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A Volpiano l’autrice Emma Russo presenta “È questione di felicità” giovedì 10 aprile 2025, ore 21 – Sala Polivalente “Maria Foglia”
Prosegue la rassegna “Incontro con l’autore”, promossa dalla Biblioteca Civica e dal Comune di Volpiano: giovedì 10 aprile 2025 alle ore 21, presso la Sala Polivalente “Maria Foglia” (via Trieste 1), si terrà la presentazione del libro “È questione di felicità” (Edizioni GFE) alla presenza dell’autrice Emma Russo.
Emma Russo, classe 1980, vive a Mappano e lavora come insegnante nella scuola dell’infanzia. Da sempre appassionata di lettura e scrittura, ha pubblicato il suo romanzo d’esordio “E poi… improvvisamente tu”, che ha ricevuto un’ottima accoglienza da parte del pubblico. Nonostante gli impegni della vita familiare e professionale, non ha mai smesso di coltivare la passione per la parola scritta, con costanza e dedizione.
Il nuovo libro, “È questione di felicità”, è il sequel del suo primo romanzo “E poi…improvvisamente tu”. Riprende i fili delle storie e dei personaggi già conosciuti, accompagnando il lettore in un’evoluzione emotiva e narrativa ancora più profonda. Con uno stile autentico e coinvolgente, Emma Russo esplora il tema della felicità con delicatezza e concretezza, interrogandosi su quanto sia legata a scelte consapevoli, relazioni sincere e piccoli attimi di verità quotidiana.
“La felicità, a volte, si nasconde nelle cose più semplici. In un gesto inatteso, in un silenzio condiviso, in un mattino senza fretta.”
(da “È questione di felicità”)
L’incontro sarà l’occasione per dialogare con l’autrice, conoscere il dietro le quinte del libro e riflettere insieme sul valore delle parole, delle emozioni e del tempo da dedicare a sé stessi.
Ingresso libero fino a esaurimento posti.
Per informazioni: biblioteca@comune.volpiano.to.it – 011 9882344
Torino sul podio: primati e particolarità del capoluogo pedemontano
Malinconica e borghese, Torino è una cartolina d’altri tempi che non accetta di piegarsi all’estetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre l’arancione dei tram storici continua a brillare ancorata ai cavi elettrici, mentre le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano all’irruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo “a misura d’uomo”, con tutti i “pro e i contro” che tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma l’antica città dei Savoia si conferma unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri “sudaticci” ma ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti, in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito – e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.
1. Torino capitale… anche del cinema!
2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo
3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici
4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio
5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente
6. Chi ce l’ha la piazza più grande d’Europa? Piazza Vittorio sotto accusa
7. Torino policulturale: Porta Palazzo
8.Torino, la città più magica
9. Il Turet: quando i simboli dissetano
10. Liberty torinese: quando l’eleganza si fa ferro
7. Torino policulturale: Porta Palazzo
Quanto mi piaceva andare al mercato di Porta Palazzo.
Ci andavo con mio padre, all’inizio, quando abitavo in precollina: si prendeva il tram 3 e si sbarcava direttamente in quel caos olente e chiassoso, un conglomerato multietnico di signore anziane con buste troppo piene e signori eccessivi dietro i banchi che si sgolavano per ottenere l’attenzione dei passanti.
Adoravo la vista di tutte quelle “cose” in simultanea, abiti colorati, formaggi appesi, collanine luccicanti, CD-ROM, videocassette, MP3, walkman, salumi giganteschi, interi e sezionati, verdure di ogni tipo, spezie, ortaggi e poi d’improvviso quel mefitico odore di pesce.
Un pezzo di città che percepivo come un mondo a parte, un mini-universo intricato e confuso, un bailame da cui si andava e si veniva attraverso le navicelle spaziali che erano pullman e tram.
Ho continuato a fare delle “scappate” con le amiche in seguito, soprattutto in occasione del “Gran Balon”, che ancora oggi si svolge ogni seconda domenica del mese, all’interno del Cortile del Maglio, ad opera dall’Associazione Commercianti Balon.
Torino è tante realtà, c’è la periferia e c’è il centro, c’è la “movida” e c’è il silezio dei parchi e c’è poi un cuore cosmopolita e indaffarato che pulsa brulicante tra lingue differenti e dialetti “impestati”.
Ed è proprio a “Pòrta Pila” -o anche “Pòrta Palass”- per dirla in piemontese, che si cela un altro record torinese: il mercato di Porta Palazzo è infatti il mercato all’aperto più grande d’Europa.
