

Libreria Belgravia propone: Pathos, SABATO 7 E DOMENICA 8 ottobre,dalle 10 in avanti fino a notte, a Portici di Carta,: in Via Roma 116 all’angolo con Piazza San Carlo, UNICO BANCO DEDICATO SOLAMENTE ALLA POESIA con reading entrambi i giorni e un poetry slam sabato sera dalle 20,30 alle 22,30 il cui.vincitore avrà accesso alla finale nazionale 2024.
Da giovedì 5 ottobre nella sala del Gioiello
Torino Spettacoli inaugura alla grande la nuova stagione. Il luogo, il teatro Gioiello. Il titolo, “Un delitto avrà luogo”, sesto appuntamento del sodalizio firmato dalla compagnia con il teatro di Agatha Christie, dopo il sempiterno “Trappola per topi”, “La tela del ragno”, Assassinio sul Nilo”, “Caffè nero per Poirot” e “L’ospite Inatteso”. Dal 5 all’8 ottobre una nuova avventura per Miss Marple su un palcoscenico che, come quello dell’Alfieri, è passato dalla scorsa stagione sotto lo sguardo attento e per molti versi rivoluzionario della Fabrizio Di Fiore Entertainment (da giovedì a sabato alle ore 21, ultima replica domenica alla ore 16).
Ma davvero si può annunciare la programmazione di un delitto? Pare proprio di sì. È quel che succede il venerdì 29 ottobre 1950 nel tranquillo villaggio di Chipping Cleghorn: alle 18,30 a Little Paddocks, il villino della signora Blacklock, avrebbe avuto luogo il delitto. “Si prega di prender nota di questo avvertimento che non sarà più ripetuto” è il tocco d’intimidazione. Pettegolezzi, curiosità, un pizzico di terrore attraversa i cuori e le menti degli abitanti del piccolo e sino ad allora tranquillo paese, tutti puntuali all’ora stabilita per un tè e un pasticcino, per due chiacchiere più o meno tranquille: fino a che, allo scoccare della mezz’ora, la corrente salta e un urlo e tre colpi di pistola riempiono l’aria e le stanze. Con tanto di vittima che ci guardiamo bene dal rivelare: dicendo soltanto quanto la polizia brancoli nel buio e sia auspicabile l’arrivo dell’arzilla e risolutiva detective, pronta ad analizzate con la solita perfezione della propria lente le situazioni e i vari e coloriti personaggi, da Patrick eterno studente a sua sorella Giulia, da un’orgogliosa vedova di guerra alla svampita Bunny, grande e sfortunata amica della padrona di casa, dalla cuoca che se n’è dovuta fuggire dall’est Europa ad un aspirante scrittore ancora parecchio lontano da un (forse) dovuto successo. Colpi di scena, momenti ingarbugliati che arrivano dal passato, un’eredità contesa, una malattia e un soggiorno all’estero che presenta parecchi dubbi, il fascino e l’abilità della Christie nel manovrare il tanto materiale, con l’abituale chiodo fisso secondo cui il male è proprio dell’uomo e la cattiveria ne è l’effetto, di qui le nere azioni che ne conseguono. Ma anche momenti di elegante divertimento, secondo le pagine a cui la Christie ci ha abituato nei suoi romanzi.
La traduzione è di Edoardo Erba, la scena di Gian Mesturino, la regia di Girolamo Angione, interpreti tra gli altri Carlotta Iossetti, Elia Tedesco, Andrea Beltramo, Elena Soffiato e Barbara Cinquatti. Il teatralissimo manifesto è dovuto agli accattivanti pastelli di Eva Mesturino.
