nell’arte”. A “Casa Francotto” di Busca

Omaggio a settanta artiste “pioniere”, operanti dal Seicento ai giorni nostri

Fino al 28 gennaio 2024

Busca (Cuneo)

Invisibili o sottovalutate o non poco ostacolate. E’ quanto, per secoli, anche nel mondo dell’arte è capitato alle donne, considerate nell’immaginario comune tutt’al più come “muse ispiratrici” o “protagoniste” di opere immortali. Di rado come possibili artefici, loro stesse, di pagine d’arte degne di attenzione o, comunque, di rispettosa considerazione. Come sempre e in ogni caso, il prezzo da pagare per essere nate “donne”. Così anche se, nel 77 d. C., Plinio il Vecchio nella sua enciclopedica “Naturalis Historia”, già parla di eccellenti artiste greche come Aristarete e soprattutto Iaia (II – I secolo a. C.), bisogna comunque giungere fino ai secoli XVI e XVII, all’arte rinascimentale, per avere un primo e limitato riconoscimento a figure femminili che, a fatica, riescono a irrompere e a farsi largo in un ambiente fino ad allora dominato da soli uomini.

La mostra “L’altra metà, la donna nell’arte”, curata da Cinzia Tesio e Rino Tacchella, ospitata negli spazi di “Casa Francotto” a Busca (Cuneo), fino al 28 gennaio 2024, ha proprio questo obiettivo: celebrare le artiste che a partire dal Seicento sono riuscite a inserirsi, per le loro innate attitudini e capacità, tra gli artisti più importanti del periodo.

Nelle sale espositive della “Casa” di piazza Regina Margherita, di origini settecentesche e lasciata in eredità alla sua città natale dal medico condotto Ernesto Francotto (Busca, 1893 – 1968),  si trovano esposte 120 opere, provenienti da Istituzioni Pubbliche, Gallerie e Collezioni Private,  a firma di 70 artiste, attive dal Seicento al Contemporaneo. L’iter espositivo è assolutamente coinvolgente, ricco e suggestivo. Con la necessaria selezione, da segnalare, in primo piano la caravaggesca, di realistica efferatezza e celebre nelle sue molteplici versioni, “Giuditta e Oloferne” (prima metà del XVII secolo), attribuita alla “Scuola” di Artemisia Gentileschi (Roma, 1593 – Napoli, 1656), fra le artiste più apprezzate e dalla vita non facile della sua epoca; segue un ritratto del “Beato Amedeo di Savoia” dipinto da Suor Orsola Maddalena Caccia, figlia del “Raffaello del Monferrato” Guglielmo Caccia, detto il  “Moncalvo”. Altra figlia d’arte, presente in mostra e fortemente influenzata dai tre Carracci, Lavinia Fontana (Bologna, 1552 – Roma, 1614), figlia del tardo-manierista Prospero Fontana, ricordata soprattutto per essere stata la prima donna a dipingere una “Pala d’Altare” e per aver dipinto il primo nudo femminile ad opera di una donna (“Minerva nell’atto di vestirsi”), su commissione del cardinale Scipione Borghese. La rassegna si avventura, poi, attraverso il racconto fornito anche da specifici pannelli storici nell’arte del Settecento e dell’Ottocento, per arrivare infine a quel Novecento che attesta la progressiva e faticosa conquista di una posizione pressoché “paritaria” fra artiste “donne” e colleghi “maschi”. Ecco allora i “ritratti” degli anni Trenta, in pieno stile “Art Decò” della pittrice polacca Tamara de Lempicka, le delicate e forti (ad un tempo) immagini femminili della ceca, naturalizzata italiana, Felicita Frai, allieva di Funi e De Chirico, per proseguire con le opere della pittrice e filantropa Sofia di Bricherasio, della torinese Evelina Alciati (allieva di Giacomo Grosso) e della veneziana Emma Ciardi, presente con il bozzetto di un’opera esposta alla “Biennale” di Venezia. In parete, ancora, fra le futuriste: Benedetta (Beny) Cappa Marinetti, moglie di Filippo Tommaso, ideologo del movimento, Annaviva ceramista albisolese e Alexandra Exter, affiancate dalla scultrice Regina che per prima coraggiosamente lavora con plexiglass colorati. Dopo una fase di multiforme ritorno al “figurativo” di ispirazione soprattutto “casoratiana” (si vedano in particolare Daphne Casorati, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano,  fino all’espressionista Raphael Mafai) in prossimità degli anni Cinquanta molte sono le artiste che occhieggiano all’arte “astratta” (Giosetta Fioroni, fra le non poche in mostra) o alla ricerca “optical” e d’avanguardia. In rassegna anche esempi interessanti legati all’uso di “materiali inediti”: Maria Lai (che mescola scrittura e cucito) e Carol Rama (che usa gomme di bicicletta per composizioni astratte). Si chiude con le ceramiche della savonese “spazialista” Milena Milani e con le bizzarre rappresentanti della “body art” e le inquietanti “performer”. Fra tutte , la serba Marina Abramović, la “nonna della performance art”.

Gianni Milani

“L’altra metà: la donna nell’arte”

Casa Francotto, piazza Regina Margherita, Busca (Cuneo); tel. 371/5420603 o www.casafrancotto.it

Fino al 28 gennaio 2024

Orari: ven. e sab. 10/12 e 15,30/18,30: dom. 10/12 e 14,30/18,30. La mostra è visitabile anche su prenotazione

Nelle foto: Scuola di Artemisia Gentileschi: “Giuditta e Oloferne”, olio su tela, prima metà XVII secolo; Carol Rama: “Senza titolo”, olio e tempera su carta, 1951; Felicita Frai: “Le amiche”, olio su masonite, 1975

L’orchestra Svoboda all’Osteria Rabezzana

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

Mercoledì 29 novembre, ore 21.30

Svoboda

L’orchestra Svoboda è una formazione composta da voce, tromba, tastiere, chitarra acustica, basso elettrico, batteria, percussioni, sassofoni. Da oltre vent’anni la loro musica oltrepassa i generi ricreando la colonna sonora di un sorprendente viaggio geografico-emotivo attraverso il pianeta. Superando ogni confine e mescolando le culture, Svoboda accompagna in un mondo musicale dove armonia, melodie e ritmi rinascono a nuova vita grazie ad una voce senza limiti.

