CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 17

“Discreto, riservato, gentile”, questo era Silvano Gherlone, punto di riferimento alla Davico

Negli spazi della Galleria Fogliato, fino al 29 marzo

 

“Quel passage fra piazza Castello e piazza Carlo Alberto, così parigino, così infallibilmente borghese, un mondo da sempre, dalle origini, di ieri, una flânerie che ha il respiro di un’educazione antica, canforata, sobria, eppure non avara di leggerezza di ‘médisances sublimes’, di passi non irregimentati…”.

Così quelli che sono quasi i “versi” di Bruno Quaranta, con Sabatino Cersosimo e Gianfranco Schialvino a rendere omaggio a un luogo concepito nelle architetture di Pietro Carrera e nelle decorazioni di Casanova e Rubino, nell’apertura di un cielo – lassù, il rifugio torinese di Nietzsche -, la galleria dovuta alla Banca dell’Industria Subalpina ma per tutti i torinesi “del Romano”, un tempo cafè chantant dove anche il filosofo scendeva a distrarsi il pomeriggio, dove Gozzano e le “signore e signorine” sceglievano le paste da Baratti, dove trovi oggi il ristorante e la scelta perfetta dei vini o les affiches d’antan, dove da poche settimane la Luxemburg s’è spostata a offrire libri e colazioni impiegate a sfogliare pagine, dove fino a ieri in piena fortuna entravi alla Davico, divenuta adesso unico occhio spento di rinnovate vetrine, pronta a cogliere anch’essa, dal buio, il dibattito tra verzure sì e verzure no; e a un uomo, Silvano Gherlone, che la Davico la aprì nel 1971 e avrebbe deposto le armi nel 2004, “una bomboniera gioiello foderata di velluto color tortora”, annota la memoria di Schialvino critico e amico, “l’ambiente ideale, il paradigma del successo e dell’affermazione”, delineando “la filosofia della galleria”, fatta di “qualità, perfezione ed eleganza” che s’allargano in prestigio e signorilità e stile, una filosofia che accoglieva i grandi maestri contemporanei come le leve più recenti, con un gusto che oltrepassava i compiti primi di un gallerista e sconfinava nel “supporto” e nell’”amicizia”. Così Cersosimo, che di quell’amicizia godette per lunghi cinque anni, e certo ancora oltre, dal 1999 al 2004, in qualità di assistente, scolaro riflessivo e onnivoro, prima che prendesse la via della capitale tedesca “per rinnovare la mia ricerca artistica”. Ancora Schialvino: “Una luce per ogni quadro, fu opera dell’architetto Danilo Nubioli e, assolutamente innovativo per l’epoca, ancora oggi resterebbe attualissimo (il progetto dell’ambiente, ndr) per quella che è stata per anni una delle più belle gallerie d’arte della città”.

“A Silvano. 35 anni alla Galleria Davico” s’intitola la mostra – negli spazi della Galleria Fogliato di via Mazzini sino al 29 marzo, fatta di una lunga gestazione, “un’idea condivisa con gli amici Anna Lequio e Fiorenzo Sarzano” – che i tanti artisti e collezionisti e critici contaminati dalla sua signorile amicizia gli hanno voluto dedicare a circa quattro anni dalla scomparsa. Palpabile, quella amicizia, ancora durante l’inaugurazione che s’è svolta nei giorni scorsi, aneddoti e pensieri e suggestioni, i “mi ricordo quando” che fioccavano, l’importanza dell’”io ci sono stato”, di un tempo che ancora nell’occasione hanno ritrovato la propria ragion d’essere. Una ‘recherche’ nella vita di ognuno. Una lunga sequenza, un interminabile nastro artistico, settanta nomi a testimoniare un’epoca, la convinzione che da quelle stanze “ovattate” sia passato un buon tratto della cultura torinese.

Difficile, impossibile citare tutti. Non soltanto per l’abbondanza dei numeri, ma perché – io credo veramente – sarebbe necessario, ad ogni opera, ricercare il motivo di una scelta, il tassello di un percorso ben delineato, l’innamoramento e la scoperta, sarebbe necessario chiarire a chi ha incontrato Gherlone soltanto negli ultimi istanti della sua attività che cosa lo portasse a individuare questo piuttosto che quell’artista, giovane e meno giovane, quattro passi dalla vicinissima Accademia, quanto coincidessero o si distanziassero la predilezione e l’intimo studio, il più approfondito giudizio. C’è l’antica corrente dei Surfanta, c’è il mostro verde e spiaggiato di Alessandri e “Il rinoceronte assunto”, imponente animalone sulla nuvola soffice di Abacuc (Silvano Gilardi), il nodoso e antico ulivo pugliese di Renato Balsamo, il bambino sperduto al di sopra di  quella macchia nera che lo allontana dal gioco collocato nell’autobiografia di Guido Bertello (1983), ci sono “Le due sorelle” di Carlo Cattaneo (del 1983) ed “Esperimento per uomo sdraiato e natura astratta” di Cersosimo, Mauro Chessa ed Enrico Colombotto Rosso, una “Meteora” di Riccardo Cordero e il nudo femminile nell’”Interno” di Italo Cremona, c’è l’India dai grandi corsi d’acqua e dagli alberi altissimi dovuti a Stefano Faravelli, c’è la bella scoperta di Philippe Garel con una “Nature morte au citron”, ci sono i tratti raffinati e altresì inquietanti delle “Oche principesse” e di una delle tante bambine di Titti Garelli e i pastelli di Vincenzo Gatti, il mondo egizio di Ezio Gribaudo a ricordo della mostra del 1973, il felicissimo Riccardo Tommasi Ferroni con “Natura morta con testina d’abbacchio” della collezione Sarzano-Rizzollo.