Poi la compagnia proseguirà, sino ad aprile, la propria stagione sul palcoscenico del teatro Erba, con produzioni proprie e con varie ospitalità. Tra le prime, oltre a riprendere “Un delitto avrà luogo” dall’1 al 9 dicembre e “L’ospite inatteso” (dal 23 al 26 novembre), ecco nel mese di ottobre i sei titoli pronti per il 25° Festival di Cultura Classica, da Plauto a Molière all’Odissea di Omero, ancora una volta (6 ottobre) Gianluca Ferrato in “Tutto sua madre”, per la regia di Roberto Piana, autentico successo di critica e pubblico la passata stagione, testo parigino adattato in casa nostra: la storia di un ragazzo e poi di un uomo che cerca, attraverso non poche peripezie, di affermare la propria eterosessualità in una famiglia che al contrario lo ha catalogato come omosessuale. A seguire Marco & Mauro con “Tüt a post” (10 e 11 novembre). Altri appuntamenti “La locandiera” goldoniana con Miriam Mesturino, “Il fidanzato di tutte” con un vulcanico Elia Tedesco a far girare la testa, tra parole e musiche e canzoni, a un nutrito numero di belle ragazze che lo accompagnano nello spettacolo. Tra gli ospiti, Il successo di Maurizio Colombi, per la regia di Teo Teocoli, “Caveman”, punto d’obbligo di ogni stagione da quattordici anni, da quel 2009 in cui per la prima volta il titolo venne inserito in cartellone, il tributo ad Astor Piazzola del Magasin du Cafè, “Il diario di Anna Frank”, una produzione del Teatro Belli di Roma e della Compagnia Mauri Sturno per la regia di Carlo Emilio Lerici, Giorgio Lupano a riproporre dopo l’exploit dell’anno scorso “La vita al contrario” dal “Curioso caso di Benjamin Button” di Fitzgerald, la presenza dei Trelilu con “Mai a basta” e “Fantasmi sotto sfratto”, dal 13 al 15 aprile, per la regia di Gioacchino Inzirillo, un gustoso connubio di musiche e divertimento. Da non dimenticare il 30 novembre il Galà d’autunno dei “Germana Erba’s Talents”, ospitato sul palcoscenico del teatro Colosseo, autentica sinergia tra due “rivalità” che si spera possa portare ad altre collaborazioni.
Elio Rabbione
Nelle immagini, il disegno di Eva Mesturino, Carlotta Iossetti (Miss Marple) con Andrea Beltramo e Elia Tedesco; gli attori della Compagnia con il regista Girolamo Angione
“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
Le riforme e la scuola: strade parallele
Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
UniTo: quando interrogavano CalvinoAnche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina
“Panem et Circenses”, con queste parole Giovenale, il grande autore satirico romano (I-II sec. d.C.), denunciava una politica manipolatrice, che utilizzava lo svago e i futili passatempi per ingannare il popolo, così che l’apparente benessere della massa corrispondesse al più concreto benessere politico.
Nella nostra epoca contemporanea la celebre locuzione potrebbe variare nei termini, ma non credo poi molto nel significato. Grazie alle numerosissime app dei nostri smartphone risolviamo comodamente da casa il problema del “panem”, giocando a farci portare a domicilio qualunque tipo di cibo ci solletichi e poco ci importa di chi deve appagare celermente il nostro stomaco, né delle difficoltà in cui potrebbe incorrere il nostro corriere nel tragitto. Più o meno secondo la stessa modalità soddisfiamo i “circenses”, le piattaforme multimediali aumentano esponenzialmente a velocità impressionante, la nostra unica difficoltà è rimanere sempre aggiornati per poter scegliere l’offerta migliore e quindi trascorrere il pomeriggio comodamente sul divano, guardando quel film di cui tutti parlano, oppure la serie Tv più in voga al momento. E se non ci sentiamo così tanto “passivi”, allora possiamo ricorrere ai giochi, alla playstation, alla wii, ai giochi on line e via discorrendo. E non sto parlando di questo drammatico periodo, in cui stare a casa ovviamente non è un obbligo, ma un dovere nei confronti degli altri e di noi stessi; mi riferisco a prima, a quando le abitudini non erano poi così diverse da ora, ma nessuno si lamentava.
Non è il caso di sentirsi “complottisti”, ma di certo dà da pensare tutta questa tecnologia “monoporzione”, che impegna e che immerge totalmente, che unisce, ma sempre attraverso uno schermo, e che ci distrae dalla vita vera, quella che scorre fuori dalla finestra, mentre noi non la guardiamo.
Che si può fare per sconfiggere questa apatia dilagante, questa superficialità di massa, questa abitudine all’approssimazione? Si può reagire. Come? Attraverso la cultura e la conoscenza, andando ad investire là dove non c’è rimasto quasi niente, andando a riporre fiducia nei professionisti dell’educazione, riconoscendo nuovamente l’importanza e l’essenzialità della scuola.
Nell’opera “Se questo è un uomo”, nel capitolo “ il canto di Ulisse”, Primo Levi ricorda di aver cercato di insegnare l’italiano al compagno di lager Jean, spiegandogli il XXVI dell’”Inferno” dantesco, la cui parte essenziale è dedicata alla “orazion picciola” dell’eroe greco che dice ai compagni: “fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e canoscenza”. La tragedia odissiaca mantiene una precisa funzione esemplare, vuole essere un monito per tutti gli uomini, un proposito al di sopra di ogni affetto contingente, all’infuori di ogni preoccupazione di pericolo personale. L’autore combatte così la brutalità e l’ignominia di Auschwitz, appellandosi, in questa parte del testo, alla grandezza invincibile del Sommo Poeta, padre della lingua italiana e indiscusso simbolo di cultura universale.