FORMAZIONE

Silvano Bargelli, tastiere

Stefania Cammarata, voce

Gianni Daniello, batteria

Roberto Freggiaro, basso

Doriano Goglio, tromba e flicorno

Massimo Iamone, chitarra

Paolo Ginanneschi, percussioni

Sergio Zaccardelli, sassofoni

Ora di inizio: 21.30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

TFF: “Non riattaccare”, un’altra grande prova per Barbara Ronchi

Nei mesi del lockdown, il chiuso delle proprie case e le chiusure agli altri obbligatorie, i rapporti pressoché azzerati, le notti come spazi di pace. Ma non per tutti. Quando è ancora tutto immerso nel buio, quando nella strada passano soltanto le luci e la sirena di una autoambulanza, Irene viene svegliata dall’ex Pietro, non lo sente da tempo, l’agitazione di lui, una voce stanca e rotta, se ne sta in bilico sul tetto della casa di Santa Marinella, chiede il suo aiuto. Sono le prime scene di “Non riattaccare”, unico italiano in concorso, tratto liberamente dal romanzo di Alessandra Montrucchio, scritto (con Jacopo Del Giudice: un thriller? una seduta psicanalitica?) e diretto da Manfredi Lucibello, classe 1984, fiorentino, arrivato alla sua opera seconda, dopo “Tutte le mie notti” di cinque anni fa. Una sorta di felicissimo risultato, un capolavoro di scrittura e di resa nel cuore del TFF, che guarda alla Magnani disperata in piena area Cocteau e quel “Locke” inventato dal regista inglese Steve Knight per Tom Hardy, raccontato nel chiuso di un’auto.

Perché anche qui, non potendo rinunciare a quel sentimento che ancora le sta stretto nel cuore, in fondo un rapporto mai terminato, Irene è pronta a mettersi in macchina, a combattere con la benzina che è sempre più in riserva e con i distributori chiusi, con il cellulare che va scaricandosi e un caricabatteria da rubare, con i porci che vorrebbero approfittarsi di lei e un paio di poliziotti che le fanno rovistare nella borsa pur di ritrovare libretto patente e permesso di circolazione, soprattutto con i dialoghi di Pietro (un Claudio Santamaria invisibile, una voce soltanto, ma capace di farsi personaggio concreto e autentico attraverso un lamento, una parola precisa o una frase che chissà dove porterà il dialogo dei ricordi, delle insinuazioni, delle cose taciute e di quelle troppo urlate) che va guidato, tenuto a bada, terrorizzato o sorretto con amore. Difficile tenere per 90’ ben alta e salda la tensione, far filtrare all’attenzione dello spettatore – che si spera non venga mai meno – un passato e un presente, rifuggire i luoghi comuni, costruire emozioni vere e giuste invenzioni sonore: Lucibello ci riesce appieno, non un attimo di ripetizioni o di noia, circondato da un gruppo di collaboratori – Emilio Costa direttore di fotografia, Diego Berré con un montaggio da applauso, le musiche ossessionanti di Motta – di primissimo ordine.

Poi, c’è Barbara Ronchi al centro della vicenda, di ogni racconto, di qualsiasi sensazione, di ogni sguardo. Un’attrice che quest’anno s’è vinta un David e un Nastro, che è la cancelliera della Tataranni e ti diverte, che scala le montagne più alte del drammatico: e ti convince. Guardare i gesti convulsi, la disperazione e gli affetti riscoperti e trovarti davanti ad un’attrice che ad ogni prova ti piace riscoprire, analizzare. Un miracolo di intelligenza e di dedizione.

Fuori concorso, torinese ormai sessantenne, regista intimista e pronto a cavalcare la gioventù di Montalbano, Gianluca Tavarelli punta al divertimento e all’analisi del nostro tempo con “Indagine su una storia d’amore”, sovvertendo, capovolgendo lo sguardo drammatico con cui aveva affrontato la coppia in “Un amore” nel 1999. Oggi, lo sguardo è su Paolo e Lucia, anni insieme ma un rapporto che si sta esaurendo, una vita d’attori che non gira, un paio di pose di tanto in tanto, un provino che chissà dove porterà, il cinema indipendente a secco di quattrini e la grande produzione sempre soltanto sognata. E se ci fosse data la possibilità d’affrontare le telecamere di una tivù, la possibilità di raccontare la nostra storia, vedrai andrà tutto bene, cominceremmo a entrare in milioni di case d’italiani, la gente ci riconoscerebbe, finalmente arriverebbero le scritture. Paolo recalcitrante, Lucia al colmo dell’entusiasmo. Ma se telecamera è, il racconto deve essere completo, senza censure, del tutto scoperto. Si dovrà raccontare un passato, con i continui ardori sessuali di lui (è Alessio Vassallo, il femminaro Mimì, compagno e giovane sciupafemmine del giovane Montalbano; lei è Barbara Giordano), le bugie, tutto un entroterra sconosciuto cui entrami cercheranno di sottrarsi, bisognerà affrontare i genitori di lui che non riescono neppure più ad uscire di casa e un intero paese che ha decretato l’ostracismo. Lo spunto poteva essere buono, forse ottimo (considerato il mondo sciupato della televisione e di certi suoi programmi con maggiore introspezione), se il tutto dopo la prima mezz’ora non si fosse risolto in una sequenza più o meno boccaccesca di incontri e sotterfugi e abbandoni. Anche la simpatia dei due interpreti in fin dei conti finisce per venire meno, lasciandoci supporre che il tentativo di Tavarelli, nonostante le risate del pubblico, nel territorio della comicità stia un po’ stretto e azzardato.