C’è il carboncino entusiasmante di John Keating, il corpo nascosto tra le pieghe del lenzuolo, e il teatrino di Luzzati, i “Piantatori” di Giovanni Macciotta (1960) e lo “Studio” di Anna Lequio (2023), acquerello dedicato all’amico Silvano, il viso di ragazzo di Pino Mantovani e la “Silvia” classicheggiante di Ottavio Mazzonis e il nervoso e impennato cavallo ad accompagnare il “Bellerofonte” di Raffaele Mondazzi, i tetti invernali e imbiancati di Aime e il mare di Vinicio Perugia, il “Raccolto” poetico – l’antica assoluta poesia di sempre – di Sergio Saccomandi e il ragazzo di Lorenzo Tornabuoni, la “Ginnasta con la palla” che testimonia ancora una volta l’arte di Sergio Unia. Nomi, un nastro di nomi, un punto di riferimento prezioso e oggi non dimenticato, un punto di confronto per quanti con lui hanno amato l’arte, Silvano Gherlone è stato il gallerista prezioso e attento, giudicante e accogliente, l’uomo che consolidava un percorso già avviato o poteva dare inizio a una carriera, con intelligenza e con simpatia, poteva affermare un futuro valore, correggeva e indirizzava. Silvano Gherlone era “discreto, riservato, gentile”, scriveva ne La Stampa Bruno Gambarotta all’indomani della sua scomparsa: e l’affetto che ancora circola, oggi, tra le pareti della Fogliato ne è l’esatta testimonianza.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Silvano Gherlone e Sabatino Cersosimo nel 2018 davanti ad alcune opere dell’artista; Guido Bertello, “L’uccellino di latta”, 1983, acrilico su tela (coll. Bertello); Giovanni Maciotta, “Piantatori”, 1960, olio su tavola (coll. privata); Lorenzo Alessandri, “Ma perché mi odiate tanto”, 1976, olio su masonite (coll. privata)

Giuseppe Luigi Lagrange, nato Lagrangia a Torino

«Chi ha ottenuto notorietà all’estero, dovrebbe averla anche in patria» giusta affermazione, ma, e gli insuccessi? «in tal caso non tutto va detto» intervento pronto di qualcuno ….


Noi però crediamo che la verità storica non debba mai essere sottaciuta (e neppure addomesticata per soddisfare agli interessi di qualcuno). Cercherò allora di dirvi perché intendo parlare di Lagrangia (nome con il quale, nel 1736, il nostro personaggio venne registrato nell’atto che, primo, testimoniala sua venuta alla luce proprio a Torino).

Negli anni scorsi, Torino ha dedicato meritate attenzioni al matematico Giuseppe Luigi Lagrange (Torino, 1736 –Parigi, 1813), che, con il medico Cigna e il conte Saluzzo, fu fondatore della Società Privata che originò poi la nostra Reale Accademia delle Scienze. Così, nell’autunno del 2013, furono allestite una mostra e una pubblicazione di 128 pagine illustrate, sotto il titolo: «Lagrange. Un europeo a Torino». La scelta di quelle parole, però, non fu moltofelice perché, enfatizzando il cognome francese, sembravavoler dar lucro alla Città recuperando alla causa un transalpino! Operazione questa del tutto inutile e almeno non necessaria, perché si sa che, proprio da Torino,partirono personaggi e iniziative che ebbero successo in tutto il mondo.

Ora però andiamo alle pagine di quel volumetto, frutto dellacollaborazione di alcuni specialisti.

Nulla da eccepire sulle disamine attente degli storici della scienza, e meno male che si è anche ricorsi a studiosi come Maria Teresa Borgato e Luigi Pepe che al matematico«Lagrange» avevano già dedicato un elegante volumetto (illustrato di 206 pagine, edito a Torino nel 1990), nel quale, senza segnalarlo, si fece emenda della genealogia famigliare di Antonio Manno, sostituendo addirittura anchei nomi di alcuni personaggi riferiti da lui. – Disdicevole comunque era la divulgazione di questi nuovi elementi di storia famigliare, senza tener conto di quanto altri, più vicini a noi nel tempo, avevano scritto sull’argomento. Ricorderò allora che i nobili Lagrange sono stati argomentodel prezioso saggio, intitolato «Familles de La Grange La Grange –d’Arquien & La Grange – Trianon», facilmente accessibile in rete, dove fu pubblicato da Etienne Pattou nel 2006, con “dernière mise à jour: 21/02/2022 sur http://racineshistoire.free.fr//LGN, che nulla dice del nostro scienziato, delle sue origini e della sua famiglia. Per le commemorazioni torinesi del 2013, quindi, sarebbe stato auspicabile che si rendesse noto il luogo in cui, in Francia, nacque l’antenato suo che per primo si trasferì in Piemonte(evidentemente, i polverosi documenti dell’Archivio di Stato scoraggiarono le ricerche e si decise di lasciare le carte tranquille, tutelate dal loro silenzio centenario)!

Però, siccome quel nome di famiglia è presente negli Stati Sabaudi al di là dei monti, viene da segnalare che, su quelle zone, pubblicò Hippolyte Tavernier (Taninge et ses environs. Mémoire descriptif et historique, 1888,) rilevandola presenza dei Lagrange in Faucigny (la terra, fin dal XIV Secolo, frequentata dai nostri antenati). La circostanza ètaciuta non solo dal Manno, ma anche dal Pattou, che neppure nomina, in Savoia, l’esistenza storica di un marchese Lagrange, Jacques Abraham Raimond, morto nel 1854, e di un suo nipote, Marie Frédéric conte de Lagrange,sposo di Marie Antoinette Burdet (1828-1899), la figlia di quell’Aimé (1790-1862), libraio e tipografo della famosa stamperia di Annecy (il cui titolare, fregiato del titolo di «Imprimeur de l’Evêché et du Clergé», iniziò a operare nel 1732, con Jean-Baptiste da Seyssel, avolo di Aimé. mentresuo figlio Charles, che pure si era impratichito nella professione a Parigi, avrebbe ceduto la proprietà della libreria ad Abry nel 1872, e quella della tipografia a Niératnel 1876).