Non a caso ricordo Primo Levi, perché è proprio di lui che vorrei raccontare qualcosa oggi, sempre continuando nel nostro percorso sulla scuola e sugli studenti torinesi.
Egli nasce a Torino, il 31 luglio del 1919. È stato testimone diretto delle deportazioni naziste, i suoi scritti sono una testimonianza sempre attuale e passai notabile a proposito di quegli anni bui che continuano a suscitare vergogna alla coscienza degli uomini. Di salute cagionevole, Primo era un bambino sensibile e fragile, caratteristiche che lo hanno portato a trascorrere un’infanzia sostanzialmente solitaria. Nel 1921 nasce Anna Maria Levi, la sorella minore a cui lui rimane sempre affezionato.
Nel 1934 Primo viene iscritto al Ginnasio del Liceo Massimo D’Azeglio di Torino, fin da subito si palesa un eccellente studente, dimostrando bravura e preparazione sia nelle materie scientifiche che in quelle letterarie. Da non dimenticare che il primo anno avrà niente meno che Cesare Pavese come supplente di italiano, anche se solo per pochi mesi. Dopo le scuole superiori, Primo frequenta la Facoltà di Scienze, che termina con una laurea con lode nel 1941: sono anni importanti per il brillante giovane, sia per la crescita personale, sia per le amicizie che riesce a stringere tra i banchi di scuola e i laboratori, rapporti sinceri che dureranno per tutta la vita. Eppure c’è un dettaglio da sottolineare, sull’attestato di laurea vi è scritto: “di razza ebraica”. Intanto la guerra incalza, ed egli nel 1942 si trasferisce a Milano, nel 1943 si rifugia ad Aosta e si unisce ad un gruppo di partigiani. Il suo coraggio però non lo ripaga con la stessa moneta e di lì a poco Levi cade prigioniero dei nazisti; il giovane viene deportato prima al campo di Fossoli (Modena) e poi, all’inizio del ’44, nel lager di Monowitz, che faceva parte del sistema dei campi di Auschwitz. Il resto come si suol dire è storia: impossibile riprendersi da tale drammatica esperienza.
Liberato nel gennaio del ’45 dalle truppe sovietiche, per tornare in patria Levi deve attraversare la Polonia, la Russia Bianca, l’Ucraina, la Romania, l’Ungheria, l’Austria, e infine giunge a Torino nell’ottobre del ’45. Inseritosi nella vita civile, sente comunque il bisogno di raccontare ciò che ha subito.
Scrive “Se questo è un uomo”, romanzo-testimonianza edito nel 1947 e ancora oggi letto a scuola, un libro che forse è nato “per forza”, per dovere di imprimere nella memoria collettiva la violenza e la brutalità di cui l’uomo è capace. In una scrittura lucidissima e misurata, il ricordo della vita nel lager di Monowitz si svolge come in un racconto-diario. Tutto è guidato dal desiderio di capire una realtà che appare oltre ogni razionalità. In quel mondo assurdo, il prigioniero tiene costantemente vigile una ragione impotente di fronte alla terribile epopea di una umanità irrimediabilmente offesa.
Nel 1963 Levi pubblica “La tregua”, in cui racconta il ritorno a casa dopo la liberazione, un singolare momento di “tregua” nella vita. Scrive “Vizio di Forma” (1971), “Il sistema periodico” (1975), un insieme di racconti autobiografici disposti in ventuno capitoletti, “L’osteria di Brema”, “La chiave a stella” (1978), “La ricerca delle radici” e “Se non ora quando?”(1982), nitida ricostruzione delle vicende di un gruppo di partigiani ebrei in Russia. Nel 1986 viene pubblicato un saggio, ultimo lavoro dell’autore, dal titolo emblematico, “I Sommersi e i Salvati”, che ha valore di accorato testamento, un inquieto ritorno dell’autore all’esperienza del lager, e alla necessità di interrogarsi su quell’orrore inesprimibile. Una memoria per tutti, per una società che potrebbe ricadere nel male. Primo Levi muore suicida nella casa di Torino l’11 aprile 1987.Chissà se un po’ del coraggio di questo grande uomo gli venne anche dalla formazione scolastica avuta al Liceo D’azeglio, luogo per definizione dell’”intellighenzia torinese”? La storia del Liceo inizia nei primi anni dell’Ottocento, quando viene istituito il Collegio di Porta Nuova. L’istituzione è prima trasferita nel 1852 presso la Parrocchia degli Angeli, poi, nel 1857, viene nuovamente spostata presso il Collegio Municipale Monviso. Con l’aumentare della popolazione della città subalpina, si sente il bisogno di creare un nuovo liceo classico, oltre ai già presenti licei Cavour e Gioberti, risalenti il primo al 1586 (riceverà la titolazione “Cavour” nel XIX secolo) e il secondo al 1865 (l’Alfieri verrà fondato nel 1901); così nel 1882 viene fondato il Liceo D’Azeglio, intitolato al celebre politico risorgimentale. La scuola comprendeva allora i cinque anni di corso ginnasiale e i tre del corso liceale. All’epoca, gli studenti appartenevano per lo più alla borghesia della zona Crocetta, anche se non mancavano iscritti di altre zone e classi sociali.