Un’isola a parte, “Luci dell’Avanspettacolo” è un gustosissimo affresco dentro il quale è lo stesso direttore del TFF, Steve Della Casa, come nuovo Virgilio degli anni Duemila, ad accompagnare lo spettatore che abbia deboli ricordi circa una forma d’arte che possiamo far partire dai cafè chantant degli anni Trenta (ma dovremmo risalire alla seconda metà del Seicento, in Francia, quando una compagnia italiana ebbe l’idea di frapporre ai versi alcune brevi canzoni), che ebbe il proprio periodo più felice durante la guerra e il periodo postbellico, per spegnersi con i varietà televisivi dei Settanta. Un affresco che è dovuto ad un’idea di Antonio Ferraro e alla regia di Francesco Frangipane (gli stessi produttori di “Non riattaccare”: Carlo Macchitella scomparso di recente, Piergiorgio Bellocchio e i Manetti Bros.), 70’ di ricchezza di materiali, conosciuti e no, nel vorticoso montaggio di Annalisa Schillaci, con attori e registi di oggi – Lillo e Greg, Antonio Calenda, Massimiliano Bruno, Enrico Vanzina, Gino e Michele, David Riondino e Margherita Fumero (“rivedo ancora quando a sei anni mia mamma mi accompagnò al Maffei, a me del film non importava nulla, furono le ballerine a colpirmi… e poi la Osiris, magari dalle doti artistiche non altissime ma bella come una dea… e l’arte di Macario!”) a raccontare di Petrolini, di Totò e Fabrizi, della grandiosa Magnani, di Billi e Riva, di Franco e Ciccio, dei primi approcci di Gina e Sofia, pronte a sgambettare e a sgomitare, delle tante gag inventate e divenute un repertorio, dei gatti morti lanciati in palcoscenico, degli scambi di parole e di gesti non sempre al colmo della gentilezza con il pubblico che aveva le proprie esigenze, degli inviti e dei pranzi scroccati ad un nobilotto di paese quando le compagnie, poverissime, si avventuravano per le strade d’Italia, gli alberghi che rifiutavano le notti nella paura di non essere pagati, le soubrette che avanzavano qualche trattamento di favore e le soubrettine che avrebbe continuato a restare relegate in terza o quarta fila, per tacere di quelle che in qualche maniera s’aggiustavano. Con il gran bagaglio di costumi ridotti, di cosce bene in vista, dei mazzi di fiori degli ammiratori. Il vecchio avanspettacolo avrebbe lasciato il posto alla rivista, e alla commedia musicale in seguito. Ognuno racconta e testimonia, cattura immagini anche cinematografiche, da “Luci del varietà” (1951) con cui Fellini e Lattuada ruppero un sodalizio rivendicando una controversa paternità, a “Vita da cani” firmato da Monicelli e Steno, che approfittarono dei bisticci dei colleghi per uscire prima nelle sale, a “Ci vediamo in galleria” di Bolognini (1953), che sognava su quel luogo di riunioni, di scritture sognate, di successi e insuccessi, a “Polvere di stelle” dove Sordi e la Vitti – come si fa a dimenticare Mimmo Adami e Dea Dani? – riuscivano a resuscitare del tutto un’epoca. Ma era un’epoca che terminava, il pubblico a teatro aveva altri gusti e altri beniamini: ci avrebbe ancora provato Bramieri con il suo sonoro “Felicibumtà”. Ma eravamo arrivati alla fine degli anni Settanta.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Barbara Ronchi, interprete di “Non uccidere”, una scena di “Indagine su una storia d’amore di Gianluca Tavarelli e un momento di “Luci del varietà” per la regia di Fellini e Lattuada, tra gli interpreti Giulietta Masina e Peppino De Filippo.

Il Veleno, il primo noir ambientato a Pino Torinese

Il primo romanzo giallo di Gianluigi De Marchi, uno stricnina gate

 

Il paese delle stelle, Pino Torinese, ha il suo ‘gate’, inteso orme scandalo, facendo riferimento e richiamandosi al celebre scandalo del Watergate di Nixon. Qui ad essere protagonista è la stricnina, un veleno, che sta dietro tre misteriose morti tutte provocate, secondo  le perizie legali, dall’ingestione di arance dell’Etna in  cui era presente della stricnina. Questo il nucleo dell’ultimo romanzo, intitolato “Il Veleno” di Gianluigi De Marchi, scritto insieme all’amico milanese Giuseppe Zambetti.

Si tratta della sua ultima fatica letteraria,  ma della prima nei panni di giallista, dopo la stesura di oltre trenta libri di finanza, tre romanzi, due raccolte di racconti e un’antologia di poesie.

La storia è  ambientata a Pino Torinese, dove De Marchi abita in zona Cento Croci, e la vicenda ruota intorno a tre vittime per avvelenamento,  un generale, un informatico e una tennista che non pare abbiano legami tra di loro. Il paese entra in fibrillazione e i sospetti si intrecciano, e passano sotto la lente degli investigatori un pensionato e un dipendente del supermercato dove sono state vendute le arance.

