CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 146

In mostra “Pinocchio nel paese dei Tarocchi”

 

 

Sabato 20 aprile, alle ore 16, alla presenza dell’artista Lorenzo Maria Bottari, delle autorità e dei critici, si inaugura presso gli spazi di Open Ada, in via Repubblica 6, a Torre Pellice, la mostra “Pinocchio nel paese dei Tarocchi” di Lorenzo Maria Bottari, curata da Monica Nucera Mantelli, con interventi critici di Antonio Mirevi, il patrocinio culturale della Fondazione Collodi e il patrocinio del Comune di Torre Pellice.

“Si tratta di una mostra magica e catartica, come solo fiabe e Tarocchi insieme sanno creare del genio creativo di un grande artista siciliano – spiega la curatrice “.

In esposizione quasi una cinquantina di lavori, tra cui 23 tele50×70, dedicata all’incroci del burattino più famoso di tutti i tempi, annesse alle simbologie archetipiche degli arcani maggiori, oltre a schizzi e stampe a tema. Non mancheranno oggetti d’artista quali il libretto con cartoline e cofanetto dei Tarocchi, curati da Miredi e editi da Attini Arte. Sabato 4 maggio, alle 15.30, si terrà un evento collaterale interattivo con il pubblico, inserito nel calendario del Salone OFF, con l’esperto di Tarocchi di ispirazione jodorowskiana Dario Noascone, dal titolo “Con Pinocchio, conoscersi con i Tarocchi”. L’introduzione, tra arte e psicomagia, sarà curata da Monica Nucera Mantelli. L’ingresso all’appuntamento è gratuito fino a esaurimento posti. La mostra, in corso da sabato 20 aprile, sarà visitabile fino a sabato 25 maggio 2024, il venerdì pomeriggio dalle 15 alle 18, il sabato con il medesimo orario e la domenica su appuntamento. L’ingresso è libero. Si segnala inoltre che, presso Open Ada, centro culturale di titolarità dell’Associazione Decima Arte, sono in permanenza presenti opere a tema di Enrico Colombotto Rosso e Beny Giansiracusa.

“Con Pinocchio precipitiamo nelle sue avventure – spiega Antonio Miredi – nel suo meraviglioso vagabondaggio, pronti come l’immortale burattino a sorprenderci e spaventarci nelle continue prove ad ostacoli, nelle metamorfosi delle forme, in una fuga vissuta con abbandoni e ritorni. In Pinocchio, il reale e il fantastico si mescolano in maniera non logica ma analogica, mantenendo vivo lo sberleffo della comicità. Intrecciare il simbolismo del racconto di Pinocchio alla magia dei Tarocchi offre all’artista Lorenzo Maria Bottari l’occasione di un doppio viaggio e di un doppio sogno. La fedeltà della narrazione pittorica non è quella pedante della filologia, ma quella estrosa e sensualmente allusivo dell’artista, che pone il suo talento istintivo e cromaticamente acceso e avvolgente al servizio del raccontare dipingendo e del dipingere raccontando.

Si terrà anche un evento nell’ambito del Salone Internazionale del Libro OFF, sabato 4 maggio, alle ore 15.30 dal titolo “Pinocchio, conoscersi con i Tarocchi”. La falsificazione della realtà o la creazione di nuove realtà è parte integrante della storia dei Tarocchi che, nel corso dei secoli, si è spostata dalle case dei ricchi e dei nobili alle osterie, dalle botteghe d’artista agli antri di maghi e cartomanti, dai salotti di occultisti agli studi di psicologi, da una parte la storia reale, dall’altra quella altamente simboli costituita dagli esoterismo, sono entrambi imprescindibili per conoscere i Tarocchi, le cui immagini archetipali sembrano metterci di fronte a verità che non vogliamo affrontare. Nel corso dell’incontro condotto da Davide Noascone, consulente generazionale famigliare, e con l’intervento speciale di Monica Nucera Mantelli, scopriremo come le bugie, la specialità di Pinocchio, che sempre oscilla tra il matto e il bagatto, spesso non siano altro che un modo differente di vedere la realtà, e come esse siano una caratteristica terapeutica dei Tarocchi. Tra immagini vecchie e nuove e simboli multiformi, il momento dell’incontro trarrà linfa e ricchezza dall’interazione tra l’intervistatrice e il pubblico, che sarà invitato su base assolutamente volontaria a confrontarsi con i segni archetipali e le bugie dei 22 Trionfi. L’artista in esposizione è Lorenzo Maria Bottari, nato a Palermo il 29 agosto 1949, penultimo di una famiglia di 10 figli. La vocazione artistica sarà la spinta che lo porterà a Firenze nel 1968 come un vero bohemien, viaggiando e vivendo fra significativi incontri con De Chirico, Guidi, Guttuso, Cagliari, Lam, Kodra e altri coetanei come Vanni Viviani e Mimmo Germanà.