Molte sono le figure “dazegline” che hanno rivestito un rilevante ruolo politico e culturale nella storia, non solo di Torino, ma di tutto il Paese. Tra i vari nomi è bene ricordare Umberto Cosmo, Augusto Monti, Zino Zini, Franco Antonicelli. Tra gli studenti, Cesare Pavese (che è stato per qualche tempo anche docente), Giulio Einaudi, Leo Pestelli, Massimo Mila, Luigi Firpo, Vittorio Foa, Tullio Pinelli, Giancarlo Pajetta, Renzo Giua, Emanuele Artom, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Primo Levi, Fernanda Pivano. In tempi più recenti hanno frequentato le medesime aule Mario ed Enrico Deaglio, Paolo Montalenti, Gian Savino Pene Vidari, Lucio Levi, Sergio Pistone, Roberto Alonge, Carlo Ossola. Inoltre, nel 1975, durante gli anni della partecipazione attiva al movimento studentesco, viene eletto presidente del Consiglio d’Istituto Primo Levi, il quale promosse come prima iniziativa un rinnovato impegno antifascista del Liceo.
Un importante fatto sportivo si lega poi al Liceo D’Azeglio: nel 1897, un gruppo di studenti della terza e della quarta classe del Ginnasio, che si ritrovavano assiduamente in Piazza d’Armi per giocare a calcio, fondano niente meno che la “Juventus”. Nel 1900 la squadra esibisce la camicia rosa e la cravatta nera nel primo campionato, che affronta presentandosi con il nome Sport Club Juventus. Nell’attuale sede della squadra è tuttora conservata la panchina che un tempo si trovava in C.so Re Umberto, attorno alla quale erano soliti ritrovarsi i ragazzi fondatori della squadra.
Attraverso i registri e i documenti scritti, sono molte le storie del Liceo che per fortuna possono essere ricordate. Le vicende parlano di legami forti che si crearono tra studenti e studenti, ma anche tra scolari e professori, narrano di incontri il sabato pomeriggio, in un caffè di via Rattazzi tra il “Profe” Monti e i suoi allievi ed ex allievi, o raccontano ancora di quell’episodio che vedeva come protagonista Giancarlo Pajetta, espulso per volontà del Ministero della Cultura con l’accusa di propaganda sovversiva: tale avvenimento era stato così commentato dal professor Monti: “Fu bene una fucina di antifascisti il ‘Massimo D’Azeglio’ in quegli anni, ma non per colpa o per merito di questo e quell’Insegnante, ma così, per effetto dell’aria, del suolo, dell’ ‘ambiente’ torinese e piemontese. Quel Liceo era come una di quelle case in cui ‘ci si sente’; dove i successivi inquilini sono visitati nel sonno – e anche da desti – dagli spiriti, dalle anime.”
Altro episodio testimoniato è il rinvio a settembre della prova di italiano nella sessione estiva degli esami di maturità del 1937 di Fernanda Pivano e del compagno Primo Levi, i due scrittori si erano ritrovati a dover sostenere nuovamente la prova nella sessione autunnale. Quante cose accadono a scuola, quante se ne imparano, quante ci rimangono impresse nella memoria per sempre. Non facciamoci distrarre dalle comodità dell’ultimo momento, ricordiamoci di che cosa è importante, di ciò che ci eleva, di ciò che ci fa crescere sul serio.
Alessia Cagnotto
RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA
Alexandra Lapierre “La donna dalle cinque vite” -edizioni e/o- euro 25,00
Alexandra Lapierre si riconferma biografa eccezionale, capace di rendere accessibili, avvincenti e scorrevoli le vite complicatissime di grandi personaggi dimenticati dalla storia. Qui ricostruisce in un’opera monumentale – ben documentata (per 3 anni ha rovistato nelle biblioteche di mezzo mondo) e romanzata magnificamente- la storia di Mura Zakrevskaja. Affascinante aristocratica ucraina che attraversò pagine importanti del Novecento; forse fu anche una spia, sicuramente la musa di Gorkji e Wells.
L’autrice individua 5 fasi nel suo percorso, che equivalgono ad altrettanti romanzi.
A partire da quando nasce, a fine Ottocento, in una nobilissima famiglia russa; ultima figlia di Sua eccellenza Zakrevskij proprietario terriero (di foreste, villaggi, distillerie e raffinerie di salnitro) e padrone di 2000 anime. La madre è una baronessa, detta “la vipera”, donna fredda e dal carattere impossibile.
