CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 128

Riapre il Cinecircolo il Pungolo con molte novità

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Dopo quattro anni di pausa riprenderà la sua programmazione il 23 gennaio prossimo lo storico cineforum il Pungolo. Nel solco della tradizione ritornano le amate rassegne del cineclub torinese che è organizzato dall’associazione Cinecircolo il Pungolo, in collaborazione questa volta con l’associazione Arturo Ambrogio.

Sede della rassegna il recentemente riaperto cinema Esedra in via Bagetti 30, accanto alla parrocchia Gesù Nazareno, sala cinematografica che è stata la casa del Pungolo sin dalla sua nascita, nel lontano 1967.

Le proiezioni avverranno tutti i martedì alle 21.15 e i mercoledì alle 17.15 e 21.15. In sala si accede con la tessera che costa 50 euro per i soci, 40 per gli under 30 e 70 euro per i soci sostenitori.

La prima proiezione sarà quella del film “Mixed by Erry” di Sidney Sibilia, seguita martedì 30 e mercoledì 31 gennaio da “Everything Everywhere all at once” di Daniel Schinert e Daniel Kwan.

Il 6 e 7 febbraio prossimi verrà proiettato il film ‘Grazie ragazzi’ di Riccardo Milani, martedì 13 e mercoledì 14 gennaio sarà la volta di “Ritorno a Seoul” di Davy Chou.

Martedì 20 e mercoledì 21 febbraio vi sarà la proiezione di “Mon crime” di Francois Ozon.

Sei film del programma verranno presentati in collaborazione con “Cinegustolgia” di Marco Lombardi che, da anni, propone, con un originale formato, delle insolite e intriganti letture di film e suggerimenti di prelibatezze enogastronomiche. Alcuni film del ciclo verranno abbinati dal Pungolo a degustazioni di finger food creati, per l’occasione, da ”Il forno dell’angolo” di Luca Scarcella.

I titoli scelti saranno “Everything Everywhere all at once” del 30 gennaio alle ore 21.15, “Grazie ragazzi” del 7 febbraio alle ore 17.15, “Mon Crime” del 21 febbraio alle ore 21.15, “ll più bel secolo della mia vita” il 21 marzo alle 21.15, “Holy spider” il 17 aprile alle 21.15, “Stranizza d’amuri” l’8 maggio alle 17.15 e il 27 maggio un film a sorpresa alle 21.15.

 

Mara Martellotta

I bambini salgono sul palco dello Spazio Kairos

Per avvicinare anche i bambini al teatro, Onda Larsen organizza domenica 21 gennaio alle 16 la merenda (che viene offerta), seguita alle 16,30 dallo spettacolo teatrale “Verso un’isola piena di bimbi e pirati” diretto e interpretato da Tita Giunta. Ad ospitare il pomeriggio è lo Spazio Kairos, ex fabbrica di colla di via Mottalciata 7, al confine tra Barriera di Milano, Aurora e Regio Parco.

 

La scelta non è caduta a caso su questo spettacolo. E’ una storia, infatti, per grandi e piccini, un gioco teatrale e musicale: i bambini vengono truccati e diventano protagonisti. Guidati da due buffi personaggi voleranno verso un’isola misteriosa, dove conosceranno pirati, indiani e fate, canteranno e giocheranno nel duello finale: insomma, diventeranno loro i veri protagonisti della storia e del pomeriggio.

L’idea alla base è commistione tra il teatro di narrazione e quello interattivo per permettere alle famiglie di avvicinarsi in modo giocoso al palcoscenico.

 

LO SPETTACOLO IN BREVE

Teatro interattivo e di narrazione
Dai 3 anni in su
Durata: 50’

 

 Biglietto unico (con merenda omaggio alle 16): 8 euro.  Info: biglietteria@ondalarsen.org