Ciò detto mi scuserò per questa digressione(genealogicamente basata su Geneanet-Albero genealogico Pierre Blanc, e storicamente su studi di S. Coutin, nostri e di altri), ho fatto cenno di un ramo collaterale del casato del quale porto il nome, quindi, forte dei miei studi ultraventennali sul XVIII Secolo, già opportunamente pubblicati (con contributo della Regione Piemonte e titolo:Carlo Antonio Napione (1756 – 1814), Artigliere e scienziato in Europa e in Brasile, un ritratto, Torino, Celid, 2005, 2 tomi illustrati di pp. XVI+940], farò una doverosaemenda puntualizzando quanto fu scritto, undici anni or sono, su Lagrange in merito al suo rapporto con le Scuole di Artiglieria torinesi.

Studiando le origini dell’Artiglieria Piemontese infatti, ho ritrovato, letto, trascritto e pubblicato (nel tomo 1° di quella mia opera) diversi documenti conservati tra le Carte Antiche d’Artiglieria alle Sezioni Riunite dell’Archivio di Stato di Torino. In particolare l’«Informazione rassegnata a S.M. dal Direttore Generale delle Scuole d’Artiglieria D’Antonj, nella quale si descrivono i motivi dello stabilimento di dette Scuole, le addizioni fatte in seguito al primiero Regolamento, i mezzi, ed i modi adoperati dal medesimo Direttore per conseguire il fine, cui mira tale Stabilimento, ed i progressi, che ne sono derivati da tutte le disposizioni prese a tale riguardo» datata 17 ottobre 1776. Poiché in quelle pagine è chiaro che «si è dato principio li 2. del 1770 a un quarto Corso di studj teorici colla scelta di nuovi Cadetti ... Questo corso, è stato terminato in fine d’Agosto 1776 coll’esito descritto nella memoria de’ 6. Luglio del Direttore generale, e nella relazione del primo Settembre dello stesso anno per le scuole teoriche. Le materie insegnate in questo Corso sono le medesime già spiegate nel Corso precedente a norma delle addizioni del 1755, con questo divario però che siccome i trattati matematici formati da’ due diversi soggetti (§10H) quantunque esimj in se medesimi, erano fra essi slegati a segno, che hanno non pocco imbarazzato gli studenti, così il Direttore generale ha per questo corso rifatti essi trattati, di modo che nell’escludere ogni diramazione non necessaria alla professione d’Artigliere, e d’Ingegnere, ha procurato di condurre gli Allievi per la strada più breve, e facile all’acquisto di quelle notizie, che per essi sono indispensabili» e, in nota, il generale  Papacino andava chiarendo: «Il talento sublime del sostituito La Grangia, che con tutta ragione lo ha collocato fra i primi Accademici d’Europa, non le ha permesso di sminuzzare i rudimenti a noi necessarj, onde hanno giudicato rettamente coloro, che nell’altro corso ne hanno censurato i trattati per essere troppo elevati, metafisici, difusi in materie estranee, e mancanti d’applicazione alle professioni d’Artigliere, e d’Ingegnere. Ma se taluno pronunciasse lo stesso giudizio sulli insegnamenti fatti in quest’ultimo corso, si dimostrerebbe digiuno in queste materie».

Grazie a quanto scrissi sul nostro Napione, queste notizie avrebbero potuto essere prese in considerazione, perLagrange, infatti i miei due tomi, già pubblicati da otto anni, erano presenti, non solo in Italia, ma nelle principali biblioteche del mondo però, su quell’opera, ritornerò ancora , in questa sede.

Carlo Alfonso Maria Burdet

Luigi Costa, re delle vetrate artistiche

Luigi Costa nacque a Mantova nel 1887 Fu allievo della fiorente scuola di arte mantovana, rivelando fin da allora particolare predilezione per la vetraria artistica, fu compagno del noto pittore e scultore Alfonso Monfardini e del pittore Giovanni Minuti.

Terminati gli studi di disegno ottenuti con un diploma di primo grado, decise di partecipare all’ Esposizione Internazionale di Milano per trasferirsi nella capitale lombarda e studiare presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera (Milano).
Nel 1910 Luigi Costa fondò  ad Alessandria l’apprezzatissimo laboratorio di vetrate artistiche, aprì nel 1913 un negozio d’arte che ebbe subito meritata fortuna.
Fu l’affermazione definitiva di un uomo di gusto e talento, partecipa alle maggiori esposizioni nazionali ed estere vincendo le medaglie d’oro.
Le vetrate artistiche di Luigi Costa figurarono con grande successo, ottenendo ovunque plausi di critica e di pubblico e procurando al loro autore premi tra i più significativi e ambitissime onorificenze.
Il medagliere dei Costa è indubbiamente uno dei più cospicui ed eloquenti che artista possa desiderare. Innumerevoli chiese parrocchiali del Piemonte, della Liguria, della Lombardia sono abbellite dalle importanti vetrate artistiche.Una di esse è anche in Vaticano nel 1927, accolta a suo tempo dal compiacimento del Pontefice Pio XI che lo stesso Segretario di Stato Card. Gasparri si premurò di comunicare all’artista.
Tra le molteplici amicizie di spicco quella con l’industriale Teresio Borsalino il quale gli ha commissionato parecchi lavori.
Le vetrate artistiche del Maestro Costa si distinguono in due categorie:
Sacre e civili, restano tutt’oggi e sono visibili in Piemonte, Liguria e Lombardia, ad Alessandria nelle Chiese di Santa Maria di Castello, Chiesa di S. Alessandro, Convento dei Frati Cappuccini ecc..
Si specifica che per quanto riguarda la  carriera dell’arte vetraria le opere civili (case, ville, hotels, negozi, edicole, uffici ecc..) sono molte di più delle opere sacre e difficili da documentare.