È lo stesso De Marchi a raccontare la scena centrale: ”Il banchetto della frutta in un supermercato in cui troneggiavano delle splendide arance dell’Etna, una specie abbastanza rara dal colore accattivante. Chissà perché la notte ho sognato un vecchietto che palpava quei frutti e armeggiava una siringa… al mattino ho preso un po’ di appunti e ho costruito una storia articolata ricca di personaggi e avvenimenti”. Nel romanzo sono presenti anche torinesi e abitanti del Pino più o meno noti, mascherati da nomi e cognomi manipolati.

Gianluigi De Marchi risulta abile nel creare quella “caccia al personaggio “ che ogni lettore può attuare e che rende la lettura estremamente piacevole. La città di Pino emerge soprattutto in due luoghi, il supermercato e il tennis club e la scelta di questa città è dovuta al fatto che De Marchi, pur essendo genovese di nascita, ormai da quaranta anni è residente a Pino Torinese. Il messaggio che vuole darci lo scrittore è  che la tragedia non esclude nessuno. La giustizia del paese spesso viaggia in direzioni che non sono quelle della giustizia dei tribunali.

Nella storia dell’umanità  ci sono stati tanti gate, non solo il Watergate, ma il Cablegate, lo scandalo dei documenti diplomaticidiffusi da Wikileaks, l’ Hackgate dei giornali britannici, l’Irangate,che accusò le manovre illecite dell’amministrazione Reagan per finanziare i ribelli in Nicaragua con la vendita di armi all’Iran, e poi il Sexgate del Presidente Clinton e il Rubygate italiano.

Con il suo giallo un po’ noir De Marchi ci regala il suo “strictina gate” che si consuma nei supermercati tra Pino Torinese e Chieri. L’autore lo fa con la consapevolezza che i giornalisti tanto ci mettono un cancello, senza interrogarsi sul vero significato della parola. Dal mitico Watergate sono passati più di cinquanta  anni, eppure a nessuno scandalo si nega il suo gate.

Il Veleno, il primo noir ambientato a  Pino Torinese, è un giallo che si legge velocemente e traccia lo spirito del paese, che ruota intorno  alle scuole, ai supermercati, ai nonni e nipoti.

 

 

Mara Martellotta

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Karine Tuil “La decisione” -La nave di Teseo- euro 20,00

Questa è la storia di un dilemma etico e personale che si staglia sul clima incerto scatenato dal fanatismo islamico. E’ la storia di Alma Revel, giudice di 49 anni con un ventennio di esperienza nel pool francese di giudici dell’antiterrorismo. Il suo compito è interrogare i sospettati ed emettere la relativa sentenza che stabilisca se devono stare in carcere o essere lasciati liberi.

Svolge il suo lavoro in modo responsabile, corretto ed empatico; ha fama di giudice integerrimo e consapevole dell’importanza di ogni sua decisione. Non è semplice, da un suo errore può nascere una tragedia.

Ora deve capire le reali intenzioni di Abdel-Jalil Kacem, giovane nato da genitori algerini e cresciuto a Parigi; ma andato in Siria con la moglie Sonia, di origini portoghesi e convertitasi all’Islam, per unirsi alla lotta contro gli infedeli.

Alma interroga a lungo i due per chiarire se effettivamente sono tornati in Francia perché delusi dagli jihadisti e intenzionati a filare dritto per crescere il figlio appena nato, oppure se sono una bomba a orologeria pronta a ordire attentarti.

Le pagine forse più coinvolgenti sono quelle degli interrogatori, dal momento che mettono a nudo l’abilità di mentire e dissimulare dei terroristi, senza anima e totalmente ottenebrati da odio e sete di sangue. Non anticipo la sentenza di Alma e neppure le conseguenze. Però posso dirvi che questo romanzo fa luce sul «…Male assoluto, un essere disincarnato, privo di ogni emozione, un guscio vuoto» e racconta bene come i giudici si trovino spesso davanti a individui che «…ingannano…e rimangono blocchi di opacità».

Il romanzo corre anche sul filo della vita privata di Alma; sposata da 20 anni e madre di 3 figli, ma in istanza di divorzio e invischiata in una relazione con l’avvocato della difesa di Abdel.

 

Tan Twan Eng “La casa delle mille porte” -Neri Pozza- euro 18,00

L’autore, nato in Malesia, è un ex avvocato 51enne (laurea all’University of London) che, dopo aver lavorato in prestigiosi studi legali di Kuala Lumpur, ha esordito nella letteratura nel 2007 con “La donna venuta dalla pioggia”.

Questo è il suo terzo romanzo, ambientato in Malesia nel 1921, e mescola finzione e realtà.

Siamo al crepuscolo dell’Impero Britannico nel Sud-Est Asiatico, e lo scrittore William Somerset Maugham viene immaginato in uno dei suoi tanti viaggi in Malesia.

E’ accompagnato dal segretario Gerald, in realtà l’amante segreto: dispendioso, volubile e più interessato alla bella vita che al sentimento autentico.

Sono ospiti dell’amico di W.S.Maugham, l’avvocato Robert Hamlyn e di sua moglie Leslie, altera e malinconica signora inglese nata in Malesia.

Siamo a Penang, a Cassowary House, dimora immersa in un’atmosfera bucolica da sogno; sfondo affascinante su cui si innesta un rapporto speciale tra lo scrittore e la moglie dell’amico.

Tra Maugham e la memsahib nasce presto una sorta di complicità. Si scoprono affini sul piano emotivo, hanno una notevole intesa e pian piano si confessano i loro segreti più intimi.

Lo scrittore è in pieno disastro economico e in Inghilterra l’attende la moglie di facciata alla quale dovrà dichiarare la rovina. Lesley invece rivanga la sua vecchia passione per il leader idealista cinese Sun Yat-Sen, in esilio.