Le “lezioni di vita” del prof scorbutico e solitario

Sugli schermi “The Holdovers” di Alexander Payne

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Scattano le vacanze dell’ormai lontano 1970 nel college privato Barton nel New England e la maggior parte degli studenti prepara le valigie per tornarsene a casa. L’albero di Natale, gli abbracci con genitori e parenti, i regali, il pranzo, si comincia a respirare appieno quel clima di festa. Qualcuno, un gruppuscolo di malcapitati, ha uno e cento motivi per rimanere nella scuola sotto lo sguardo (troppo) vigile dello scorbutico professor Paul Hunham, e trovarsi ancora alle prese con le sempiterne guerre del Peloponneso, lui, pipa e farfallinod’obbligo, chiuso e arrogante e perennemente arguto di citazioni dalla sua materia che è la storia antica, in piena quanto incancrenita misantropia, un esempio di antipaticismo allo stato puro, inviso al direttore e ai colleghi, inviso agli studenti per i quali lui è e sempre rimarrà Occhio Sbilenco, visto il difetto che lo identifica immediatamente.


Se qualcuno nei giorni successivi riesce ancora a spiccare il volo
verso la libertà, nulla da fare per il quindicenne Angus Tully, problemi di socializzazione, incarognito, per niente desideroso d’agganciare con i compagni, anche lui le valigie piene di speranze che stazionano in camera, ma che una telefonata della madre, che non ha ancora avuto il tempo di assaporare la luna di miele con il nuovo compagno e quindi in partenza, lo obbliga al soggiorno forzato. Compagnia ridotta quindi, a cui s’aggiunge la capocuoca Mary, che da non molto ha perso il figlio in Vietnam. Man mano che un sempre grande Alexander Payne, sincero e sottile e umanissimo narratore, racconta e delinea nelle giornate piene di neve i suoi personaggi, ci rendiamo conto che quello non sia altro che l’incontro di tre solitudini, che ognuno ha la propria pena nel cuore, che qualcuno sa nascondere meglio e altri con le lacrime che riempiono gli occhi, che il sorriso momentaneo o la fuga o la ribellione non sono altro che la ricerca di una scappatoia dalla propria immalinconita esistenza.

Alexander Payne arriva con “The Holdovers – Lezioni di vita” (applaudito al recente TFF) alla sua nona prova, ha già regalato “A proposito di Schmidt” con Nicholson e “Paradiso amaro” con Clooney, “Sideways” e “Nebraska”, ha già portato a casa due Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, continua qui a giocare magistralmente con il materiale umano, con estrema raffinatezza, con intelligenza e con cuore, mescolando sempre, al momento giusto, il dramma e la comicità, il sorriso insperato, il lato disperato della vita e quei piccoli momenti che la rendono gradevole e tutta da vivere. Qui ricostruisce un mondo, con il crescere di un rapportoti fa respirare la vecchia aria dell’”Attimo fuggente”, ci mette la sensibilità e l’avventura del racconto che ancora a Hollywood non gli rendono piena giustizia. Noi attraversiamo i sopralluoghi dell’insegnante con la pila in mano, la mancanza di riscaldamento nella maggior parte degli ambienti, le provviste che non sono poi eccezionali, i programmi in tivù da far pena. All’interno, covano incomprensioni, tristezze e dolori, ferite non facilmente rimarginabili, abbandoni, frecciate al limite della rissa: ma ci sono anche tratti in comune che vanno scoperti poco a poco, vivendo giorno dopo giorno. Realtà e poesia malinconica, la rabbia per un attimo sopita, la fuga può avere la scusa e le false sembianze di una gita scolastica, una breve felicità che Mary assapora con una visita alla sorella a Boston, Angus può svelare l’ombra del suo dolore che è un padre che lui ha raccontato a tutti come morto ma che è malato di mente e ricoverato, Hunham può svelare l’ombra della sua vita, un corso di studi non proprio immacolato. Non sveliamo le scene finali, il fantasma del vecchio professor Keating è sempre presente (ricordate? era il 1989 e i versi di “O Capitano! Mio capitano!” ci risuonavano in testa): qui ha i tratti alla fine rassicuranti di Paul Giamatti (Payne lo ritrova felicemente a vent’anni da “Sideways” e lo ha portato all’affermazione ai recenti Goldel Globe quale migliore attore per la categoria film commedia, la grande interpretazione di un grande attore che costruisce scena dopo scena un impareggiabile rapporto padre/figlio.