Un polo turistico – culturale alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Cinque milioni di euro per il restauro dell’Ospedaletto e di Cascina Bassa per la realizzazione di un ristorante/caffetteria, una foresteria e un parcheggio

Al via i lavori nel complesso monumentale di Sant’Antonio di Ranverso. Gli interventi riguardano il restauro e la riqualificazione funzionale degli edifici dell’Ospedaletto e di Cascina Bassa e sono finalizzati all’ampliamento dell’offerta turistica del sito con la realizzazione di un punto di ristoro (caffetteria/ristorante), di un ampio parcheggio per i visitatori e di una foresteria a servizio di chi percorre gli itinerari dell’antica via Francigena. L’operazione è finanziata grazie all’accordo attuativo che perfeziona l’assegnazione di 5 milioni di euro a FOM – Fondazione Ordine Mauriziano da parte della Regione Piemonte per l’attuazione dei FSC 2021-2027.

«L’importante impegno ed investimento che la Regione ha siglato oggi con la Fondazione è il segno tangibile di quanto crediamo e puntiamo per il rilancio e la valorizzazione di un bene di grandissimo pregio culturale, storico e religioso rappresentato dalla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso – dichiarano il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore regionale al Patrimonio Gian Luca Vignale – siamo consapevoli che questo progetto avrà ricadute economiche e turistiche di fondamentale valore non solo per il complesso, ma anche per tutto il territorio circostante».

«La firma dell’accordo attuativo – spiega la presidente della Fondazione Ordine Mauriziano Licia Mattioli – non rappresenta solo l’avvio dei lavori di restauro e riqualificazione degli edifici dell’Ospedaletto e di Cascina Bassa, ma è finalizzata al rilancio di un polo turistico, culturale e sociale a Ranverso. Con l’obiettivo di rendere nuovamente fruibile tutto il complesso della Precettoria, abbiamo infatti già avviato un ampio progetto di riqualificazione finalizzato all’ampliamento del percorso di visita e servizi al pubblico con il recupero dell’area aulica conventuale».

Il complesso di Sant’Antonio di Ranverso è una Precettoria che comprendeva la chiesa con il campanile, un monastero con il chiostro interno, di cui rimane oggi solo un lato, le cascine del borgo e l’ospedale per i pellegrini fondato nel 1188 dai monaci dell’ordine degli Antoniani che avevano il compito di accogliere e dare ristoro ai pellegrini che percorrevano la via Francigena e curavano, con il grasso dei maiali lì da loro allevati, il “Fuoco di Sant’Antonio”. La facciata è tutto quello che oggi rimane dell’antico ospedale che fu costruito in mattoni alla fine del 1400 per volere del frate Giovanni di Montchenu.

Mantenere l’identità storica e architettonica del contesto è l’obiettivo dei lavori di restauro e riqualificazione. La “Cascina dell’Ospedale” è un complesso di edifici di epoche diverse, costruito sul sito dell’antico ospedale e comprendente alcune delle sue strutture murarie originali. Gli edifici includono stalle, rimesse, fienili, tettoie a uso rurale, un’abitazione e diversi elementi monumentali, come l’ingresso medievale all’antico ospedale Antoniano con la pesa pubblica, di alto valore storico e artistico. Di fronte all’ingresso dell’Ospedaletto, lungo la via Francigena, si trova la “Cascina Bassa”, un edificio con corte interna dalle caratteristiche formali e costruttive tipiche delle cascine settecentesche locali.

La reception dell’Hôtellerie troverà posto nella porzione di fabbricato a due piani, vicino all’accesso principale alla Cascina Bassa. In un futuro prossimo, si prevede di poter allestire in una delle antiche stalle, pavimentata in mattoni e provvista di mangiatoie di tipologia molto antica, un museo delle tradizioni agricole nel quale potranno essere esposti oggetti e utensili della tradizione contadina. Il restauro della tettoia a doppia altezza, che verrà pavimentata con lastricato in pietra di Luserna, potrà ospitare un mercato coperto dei prodotti tipici locali ed altri eventi pubblici, in collaborazione con enti e associazioni locali. L’ampio locale della stalla storica settecentesca con volte a vela in mattoni diventerà una foresteria. Al piano inferiore, l’accoglienza dell’Hotellerie con salottino per gli ospiti e sala per le colazioni; al primo piano 9 camere doppie dotate di bagno privato: 3 nella parte originariamente abitata e 6 sopra la stalla settecentesca. Le camere saranno gli unici ambienti della Cascina Bassa climatizzati con impianti a ventilconvettori, mentre tutti gli altri ambienti saranno riscaldati tramite impianti a pavimento radiante. Nel basso fabbricato di fronte alla Cascina Bassa sarà allestito un laboratorio-deposito per il cicloturismo, dove potranno essere riparate e noleggiate le biciclette.

L’Ospedaletto diventerà un punto di ristoro con cantina dei vini nell’interrato e sala ristorante da circa 60 coperti nell’ex fienile. Saranno conservati e restaurati il soffitto a cassettoni in legno, la pavimentazione in formelle di cotto, il camino e la scala che manterrà intatto il disegno originario. Verrà anche recuperata la corte interna, un “hortus conclusus” in ciottoli di pietra ornato con il tau, il simbolo dell’Ordine dei frati ospitalieri che per secoli hanno fornito ausilio ai pellegrini della via Francigena, e tre alberi di melograno, a simboleggiare la continuità con la tradizione medievale che vedeva in questa pianta il simbolo dell’albero della vita. Lo spazio della pesa pubblica verrà mantenuto inalterato con la sola opera di consolidamento e manutenzione sia degli elementi meccanici sia degli elementi costituenti le murature. Nuova invece la fontana che sarà collocata nell’area antistante l’Ospedaletto a ricordare la tradizione locale della Moriana, dell’alta e bassa Valle di Susa, da Briançon a Sant’Ambrogio ed Avigliana, ricca dell’elemento acqua. Sarà allestita anche un’area dedicata alla coltivazione di piccoli ortaggi ed erbe officinali: una citazione delle aree agricole presenti nei cortili interni dei monasteri, nei quali le erbe officinali rappresentavano un ambito importante delle selezioni vegetali per la produzione di medicinali e rimedi salutistici suggeriti dalla pluriennale esperienza dei monaci farmacisti.