È stato Renato Guttuso a presentare nel 1980 la sua prima importante cartella di xerigrafie materiche intitolata “La cattedrale di Palermo”, nella storica galleria Schettini di Milano, dove nel frattempo si è trasferito, mantenendo uno spirito nomade che lo vedrà presente nelle mostre internazionali di Londra, Vienna, Parigi, New York, Milano, Stoccolma e Berlino tra le altre. La conoscenza diretta della grande poetessa Alda Merini negli anni 90 a Milano, diventa l’occasione di un poetico omaggio con tele ospitate in diverse mostre in giro per l’Italia e nello spazio-museo Alda Merini di Milano. L’interesse verso la letteratura e le sue contaminazioni lo portano a interessarsi alla figura di Pinocchio, oggetto di ricerca e studio pittorico dal ’93. La Fondazione nazionale Collodi lo invita nel ’99, con le sue carte bozzetto “Pinocchio nel paese dei Tarocchi”, a Collodi, dove fa ritorno nel novembre 2022 con la mostra di dipinti su tele originali in cui la magia dei grandi arcani e la storia di Pinocchio trovano un luogo congeniale. Pinocchio e i Tarocchi con l’edizione Attini diventano 22 cartoline cofanetto con testo a cura di Antonio Miredi, a diffusione limitata, presentato con annullo dell’ufficio postale filatelico di Milano.

 

Mara Martellotta

L’isola del libro Speciale Truman Capote

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Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Geniale, omosessuale, narcisista, amante della notorietà, del lusso e del bel mondo… questo e tanto altro ancora è stato Truman Capote. La sua vita è una parabola affascinante. Partito dal disagio di una famiglia disfunzionale, sale gli scalini sociali, arriva alla vetta, e poi precipita per aver avuto l’ardire di svelare i segreti dei ricchi e potenti di Manhattan di cui si era circondato. Con quel gesto imperdonabile è come se avesse rivolto una pistola fumante contro la sua tempia; dopo raccoglie solo ostracismo e piomba nel dimenticatoio. Fine di un destino beffardo.

 

Truman Streckfus Persons (questo il suo vero nome) nasce a New Orleans il 30 settembre 1924.

La madre, Lillie Mae, è una bella adolescente orfana che vive in una piccola cittadina dell’Alabama; quando incontra il 25enne dalla parlantina brillante, Arch Persons, pensa di aver trovato la via d’uscita per scappare dalla sonnolenta e provinciale Monroeville.

Lui è un donnaiolo fanfarone e povero in canna; questa è l’amara scoperta di Lillie Mae subito dopo l’affrettato matrimonio. Dunque parte in salita la vita del piccolo Truman, la cui nascita è vissuta malissimo dalla madre che non si occuperà mai del figlio; lui la ricambierà con un profondo disprezzo per tutta la vita.

 

Dopo il divorzio dei genitori, quando Truman ha 6 anni, viene praticamente abbandonato e trascorre una desolata infanzia a casa di parenti a Monroeville. La madre ogni tanto compare e se lo trascina dietro, chiudendolo a chiave in squallide camere d’albergo, mentre incontra i suoi amanti. Invece del padre perderà le tracce fino a quando, diventato ricco e famoso, viene contattato dal genitore in cerca di soldi.

L’unica luce dei suoi primi anni è l’amicizia con la piccola vicina di casa, il geniale maschiaccio Harper Lee, che diventerà famosa e vincerà il premio Pulitzer con il romanzo “Il buio oltre la siepe” (1960). I due condividono fantasia e libri, diventano inseparabili e nell’opera di Harper il bambino Dill è ispirato proprio a Truman.

A scuola le cose non vanno meglio; è intelligente e dotato, ma viene sistematicamente deriso e isolato dai compagni per i suoi atteggiamenti effeminati. Legge moltissimo, sguinzaglia la fervida fantasia; emerge, vince tutti i premi letterari scolastici e, appena 12 enne, ha già accumulato un bagaglio culturale notevole.

Si trasferisce a New York quando la madre si risposa, e prende il cognome del patrigno, l’uomo d’affari cubano Joseph Capote. Ha 9 anni quando diventa Truman Garcia Capote: nuovo nome, indirizzo, e migliori prospettive di vita.

Giovane, colto e ambizioso, sogna di entrare nel mondo del giornalismo e inizia a lavorare partendo dal basso, come fattorino presso la rivista letteraria “New Yorker”. E’ l’avvio di una gavetta non sempre facilissima, fatta di piccoli passi, qualche scontro e collaborazioni varie. Un primo balzo lo compie pubblicando il racconto “Miriam” su una rivista femminile, ed è così che gli si aprono le porte dei salotti mondani della Grande Mela.

Frequenta personaggi della caratura di Jackie Kennedy, Andy Warhol, l’ereditiera Gloria Vanderbilt, i Chaplin…. e il suo carnet di amicizie altisonanti si arricchisce di giorno in giorno.

Il successo letterario arriva con “Colazione da Tiffany” e soprattutto con la più celebre delle sue opere, “A sangue freddo”, nel 1966. E’ la storia di un terribile fatto di cronaca che monopolizzò l’attenzione del pubblico americano. Lo spietato sterminio di un’intera famiglia compiuto da due giovani che saranno condannati a morte. Per 6 anni Truman compie ricerche a tappeto, incontra in carcere gli assassini, pubblica il suo esplosivo “romanzo verità”. Nasce così ufficialmente una stella, intorno alla quale ruota tutto il brillante mondo del jet set internazionale.

Si costruisce la fama di dandy intellettuale, abilissimo nel conquistare l’amicizia e le confidenze delle donne più in vista e desiderabili del mondo. Un’enclave di creature bellissime, raffinate, eleganti, ricche e famose che diventano “I suoi cigni”. Tra loro Babe Paley, Gloria Guiness, Slim Keith, C.Z. Guest, Pamela Harriman e Marella Agnelli.