Maugham pressato dalle difficoltà economiche e in blocco creativo, troverà proprio qui l’ispirazione per uno dei suoi racconti più famosi, grazie a Leslie che gli racconta un sanguinoso fatto di cronaca locale.

 

Peter Cunningham “La fedeltà della spia” – SEM- euro 20,00

Lo scrittore irlandese Peter Cunningham in questa spy story ci racconta il travagliato rapporto del suo paese con l’Inghilterra. Lui, figlio di un ufficiale dell’esercito britannico assoldato dall’MI5 come spia sulle tracce dell’Ira, la questione la conosce bene e in parte queste righe si ispirano anche alla sua biografia. Lo sfondo è l’annosa questione irlandese (della quale l’autore narra alcuni punti fondamentali), ma all’inizio sciorina una sorta di romanzo di formazione sul quale innesta poi una storia d’amore.

Siamo nei primi anni 70, protagonista è Marty Ransom. E’ nato nella Repubblica d’Irlanda, ha studiato in Inghilterra e lavora come funzionario al dipartimento degli Affari Esteri di Dublino. E’ cresciuto all’ombra di un padre, il “Capitano”, che è un mito, a Waterford, nella residenza di campagna di Waterloo. Ed è lì che ritorna durante i week, per stare anche con gli amici Alison e Christopher.

La vicenda poi si ingarbuglia. Tanto per cominciare il cugino Iggy è un leader dell’Ira, mentre Alison è una diplomatica inglese che lo convince a rivelarle qualche soffiata sui rapporti tra il governo della repubblica e gli attivisti dell’Ira. E le cose sono destinate a complicarsi perché non ci sarà solo il tradimento del patto di lealtà col suo Paese….ma ben di più.

 

Gareth Rubin “The Turnglass” – Longanesi- 18,60

Questo intrigante libro utilizza l’ottocentesco “tête–bêche” ovvero un libro “testacoda” che si capovolge come la clessidra del titolo e racchiude 2 romanzi contraddisti da 2 diversi colori in copertina. Due storie ambientate in tempi e spazi diversi, unite da un mistero; una inizia dalla prima pagina e l’altra dall’ultima. Il consiglio è leggerle in ordine cronologico, ma la magia di questa tecnica è che potete indifferentemente iniziare dal lato che preferite.

La prima vicenda è ambientata nell’Essex del 1881. Il protagonista è Samuel, giovane medico che si stabilisce nell’oscura e misteriosa dimora dello zio parroco per curarlo. La casa avita si chiama Turnglass house, è nella brughiera e nasconde terribili segreti. Samuel cerca di capire perché l’uomo stia morendo e sia convinto di essere stato avvelenato.

La seconda storia invece ci catapulta a Hollywood nel 1939 e segue le vicissitudini di un giovane attore, Ken, approdato nella mecca del cinema in cerca di fortuna. Ma finisce per essere coinvolto nei segreti che riguardano un giovane scrittore di successo, figlio del governatore della California.

E lo scrittore e giornalista inglese Gareth Rubin è abilissimo nel gestire i due piani di narrazione, disseminarli di indizi che creano un avvincente labirinto.

Le fiabe piemontesi scelte da Calvino

Si terrà lunedì 27 novembre alle ore 17.00 presso la Sala Consiglio del Comune di Volvera, in via Roma 3, una conferenza per il centenario di nascita di Italo Calvino dal titolo: Le fiabe piemontesi scelte da Calvino. L’anima e il folklore del Piemonte divenuti immortali. Ospite della serata lo scrittore, docente e mitologo Paolo Battistel, che dialogherà sul tema delle fiabe piemontesi di Calvino con l’assessore all’istruzione e alle politiche sociali e giovanili Anna Rita Rocca.
L’evento – inserito all’interno dei festeggiamenti per il centenario della nascita di Calvino – desidera prendere in esame l’opera magistrale del grande scrittore italiano tradotto e studiato in tutto il mondo. Nella conferenza verranno trattate le dodici fiabe piemontesi inserite nella sua nota raccolta dal titolo Fiabe italiane, uscita in libreria per la prima volta nel 1956. Si analizzerà in chiave mitologica e antropologica questi antichi racconti ancestrali, facendo riferimento alle molteplici fonti del grande dell’intellettuale italiano, cercando di mettere in luce i molteplici elementi simbolici legati al mito e al folklore indoeuropeo. Dal Principe canarino al Re Crin fino alle disavventure del famoso Principe che sposò una rana, Calvino mette su carta i ricordi ancestrali e magici di una regione e di un popolo facendoli rinascere e consegnandoli all’immortalità della letteratura.
Sarà possibile acquistare l’ultimo libro di Paolo Battistel L’arcolaio delle fiabe. Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari Oligo Editore
Paolo Battistel, laureato in filosofia e specializzato in mitologia, è profondo conoscitore dei miti e delle leggende precristiane. Vanta numerose collaborazioni con testate giornalistiche e trasmissioni televisive nazionali e locali come Mistero e Mistero Experience. È speaker di Radio Giano (Università Roma Tre). Ha scritto la raccolta di fiabe occitane Lu Barban, il diavolo e le streghe; il saggio di storia locale Il mistero della Roccaforte dei Rosacroce; tre saggi d’argomento storico-mitologico: Il sangue di Caino, I figli di Lucifero e Il dio cornuto; ha scritto il saggio letterario J.R.R. Tolkien, il lungo sentiero tra ombra e luce. Il suo saggio sulle fiabe: La vera origine delle fiabe. Gli ultimi frammenti di un mondo perduto è diventato un bestseller. È appena uscito il suo ultimo libro L’arcolaio delle fiabe. Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari. Vive e lavora a Torino come scrittore e docente.
Anna Rita Rocca, dal 2004 esercita l’attività libero professionale in qualità di psicoterapeuta, dal 2016 collabora con la Procura presso il Tribunale di Torino, occupandosi di minori vittime di violenza e maltrattamento. Assessore all’Istruzione e alle Politiche Sociali e Giovanili del Comune di Volvera dal 2019.