Con la risistemazione e parziale deviazione del corso della bealera che attraversa l’area dell’Ospedaletto mediante un sistema di chiuse a ghigliottina, si ricaverà un’ampia area parcheggio la cui pavimentazione sarà realizzata con supporti in materiale ecologico riciclato, inerbito e totalmente permeabile all’acqua. La superficie percorribile da auto e bus turistici sarà realizzata in materiale drenante, del tipo già adottato per la pista ciclopedonale che collega Avigliana a Sant’Ambrogio. Completano l’area accoglienza un frutteto con meli da fiore e la zona pic-nic separati visivamente dal parcheggio da una barriera vegetale.

 

I lavori termineranno entro il 31 dicembre 2026 e sono stati affidati, in forma di appalto integrato, che comprende la redazione della progettazione esecutiva, all’ATI costituita dall’Impresa Fantino S.p.A. di Cuneo e M.I.T s.r.l. di Nichelino sulla base del Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica redatto dal gruppo di professionisti facenti capo all’arch. Roberto Fraternali. Il gruppo di professionisti che, per conto dell’ATI, sta redigendo la progettazione esecutiva, è invece coordinato dal prof. arch. Giovanni Durbiano. 

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Giorni e orari di apertura: dal mercoledì alla domenica

Ore 9.30-13 (ultimo ingresso ore 12.30), 14-17.30 (ultimo ingresso ore 17)

Biglietti: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

Info e prenotazioni (dal mercoledì alla domenica):

011 6200603 ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Chieri illumina i mosaici di Monreale

E’ difficile andare via dopo averli visti, a Ravenna, a San Marco a Venezia o a Santa Sofia a Istanbul. Sarà capitato a tutti coloro che li hanno ammirati. Ma i mosaici bizantini dorati di Monreale sono ancora più stupefacenti. Siamo di fronte alla più grande decorazione di questo tipo in Italia, superiore, secondo gli esperti, anche a quella di San Marco a Venezia, e seconda al mondo, per estensione, soltanto alla basilica di Santa Sofia a Istanbul. Ora la nuova illuminazione del Duomo siciliano di Monreale, uno dei massimi capolavori dell’arte normanna e patrimonio dell’Unesco, esalta la straordinaria bellezza dei mosaici che rivestono le pareti dell’edificio religioso offrendo ai visitatori un impatto visivo del tutto eccezionale. Oggi il loro splendore colpisce ancora di più grazie a un ultramoderno sistema di illuminazione messo a punto dai tecnici del gruppo austriaco Zumtobel.
Tra le ditte coinvolte nei lavori di restauro anche la Fedelenergy di Chieri, azienda di manutenzione industriale elettrica ed elettronica dei fratelli Fedele, siciliani di origine. Grazie a loro, i ricchi mosaici bizantini della cattedrale di Santa Maria Nuova di Monreale sono tornati a brillare. I restauri hanno restituito splendore a una parte dei mosaici del Duomo voluto nel 1172 dal re normanno di Sicilia, Guglielmo II d’Altavilla detto il Buono, sepolto in cattedrale. Il nuovo impianto di illuminazione esalta i particolari dei mosaici creati da mosaicisti siciliani insieme ad artisti provenienti da Costantinopoli, esperti nell’arte del mosaico, alla fine del XII secolo. Su una superficie di oltre 6000 metri quadrati i mosaici dorati raccontano l’opera di Cristo, dalla Creazione all’Apocalisse, illustrano scene della Bibbia, dell’Antico Testamento ed episodi del Nuovo Testamento. Ma, come detto, l’emozione è oggi potenziata dalla nuova illuminazione a Led di una ditta chierese che sostituisce il vecchio impianto. Un trionfo di luci in una cattedrale ricca di storia e di bellezze artistiche che tutto il mondo ci invidia.      Filippo Re

Il fantasma di Tom Joad si aggira ancora per l’America

Tom Joad è il protagonista del romanzo più famoso di John Steinbeck, The Grapes of Wrath ( i grappoli d’ira) uscito negli Stati Uniti nel 1939 e conosciuto in Italia con il titolo Furore. Un capolavoro senza età dal quale John Ford trasse uno storico film (con Henry Fonda nel ruolo di Tom Joad). Il libro racconta un’epopea ambientata negli anni Trenta  del Novecento, durante la Grande Depressione negli Stati Uniti, narrando la storia di una famiglia costretta a lasciare la propria casa e la propria terra a causa della crisi economica, per trovare un nuovo futuro in un altro stato della grande nazione a stelle e strisce. Il capolavoro di Steinbeck giunse in Italia in epoca fascista e il regime immaginò di utilizzarne la storia in versione antiamericana, allo scopo di diffondere una immagine violenta e piuttosto primitiva dell’America di quegli anni.

Pubblicato da Bompiani venne comunque censurato perché, in fondo, quella ricerca ostinata di una speranza assumeva quei caratteri universali che al Duce e al suo entourage non piacevano per niente. Pagina dopo pagina John Steinbeck ci accompagna nella biblica trasmigrazione della famiglia Joad, assieme ad altre centinaia di poveri, dall´Oklahoma attraverso il Texas, il New Mexico e l´Arizona, lungo le famosa Route 66 ( che conoscerà altre storie letterarie, da Kerouac a tanti altri), fino alla California, “il paese del latte e del miele”, in cerca di una vita nuova e un poco di fortuna. Una speranza che viene ben presto delusa perché vi troveranno amarezze e stenti, al limite della sopravvivenza: paghe da fame, padroni duri e cinici, lavori da schiavi. Erano gli anni della grande crisi dopo il crollo di Wall Street nel 1929, dell’America dura e disperata, della lotta di classe più aspra, dei sogni che s’infrangevano a contatto con la  realtà. Woody Guthrie, il “menestrello della Grande Depressione”, padre putativo del folk revival degli anni ’60, scrisse una grande ballata su Tom Joad nel 1940, quasi dieci anni prima che Bruce Springsteen, il “boss” del rock, venisse al mondo. Influenzato da Guthrie e dalla storia, molti decenni dopo Springsteen trasformò Tom Joad in uno spirito, capace aggirarsi ovunque come un fantasma alla ricerca di una giustizia e una rivalsa in un mondo nel quale il destino degli emarginati è inevitabilmente un destino segnato da una cruda realtà che non smette di riproporre la propria attualità. The Ghost of Tom Joad è una canzone che parla di diseredati, di povertà e di un sistema economico spietato e ingiusto.