Truman è al centro del glamour, milioni a palate, lusso, divertimento, viaggi, creatività e privilegi. Tutto precipita quando decide di raccontare -nero su bianco- segreti, confidenze, debolezze e buchi neri del bel mondo che conosce a fondo. Un boomerang che lo colpisce in pieno volto.

Abbandonato da chi l’aveva portato in cima alla vetta, il genio, tossicomane, alcolizzato e dichiaratamente omosessuale finisce per diventare preda di compagni che mirano solo al suo denaro. Truman si rifugia sempre più nei sonniferi e in una ricerca di pace chimica, sviluppa l’epilessia, il mix con alcolici e farmaci fa il resto.

Sempre più solo, muore per cirrosi epatica il 25 agosto 1984, a nemmeno 60 anni, mentre è ospite a Bel Air di una delle poche amiche che gli sono rimaste, Joanne Carson, moglie di Jonny Carson.

E’ lei che si occupa di tutto, rispettandone le ultime volontà. Truman Capote dispone che le sue ceneri siano divise e conservate su entrambe le coste che tanto aveva amato: una parte a Los Angeles e l’altra a New York.

 

 

Laurence Leamer “Capote’s women” -Garzanti- euro 20,00

 

Questo splendido libro tradotto da poco in italiano ci porta dritti nella vita di Truman Capote e in un intero mondo affascinante che non c’è più.

A queste pagine si ispira la serie tv “Capote vs the Swans” in arrivo su Disney + , che racconta la storia dello scrittore e dei suoi famosi cigni, le donne dell’alta società che furono sue amiche… e poi non più.

Babe Paley, Slim Keith, C.Z.Guest, Lee Radzwill, Gloria Guiness. Marella Agnelli e altre creature eleganti, bellissime, ricchissime e infelici sono le protagoniste dell’epoca narrata da Leamer.

Donne nate per essere ricche le cui vite vengono qui ripercorse, insieme al loro rapporto con Capote e alle confessioni che gli facevano.

Lui era il depositario dei loro segreti, pensieri, emozioni, pettegolezzi scabrosi, e questo libro fa rivivere tanti momenti del suo incredibile legame con le donne di cui finì per tradire la fiducia. Un ritratto a tutto tondo di una fase della vita di Truman Capote, che ci permette di capire meglio la sua vicenda umana.

 

 

Deborah Davis “Truman Capote e il party del secolo” -Accento- euro 18,00

Questo libro, della scrittrice e produttrice cinematografica Deborah Davis, ha al centro il leggendario ed esclusivo party in maschera che Truman Capote diede lunedì 28 novembre 1966, nella sala da ballo dell’hotel Plaza a New York.

Il Black and White Ball è lo spunto da cui parte per ripercorrere la vita dello scrittore, a partire da quando era bambino. Così in queste pagine afferriamo meglio gli anfratti del carattere, dei pensieri e del mondo di Capote.

Il libro si basa anche su alcuni reperti della vita di Capote conservati alla New York Library e ai “Truman Capote Papers”, tra i quali il quaderno sul quale per mesi lo scrittore annota, cancella e riscrive nomi, cognomi e recapiti delle persone da invitare al ballo del secolo, organizzato per l’amica Katharine (Kay) Graham, proprietaria del “Washington Post”.

Una rosa di celebrità accuratamente selezionate. 540 in tutto i nomi sulla lista, con indirizzi super blasonati nell’Upper East e West Side di New York, come dire l’Olimpo del glamour e della ricchezza.

Gli inviti, su carta bianca bordata di giallo e arancione, recitano semplicemente «Truman Capote chiede il piacere della sua compagnia a un ballo in bianco e nero”. Il dress code rigidissimo impone una maschera sul viso; l’unico a sottrarsi all’imperativo è Andy Warhol che decide di travestirsi da se stesso e, a volto scoperto, spicca come una mosca bianca nel composito parterre.

Gli scrittori sono in cima alla lista degli invitati, tra i più giovani c’è Philip Roth, poi una manciata di ragazze bellissime e di successo, tra le quali una splendida Candice Bergen e Benedetta Barzini “le belle”. Editori, registi, agenti, attori e attrici dal dirompente fascino hollywoodiano, nomi di punta del jet set, incluso Gianni Agnelli e i Brandolini, che però non si divertirono e commentarono «…è per questo che siamo venuti fino a qui?».

Comunque si parlò a lungo della festa che Capote aveva curato nei minimi particolari e concepito come una sorta di “tableau vivant”, che in parte avrebbe dovuto mettere in scena ipocrisie e grossolanità del bel mondo di allora.

 

Fondamentale il divario tra chi è dentro o fuori dalla lista; farne parte è l’imperativo per essere promosso allo status massimo e non finire nella lista nera delle nullità. Molti di quelli esclusi non si danno pace e arrivano a implorare e strisciare pur di essere inclusi tra gli invitati. Truman Capote è una sorta di Dio che decide chi merita e chi no il suo placet. E, per evitare che qualcuno potesse millantare di essere stato invitato ma avesse declinato per precedenti impegni presi, pubblicò la lista sul “New York Times”.

Fu un successo questo ballo così pubblicizzato? Leggere per sapere come andò…..