Inoltre, mi pare opportuno menzionare un altro primato del capoluogo, che si trova proprio lì, nei pressi del noto “bazar” locale, ossia la Porta Palatina di Torino, considerata una delle testimonianze di “porta romana” meglio conservate al mondo.
Si sta parlando di una zona dalla forte identità, tant’è che essa viene ritenuta un quartiere a sé stante -anche se non lo è a livello amministrativo-.
La denominazione deriva da una delle porte dell’antica Augusta Taurinorum, mentre l’inizio dei lavori, voluti dal Re Vittorio Amedeo II, avviene nel 1701, nell’ambito di un progetto più complesso il cui scopo era dare un nuovo assetto alla città.
È tuttavia solo dal 1835 che qui si stabiliscono i mercati, a seguito di un’epidemia di colera che comporta il divieto – almeno in centro città- della macellazione degli animali e della manipolazione dei pesci. Vengono allora edificati due palazzi in stile neoclassico -appositamente per le attività di macello- dei locali sotterranei adibiti a ghiacciaie, a cui si aggiungerà più tardi – molto più tardi in effetti, nel 1916- il padiglione dell’orologio, la più grande costruzione in ferro e vetro di tutta Torino.
Nucleo centrale della zona è senza dubbio “il quadrato” all’imbocco di via Milano, dove, fino al Settecento, si trovava la “posterla” di San Michele, una piccola porta secondaria utilizzata per accedere all’ingresso nord della città, in sostituzione della romana e vetusta Porta Palatina. Tale passaggio scompare a seguito dei progetti di Juvarra, il quale propone la realizzazione di una struttura ad arco trionfale, portici e paraste. L’abbattimento delle mura avviene però nell’Ottocento, per volere di Napoleone, solo a quel punto la piazza assume l’ampiezza attuale, con il prolungamento della piazzetta verso nord e l’aggiunta del grande spiazzo ottagonale che caratterizza l’odierna piazza della Repubblica.
Non cambia nel tempo il segno distintivo del luogo: “l’incontro”. Così infatti ne parla Fiorenzo Oliva ne “Il mondo in una piazza. Diario di un anno tra 55 etnie” (edito nel 2009): “Porta Palazzo è profumo di frutta e verdura, colori vivaci,vociare straniero mescolato agli svariati dialetti italiani, contatto con popoli lontani. A Porta Palazzo vivono, si incontrano e si scontrano l’Europa, l’Africa e l’Asia”.
Non basta tuttavia passeggiare tra le bancarelle, vi sono anche altri punti d’interesse da tenere in considerazione. I Padiglioni IV, II e V ad esempio: il primo è considerato simbolo per eccellenza del grande mercato, edificato nei primi del Novecento, è conosciuto dai torinesi come “l mercà dij busiard” (il mercato dei bugiardi), nonostante il soprannome poco cortese, la struttura è sempre stata zona di grandi affari; gli altri due edifici invece vengono eretti nel 1836, su progetto dell’ingegner Barone, uno dedicato al mercato del pesce e l’altro invece agli altri generi alimentari.
Da non dimenticare assolutamente poi il PalaFuksas, progetto realizzato da Doriana e Massimiliano Fuksas tra il 1998 e il 2005, dopo la demolizione del preesistente “Mercato dell’Abbigliamento” del 1963.
L’edificio, noto anche come “Centro Palatino”, viene inaugurato il 25 marzo 2011, ospita al suo interno due delle più antiche ghiacciaie sotterranee della piazza, rinvenute durante gli scavi per i lavori.
La struttura presenta una forte estetica contemporanea, caratterizzata dall’utilizzo del vetro e del metallo brunato, a sottolineare l’unione tra il moderno e le architetture eterogeee sviluppatisi nell’area negli ultimi tre secoli.
Nel 2019 partono importanti lavori di riqualificazione, dopo la chiusura di diversi punti vendita, viene così inaugurato il Mercato Centrale, che offre numerosi angoli gastronomici e ristoranti tipici in rappresentanza dei vari territori italiani.
Altro riferimento della zona è senz’altro il SERMIG, cruciale per quel che riguarda un concreto aiuto per alleviare le problematiche migratorie e sociali dovute a povertà e degrado.
Dal contemporaneo all’epoca romana, mi pare doveroso citare ancora l’antica Porta Principalis Dextera, “Pòrta Palatin-a o Tor Roman-e” in piemontese, l’originario accesso da settentrione per il capoluogo piemontese. Si tratta della principale testimonianza archeologica dell’epoca romana della città, nonché di una delle porte urbiche del I secolo a.C. meglio conservate al mondo; la struttura è compresa nell’area del Parco Archeologico, inaugurato nel 2006, insieme a Palazzo Reale e al Teatro Romano.