Un testo che non lascia spazio ai dubbi: “L’autostrada è viva questa notte e dove va a finire tutti lo sanno, io sono seduto qui accanto alla luce del fuoco ad aspettare il fantasma di Tom Joad. Ora, Tom diceva: – Mamma, ovunque ci sia un poliziotto che picchia un ragazzo, ovunque un neonato pianga per la fame, ovunque ci sia una battaglia contro il sangue e l’odio nell’aria, cercami mamma, io sarò là. Ovunque ci siano uomini che lottano per un posto dove stare o per un lavoro decente, o per una mano che li aiuti, ovunque ci sia gente che sta lottando per essere libera, guarda nei loro occhi, Mamma, e tu vedrai me –“. Il fantasma di Tom Joad è ancora ben presente nell’America di oggi, e anche se sono passati quasi ottant’anni l’impressione è che per gli ultimi ben poco sia cambiato. The Ghost of Tom Joad  è stato l’undicesimo album in studio di Springsteen, pubblicato nel 1995 dalla CBS Records. Presidente degli “states” era il democratico Bill Clinton che, di lì a poco, sarebbe stato rieletto alla guida della nazione. Un anno dopo, nel 1996, Springsteen, ne parlava così: “La maggior parte delle cose che ho scritto riguardano l’America di oggi, anche se trovano le loro origini nel passato. Anche la canzone di Tom Joad non è storica, ma è sull’America degli anni ’90“.

E, possiamo aggiungere, anche su quella odierna al tempo del secondo mandato di Donald Trump. Nella canzone si parla dell’autostrada, luogo simbolo del sogno americano, esaltato dalla generazione beat. Un immaginario ancora ben vivo ma popolato da gente senza speranza, il cui destino è un fuoco acceso sotto un ponte per scaldarsi. I Tom Joad di oggi sono i nuovi poveri, le vittime della grande recessione e della crisi economica che prese avvio negli Stati Uniti d’America nel 2007 in seguito allo scoppio della bolla immobiliare dei subprime, i disgraziati messi in ginocchio dalla pandemia del Covid, gli afroamericani e i latinos, gli homeless e in migranti, le principali vittime del nuovo ordine mondiale che piace al 47° Presidente degli Stati Uniti e al suo amico Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, sempre più affollato di gente senza lavoro e disperata, con poche libertà e scarso futuro.

Marco Travaglini

I vincitori dell’International Chamber Music Competition

A Pinerolo e Città Metropolitana di Torino

La sala del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino  era gremita domenica 9 marzo scorso per applaudire i vincitori della finale dell’International Chamber Music Competition “Pinerolo e Torino Città metropolitana”. Il prestigioso concorso biennale di musica da camera membro della World Federation of International Music Competitors di Ginevra (Unesco), nato nel 1994, ha visto esibirsi tra il 3 e il 9 marzo scorsi, tra Pinerolo e Torino, alcuni tra i migliori musicisti del panorama Internazionale.  L’ingresso gratuito e la promessa di vivere dal vivo l’emozionante conclusione di una competizione internazionale con un montepremi da 31 milioni e 500 mila euro hanno trasformato la finale in un  vero e proprio evento condotto da Federico Sacchi, musicteller.

Il concerto dei finalisti è  stato preceduto dai saluti di Laura Richard, presidente e direttore artistico della Fondazione Accademia di Pinerolo e Torino che da trent’anni organizza la competizione,  Rosanna Purchia, Assessora alla Cultura della  Città  di Torino, Francesca Costarelli, Vicesindaca e Assessora alla Cultura del Comune di Pinerolo.

La prestigiosa giuria aveva ammesso alla fine cinque gruppi, dichiarando di aver dovuto scegliere tra concorrenti di altissimo livello. La giuria era composta dal pianista austriaco  Claus- Christian Schuster, dal compositore italiano Francesco Antonioni, dallo spagnolo Cristo Barrios Reyes (clarinetto), dallo spagnolo Lukas Hagen (violino), dal pianista italiano Francesco Pennarola, Mariella Razavi alla viola, Wen Sinn Yang al violoncello. La giuria, selezionando tra 120 musicisti under 33 provenienti da 29 Paesi del mondo, ha assegnato il primo premio  di 13.500 euro ” Città di Pinerolo e Torino Città Metropolitana “ al duo Andersson, fondato nel 2019 dai rinomati musicisti lituani di giovane generazione Julija e Paulius Andersson, capaci di promuovere costantemente la scena musicale lituana all’estero e di presentare brani raramente eseguiti e programmi concettuali per il pubblico internazionale. 

Il secondo premio di 8000 euro ”Fondazione Accademia di Musica” è stato consegnato al duo Stefanelli-Pantani, in cui Francesco Stefanelli, nativo nel 1999 a San Marino, suona il violoncello, mentre Nicola Pantani, riminese, suona il pianoforte. Fin da giovanissimi hanno esplorato il vasto repertorio per violoncello e pianoforte.

Il terzo premio di 4000 euro  Premio Club Pinerolesi, Rotary Pinerolo, Lions Club del 

Pinerolese Host, Lions Club Pinerolo Acaja, Lions Club Barge- Bagnolo- Cavour, Lions Club Luserna S.G. Torre Pellice, Zona Club Pinerolo è stato assegnato al Trio Goldmund, formato dal violinista moscovita Putnikov Sergey, dal violoncellista tedesco Behrens Leopold e dal pianista cinese Liu Xinlai.