 

Libri di Truman Capote da riscoprire

Oltre ai famosissimi “A sangue freddo”, “Colazione daTiffany”, “Altre voci altre stanze” e altri titoli, vale la pena leggere:

 

Giardini nascosti” -Garzanti- euro 19,00

E’ una raccolta dei suoi reportage e articoli, le interviste a personaggi famosi, come Marylin Monroe e Marlon Brando. Un libro importante per conoscere più a fondo l’abilità di Capote.

Pezzi di bravura che partono dai ricordi della gioventù tutt’altro che facile perché isolato dai coetanei; a salvarlo fu la sua fervida immaginazione e un’ambizione divorante che gli faceva rincorrere un futuro migliore.

Sono inclusi anche i reportage dei suoi viaggi ai vari angoli del mondo. Spesso inviato dalle maggiori testate giornalistiche, finiva per produrre una mole tale di osservazioni, pensieri e stimoli, da cui nascevano anche dei libri.

Po ci sono le sue innumerevoli interviste dalle quali si evince quanto amasse stuzzicare soprattutto i divi hollywoodiani. Da Marlon Brando che raggiunse in Giappone e col quale parlò a lungo durante una notte interminabile in cui l’attore si confidò parecchio. Poi tra le altre quelle a Greta Garbo, Liz Taylor e Marylin Monroe.

 

 

Preghiere esaudite” -Garzanti- euro 14,00

In queste pagine Truman Capote riprende lo stile delle osservazioni e dei ritratti di persone famose incontrate nel corso dei suoi anni più gloriosi. Però non c’è più lo stupore iniziale del giovane che approda a New York pieno di sogni e ambizioni. Piuttosto il tono è quello di un cinico amareggiato che versa parole velenose e perpetua pettegolezzi, sempre ammantando le pagine con la sua scrittura di altissimo livello.

 

Una casa a Brooklyn Heights” -Garzanti- euro 5,90

In questo smilzo libriccino di appena 59 pagine, Capote ripercorre il periodo in cui visse a Brooklyn Heights; ospite di un amico che viveva in una villa di 28 stanze, soffitti altissimi, una veranda e un giardino.

L’esperienza risale a fine anni 50 e gli fece scoprire un quartiere per lui ricco di fascino e angoli unici.

 

L’inno di Mameli affidato agli studenti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
A Carcare dopo il  convegno di ieri, tenuto nei  locali della  scuola media,   su chi scrisse per  davvero l’Inno nazionale (Mameli o padre Cannata)  il Comune corre ai ripari e affida ad una borsa di studio offerta agli studenti dell’Università di Genova la ricerca relativa all’autore dell’inno nazionale. Il relatore unico  del convegno, l’ottuagenario e prestigioso  prof. Aldo Alessandro Mola di Torre San Giorgio,   accademico e senatore del regno,  non deve aver molto  convinto con la sua tesi, vecchia di trent’anni, su padre Cannata, lo scolopo  che sarebbe  stato il vero autore dei versi (per altro orribili) dell’inno musicato da Novar . Si tratta di una tesi  senza  reali prove,  fondata  sul pettegolezzo di paese, che non ha mai trovato riscontri e che offende la memoria di Mameli morto eroicamente  nella disperata difesa della Repubblica romana. L’esito della tesi esposta a Carcare ha portato il Comune  ad affidarsi a degli studenti. Un esito incredibile, anche se  forse abbastanza  prevedibile. Per evitare di infierire non riporto cosa mi disse il pro . Umberto Levra  ordinario di Storia del Risorgimento a Torino e presidente del Museo nazionale del Risorgimento  su quella tesi bizzarra.
La decisione del  Comune di Carcare rende  un po’ ridicolo il convegno organizzato dallo stesso Comune, anche perché un convegno con un solo relatore, sia pure del livello del Mola di Torre San Giorgio, è cosa davvero insolita se non unica.  Affidare agli studenti di accertare la verità appare una dolorosa  smentita al celebre, anziano Maestro che non meritava  un affronto così  duro il giorno stesso del convegno che avrebbe dovuto celebrarlo insieme all’amato padre scolopo. Questa è una storia incredibile di cui mai avrei voluto scrivere, che però merita di essere conosciuta per come la storia  oggi è a volte considerata. Le vulgate non muoiono mai purtroppo. Quelle di sinistra e quelle di destra. Meriterà comunque  leggere la ricerca affidata agli studenti di Genova. A volte affidarsi ai giovani risulta essere la scelta migliore.

Rock Jazz e dintorni a Torino. I Pinguini Tattici Nucleari e Sergio Caputo

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 


Martedì.
Franco Battiato viene ricordato alla scuola Holden con il progetto “Seven Springs” a cura di Simone Cristicchi e Amara. All’Inalpi Arena 4 “sold out” su 5 giorni per i Pinguini Tattici Nucleari.

Mercoledì. Al Blah Blah suonano gli Infected. Al Colosseo Sergio Caputo celebra “Un sabato italiano”. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Erlend  Oye.

Giovedì. Al Circolo della Musica di Rivoli sono di scena Le Tre Sorelle. Al Magazzino sul Po suona il trio Psychè. All’Hiroshima si esibisce la cover band Nouvelle Vague. Allo Spazio 211 sono di scena gli Stunt Pilots mentre al Blah Blah si esibisce la cantautrice Cristina Nico.