Un tempo nota come “Porta Doranea”, a causa della vicinanza con la Dora Riparia, oggi meglio conosciuta come Porta Palatina, dicitura derivante probabilmente dal latino “Porta Palatii.” I resti dell’architettura sono imponenti ed è più che visibile la somiglianaza strutturale con la Porta Decumana, inclusa nella successiva struttura medievale dell’attuale Palazzo Madama, entrambi gli ingressi rappresentano dunque un tipico esempio di “porta ad cavædium”, ovvero una struttura a doppia porta con “statio”, un cortile quadrangolare sul lato interno. Vicino è ancora presente parte del basolato, sempre di epoca romana, su cui è ancora possibile visionare i solchi sulle pietre provocati dal transito del carri. È opportuno specificare che le statue bronzee raffiguranti Cesare Augusto e Giulio Cesare non sono originali ma copie risalenti al restauro del 1934.
La struttura si è di recente ritrovata sotto i riflettori, grazie all’opera dello street artist francese Saype, il quale nell’ottobre 2020 ha realizzato un murale lungo il prato del parco. L’opera, raffigurante una catena di mani e braccia che si stringono tra di loro e che attraversano idealmente la Porta, può essere visualizzata esclusivamente dall’alto e non per sempre, infatti l’utilizzo di vernici biodegradabili la rende sì rispettosa dell’ambiente ma anche destinata a scomparire.
A Torino nulla è banale, nemmeno fare la spesa, ce lo insegna Gozzano: “Passiamo tra banco e banco, tra le cataste di stoffa, tra il gaio sventolare dei nastri e dei pizzi sospesi alle travi, ecco l’odore acre delle stoffe, mitigato, sostituito dall’aroma dei fiori; passiamo oltre, tra le chincaglierie, le terraglie, i vetri; veniamo alla nota vera, predominante di Porta Palazzo: quella gastronomica”.
Alessia Cagnotto
RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA
Vigdis Hjorth “Ripetizione” -Fazi Editore- euro 18,00
La Hjorth, una delle maggiori scrittrici norvegesi, ha fatto centro anche con questo romanzo apprezzatissimo dai critici e dal pubblico. Protagonista è una scrittrice 60enne che trova sicurezza nella ripetizione di alcuni rituali a cui si ancora per stare meglio a galla nella vita. Uno di questi è recarsi a Oslo ogni anno per assistere al concerto di Natale.
Sua è la voce narrante che racconta come trovarsi seduta accanto ad una famiglia sia stato l’innesco di un doloroso déjà vu. Nelle poltrone vicine, due genitori criticano e riprendono la giovane figlia per tutto il tempo. Apparentemente, nulla di grave.
Invece, per la protagonista, è la molla che fa scattare un viaggio a ritroso, e la catapulta nell’inferno dei suoi 16 anni; in una casa e una famiglia claustrofobiche ed opprimenti.
Rivive il senso di disagio di quando i genitori si parlavano senza di fatto dirsi nulla, incapaci di comprendere la figlia ed averne cura in modo equilibrato.
Soprattutto la madre si accaniva su di lei, ripetutamente e senza darle tregua; per ogni minima sciocchezza, spinta da sospetti continui e ingiustificati. La controllava in tutto, togliendole l’aria e qualsiasi possibilità di autostima.
Un’adolescenza profondamente infelice, quella della protagonista, che era solita sfogare i suoi stati d’animo nelle pagine di un diario segreto che nascondeva sotto il letto. Quando poi aveva incontrato un ragazzo più grande, col quale nella realtà non era successo nulla di grave, lei invece era volata con la fantasia. Si era inventata -e aveva descritto con dovizia di scabrosi particolari- una “prima volta particolarmente bollente”.
L’inferno domestico divampa quando la madre-sentinella rovistando, trova il diario. Persino il padre, peraltro precedentemente sempre rifugiato nelle retrovie delle discussioni, ora prende in mano la situazione e si trasforma in una sorta di spietato carnefice che non vuol sentire ragione…..
Senza anticipare altro, va detto che la Hjorth è magistrale nel giocare sui due piani dell’io 16enne e quello 60enne; nel mezzo c’è l’adulta, che nella scrittura trova la salvezza e la strada maestra per veleggiare tra i marosi della burrascosa esistenza.
Anjet Daanje “Il canto della cicogna e del dromedario” -Neri Pozza- euro 23,00
Prima ancora di addentrarvi nelle pagine di questo monumentale romanzo l’invito è a soffermarvi sulla bellezza della copertina; poi immergetevi nell’opera scritta magnificamente, che contiene tante storie, in una sorta di gioco di specchi e rimandi. I temi sono quelli che rendono immensa la letteratura: l’amore, la perdita, la morte, il tempo, il dolore, la sorellanza, il senso della vita…e molto altro ancora.