Andrea De Carlo per “Prendersi cura”

Sarà il celebre scrittore milanese il nuovo protagonista del Progetto ideato dal “Salone Internazionale del Libro” in collaborazione con “Esselunga”

Venerdì 14 marzo, ore 18,30

Con “Diamo spazio all’ascolto”, l’ormai consueto claim che accompagna gli incontri (con scrittrici, scrittori e figure del mondo culturale particolarmente apprezzate dal grande pubblico) del Progetto “Prendersi cura”, ideato dal “Salone Internazionale del Libro” di Torino, main partner “Esselunga”, che dal 2021 sostiene la manifestazione, sarà lo scrittore Andrea De Carlo – dopo la scrittrice romana Chiara Gamberale – il protagonista del secondo appuntamento organizzato, come sempre fra autunno e primavera, nei negozi “Esselunga” o in spazi pubblici ad essi vicini, nonché ovviamente nel mese di maggio al “Salone” di “Lingotto Fiere”.

Milanese, non solo scrittore, ma anche musicista e fotografo (in anni di residenza negli USA ed in Australia), nonché assistente alla regia di Federico Fellini, co-sceneggiatore con Michelangelo Antonioni e regista del cortometraggio “Le facce di Fellini” e del film “Treno di panna”, De Carlo (al suo attivo come scrittore 22 romanzi, tradotti in 26 Paesi e venduti in milioni di copie) presenterà a Torino, venerdì 14 marzoalle ore 18,30, il suo nuovo libro “La geografia del danno”, pubblicato per i tipi de “La Nave di Teseo”. L’incontro si terrà nei locali aulici della “Sala Gonin” di “Torino Porta Nuova”, vicino al negozio “Esselunga” di via Sacchi.

L’appuntamento, a ingresso libero e su prenotazione sul sito www.salonelibro.it , sarà introdotto da Marco Pautasso, segretario generale del “Salone del Libro”. Il tema su cui si concentra, quest’anno, “Prendersi cura” è quello della “famiglia”: le “relazioni” e la “parità di genere”, la “cura del nucleo” dal quale veniamo ed al quale tendiamo.

“La cura – afferma, in proposito Annalena Benini, direttrice del ‘Salone Internazionale del Libro’ – è costituzionalmente una relazione: tra chi è nel bisogno e chi se ne occupa. Prendersi cura degli altri ed essere curati, in diverse fasi della nostra vita, è una delle esperienze emotive centrali della nostra esistenza. Prendersi cura vuol dire molte cose: curare gli altri, se stessi, lo spazio in cui viviamo e quello che condividiamo, la natura, i mondi più o meno vicini con i quali interagiamo. La famiglia è il primo luogo in cui l’azione della cura si manifesta, o perlomeno così dovrebbe essere, quello in cui impariamo quali sono le nostre prime responsabilità e cosa fare per formarci come persone in relazione con il mondo esterno”.

E, attraverso l’avventura del suo ultimo libro, proprio di “famiglia” parlerà Andrea De Carlo, rendendo partecipe il pubblico e invitandolo a riflettere su una “storia vera” (pur se romanzata) “che viaggia attraverso il tempo, per cercare di indagare i riflessi che le vite dei nostri antenati hanno su di noi e quanto e come chi ci ha preceduti determini in parte chi siamo oggi”: una, e più storie, che sono storia di un “segreto di famiglia”, di una traversata oceanica dall’Italia al Cile in cerca di fortuna, di un’emigrazione dalla Sicilia alla Tunisia per le stesse ragioni. “Il libro è la storia di una ragazza cilena che arriva a Genova all’alba della Prima Guerra Mondiale e di un giovane ingegnere navale che perde la testa per un’attrice di teatro, ma anche di una compagnia di commedianti sudamericani che cela talenti straordinari e di una coltellata che sfigura un uomo e distrugge una famiglia”. Andrea De Carlo parte da una rivelazione che lo ha turbato, per cavalcare un’indagine che lo porta indietro nel tempo, ai primi decenni del secolo scorso e successivamente ancora più indietro, alla fine dell’Ottocento. Poco alla volta, grazie a vecchie fotografie ritrovate, scritti, incontri e un lavoro di osservazione e deduzione, l’autore ricostruisce, in tal modo, e ci presenta, con l’essenziale incisività di una scrittura fortemente partecipe e singolare, le vicende avventurose e drammatiche della sua famiglia. Che diventeranno tema portante di discussione, ampliandosi dalla pagina narrativa alla concretezza di una quotidianità su cui il pubblico sarà invitato e stimolato a riflettere e a condividere o a dissentire con esiti dialogici sicuramente intensi e coinvolgenti.

“Con questa iniziativa ‘Esselunga’ torna a dimostrarsi – sottolineano i responsabili del Supermercato, fondato nel 1957 a Milano e oggi attivo in Italia con oltre 170 punti vendita fra Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romana, Toscana, Liguria e Lazio – una realtà commerciale particolarmente, e da sempre, attenta nel sostenere le comunità dei territori in cui opera anche attraverso la promozione di eventi culturali”. Sempre in collaborazione con il “Salone Internazionale del Libro” di Torino, “Esselunga” è stata anche nel 2022 e nel 2023 promotrice nella “Sala Olimpica” di incontri e presentazioni di libri e autori legati al “mondo sportivo”. Nel 2023, inoltre, ha permesso l’incontro tra il pubblico e alcuni atleti olimpici e paralimpici e ha allestito un food truck con la sua “Cucina Esselunga” per i partecipanti alla manifestazione.

Gianni Milani

Nelle foto: Immagine – guida “Prendersi cura”; Andrea De Carlo; cover “La geografia del danno”

Fanny Vialardi di Sandigliano, l’amazzone piemontese

Una donna straordinaria che arrivò fino all’Himalaya e al Polo Sud.

Il 9 marzo scorso al Museo della Cavalleria di Pinerolo si e’ inaugurata la sala delle Amazzoni, dedicata alle celebri cavallerizze, che verra’ per utilizzata per diversi eventi pianificati nel 2025.