Venerdì. Per il festival “R-Esistere” a Druento suonano i Modena City Ramblers. All’Hiroshima si esibiscono i BNKR44. Al Kontiki “Music For Future” con ZYP, Libellule e Stefano Groppo, in conclusione dello “Sciopero per il clima” che si svolgerà a Torino al mattino a cura di Fridays for Future. Al Folk Club suona Beppe Gambetta. All’Imbarchino suonano gli Static Palm. Al circolo Mossetto si esibiscono Furio Di Castri, Gianni Denitto e Ruben Bellavia. Al Blah Blah sono di scena gli Extinction e i Darkhold. Al Comala si esibiscono Federico Sirianni ed Elisabetta Bosio. Allo Spazio 211 suonano I Segreti dall’Emilia.

Sabato. Al Peocio di Trofarello suona il gruppo del chitarrista Michael Lee Firkins. Partenza per il Torino Jazz Festival al Museo dell’Automobile con la CFM Big Band che  presenta un tributo a Duke Ellington.  Per “Lovers” al Massimo arriva Big Mama.  Allo Ziggy suonano i Darvaza. All’Hotel Hilton del Lingotto suona il quartetto della sassofonista Tia Fuller. Al Blah Blah I Fasti propongono il loro nuovo album.

Domenica. Per il TJF al circolo familiare Fioccardo suona il quartetto di Max Ionata mentre al Castello di Rivoli si esibisce Valentina Sturba. Al Magazzino sul Po suonano i Sabasaba mentre all’Imbarchino  si esibiscono i marsigliesi Catalogue.

Pier Luigi Fuggetta

“Marks and Traces”… come dire “Segni e tracce”

 

Torna ad esporre alla torinese Galleria “metroquadro” il giovane artista giapponese Shinya Sakurai

Fino al 22 giugno

Quando approda a Torino, è fisso di casa (artisticamente, s’intende!) alla “metroquadro” di Marco Sassone. Anche perché Marco, il più che perspicace gallerista di corso San Maurizio, ha avuto l’occhio giusto e un sottile fiuto nell’intenderne, da subito, le indubbie capacità artistiche e il giusto tratto umano, quando anni fa iniziò a seguirne le vicende creative e il percorso espositivo. Così, eccocelo di nuovo (che bello!),  con i suoi odierni “Marks and Traces”, “Segni e Tracce”, raccontati con il solito amalgama di colore – composto e scomposto – in venti opere esposte, fino a sabato 22 giugno, negli spazi della “metroquadro”, al civico 73/F di corso San Maurizio a Torino.

Giusto due anni fa, nell’aprile del 2022, visitai da Sassone la sua “Terrific Colors” o “Colori Eccezionali”, puzzles cromatici, attraverso i quali (dopo le opere cicliche “Love and Peace” e “United Colors”, titoli apertamente echeggianti alle battaglie pacifiste anni Sessanta, nonché all’Oliviero Toscani impegnato per Benetton) Shinya Sakurai intendeva “esorcizzare il lato terrifico nascosto – e sempre in agguato – della realtà”. Nato nel 1981 a Hiroshima (con a fior di pelle e in fondo al cuore quella pesante eredità “omaggiata” a tante generazioni dal terribile “mostro” atomico lanciato da cieli che ancora oggi piangono fiumi di sangue), Shinya si laurea ad Osaka in “Belle Arti” – attratto dai Maestri “concreti” del “Gutai” – e oggi si divide fra l’isola di Honshu e la nostra (ma anche sua) Torino, dove ha modo di studiare “Scenografia” all’“Accademia Albertina”, portando avanti la sua ricerca nell’ambito di un’“astrazione”, in cui s’intrecciano, con suggestive citazioni stilistiche, oriente e occidente, tradizione e contemporaneità.

Nell’attuale mostra alla “metroquadro”(che segna fra l’altro il ventennale del suo arrivo sotto la Mole), il racconto pittorico di Sakurai si fa più cupo, denso di ombre e toni grigiastri o dai blu intensi, ben lontani dalle “colorate ed iridescenti geometrie” “neo-pop” o post-moderne proprie degli anni passati. La narrazione si fa più pacata e riflessiva. Inutile tentare gli agganci, già un tempo ipotizzati, con le opere di Schifano o con i “planisferi colorati” e ai “Tutto” di Boetti. Inutile. Perché ancora sono convinto e sto con Francesco Polinel ritenere che “Shinya Sakurai assomiglia soprattutto a sé stesso”. Anni fa, esattamente come oggi. In tempi umanamente non facili e ad alto potenziale di rischio sociale e politico che “lasciano nelle sue tele – si è scritto – tracce e segni inequivocabilmente e indelebilmente densi e carichi, simboli rivelatori della complessità del presente”. Una complessità espressa, nelle più recenti opere,  attraverso il supporto (con risultati di maggior eleganza e raffinatezza, fra sfumature  di blu e oro nero) del “velluto”, superfici monocrome su cui scorrono pennellate fluide, realizzate con colori a olio, resine e colle traslucide “a formare squarci di luce e stelle abbaglianti, che illuminano ed evocano armoniose simmetrie, simboli di fiducia e speranza per il futuro”. Stelle abbaglianti, reiterate in un gioco di “arte seriale”, in cui l’oggetto perde il proprio originale significato per diventare “immagine pura”. Simbolo. Forma fine a sé stessa. E in Sakurai, ancora oggi, voce di transizione, sempre “à la recherce” di strade in discesa, verso tempi più facili e più benevoli verso la specie umana.