La scrittrice olandese Anjet Daanjie, ispirandosi alla vita nascosta di Emily Brontë, ha congegnato in modo sontuoso e di ampio respiro questo premiatissimo romanzo.
11 capitoli, equivalenti ad altrettanti biografie di personaggi che, in qualche modo, hanno avuto a che fare con la vita di Eliza May; scrittrice di immenso talento di cui si scoprirà la grandezza letteraria solo dopo la morte.
Al centro del primo capitolo c’è la moglie 60enne del falegname, Susan Knowles-Chester, che presta i suoi pietosi servigi al capezzale di chi sta esalando gli ultimi respiri. I concittadini detestano il suo lavoro. Dove va lei, il dolore e la morte la seguono; eppure, sono in molti a chiederne l’aiuto.
La sua esistenza sarà segnata il 12 dicembre 1847, quando prepara per il viaggio finale proprio Eliza May, morta improvvisamente e in modo misterioso, a casa del cognato. Susan trova il corpo ancora tiepido, malamente gettato sul letto, consumato dalla fame, con il volto ossuto.
Lo spazio tra l’ultimo respiro e la tomba è affidato a Susan che lo svolge con infinita pietas.
Ed è da qui che il romanzo prende l’avvio, poi scorre attraverso vari personaggi ed attraversa i secoli per arrivare fino ai giorni nostri.
Sharon Gosling “Il faro che custodiva i libri” -Garzanti- euro 16,90
E’ il libro con cui l’autrice inglese (di cinema, spettacolo e televisione) Sharon Gosling esordisce in letteratura. La storia si svolge in un affascinante faro, trasformato in libreria, immerso in un piccolo paesino immerso nelle lande scozzesi.
E non è un caso, perchè Gosling, vive con il marito in una cittadina della Cumbria, Nord dell’Inghilterra, a Newton Dumbar, nell’Aberdeenshire, in Scozia.
Protagonista è la giovane Rachel: occhi color turchese, capelli scuri e corti. Per troppo tempo si è come lasciata trascinare dagli eventi e dallo scivolare via del tempo; ora è alla ricerca di una nuova traiettoria di vita ed ha trovato rifugio in questa sorta di nido protettivo.
E’ il faro dai massicci muri in pietra e minuscole finestre, costruito agli inizi del XIX secolo in piena campagna scozzese, a chilometri di distanza dal mare. Un faro che non guida i naviganti nella tempesta, ma compie salvataggi altrettanto importanti: illumina l’anima!
Dopo l’iniziale spaesamento, Rachel si adatta velocemente. Si lascia avviluppare dal senso di appartenenza alla nuova comunità e ai clienti abituali che, come lei, amano i libri e le storie che raccontano. Sistema i volumi sugli scaffali, offre tazze di tè agli avventori e con loro scambia consigli, pareri letterari… e non solo. Tutto sembra scorrere quasi in un’atmosfera magica.
Quando però, la giovane scopre l’esistenza di una stanza segreta che potrebbe contenere la risposta ai suoi tormenti, il dilemma è: fuggire o restare? Saprà trovare la forza e il coraggio di affrontare quel passato irrisolto che continua ad inseguirla?
Patricia Cornwell “Identità sconosciuta” -Mondadori- euro 23,00
Chissà se teme la morte l’anatomopatologa Patricia Cornwell?
Lei che è tra gli autori di thriller più letti al mondo. Oltre 100 milioni di copie vendute, pubblicate in più di 126 paesi, tradotte in 36 lingue. 68 anni portati divinamente, capelli biondi corti, occhi freddi e glaciali, piglio deciso.
Scrivere è stato uno dei suoi modi per controllare la realtà esterna e le cicatrici private di un’infanzia difficile. Abbandonata dal padre, una madre inghiottita dalla depressione, una terribile storia di abusi nella famiglia affidataria.
Cornwell si è buttata nel lavoro ed ha conseguito una successo dopo l’altro: prima cronista di nera, poi anatomopatologa e scienziata, clamoroso infine l’exploit come scrittrice.
La sua protagonista Kay Scarpetta la rappresenta egregiamente. In quest’ultimo libro si trova ad indagare sull’assassinio di una bambina di soli 6 anni, Luna Briley, la cui brevissima vita è stata un inferno. Emaciata e costellata di lividi, i genitori miliardari affermano che si sarebbe sparata per sbaglio da sola.