Rock jazz e dintorni a Torino: Madame e gli Elii, sold out in città

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

 

Lunedì. Al teatro Colosseo il concerto sold out di Madame. Al Mad Dog serata jazz con il Trio Monne che reinterpreta Jimi Hendrix.

 

Martedì. Prima delle due serate, sempre al teatro Colosseo, con la rentrée, anche in questo caso sold out, di Elio e le Storie Tese. Spostandosi al Duomo delle Ogr, fari accesi sul concerto di Daniela Pes, cantautrice esordiente premiata con la targa Tenco.

 

Mercoledì. Allo Ziggy il britannico Matt Elliott. Al Capodoglio dei Murazzi performance del Power4et di Fabio Giacalone. Al Blah Blah, glam e cabaret con le Piume di Morris.

 

Giovedì. Margherita Vicario al Concordia di Venaria; Venerussuona all’Hiroshima Mon Amour. Al Cap10100 tocca all’hip hop italiano di Dj Shocca, Mad Buddy ed Egreen. Al Capodoglio c’è la performance “Anima L” di Laura Messerklinger; al Magazzino sul Po il concerto del cantautore novarese Pit Coccato; allo Ziggy microfoni e luci sullo show di Michele Cosentino, in arte Antimusica.

 

Venerdì. Evento del Torino Film Festival: all’Edit Porto Ubanoconcerto del contrabbassista Kyle Eastwood, figlio del grande Clint, con un programma omaggio al cinema di suo padre. Al teatro Colosseo lo show della cover band Dire Straits Legacy. All’Off Topic suona Bluem, Fabrizio Cammarata al Jazz Club, Pino Forastiere al Folk Club.

 

Sabato. Al Pala Alpitour due maestri della scena musicale italiana, Francesco De Gregori ed Antonello Venditti. Emma suona al Cap10100; il metallaro Chris Holmes si esibisce al BlahBlah; al Magazzino sul Po microfoni e proscenio per Master BootRecord, Arottenbit, The Last Vinci e Daniele Brusaschetto.All’Off Topic la musica elettronica di Lorenzo Nada, akaGodblesscomputers. A Moncalieri (all’Audiodrome) la techno di Luke Slater; alla Sala Polivalente di Lauriano i francesi CyrilleBrotto e Stéphane Mallet. Al Music Circus di “Collisioni” (ad Alba) Nitro; al Magda Olivero di Saluzzo, recital di Giovanni Truppo.

 

Domenica. Emma in replica al Cap10100; i piacentini NotMoving LTD, leggenda del garage rock nazionale, al Blah Blah.

 

Pier Luigi Fuggetta

Gerry Scotti il personaggio più “memato” dell’anno

MEME AWARDS 2023

 

Insieme al personaggio più memato dell’anno, assegnati i 12 Oscar ai vincitori nelle diverse categorie dei Meme Awards italiani

 

 

Torino, 26 Novembre 2023È Gerry Scotti il “personaggio più memato dell’anno” ai Meme Awards di Memissima, il festival della cultura memetica, ideato e diretto da Max Magaldi che ogni anno si svolge a Torino e che premia le pagine e i memer più irriverenti e creativi d’Italia.

La statuina (un oscar “trasfigurato” nel volto da un meme, appunto) va nelle mani dello zio Gerry, da oggi non solo il più amato, ma anche ufficialmente il più memato d’Italia. Un traguardo che glorifica la carriera social di Gerry Scotti, volto protagonista di migliaia di meme frutto della creatività di giovani e giovanissimi.

 

Ho vinto il Meme Award di MEMISSIMA. Sono onorato, vuol dire che le  persone che mi hanno votato hanno capito il mio divertimento nell’essere memato: sono felice quando al mattino i miei amici mi inviano tutti i meme che sono arrivati, io mi faccio la mia prima sana risata della giornata, con la mia faccia ed i vostri meme. Grazie per aver pensato a me, e grazie al direttore artistico Max Magaldi. Grazie di cuore” dichiara Gerry Scotti alla vittoria.

In meno di un anno, la svolta social dello stesso Scotti come content creator è diventata un caso di studio unico nel suo genere, tanto che si parla ormai del “Gerryverso”: una realtà virtuale parallela in cui canzoni, film e attualità hanno un unico volto e un’unica voce, la sua.

 

Insieme al personaggio più memato dell’anno, nella serata di sabato 25 novembre, sono stati assegnati a OFF TOPIC anche gli Oscar dei Meme alle 12 pagine vincitrici per ogni categoria:

 

  • Categoria Memevertising vince il Meme Award Taffo
  • Categoria Dank, Trash, Nonsense vince il Meme Award Inchiestagram
  • Categoria Attualità vince il Meme Award Filosofia Coatta
  • Categoria Politica vince il Meme Award Giovanni Lindo Memetti
  • Categoria Reels vince il Meme Award Dick di Dog
  • Categoria Video vince il Meme Award  Il Grande Flagello
  • Categoria Every Day vince il Meme Award Madonnafreeda
  • Categoria Sport vince il Meme Award Ufficialee
  • Categoria IGP vince il Meme Award Lo Statale Jonico
  • Categoria Musica, Arte, Cultura e Spettacolo vince il Meme Award Memini Biblicamente Accurati
  • Categoria Nerd vince il Meme Award Jinzo Evocato
  • Categoria Scuola, Università e Lavoro vince il Meme Award Memelinguistics

 

Più di 500 i meme candidati e solo 12 vincitori scelti dalla giuria composta da Serena Mazzini – docente alla NABA e autrice di podcast, Alessandro Lolli – autore de La Guerra dei Meme, Mattia Angeleri – fondatore della pagina AQTR, Alice Valeria Oliveri – autrice e giornalista, Daniele Polidoro – giornalista di Wired e Tgcom24 e Mattia Salvia – giornalista, autore di “Interregno” e fondatore della pagina Iconografie XXI.