Gianni Milani

“Shinya Sakurai. Marks and Traces”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; www.metroquadroarte.com

Fino al 22 giugno

Orari: giov. – sab. 16/19

Nelle foto: Shinya Sakurai “Marks & Traces”, tecniche miste, 2023

“I Piaceri della campagna e della foresta” a Villa della Regina

Un concerto gratuito di “Musette di Corte” e “Corni da Caccia” con l’“Orchestra Barocca” dell’“Accademia di Sant’Uberto”

Domenica 14 aprile, ore 16,30

Siamo ancora a Torino. Strada Santa Margherita 79, Borgo Po. Prima collina torinese. Eppure già si può immaginare di sentire i piacevoli suoni “della campagna e della foresta”. Basta chiudere gli occhi o anche tenerli aperti (fate come più v’aggrada!), immergendoci nei robusti, ma al tempo stesso lievi e piacevolissimi, suoni di “Musette di Corte” e “Corni da Caccia”. Sì, è possibile. Quando? Domenica 14 aprile, alle 16,30. Dove? Niente meno che nel Salone della seicentesca “Villa della Regina” (fra le “Residenze Reali Sabaude” e dunque “Patrimonio UNESCO dell’Umanità” dal 1997), dove l’“Orchestra Barocca”dell’“Accademia di Sant’Uberto”, diretta da Alberto Conrado, si esibirà gratuitamente nel Concerto dal titolo, per l’appunto, “I piaceri della campagna e della foresta”. L’appuntamento nasce dalla collaborazione fra “Residenze Reali Sabaude” e “Ministero della Cultura” per promuovere l’arte musicale dei suonatori di “Corno da Caccia”, riconosciuta “Patrimonio Immateriale UNESCO” nel 2020, grazie a un dossierinternazionale a cui, per l’Italia, ha lavorato, da Torino, proprio l’“Accademia di Sant’Uberto”.

 

“Musette barocca” o “di corte” e “Corno da Caccia” sono i due “strumenti solisti” principali del programma. Strumenti che, nella musica francese fra XVII e XVIII secolo, evocavano la natura, la tranquillità pastorale e la caccia a cavallo con i cani da seguita, la “vènerie”.

La “Musette” è una cornamusa da concerto, frutto di complessi e raffinati miglioramenti apportati da grandi maestri in Italia e in Francia, dal Rinascimento in avanti. Persino Leonardo da Vinci consigliò d’adattare, pare, alla sacca d’aria dello strumento un “mantice”, da tenere  “sotto il braccio”, anziché fornirlo di una presa dalla bocca. Nel simbolismo dell’epoca, sul palcoscenico dell’Opera, “personificava-  si dice – l’amore, la tenerezza, l’innocenza e la pace.

Il “Corno da Caccia”, invece, nato per trasmettere segnali nella foresta, passò rapidamente alla musica d’arte, dove avrebbe comunque conservato, fino a oggi, “il valore evocativo di spazi naturali e anche pastorali”.

Il programma, che comprende partiture dove gli strumenti s’incontrano per  duettare insieme, prevede musiche di Dampierre, Michel Corette (“la Choisy”), Esprit-Phlippe e Nicolas Chédeville, quest’ultimo con la sua reinterpretazione per “Musette” dell’Estate delle “Stagioni” di Vivaldi, e la Sonata da caccia con un cornu”, prima partitura al mondo per “Corno da Caccia” e prima esecuzione assoluta dell’ “Accademia”.

Tra gli esecutori: Jean-Pierre van Hees, il celebre musicista belga (“Musette Baroque”) che già aveva suonato a “Musica a corte” alla Venaria nel 2008, Giorgio Pinai (Traversiere), agli Archi Alessandro Conrado, Paola Nervi, Clara Ruberti e Francesca Zerbo  e Matteo Cotti (Virginale).

La parte del “Corno da Caccia”, d’Orléans e Barocco,  è affidata al giovane Umberto Jiron, dell’“Equipaggio della Regia Venaria dell’Accademia”.

Nel gruppo anche quattro violini, allievi in “PCTO” (“Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento”) del “Liceo Classico Musicale Cavour” di Torino, Liceo partner della candidatura “UNESCO” del “Corno da Caccia” seguita dall’“Accademia di Sant’Uberto”, che mira infatti a promuovere tra le nuove generazioni il “Corno da Caccia”, mettendo a disposizione dei giovani talenti strumenti originali e tutor esperti per eseguire i concerti nelle “Residenze Reali Sabaude”.

 

Per info: “Villa della Regina”, Strada Santa Margherita 79, Torino; tel. 011/8195035 o www.residenzerealisabaude.com

g. m.

 

Nelle foto:

–       Villa della Regina – Esedra

–       Umberto Jiron, “Corno da Caccia”, Equipaggio della Regia Venaria

–       Jean – Pierre van Hesse, “Musette Baroque”

La primavera è a OFF TOPIC con gli eventi del mese di aprile

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È molto fitto il mese di aprile nell’hub culturale di via Pallavicino 35, fra concerti in cortile, libri, aperitalk, teatro e stand up comedy in vista della bella stagione. A OFF TOPIC è arrivata la primavera con un fitto palinsesto di appuntamenti nel cortile dell’hub culturale, e non solo, per vivere al meglio la città di Torino dal tramonto alla sera. Tra i tanti appuntamenti ricordiamo musica, teatro, presentazioni di libri e rassegne, senza dimenticare gli aperitivi del bistrò, pronto ad accogliere il pubblico tra golose proposte gastronomiche.