A complicare la vita di Kay si aggiunge il macabro ritrovamento del cadavere del premio Nobel Sal Giordano, astrofisico, ex fidanzato proprio di Scarpetta. Non una morte facilmente decodificabile, perché, secondo i testimoni, il corpo sarebbe stato gettato da un oggetto volante non identificato, ma simile a un Ufo….
E ricompare anche l’antica, spietata, nemica, Carrie Grethen: psicopatica criminale sovietica che si diletta a colpire persone vicine a Kay….
La Fondazione Merz Torino ospiterà domenica 18 maggio, alle ore 19, una serata di dialogo e confronto dedicata al progetto di residenza nomade “Viaggio in Sicilia”, promosso da oltre vent’anni dall’azienda vitivinicola Planeta. Si tratta di un’occasione per presentare il volume della IX edizione Coppe di Stelle nel cerchio del Sole, e raccontare la lunga collaborazione e tra Planeta e Fondazione Merz. L’appuntamento, che fa parte del Salone Off, si inserisce nel calendario degli eventi sul territorio del Salone del Libro di Torino, proponendo una riflessione sul viaggio come esperienza artistica e sul legame tra arte contemporanea, paesaggio e memoria. Il libro raccoglie i molteplici sguardi di artisti e intellettuali che nel 2021 hanno attraversato la Sicilia all’interno della residenza nomade “Viaggio in Sicilia”, restituendo le loro esperienze in una mostra ospitata nel 2022 alla Galleria Regionale della Sicilia presso Palazzo Abatellis. Il volume, pubblicato nel 2023, presentato al pubblico per la prima volta, restituisce le riflessioni nate da questa intensa esperienza di viaggio, insieme ai contributi scientifici realizzati per la mostra. In occasione dell’esposizione, oltre le opere d’arte prodotte appositamente, sono tate restaurate da Planeta alcuni manufatti in stile islamico, conservati nei depositi di Palazzo Abatellis, ed esposti per la prima volta. Con testi di Valentina Bruschi, curatrice; Evelina De Castro, all’epoca direttrice di Palazzo Abatellis e oggi alla guida del Museo Regionale di Arte Moderna e Contemporanea di Palermo; Vito Planeta, responsabile Planeta Cultura; Valeria Sola e Benedetta Fasone, archiviste e storiche dell’arte della Galleria Regionale della Sicilia, il volume intreccia parole e immagini, includendo un visual essay di Matteo Buonomo; contributi della scrittrice Chiara Barzini e le interviste a vari artisti quali Bea Bonafini, Gili Lavy, Diego Miguel Mirabella ed Emiliano Maggi.
Il dialogo del 18 maggio includerà un approfondimento sul tema dell’orientalismo, centrale nella mostra Coppe di Stelle nel cerchio del Sole, ospitata a Palazzo Abatellis, e sarà guidato da Davide Quadrio, direttore del MAO Museo d’Arte Orientale e curatore della personale dell’artista Yto Barrada, vincitrice della quarta edizione del Merz Prize, nell’ultima giornata di mostra presso gli spazi della Fondazione Merz.
L’incontro offrirà anche uno sguardo sulle molteplici connessioni tra Planeta e Fondazione Merz in Sicilia, sottolineando i legami tra la Fondazione torinese e l’azienda, unite da comuni interessi culturali, come il tema della ricerca dell’ultima edizione del “Viaggio in Sicilia” e la collaborazione con alcuni degli artisti coinvolti. Tra i progetti condivi emergono “Radiceterna”, biblioteca permanente presso l’orto botanico di Palermo, evento collaterale di Manifesa 12, il “Comodato dell’opera Fibonacci di Mario Merz” nella tenuta sull’Etna, installato tra i terrazzamenti in pietra lavica, dove ogni anno viene messo in scena lo Sciaranuova Festival Teatro in Vigna, il coinvolgimento di Gili Lavy, finalista al Mario Merz Prize nel 2017 e protagonista della residenza nel 202, la collaborazione al Progetto ZACentrale ai cantieri culturali della Zisa.
In anteprima verrà anche annunciato il nome dell’artista selezionato per la prossima residenza di “Viaggio in Sicilia”, che porterà alla realizzazione di una nuova opera in vista nel 2026, e il concerto dei finalisti della quinta edizione del Mario Merz Prize sezione musicale, in programma il 28 giugno 2025 presso la Cantina Ulmo a San Buca di Sicilia.