 

Con Memissima e i Meme Awards una vera e propria wave ha travolto il web grazie alle pagine che hanno aderito al festival.

 

Il direttore artistico Max Magaldi al termine dell’evento dichiara: “L’idea di Memissima è nata dall’esigenza di riunire admin e addetti al settore in uno stesso luogo per creare massa critica e riflettere su questa tipologia di supporto comunicativo. I meme, ovvero le immagini che incontriamo centinaia di volte al giorno sui social, sono diventate ormai centrali nelle pratiche comunicative di chiunque: dal vicino di casa all’influencer, dalle aziende alla politica fino alle istituzioni.”

 

Tra le novità di quest’ultima edizione, MEME PER GLI ACQUISTI, l’incubatore sul memevertising realizzato in collaborazione con Camera di Commercio di Torino e UNA – Aziende della Comunicazione Unite che ha ospitato alcuni dei migliori consulenti della comunicazione italiani e rappresentanti di grandi agenzie di comunicazione come Alessandro Scali Direttore Creativo di TEMBO, Riccardo Pirrone CEO e Digital Strategist di KirWeb e mente della comunicazione di TAFFO, Pietro Verri Direttore Creativo di RIBELLI, Francesco Dominelli di Hellodí, Silvio Salvo Senior Press Officer & Social Media Manager con il case study Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, e tante altre.

 

Memissima è stata una quattro giorni intensa di formazione e lectio magistralis di ‘scrittura memetica’ e non solo, fra talk, speed date, presentazioni di libri e tanto spettacolo, fra performance teatrali e digitali che coinvolgono artisti, docenti universitari ed esperti del mondo della comunicazione per imparare a riflettere e conoscere come quanto i meme possano e debbano oggi essere integrati all’interno di una strategia di comunicazione, per imparare a conoscerne i rischi, ma anche tutte le opportunità. Si è parlato di patriarcato digitale, di giornalismo, di attualità, di musica, di pubblicità e di moltissimo altro perché i meme riguardano ogni aspetto del contemporaneo.

Protagoniste dei talk le pagine  Sapore di Male, Inchiestagram, AQTR, Booksandmemes, Ugolize, Hipster Democratici, Filosofia Coatta, Mammadimerda, Vaberagaa, Giornalisti Che Non Riescono A Scopare, Memi Borghesi, Evetoile e tante altre ma anche eventi performativi con Cubo Teatro, Fertili Terreni, Torino Comedy Lounge, Residenze Digitali e presentazioni con Valentina Tanni, Federico Dragogna, Eva Stella, Alessio Marzilli, Dario Bassani, Francesco Guglieri, Daniele Zinni, Mattia Angeleri, Mariano Tomatis, Alessandro Lolli e Serena Mazzini. 

 

Memissima, il festival della cultura memetica, è ideato e diretto da Max Magaldi, prodotto da The Goodness Factory con il contributo di Camera di Commercio Torino e UNA (Aziende della Comunicazione Unite), in collaborazione con Festival del Digitale Popolare, Mind The Gap, Paratissima, Fertili Terreni, Nero Edizioni, Torino Comedy Lounge, Scuola Holden, OFF TOPIC e con la media partner Lievito Consulting e Wet Dry.

 

“L’Autunno. Gli Autunni” A Carmagnola, oltre quaranta artisti in mostra

Nelle Sale del quattrocentesco “Palazzo Lomellini”, con opere “di stagione” ispirate all’“autunno”

Fino al 17 dicembre

Carmagnola (Torino)