Giovedì 18 aprile, alle ore 21, torna The Nerve, che porta a Torino l’intrattenimento queer e crea uno spazio sicuro per esprimere la propria arte in ogni forma, dal drug al queen o King, alla danza, al circo, al canto e al burlesque. The Nerve dà spazio a ogni forma d’espressione che senta l’esigenza di raccontare qualcosa, ed è il primo cabaret queer di Torino.

Venerdì 19 aprile torna l’appuntamento con “Senti chi parla”, il formato dedicato ai libri e ai podcast insieme all’autore Matteo Saudino e gli esperti di filosofia Lucilla Moliterno e Stefano Tancredi, che presenteranno “Star Wars e la filosofia”. In una galassia lontana, ma forse più vicina di quanto immaginiamo, può accadere che l’universo di Star Wars, costellato di innumerevoli mondi e abitato da personaggi indimenticabili, incontri l’altrettanto vasto terreno della filosofia, un firmamento popolato da pensatori e visionari in grado di rivelare mondi ignoti all’umanità. In 9 capitoli ispirati alla saga di George Lucas, l’autore Matteo Saudino e gli esperti Lucilla Moliterno e Stefano Tancredi, esplorano I più affascinati sistemi e concetti di pensiero. In questo formidabile itinerario galattico, scopriremo che la filosofia può essere una meravigliosa compagna di viaggio e una bussola infallibile per orientarci nelle piccole e grandi questioni della vita. In Star Wars e la filosofia, i personaggi si confrontano con i filosofi e le più importanti tematiche del pensiero. Prenotazione consigliata su whatsapp al numero 388 4463855.

Sempre venerdì 19, alle 21.30, si prosegue con il live degli Atlante, un trio di stampo alternativo rock, nato a Torino nel 2016. Dopo sei anni di carriera, costellati anche dalla produzione a distanza di Crociate, pubblicate il 29 maggio 2020 durante il periodo di quarantena, il gruppo torna in studio per comporre il terzo disco, la cui uscita sarà prevista per l’autunno 2024.

Imperdibili gli appuntamenti del Torino Jazz Festival, che fa tappa a OFF TOPIC giovedì 25 aprile alle ore 19, con Gian Marco Syncotribe Quintet. In questo quintetto emerge il lato più eclettico del lavoro compositivo del sassofonista e leader Maurizio Giammarco, autore di brani in cui la scrittura va a integrarsi in una narrazione musicale multidirezionale.

Gli appuntamenti del Torino Jazz Festival terminano martedì 30 aprile alle 23 con TUN (Torino Unlimited Noise), trio formato da Gianni Denitto, Fabio Giachino e Mattia Barbieri, che supera i confini del genere, fondendo i ritmi techno con il Jazz. Nel 2022 hanno suonato per Eurovision Stage.

 

Mara Martellotta

Le fantasie del palcoscenico più che un testo che a tratti gira a vuoto

Sino a domenica all’Alfieri “Il Calamaro gigante”

Capita a volte che, in una sera a teatro, il (nuovo) testo con cui ti dovrai confrontare non funzioni. O funzioni ansimando, incespicando, mostrando qua e là delle falle che ne oscurano lo svolgimento e ne frenano il ritmo.

 

Capita che si abbia la tentazione di abbandonarlo per trovare rifugio in quanto da esso nasce e gli sta intorno, ben più solido, per trovare un divertimento e il culto del fantastico nella cornice, nella bravura degli interpreti e in quella assai maggiore di quanti li affiancano, nella bellezza delle scenografie montate a vista, in tutto un mondo d’immaginazione che merita l’applauso incondizionato e viaggia a piacere per conto proprio. Capita questo nel “Calamaro gigante” visto in un teatro Alfieri stracolmo la sera della prima (tre soltanto le repliche torinesi), tratto dal romanzo omonimo di Fabio Genovesi che con gli interpreti Angela Finocchiaro e Bruno Stori ha curato la stesura teatrale, per la regia eclettica e da fuochi d’artificio di Carlo Sciaccaluga.


Siccome siamo a metà strada tra l’autobiografia impregnata di sorrisi e tanti dubbi e quel versante di immaginazione che s’è detto e che più non potremmo pretendere, ecco che l’Angela – l’Angelina per tutti – si ritrova un bel giorno in una coda di macchine, intrappolata senza pietà sulla A1, mentre se ne dovrebbe correre ad una doverosa cena d’ufficio – è una vita che vive tra i moduli assicurativi e le clausole e le postille -, circondata da quegli sfaccendati e goduriosi che se ne vanno giù al mare, imprecando contro loro e pure contro il mare: fino a che un’onda anomala capitata da chissà dove la investe e la catapulta, stravolgendole l’esistenza parecchio piatta, in un mondo sconosciuto e azzurro, fatto di acqua e di onde grame, di vortici che ti tirano giù, di sapientoni in giro per il mondo come questo tal Monfort che arriva da un’altra nazione e da un altro secolo, sperduto lui pure, di un tal don Francesco Negri, parroco ravennate e seicentesco partitosene per il Polo Nord come il piccolo Tommy Piccot bullizzato dai colleghi più vecchi che sarà l’unico ad affrontare un nuovo mostro per offrirlo in pasto ai grandi studiosi, di tentacoli lunghissimi mai visti che sono gli abbracci funesti del Calamaro gigante, di tempeste e di isole riparatrici, di monasteri di frati che religiosamente accolgono ma fino ad un certo punto, di un continuo lavorìo di sartìe e di vele che giocano con la narrazione delle vicende. Acqua, mare, onde, avventura, orribili creature, in un panorama che è pronto a farci venire alla mente i capolavori di Melville e di Hemingway: ma siccome siamo anche nella pianura lombarda, nell’infanzia poco felice dell’Angelina, nei sogni e nelle paure, magari a ridosso di qualche incubo, nel ritrattino di una nonna che comunica a cena con il consorte ormai scomparso o nelle visite strambe di un circo che un genitore fa fare alla ragazzina che quel circo non lo ha mai visto, ecco che tutto si sovraccarica, si confonde, facendo spazio a dei grumi narrativi che a fatica s’amalgamano con il racconto fantasioso che sta sempre più prendendo corpo. E allora “Il Calamaro gigante” a tratti gira a vuoto, si fa lento, s’appiattisce, annoia anche, non focalizza, mentre al contrario dovrebbe ancor più – in quella spinta verso il coraggio e la realizzazione dei propri sogni – dare libero sfogo a quanto di fantasioso già mette in campo.