Fondazione Merz – via Limone 24, Torino
Tel: 011 19719437 – info: info@fondazionemerz.org
Mara Martellotta
Intriso di leggende e storia il mistero templare sopravvive a pochi passi da Torino, attorno e dentro il castello medioevale della Rotta a Moncalieri. Una residenza frequentata nel Medioevo, e anche successivamente, da vari Ordini cavallereschi. Leggende sui fantasmi di cavalieri morti in battaglia e giovani donne suicide che si lanciano dalla torre della rocca circolano numerose ancora oggi.
Non solo, ma sotto il castello, sarebbe rimasta una galleria attraverso la quale si poteva raggiungere Moncalieri da una parte e il piccolo borgo Gorra dall’altra. Siamo davanti a uno scenario templare di tutto rispetto in cui affiorano una lapide murale con racconti presumibilmente legati all’epoca delle Crociate e leggende misteriose come quella di una giovane fanciulla giunta dalla Francia per sposare il proprietario del maniero. Un signore ricco e facoltoso ma troppo brutto e deforme per sposarlo. Ma le nozze erano obbligate. Un tal giorno la giovane vola, forse spinta, da una finestra e si sfracella sul ponte levatoio. Leggende che rivivono avvicinandosi alla dimora che, pur decadente e attaccata dalla vegetazione, non ha perso nulla del suo fascino antico. Si trova in aperta campagna, a pochi chilometri da Moncalieri, nella frazione La Rotta, tra la statale e l’autostrada ed è raggiungibile percorrendo un sentiero sterrato e polveroso nelle cui vicinanze scorrono il Po, il Banna e lo Stellone. L’antico edificio aveva una funzione strategica: difendere il ponte sul torrente Banna sul quale passava la strada romana proveniente da Pollenzo. Passò in seguito ai cavalieri Gerosolimitani di Moncalieri che possedevano altri terreni nella zona e che nel Quattrocento ristrutturarono ampiamente l’edificio. I Cavalieri dell’Ordine del Tempio, fondato nel 1118-19, furono presenti in Piemonte e a Torino, secondo gli storici, già nella prima metà del dodicesimo secolo. Con la torre di vedetta, un grande cortile interno, l’ospizio per i pellegrini, la cappella, le stalle, il pozzo, magazzini e sotterranei, il castello presentava le caratteristiche di una “domus” templare e, secondo la studiosa Bianca Capone Ferrari, la Rotta assumeva le sembianze di una casa-forte templare dipendente dalla domus templare di Sant’Egidio di Testona vicino al ponte sul torrente Banna. La Capone scrive che il nome del castello deriverebbe dalla rotta, dalla sconfitta subita dal duca Tommaso di Savoia nella guerra contro i francesi nel 1639 ma già nel Quattrocento veniva indicato come Grancia Rupta dai gerosolimitami di Moncalieri. O forse ancora il nome deriverebbe da una rotta militare antica oppure da rotha (roggia) per la presenza di molti corsi d’acqua che scorrono nella zona. Non si sa quando i templari lasciarono la fortezza ma un documento conservato nell’archivio della città attesta che, verso la fine del Duecento, alla Rotta erano già presenti i Gerosolimitani. Negli anni Ottanta il fortilizio fu restaurato e riportato all’antico splendore. Come detto, le leggende sul castello sono talmente numerose che hanno suscitato l’interesse di curiosi ed esperti secondo i quali il momento più propizio per “osservare” i fantasmi sarebbe la notte tra il 12 e il 13 giugno.
Filippo Re
GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA
Lunedì. Al Dorado è di scena Mark Eitzel. Al Lambic si esibisce Paolo Jannacci in duo con il trombettista Daniele Moretto.
Martedì. Al Blah Blah suona Jesse Dayton. Al Vinile è di scena Alex Vaudano.
Mercoledì. All’Inalpi Arena arriva Jovanotti per 6 concerti: 9, 10, 12, 13, 15, 16. All’Osteria Rabezzana suona il quartetto di Dario Lombardo. Al Vinile si esibisce il trio Girinsoliti. Al Blah Blah suonano gli Ora Nefasta.
Giovedì. Allo Ziggy sono di scena Kill Your Boyfriend e Valerian Swing. Al Blah Blah suonano i Bittersweethearts+ Aurora Motel. Allo Spazio 211 si esibisce Massimo Silverio. Al Magazzino sul Po è di scena Cigno. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Dente. All’Osteria Rabezzana suona lo S. Rwe Quintet. Al Cap 10100 si esibiscono i Gazebo Penguins.
Venerdì. Al Texido è di scena Garbo. Al Blah Blah suonano i Monaci del Surf. All’Off Topic sono di scena gli Amore Audio. Al Folk Club si esibisce Michael McDermott. All’Hiroshima sono di scena i Les Votives. Al Circolino suona il Tokyorama Instabile Quartet.