Cinema “antico”, può pure essere, con i suoi movimenti di macchina e gli zoom improvvisi, la fotografia di Eigil Bryld che abbraccia spazi e suggestivi particolari, visi che ti restano nella memoria. Una rivelazione il giovane Dominic Sessa che è alla sua prima prova e che al contrario pare avere anni e anni di obiettivi su di sé, Da’Vine Joy Randolph (s’è guadagnata il Golden Globe quale miglior attrice non protagonista in un film commedia) che allinea dolori e bevute e lacrime con una sincerità come raramente è dato vedere. Non perdete “Lezioni di vita”: e godetevelo in tutta la sua rabbia, in tutta la sua dolcezza.

Sold out per il Maestro Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra il 26 gennaio

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Nasce da un’iniziativa della Città di Torino e dell’Assessorato alla Cultura il concerto, già sold out, che venerdì 26 gennaio vedrà protagonisti all’Auditorium Giovanni Agnelli il Maestro Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra. Si tratta di un evento eccezionale di grande prestigio che unisce, per la prima volta, la Fondazione per la Cultura di Torino, Lingotto Musica e la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Promuove due tra le maggiori manifestazioni musicali torinesi, il festival MITO Settembre Musica e la rassegna dei concerti del Lingotto. L’evento, coprodotto dalla Fondazione per la Cultura di Torino e Lingotto Musica, contribuirà a sostenere le attività dell’istituto di Candiolo, una delle eccellenze italiane e punto di riferimento internazionale nel campo della ricerca e della cura oncologica.

Quella di Torino è la prima data del tour italiano, che il 27 gennaio toccherà anche la Scala di Milano e il 28 gennaio il teatro dell’Opera di Roma. La serata segna il ritorno, dopo molti anni a Torino, della Chicago Symphony Orchestra, sotto la guida di uno dei direttori più amati e celebrati del nostro tempo.

“Nell’anno in cui dirigerò a Torino un ballo in maschera di Giuseppe Verdi – afferma il Maestro Riccardo Muti – sono felice di riportare la grande Orchestra di Chicago in questa città, che ho imparato ad amare e ammirare”.

Il Maestro Muti ha concluso il suo mandato lo scorso giugno da decimo direttore musicale della blasonata compagine americana dopo tredici anni, ed è stato nominato direttore musicale emerito a vita nel settembre 2023, titolo mai assegnato prima nella storia della Chicago Symphony Orchestra.

Legata al filo doppio, alla cultura della musica mitteleuropea, tedesco di nascita era il suo fondatore Theodore Thomas, che creò l’Orchestra nel 1891, la Chicago Symphony Orchestra è stata guidata da direttori come Daniel Baremboim, Pierre Boulez, Carlo Maria Giulini e Claudio Abbado, che ne hanno ricoperta la carica di direttori ospiti principali.

“È un vero piacere accogliere di nuovo a Torino il Maestro Muti – afferma il Sindaco Stefano Lo Russo – dopo il grande successo del Don Giovanni del 2022 al teatro Regio, dove tornerà in primavera. Questo appuntamento, reso possibile dalla Fondazione per la Cultura Torino e da Lingotto Musica, sarà ancora più prestigioso grazie alla presenza di una delle orchestre più blasonate al mondo, la Chicago Symphony Orchestra. Un concerto di livello internazionale che avrà la finalità, altrettanto importante, di favorire le attività di fundraising di un’altra eccellenza che ha sede sul nostro territorio, la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul cancro.”

“Ringraziamo la città e la Fondazione per la Cultura Torino per aver proposto a Lingotto Musica – afferma il Presidente Giuseppe Proto – di essere partner musicale di questo progetto, che testimonia una volta di più come la musica sia non solo nutrimento dell’anima ma anche uno strumento efficace per finalità filantropiche”.

Il programma impaginato dal Maestro Muti per la tappa torinese della Chicago Symphony Orchestra è un florilegio tutto mediterraneo. È affidato alla Sinfonia n. 4 in La maggiore op. 90 di Felix Mendelssohn, detta “Italiana” perché ispirata all’esuberanza di colori e di vita che l’animo dell’artista riportò dal soggiorno in Italia durato dal 1830 al 1832, e alla fantasia sinfonica “Aus Italien” op. 16, che il ventiduenne Richard Strauss compose nel 1886 per rievocare le impressioni riportate dal suo primo viaggio nel Bel Paese. Ad aprire la serata la prima esecuzione italiana di “The triumph of the Octagon”, di Philip Glass, commissionato nel 2023 dalla Chicago Symphony Orchestra. Dedicato alla pianta ottagonale della famosa fortezza federiciana di Castel del Monte, in Puglia, il nuovo lavoro del grande compositore minimalista è un omaggio al Maestro Muti e alla sua terra d’origine.