Mura cresce nel castello barocco tra tate e precettori; a 13 anni padroneggia già 5 lingue. Bellissima e intelligente brilla nell’alta società tra feste e balli a San Pietroburgo alla corte dello Zar.
Quando il padre viene fulminato da un infarto e il suo patrimonio va tutto alla massoneria, ripianare debiti e ipoteche tocca alla “vipera” che sistema le figlie in matrimoni discutibili. A 17 anni Mura sposa il nobile estone Jon Benckendorff, diplomatico a Berlino e riprende a frequentare il bel mondo; ma nonostante la nascita dei figli, non sarà un matrimonio d’amore.
Quando nel 1917 scoppia la rivoluzione russa il mondo della 24enne Mura viene stravolto. Dopo il brutale assassinio dei Romanov a Ekaterinburg, la Russia apre una pagina in cui sotto Lenin i nobili vengono perseguitati, cacciati e uccisi. Anche la vita di Mura è sulla soglia del baratro. Finisce tre volte nell’infernale carcere della Lubjanka; ma è abilissima e la scampa ogni volta, portandosi dietro il sospetto di essere una spia.
Si innamora perdutamente del diplomatico inglese Robert Bruce Lockhart, sposato e con la fama di avventuriero. I due diventano amanti e lui sarà il primo grande amore di questa istrionica eroina. Poi gli stravolgimenti storici li separano, lui torna in Inghilterra e se ne perdono le tracce a lungo.
Mura, rimasta in Russia, entra nel cerchio magico che ruota intorno a Maksim Gor’kij, fautore della rivoluzione, ma critico verso i suoi metodi brutali. E’ lui il fulcro di una sorta di comune-corte di accoliti che ospita, sfama e protegge. Il poeta vive insieme a ex moglie e amanti di turno. Lui ha 52 anni, Mura 27; lei scalza le altre donne e diventa il suo braccio destro, amante e musa, anche se tra alti e bassi.
Il terzo grande amore è il famoso scrittore H.G.Wells del quale diventa la compagna. La sua lunga vita è sempre ingarbugliata, sospettata dall’Occidente di essere una spia dei russi, che a loro volta pensano sia un’agente straniera; spesso in fuga da un paese all’altro, rischiando di essere uccisa. Sicuramente un’eroina piena di passione, ma all’occorrenza di grande sangue freddo, capace di mentire e sempre di salvarsi.
Angela Carter “La bottega dei giocattoli” -Fazi Editore- euro 18,50
In questo romanzo la scrittrice, giornalista e femminista inglese, morta nel 1992, imbastisce una storia di violenza e soprusi con al centro la protagonista Melanie.
La conosciamo nella beata ingenuità dei suoi 15 anni, davanti ad uno specchio intenta a scoprire i cambiamenti dal corpo di adolescente a una nuova femminilità. La vita vira drasticamente con la morte improvvisa dei genitori in un incidente, che lascia Melanie, il fratello minore Jonathon e la piccolissima Victoria poveri in canna e con un destino incerto.
I tre vengono affidati allo zio Philip che di mestiere fa il giocattolaio ed ha un’anima crudele e nera. E’ sposato con la sottomessa Margaret, che vive miseramente e vestita di stracci. E’ rimasta muta dal giorno delle sue nozze e -forse per compensare il suo desiderio di essere madre tarpato dall’infertilità- in un orfanotrofio ha preso i fratellini Finn e Margaret, nel tentativo di salvarli da povertà e abbandono.
In casa dello zio Philip domina il terrore: è un Barbablù che comanda, picchia, insulta e maltratta. Per lui contano solo i giocattoli e i burattini che costruisce; agli altri, invece, riserva sopraffazione e violenza gratuite.
I più esposti sono Finn -che si ribella e viene costantemente malmenato- e Melanie, la cui femminilità in divenire costituisce un ulteriore elemento di pericolo. Nel breve romanzo c’è la cronistoria di continue ingiustizie perpetrate dall’orco sui più deboli: la moglie e i bambini. E tutto il libro ci fa vibrare di indignazione man mano che emerge la brutalità e la capacità di manipolazione del padrone di casa.
Percival Everett “Gli alberi” -La nave di Teseo- euro 20,00
In questo romanzo del poliedrico e famoso scrittore americano è centrale il tema del razzismo, narrato dalla genialità di Everett e dunque tra il pulp, il fantasy e il thriller.