Angela Finocchiaro, con quella sua recitazione stralunata che le conosciamo, attraversa lo spettacolo con sicurezza, bel motivo di risate in un pubblico quantomai divertito (ma quanto non mi è arrivato delle battute sarà a causa del mio udito ormai bisognoso delle cure di un otorino o di certi sussurri esagerati di cui nello spazio ampio dell’Alfieri bisognerebbe tenere conto?) e Bruno Stori la segue a ruota nel divertimento. Ma – dicevamo – sono le scene di Anna Varaldo e l’uso che la scenografa fa del materiale che ha a disposizione a stupire, quei velari che salgono e s’abbassano facendosi oceani e ambienti chiusi, a stupire ad ogni istante; come la ricchezza del fondale dove si disegnano umani e mostri (a Robin Studio si devono i video). Eccezionali senza se e senza ma gli otto ragazze/ragazzi che di volta in volta si fanno operatori di scena, mimi, cantori e acrobati, artefici di ombre cinesi con i loro corpi che diventano barche con le persone a bordo. L’occhio si posa su di loro: manca purtroppo troppo spesso quel cardine che è la parola scritta.

Elio Rabbione

Nelle immagini, alcuni momenti dello spettacolo.

Nella fortezza del Conte, il signore del Monferrato

Una domenica al castello del conte Calvi di Bergolo. Il proprietario, il conte Niccolò in persona, ci ospita nella sua dimora del Trecento tra torri, merli, fossati, scuderie e un vasto parco di 25 ettari con alberi secolari. Siamo a Piovera, piccolo comune di quasi 800 abitanti nelle campagne di Alessandria, un borgo rurale a una ventina di chilometri dal capoluogo.
È nato come fortezza per difendere il territorio circostante nel XIV secolo su antichi accampamenti di origine romana e longobarda e sui resti di un convento forse templare. E qui inizia la sua lunga storia, una storia piena di fascino e bellezza. É un complesso fortilizio a ferro di cavallo, con torri ovali e due massicce torri quadrangolari, difeso da un fossato, un tempo pieno d’acqua, e da una cinta muraria. Diventò una fortezza poderosa per mano dei Visconti di Milano e sotto i Balbi, potente famiglia genovese che lo acquistò nel Seicento, l’edificio fu trasformato in una residenza nobiliare alla fine del 1800. Oggi è proprietà del conte Niccolò Calvi di Bergolo che con la moglie Annamaria e il figlio Alessandro lo ha acquistato dai cugini Doria-Odescalchi, ultimi eredi dei Balbi. Il maniero è passato indenne sotto diverse dominazioni.
Dopo i Visconti il castello passò agli spagnoli e ai francesi, fu residenza dei Savoia fino a giungere nel Seicento nelle mani della nobile famiglia dei marchesi Balbi di Genova che diedero un doge alla Superba e che ebbero rapporti d’amicizia e di interesse con Napoleone. I Balbi lo trasformarono in una signorile e romantica residenza di campagna. Gli ultimi proprietari, i Doria Odescalchi, cedettero la proprietà a un cugino, il conte Niccolò Calvi di Bergolo che dal 1967 custodisce questo antico gioiello aprendolo ai visitatori. È interamente visitabile, dal salone degli stemmi alla biblioteca, dalle stanze da letto con arredi di gusto Barocco ai bagni di un tempo, passando per corridoi animati da manichini con abiti d’epoca, dalle cantine storiche al singolare e sorprendente museo degli antichi mestieri, dalla sala delle carrozze alle antiche scuderie. Non mancano le opere del conte, pittore e artista, che tiene lezioni di “arte creativa”. Il magnifico parco è un posto ideale per chi cerca un’oasi di pace dove trascorrere una piacevole giornata festiva mentre il Giardino all’inglese è una location per eventi di vario tipo. Il castello, aperto al pubblico da aprile a ottobre con visite guidate nella dimora e nella fattoria didattica, si trova a 5 chilometri dall’uscita di Alessandria est della Torino-Piacenza, dista circa un’ora e 20 minuti di auto da Torino e una ventina di minuti da Alessandria. Per informazioni sulle aperture del castello di Piovera: tel. 346 2341141, info@castellodipiovera.    
Filippo Re