Sabato. Al Magazzino sul PO si esibiscono i Jumpin’Quails. Al Folk Club suona Jon Gomm.
Domenica. Alla Divina Commedia sono di scena i Tramps.
Pier Luigi Fuggetta
“Inattesa”, la presentazione al Circolo dei Lettori il 7 aprile
Una casa. Una casa propria e altrui, soprattutto. Matteo Paola Martina Mattia prima, centinaia migliaia di altre persone, un mondo, un mondo sconosciuto e che non ti aspetti – inatteso, anche questo -, poi. “Un giorno capita un incidente a nostro figlio: una caduta quasi banale – un qualcosa di “imprevedibile”, il 18 novembre 2021, ad un giovane ragazzo di liceo, a tutti i suoi – ma che ha messo a rischio la sua vita e che ha totalmente sconvolto le nostre. Oggi stiamo vivendo una “nuova” vita in cui vogliamo dare un aiuto concreto a chi, come noi, si è trovato in una situazione difficile.” Nasce la Fondazione Morandi, “una realtà che sostiene la formazione di nuovi medici all’avanguardia, dalla chirurgia d’urgenza all’educazione, supportando sanità, scuola e sport sul territorio. Capace di creare connessioni e opportunità, realizzando progetti innovativi che diano velocemente risultati inattesi, rendendo accessibili percorsi formativi innovativi a chiunque senta l’esigenza di portare aiuto concreto.”
Succede questo un giorno all’interno della famiglia Morandi, del capofamiglia Matteo che è manager di grandi aziende, un episodio drammatico e una decisione, un grave incidente in moto del figlio e il coinvolgimento di altre persone, professionisti e medici e chi sappia “sentire” secondo i loro medesimi sentimenti. Nasce anche un libro a narrare quei momenti e quella disperazione, quella speranza continua che non abbandona e un nuovo orizzonte, “Inattesa”, scritto da Matteo Morandi con Lidia Labianca, edito dalla Egea Edizioni (casa editrice dell’Università Bocconi), un titolo sospeso che si presta a una doppia lettura. Verrà presentato lunedì 7 aprile alle 18,30 nella Sala Grande del Circolo dei Lettori: una testimonianza a chiedersi ancora tanti perché, a ricordare, a descrivere quello che l’autore chiama “l’Evento”, magari ad agguantare quel trauma che ha sconvolto delle vite ma che è stato la spinta, il punto di partenza per un nuovo confronto con l’Altro, per rivedere le proprie convinzioni e l’indirizzo più consapevole della propria economia, per dare un senso maggiore alla propria esistenza e al proprio lavoro. Progetti sfide traguardi da raggiungere, in quella “inattesa” disponibilità a cui l’Evento ha spinto una intera famiglia.
Elio Rabbione
Nelle immagini, la copertina di “Inattesa” e l’autore Matteo Morandi.
Con “Sarabanda”, girato per un pool di televisioni europee, tra cui la Rai, con tecniche digitali, l’ineguagliato Ingmar Bergman firmò nel 2003, a quattro anni dalla morte, il suo testamento artistico, tornando a visitare i personaggi di “Scene da un matrimonio”, a distanza di trent’anni. Ancora Marianne e Johan, ancora Liv Ullman e Erland Josephson. Marianne è tornata, all’improvviso, senza un vero perché (o, al contrario, in una opposta visuale, c’è in quella visita qualcosa di precostruito, il desiderio di mettersi ancora una volta nella vita del suo uomo? “pensavo che tu mi stessi chiamando”, una sua suggestione), da quell’uomo da cui da decenni s’è divisa, con cui ha trascorso tradimenti e desideri affettuosi e fisici di ricongiungersi, vivendo e dimenticando (“l’arte di nascondere la spazzatura sotto il tappeto” s’intitolava uno degli episodi di quella serie televisiva); lo ritrova chiuso e solitario nella propria casa tra i boschi, agguerrito misantropo, circondato dai libri, vicino di casa di un figlio, Henrik, chiuso anch’egli in una piccola proprietà con la figlia diciannovenne Karin, con cui non colloquia, alimentandosi tra gli squarci di incomprensioni e di autentico odio che potrebbero sfociare anche nella violenza. Di entrambi è forte l’amore per la ragazza, del primo affettuoso (per vero affetto? o per una qualche inconfessata convenienza?), dell’altro, musicista e facilmente improvvisatosi ferreo insegnante, oltremodo ossessivo e soffocante, ore di studio per l’implacabile perfezione del violoncello. Prove difficili, un obbligo a primeggiare – un futuro da solista – a cui Karin sente che non sarà mai pronta, il desiderio di fuggire, di viaggiare a scoprire nuovi giovani colleghi, luoghi diversi, atmosfere ben lontane da quella in cui è cresciuta: mentre sui loro momenti aleggia il sospetto di un suggerito incesto.