La torbida vicenda è ambientata a Money, piccola comunità del Mississippi, dove ai giorni nostri avviene una serie di brutali omicidi. Vittime sono sempre dei bianchi ammazzati ed evirati brutalmente. Ogni volta accanto a quei corpi c’è anche il cadavere sfigurato di un uomo di colore; giovane che come per magia continua a sparire e poi ricomparire sulla scena del delitto successivo.
Tra scene cruente che ricordano i film di Tarantino, la vicenda si sviluppa attorno a questo incredibile mistero. Siamo nell’America rurale e razzista, lì 80 anni prima un ragazzo nero di Chicago, Emmmett Till, era stato linciato da due bianchi che poi lo avevano legato con del fil di ferro e gettato nel fiume, senza via di scampo. E’ un brutale caso di omicidio razzista realmente accaduto e qualcosa vorrà dire….
Dettaglio: gli alberi del titolo sono sia quelli a cui venivano impiccati i neri, che quelli genealogici delle famiglie del luogo che annaspavano in un mondo intriso di tristezza, sospetti e tanta discriminazione.
Nancy Cunard “Parallax” -De Piante- euro 18,00
Questa è la raccolta di poesie di Nancy Cunard: miliardaria, bellissima, poetessa, scrittrice, editrice ed attivista che incrociò le traiettorie di grandi personaggi del Novecento. Una vita intensa, scivolata verso un epilogo tristissimo con la brillante mente che si sfalda. Delirante, alcolizzata e scheletrica finì per aggirarsi sempre più sperduta per le vie parigine; invecchiata e distrutta precocemente, muore a 69 anni, in totale solitudine il 17 marzo 1965 all’Hospital Cochin.
Era nata a Londra il 10 marzo 1896, figlia di Sir Bache Cunard, erede dell’impero navale Cunard Line, e dell’americana Maud Burke sbarcata in Europa con una ricca dote, alla ricerca di un marito blasonato. Il matrimonio con Cunard le aveva aperto le porte dell’alta società; ma i due erano male assortiti.
Lui gentiluomo di campagna, felice nella sua tenuta di Nevill Holt nel Leicherstershire; dedito a caccia, pesca e a creare oggetti in oro, argento e ferro battuto. Lei più giovane di 20 anni, considerava la maternità «cosa bassa e infima», in compenso fu abilissima nell’aprire il suo salotto a membri della famiglia reale, personaggi politici della caratura dei coniugi Churcill, scrittori tra i quali Yeats, Pound e Maugham, pittori, scultori, musicisti,….
Nancy cresce con tate e servitù ed è una bambina molto dotata e solitaria. Quando ha 15 anni i genitori si separano e lei si costruisce un bagaglio culturale notevole, con studi in Germania e a Parigi. A farle un po’ da padre ed aprirle lo sconfinato orizzonte della letteratura sarà uno degli amanti della madre, il romanziere irlandese George Moore.
La sua vita è di per sé un intrigante romanzo, protagonista di svariate storie d’amore, tra vere e presunte. Fu ritratta da Man Ray in tutta la sua sfolgorante bellezza androgina; sguardo che trapassa l’anima, ricoperta fino al gomito dagli enormi bracciali africani per i quali nutriva un’autentica passione.
Aldoux Huxley la immortalò in due suoi romanzi, James Joyce era solito andare a trovarla quotidianamente ed Ernest Hemingway l’ammirava profondamente.
L’esordio letterario della Cunard è tra il 1915 -1916 con la prima poesia “Prayer”; mentre nel 1921pubblica la raccolta “Outlaws”, versi che parlano della sua filantropia e anticipano la futura militanza di donna anticonformista e libera.
Quattro anni dopo, il suo capolavoro “Parallax” viene pubblicato nientemeno che dalla Hogarth Press di Virginia e Leonard Woolf.
Il suo più grande amore fu Louis Aragon che iniziò a frequentare nel 1926, insieme al quale fondò la Hours Press, nella tenuta in Normandia acquistata con l’eredità paterna. Poi la relazione naufraga, lei si invaghisce del musicista afroamericano Henry Crowder, e Aragon tenta il suicidio.
Seguiranno altre relazioni, sempre innamorata di un uomo e della sua causa; sarà paladina dell’amore interraziale, si professerà amazzone comunista e viaggerà in lungo e in largo, sperperando il patrimonio, sempre alla ricerca di qualcosa che le riempia la vita.
Martedì 3 ottobre prossimo, alle 20.30, al teatro Vittoria a Torino, tornerà sul podio il maestro Federico Bisio a dirigere l’Orchestra Polledro nel concerto intitolato “Un percorso di stile: da Gossec a Bellini”.