C’è autunno e autunno. O, per meglio dire, c’è un “Autunno” punto e basta, e ci sono “Autunni” del tutto particolari. Molto meno esaltanti. L’uno cavalca la terra, con i suoi magnifici rossi, gialli, grigi plumbei e verdi sottotono. Gli altri s’infrangono invece sull’anima come distruttive frane esistenziali, diaboliche e soffocate nella solitudine di amarezze difficili da interpretare e, ancor più, da reggere. Questo vuole, fin da subito, rammentarci il titolo, “L’Autunno. Gli Autunni”, della mostra che vede, fino al prossimo 17 dicembre, ben 45 artisti appartenenti all’ormai nota Associazione  “Amici di Palazzo Lomellini” esporre nelle ampie Sale del quattrocentesco “Palazzo” di piazza Sant’Agostino. Un centinaio abbondante sono le opere esposte, realizzate nelle più svariate tecniche, e messe insieme, come sempre con certosino defaticante impegno e lodevole “occhio” critico, da Elio Rabbione. E proprio lui ci spiega le intenzionalità  di una rassegna che certo vuole contemplare “la stagionalità, quindi i boschi ingialliti, le ombre più marcate e i raggi del sole che a fatica riescono a intrufolarsi nel folto”, ma pure “le sembianze più nascoste di una ‘discesa’ o di una rinuncia … di uno scavo, a tratti anche sgradito, nell’area dei ricordi, nel voltarsi indietro a cercare una speranza, a guardare fuori dalla finestra a rintracciare un po’ di luce, di un’età non più brillante e dei volti segnati dal tempo … Non molti hanno accettato questa scommessa, ma qualcuno c’è stato”. Modesto Rabbione. Perché in tanti hanno, invece, risposto alla chiamata. E allora Autunno, intenso Autunno, è la cupola di rosso acceso cui Giorgio Cestari fa chiudere lo sguardo al cielo precipitando con forza inarrestabile sul sentiero boschivo che è “Passeggiata” del vecchio contadino accompagnato dal suo fido cane ed è Autunno di delicate, nitide ma possenti “nature morte” che ci raccontano di “Frutti” e fiori stagionali nei poetici acquerelli di Lia Laterza e di Adelma Mapelli (fondatrice del “Museo dell’Acquerello” a Montà d’Alba) che ci porta all’interno di una solida “Vigna”, pronta sotto un cielo “che mi sa che piove” alla prossima vendemmia. Di grande suggestione anche il richiamo pavesiano (“Ma per me la collina …” da “La casa in collina” del ’49) di Anna Maria Palumbo, dove i bianchi i rossi e i verdi del paesaggio fanno da ampio sipario all’architettura appena accennata di quei paesaggi collinari così cari al Cesare poeta e scrittore di Santo Stefano Belbo. Ricordi. Struggenti come quelli della giovinetta, uncinetti alla mano, che con nostalgia guarda lo spesso grigiore fuori dalla finestra, “Ricordando l’estate”, recente olio su tela di Daniela Cavaliere, allieva di Giancarlo Gasparin. Eccellente allieva, che del Maestro porta i tratti e lo spirito, così come Lidia Delloste i cui acquerelli (molto interessante “Meriggio” su carta Arches) delicatamente richiamano le cifre stilistiche di Sandro Lobalzo. E l’iter prosegue nell’articolarsi dei paesaggi un tantino inquietanti di Natàlia Alemanno, di Dario Cornero e di Paolo Pirrone, nei grovigli di boschi sapientemente “guidati” dalla mano e dal cuore di Graziella Alessiato, così come nell’accesa narrativa espressionistica di Andreina Bertolini, di Marco Bottaro e di Giancarlo Costantino, affiancata alla minuta descrizione grafica di Bortolo Bortolaso, agli enigmatici ritratti di Fiorella Bortolaso e Valentina Garlotto, accompagnate alle sinuose memorie di vago sapore futurista di Anna Branciari. Tendono invece ad un’informale astrazione delle forme gli acrilici di Maria Brosio, le xilografie di Ezio Curletto e gli appena accennati acquerelli di Cristina De Maria come le tecniche miste di Giancarlo Laurenti, le “Betulle” di Bruno Molinaro e i “cieli” di Luisella Rolle, cui fanno da controcanto il certosino realismo di Lucia Busacca e la sottile visione divisionista di Vincenzo Del Duca. Realtà fiabesche, gli acrilici di Alessandro Fioraso e i quadri di “memoria” di Simonetta Secci. Curiosi, infine, nella necessaria selezione delle tantissime opere, i corposi “mercati” di Giacomo Samperi. Due gli scultori: Giancarlo Laurenti con i suoi “Animali fantastici” in legno alluvionale e le più classiche sculture (calchi originali della fusione in bronzo) del cuneese Maurizio Rinaudo.

Gianni Milani

“L’Autunno. Gli Autunni”

Palazzo Lomellini – Galleria Civica d’Arte Contemporanea, piazza Sant’Agostino 17, Carmagnola (Torino), tel. 011/9724220 o www.palazzolomellini.com

Fino al 17 dicembre

Orari: giov. – sab. 15,30/18,30; dom. 10,30/12,30 e 15,30/18,30

Nelle foto:

–       Giorgio Cestari: “Passeggiata”, pastello su cartoncino, 2022

–       Adelma Mapelli: “Vigna d’autunno”, acquerello, 2004

–       Daniela Cavaliere: “Ricordando l’estate”, olio su tela, 2023

–       Lidia Delloste: “Meriggio”, acquerello su carta Arches, 2008

“Periferie in movimento”: la pace, un’utopia?

«Periferie in movimento»: la storia del mondo racconta che è dalle periferie umane che, da sempre, si levano fermenti e ribellioni generate dall’istinto vitale di sottrarsi alla fame, alla povertà, alla guerra, alla libertà negata.

E’ intitolato così – «Periferie in movimento»il recital di teatro canzone con cui Silvana Mossano e Sergio Salvi debuttano domenica 26 novembre alle 16, a Casale Monferrato, nella chiesa di San Domenico, nell’ambito del ciclo di incontri di «Cantiere Speranza».

E’ un’alternanza di canzoni celebri e monologhi inediti per riflettere sull’utopia della giustizia e della pace per la quale si è battuto, per tutta la vita, don Tonino Bello, già guida del movimento Pax Christi, nel trentesimo anno dalla sua prematura morte e a due anni esatti da quando, il 25 novembre 2021, Papa Francesco lo ha proclamato Venerabile.

“Ma don Tonino è stato soltanto una delle molteplici figure di donne e uomini perbene, di diverse epoche e di diverse ideologie, – dicono Mossano e Salvi – cui ci siamo ispirati per raccontare storie, aspirazioni e speranze dell’umanità, soprattutto quella più vulnerabile.

Ci siamo lasciati pervadere da molte persone perbene che hanno scelto di stare dalla parte giusta. Perché stare dalla parte giusta è la cosa giusta da fare.”

Lo spettacolo dura un’ora. 

Riflessioni conclusive di don Desiré Azogou, vicario generale della Diocesi di Casale.

Arrangiamenti musicali, sintetizzatori e canto: Sergio Salvi. Testi dei monologhi, voce narrante e canto: Silvana Mossano. Al mixer: Paolo Rossi. Ingresso gratuito.