Durante l’incontro, che ha visto un susseguirsi di testimonianze ed interventi preziosi e prestigiosi, si e’ parlato anche di Fanny Vialardi di Sandigliano, la cavallerizza piemontese che ha portato gloria a questa regione nel 1925, al Concours Hippique International Militaire di Nizza, il primo campionato del mondo di monta all’amazzone su Zaglione, battendo concorrenti di alto livello come Yvonne de la Croix e vincendo il primo premio. Ma cosa vuol dire montare all’amazzone? Definita come modalita’ nell’800 prevedeva un abbigliamento speciale e vedeva la donna seduta su una sella speciale con le gambe posizionate da una parte del cavallo. La sua prima apparizione avvenne nel XIII secolo ed ebbe una evoluzione nel tempo soprattutto riguardo alla sella che, inizialmente, era molto scomoda e non permetteva di cavalcare con disinvoltura fino a che non arrivo’ quella con il doppio appoggio o corno.

Fanny, appartenente ad una delle famiglie piu’ conosciute e potenti del Piemonte: i Tornielli, fu una cavallerizza della scuola di Federico Caprilli che modifico’ lo stile e la relazione tra cavallo e cavaliere.

Gentile e mai aggressiva nella sua personalita’ di cavallerizza, la sua specialita’ fu il salto ad ostacoli; debutto nel 1923 ai campionati di Pinerolo e continuo’ la sua carriera partecipando a diversi concorsi in Italia e all’estero, soprattutto a quelli delle Grandi Prove Ippiche.

Nel 1922 sposò il conte Carlo Vialardi di Sandigliano, ufficiale e diplomatico e nel 1930 si ritiro’ dalle gare e si dedico all’allevamento dei cani che amava di piu’, gli airedale terrier, che le diedero’ molte soddisfazioni anche come campioni.

Fu una grande viaggiatrice in un periodo in cui spostarsi non era per nulla confortevole. Tra i suoi viaggi piu’ belli troviamo quello che fece sull’Himalaya in Nepal per i suoi 75 anni e l’altro al Polo Sud per celebrare i suoi 80.

In sua memoria, il nipote Tomaso Vialardi di Sandigliano ha istituito nel 2006 il Prix International Fanny Vialardi di Sandigliano, che premia ogni due anni la migliore amazzone del Rassemblement International des Amazones di Carcassonne. Fanny Vialardi resta una figura emblematica nel panorama equestre italiano, simbolo di eleganza, tecnica e passione per l’equitazione. Questa signora straordinaria ha contribuito a rendere piu’ accessibile lo sport alle donne, ha dimostrato, nel fatto specifico, che a cavallo non ci sono differenze di genere, neanche quando si tratta dei percorsi piu’ ardui e complicati. La sua vita e’ un altro importante esempio di volonta’ e tenacia non solo in riferimento alla sua carriera, ma anche per la sua audacia nel vivere la sua esistenza come desiderava e non secondo le aspettative culturali.

Maria La Barbera

Mara Antonaccio e la sua “Garibaldina”:  la nuova indagine di Milli Pazienza

“La Garibaldina”, ultima creatura letteraria della scrittrice Mara Antonaccio, in vendita presso lo store online Amazon, non è il solito thriller fine a sé stesso, ma un’indagine profonda sulle dinamiche dell’essere umano, attorno alle quali ballano quegli eventi della storia che fungono da legante delle stesse, mettendo in evidenza le personalità dei personaggi in un modo tale che alla fine del romanzo pare quasi di conoscerli, che in qualche modo e per qualche ragione abbiano fatto parte delle nostre vite.

I tratti realistici dei personaggi, e in particolare quelli della protagonista Milli Pazienza (chi ha letto “Delitto al Museo Egizio” ha imparato un po’ a conoscerla), mettono ognuno di noi a confronto con il proprio specchio, uno straordinario legame di parole che un letterato consapevole dona al lettore, la percezione che avviene appena sotto la pelle quando si entra in contatto empaticamente con persone, oggetti e simboli.  Riconoscendo l’universalità di quei comportamenti che sperimentiamo quotidianamente, fatti di coraggio, fragilità, fatica di rendere funzionale ciò che in ognuno di noi rimarrà per sempre disfunzionale, troviamo in Milli un esempio umano straordinario poiché privo di ipocrisia e difesa, come vuole la bella letteratura. In fondo la letteratura non è che uno maschera utile a raccontare la verità.

Sembra che ogni evento della storia scaturisca dallo sguardo di Milli, come se nascesse  un fiore attraverso i suoi occhi o da una particolare condizione dell’animo. Questa sensazione assume un significato veramente poetico se pensiamo a “Le Vie dei Canti” di Bruce Chatwin, in cui si narra della magia che gli aborigeni australiani evocavano attraverso il canto, la poesia, fondamentale per creare, prima ancora che per descrivere, il loro mondo. Insomma, il mondo non prende forma reale attraverso gli occhi di Milli, questo sarebbe banale, e l’autrice del libro non lo è, ma viene creato attraverso il canto delle interazioni umane e dall’urlo della fragilità. Il thriller in sé funziona molto bene: è fluido, appassionato e scritto con il rispetto per la parola che contraddistingue l’opera di Mara Antonaccio.

Dalla sinossi: “È passato più di un anno dal suo arrivo ai RIS di Parma e Milli si è integrata sia nella vita lavorativa, che in quella personale. Ai RIS si è creato un bel gruppo di lavoro con il capitano Parisi e i colleghi, la sua amicizia con il maresciallo Ciro Cangemi si è rafforzata, come la sua liason con il dott. Astolfi, il farmacista. La quiete della Bassa viene però turbata da una serie di delitti a sfondo sadomaso, in cui è implicata una cantante lirica, Mercedes Acosta. Tutte le vittime sono del mondo della lirica e vengono uccise in modi orribili, che sanno di omicidio rituale. ‘La Garibaldina’ è più di un semplice giallo: è una storia di resilienza, crescita e battaglie personali, in cui la protagonista si confronta con una giustizia che non è mai solo bianca o nera, ma si tinge di mille sfumature. Un romanzo avvincente, che intreccia investigazione, introspezione psicologica e mistero, tenendo il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina”.

Gian Giacomo Della Porta