Di Vincenzo Bellini verrà eseguita la Sinfonia Breve in Re maggiore, che rimanda chiari richiami a Paisiello e Cimarosa. Di Domenico Cimarosa verrà eseguito il Concerto in Sol Maggiore per due flauti e orchestra con l’esecuzione affidata ai flauti Danilo Patruno e Rebecca Viora. Quindi di Wolfgang Amadeus Mozartverrà eseguito il Divertimento in Mi bemolle maggiore KV 113 e di Francois Joseph Gossec la Sinfonia in Mi Bemolle maggiore Op. VIII n. 3.
Noto per la sua produzione operistica, Cimarosa lo è meno per quella strumentale, anche se sono piuttosto popolari le sue 32 Sonate per Cembalo in un solo movimento, alcune Sinfonie per cembalo, quartetti per flauto, ouverture e Sinfonie per archi. Celebre il suo concerto per due flauti traversi che ha conquistato sale e pubblico, divenendo di dominio tra ogni flautista. Composto a Napoli nel 1793 la partitura autografa è conservata presso il Conservatorio di Musica di San Pietro a Maiella di Napoli.
Il Divertimento K 113 di Mozart è sopravvissuto in due versioni, di cui la prima eseguita durante il Concerto è stata composta a Milano nel novembre 1771.
Gossec, nato nel 1734 durante il regno di Luigi XV in un’enclave francese all’interno del territorio belga sotto il dominio Austriaco, era di due anni più giovane di Haydn e durante la sua lunga vita ebbe modo di conoscere molti compositori tra i quali ancheMozart. La Sinfonia n. 3 dall’originale organico con i clarinetti al posto degli oboi, è articolata in quattro movimenti Allegro, Larghetto, Tempo di Romanza, Minuetto, Primo e Secondo Presto.
Solisti al flauto nel concerto Danilo Putrino e Rebecca Viora.
Mara Martellotta
Quali sono i più letti e commentati libri di settembre da parte della nostra community FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri? Questo mese si tratta di Holly, nuovo romanzo di Stephen King che torna alle atmosfere thriller che hanno caratterizzato i suoi ultimi romanzi; molto apprezzato e commentato anche La Resistenza Delle Donne, saggio storico di Benedetta Tobagi vincitore dell’ultimo Premio Campiello; ha suscitato molto interesse anche Grande Meraviglia, ultimo romanzo della scrittrice Viola Ardone.
Incontri con gli autori
Abbiamo intervistato Elisa Tomassi, autrice dell’antologia Testimonianze una raccolta di storie di vita e spaccati di una realtà che non sempre balza subito agli occhi e Marianna Guida, autrice de La mano sinistra un’interessante antologia di racconti ambientati in gran parte a cavallo degli anni ’70 sullo sfondo di una Napoli, per lingua e caratterizzazioni, lontana dai cliché.
Vi segnaliamo anche le interviste dall’attore, autore e regista Marco Paolini e dello scrittore Georgi Gospodinov che hanno rilasciato alla segreteria del Premio Boccaccio 2023
Per questo mese è tutto, vi invitiamo a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it
Secondo anno successivo Ugo Nespolo a firmare il manifesto del Torino Film Festival, giunto (tra il 24 novembre e il 2 dicembre) alla sua 41ma edizione. Seconda e ultima direzione a firma Steve Della Casa, poi sarà la volta di Giulio Base: ma questa sarà pure un’altra storia, crediamo totalmente diversa. La aspettiamo.
“L’invito di Steve a lavorare all’immagine icona di John Wayne che grazia la giovane Debbie – Natalie Wood, è stato da me accolto con la gioia di rivisitare una scena risolutiva che corona una trama dai forti contenuti psicologici, dalle originarie incomprensioni critiche.” Immagini finali certo indimenticabili quelle di “Sentieri selvaggi”, del 1956, “considerato dall’American Film Institute – ci tiene a ricordare ancora Nespolo – il dodicesimo film nell’elenco dei migliori film statunitensi di tutti i tempi.” Un fotogramma che è una storia, per uno sguardo nuovo, forse pacificatore, forse tardivo, dritto negli occhi del rude eroe di tanti western, della classicità del cinema, dell’immagine del suo compagno John Ford, dell’attore premio Oscar, di un cammino di gloria e di tramonto (per un uomo e per un genere), un affetto a posteriori che aveva già coinvolto Jean-Luc Godard, diametralmente opposto, altre idee e altri sentimenti, orizzonti diversi, l’America delle grandi praterie e dell’indiano cattivo e la Francia sessantottina e ancora una volta rivoluzionaria, la Nouvelle Vague che sapeva guardare ben oltre certi confini. “Come posso io odiare John Wayne e poi amarlo teneramente quando prende improvvisamente in braccio Natalie Wood negli ultimi minuti di Sentieri selvaggi?”, diceva l’autore di “À bout de souffle”. Un’occasione per ripensare, per analizzare meglio nel confronto di aspetti e mentalità, di ambiguità anche all’uscita del film non chiarite, “è proprio la vocazione del TFF quella di non proporre progetti comodi e risaputi ma di saper dare vita a ricerca e questioni, punti di vista sempre critici e per questo davvero innovativi.”