Un abbandono che su Henrik ha traumi di autodistruzione – “maledetto Henrik maledetto, povero idiota” urlerà il vecchio patriarca -: e Marianne che continua a osservare quel gioco al massacro, nel trascorrere dei giorni e delle stagioni, coinvolta e muta, a correggere, a sostenere, a tentare di costruire un’affettuosità che non potrà mai esistere. Ad intromettersi, la presenza sospesa di Anna, la moglie scomparsa di Johan (in un incidente), un’assenza ingombrante, una fotografia poggiata sul tavolino che ha il peso dell’immagine sacra sopra un altare. La disperazione, un rinfacciare continuo, le continue incomprensioni e il rancore, un’angoscia che s’è ormai impadronita e non si può più cancellare e che alla fine esplode, il tentativo d’imporsi sempre, la fuga, gli acidi sentimenti e la rabbia che si spargono attraverso dieci scene, più un prologo e un epilogo, omaggiando altresì musicalmente, tra Bach e Brahms, quella “sarabanda” che oltre a suonare come titolo è un movimento di danza rispettato nella presenza, durante i cento minuti della durata, sempre, di due soli personaggi, scena dopo scena. È il rapporto guasto di padri e figli, del frantumarsi della famiglia, quei dolorosi pezzi di vita e quelle ferite che non si rimarginano. Tutto si anima di urla e di parole e di silenzi, di sguardi e di piccoli gesti, ogni cosa pronta a investire quel quartetto che tenta di risorgere ma che nel finale è ancora lì a contorcersi e a buttar fuori lamenti muti. Portando la vicenda sul palcoscenico (con la traduzione di Renato Zatti), Roberto Andò – uomo di teatro e di cinema (dal “Manoscritto del principe” sino agli ultimi successi “La stranezza” e “L’abbaglio”, passando attraverso quella “Storia senza nome” che s’ispirava al furto nel ’69 della “Natività” di Caravaggio mai più ritrovata) e di lettere (il suo più recente romanzo è “Il coccodrillo di Palermo”, edito dalla Nave di Teseo) -, con una coproduzione dei Teatri di Genova e Napoli e del Biondo di Palermo, sino a domenica 6 aprile presenta al Carignano, nella stagione dello Stabile di Torino – Teatro Nazionale, l’ultima fatica del regista svedese.
La sua direzione, dalle cadenze precise, lavorando sempre in levare, geometrica e prosciugata dei gesti e delle parole, cadenzate una a una, limpide, e di tutte le conclusioni che potrebbero suonare superflue, non soltanto s’impagina tra le tavole di un palcoscenico ma prima di tutto guarda al cinema, quasi un meccanismo inventato, quasi un susseguirsi di piani cinematografici, di dissolvenze e di primi piani, come del resto le scene spoglie, da Gianni Carluccio, nel preciso svolgersi dei vari capitoli aperti e richiusi da pareti mobili, orizzontali e in verticale, quasi musicalmente un movimento che s’incunea nel movimento successivo. All’interno, tra luci catturate nel loro intrecciarsi di luci e di zone oscure dalle opere caravaggesche (certi tagli in obliquo da cappella Contarelli) e da quanti tra i seguaci al pittore possano essere riferiti, operano quattro attori in vero stato di grazia. Renato Carpentieri crede di essere l’uomo ormai staccato da tutto e da tutti ma in realtà è il padre che si sta consumando nell’angoscia, grande attore capace di costruire scena dopo scena un prova eccellente, Caterina Tieghi che preferiamo nella contenitura del suo dramma, a tratti un po’ troppo sopra le righe, Alvia Reale nel ruolo della eccellente osservatrice. La mia personale palma va alla prova di Elia Schilton, di cui alla prima si sono ammirati appieno la pacatezza e gli scatti di rabbia, le parole rotte o trattenute, il ricamo che riesce a imprimere al proprio Henrik di gesti che sono un raro esempio di equilibrio e di calibratura, visibilmente il più disperato componente di questo gruppo di famiglia dentro a un nerissimo interno, espressione tutti del male di vivere. Le musiche che accompagnano lo spettacolo sono di Pasquale Scialò, da centellinare, come ogni momento che ci ritroviamo ad applaudire: uno dei migliori, affascinanti, intelligenti spettacoli visti sin qui nella stagione, decisamente.
Elio Rabbione
Le immagini dello spettacolo sono di Lia Pasqualino.