John Wayne non soltanto nell’immagine del festival. Ma al suo interno, con una nuova riscoperta, attraverso la rassegna “Mezzogiorno di fuoco”, del mondo del western, ai titoli noti come a quelli meno conosciuti (secondo le vecchie passioni universitarie e giornalistiche e critiche di Steve Della Casa). Quindi John Wayne ancora presente con l’omaggio che il TFF gli renderà, nel 60° anniversario dell’uscita dei “Tre della Croce del Sud”, ancora il vecchio Ford dietro la macchina da presa, anno di grazia 1963, un’isola immaginaria della Polinesia, una taverna e le risse, una figlia in arrivo e un’eredità tutta da verificare: resta qualcosa delle atmosfere western ma quello di stampo antico ha già girato l’angolo. E un pezzo di grande cinema, quello con cui gran parte di noi sono cresciuti, è stato cancellato.
Elio Rabbione
GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA
Lunedì. Al Cafè Des Arts suona l’Underbar Trio. Al Blah Blah si esibiscono gli Atomic Bitchwax. L’orchestra ucraina Lords Of The Sound esegue al teatro Colosseo musiche composte per il cinema da Hans Zimmer.
Mercoledì. Nella chiesa di Santa Pelagia suona il pianista Remo Anzovino. Al Blah Blah si esibiscono i Datura4 di Dom Mariani con il gruppo Friarbirds King.
Giovedì. Al Blah Blah suonano gli Exbats. All’Of Topic si esibiscono : Xylema con Davide Toffolo il “Ragazzo Morto”, Alberto Moscone, Aimone Romizi( Fast Animals And Slow Kids), Alessandro Ragazzo con Davide Auteliano (Ministri). Al Bunker si esibisce Tito Sherpa e Pufuleti.
Venerdì. Al Blah Blah sono di scena i Bad Bones. Inaugurazione della stagione del Folk Club con i Dinosauri (ex Modena City Ramblers, Cisco, Alberto Cottica e Giovanni Rubbiani). Allo Spazio 211 suonano i Set Fall, Ready e If I Die Today. Allo Ziggy suonano i Pilgrims of Yearning.
Sabato. Al Peocio di Trofarello si esibisce Vinnie Moore chitarrista degli UFO. Al Bunker concerto in solidarietà ai Rider con Medusa, Magazzino San Salvario, Fratelli di Soledad, Rimozione. Allo Ziggy si esibiscono i Darkend. Al Blah Blah suonano i Screamin’ Demons. Al Magazzino sul Po musica trap con The Deep, Alfmob, Torso, Around, Ozone.
Domenica. Al Blah Blah sono di scena i Zounds. Al Pala Alpitour si esibisce Louis Tomlinson, celebre per la sua appartenenza alla “boy band” One Direction.
Pier Luigi Fuggetta
Dopo 18 settimane di riprese e 8 di preparazione, tra luglio 2022 e fine gennaio 2023, torna in prima serata, su Rai 1, domenica 1 ottobre, la nuova stagione di “Cuori”, del regista torinese Riccardo Donna. Un successo in termini di ascolto che vede come protagonisti Daniele Pecci, Matteo Martari e Pilar Fogliati nei panni dei tre geniali e ambiziosi medici dell’Ospedale Molinette di Torino, pionieri della medicina italiana che negli anni ’60 rivoluzionò la allora nascente cardiochirurgia. Tra gli altri interpreti, l’attrice Carola Stagnaro, nella parte dell’energica caposala Suor Fiorenza che con il suo classico cappello bianco con i cornetti fa andare avanti tutto l’Ospedale. Qualche numero a riguardo: una importante presenza torinese nel cast con 32 attori e attrici locali impiegati nei ruoli minori e ben 1326 figurazioni utilizzate nel corso delle riprese; tra le auto di scena utilizzate per ricreare l’atmosfera e la società degli anni ’60 sono stati scelti 72 mezzi tra ambulanze, automobili, motocicli e furgoni. Moltissimi i luoghi cittadini, circa 40 location diverse tra Torino e Provincia, tutti da scoprire e rivedere. Gli interni dell’Ospedale sono stati nuovamente ambientati presso i due teatri di posa degli Studi Lumiq di corso Lombardia già protagonisti della prima stagione. “Cuori” è una coproduzione Rai Fiction e Aurora Tv Banijay con il Centro di Produzione Rai di Torino e il sostegno di Film Commission Torino Piemonte, ed anche quest’anno le emozioni saranno protagoniste!
Igino Macagno