“Il mistero che avvolge questo antico maniero e l’unicità delle sue forme geometriche sono stati dei catalizzatori formidabili -afferma il compositore Philip Glass – anche se ho scritto musica su persone, luoghi e culture non ricordo mai di avere composto un pezzo su un edificio storico. Era chiaro che non stavo scrivendo un brano su Castel del Monte, ma sulle suggestioni simboliche che offre un luogo così enigmatico”.

 

Mara Martellotta

“Rose candite e tramezzini volanti”, l’omaggio di Claudia Converso a Bruno Zanichelli

 

 

La mostra intitolata “Rose candite e tramezzini volanti”, a cura di Edoardo di Mauro, sarà ospitata allo Spazio44 da sabato 20 gennaio con finissage il 2 febbraio e vede le opere d’arte di Bruno Zanichelli e Claudia Converso in un perfetto dialogo.

Questa mostra nasce da un libro scritto a quattro mani tra il mese di maggio e i primi di settembre del 1989. “Avevo 23 anni – spiega Claudia Converso – e il sogno di scrivere fiabe da sempre. Bruno compiva 26 anni quando decisi di regalargli un albero di rose e una favola metaforica e autobiografica di noi due, nella speranza che potesse comprendere le cose che a voce non potevo e non riuscivo a dirgli.

Lui fece molto di più. Tornato dalle ferie mi rispose con un romanzo che era la storia della nostra storia e mi rese felice.

Forse ci sono circostanze che, in questo nostro mondo, hanno un destino di morte che contemporaneamente vivono un destino di vita, contro qualsiasi volontà, nostra o di altri. Tutto lascia un segno, dentro e fuori di noi, il testimone c’è sempre, come questo libro, che ne è prova eloquente”.

“Credo che tutto concorra a salvare di noi quello che non deve sparire – aggiunge l’artista Claudia Converso- essere dimenticato.  Ecco perché  il nostro libro oggi è qui, testimone con me, con le sue parole, le sue immagini e la sua musica di quella che ormai per me è una missione, continuare a far sentire la voce di  Bruno e a diffondere la sua arte unica, umilmente, come posso, con confusione, con amore e con passione. Me lo chiese lui poco prima di morire 34 anni fa. Mi lasciò molto del suo materiale scritto, dipinto e pensato. ‘Lo lascio a te – affermò Bruno Zanichelli – perché non finisca in qualche cantina buia, perché continui a girare sempre’ “.

“Questo è quello che faccio ancora oggi con dedizione, lo faccio ancora parlare – precisa Claudia Converso – e dal 20 gennaio lo faccio con questa mostra speciale dedicata a lui, a me, a noi due e a tutti coloro che ci hanno conosciuto in quegli anni”.

Il vernissage e il finissage presenteranno un aperitivo a tema e le suggestioni musicali dei dj del Tuxedo.

 

Mara Martellotta

MONCALIERI: 4 autori per la nostra città

Venerdì 19 gennaio 2024

 

PATHOS EDIZIONI PRESENTA

Angelo Arlunno

Quanto è vicina la felicità?

Celeste Di Gregorio

Non fasciarti la testa. Non posso cambiare le cose. Solo decidere come viverle.

Anna Rita Sena

Donne. Vita, amori e speranze

Mario Barale

Il raspio della Strega

Moncalieri, ore 17

Biblioteca civica Arduino, via Cavour 31

Pagina facebook della Biblioteca @bibliomonc

Venerdì pomeriggio, 19 gennaio, la casa editrice torinese Pathos riunisce alla biblioteca civica Arduino di Moncalieri 4 suoi autori. L’appuntamento è alle 17 in via Cavour 31. Il pubblico della biblioteca farà così la conoscenza di Angelo Arlunno e del suo Quanto è vicina la felicità?Al tavolo dell’incontro ci sarà anche Celeste Di Gregorio con Non fasciarti la testa. Non posso cambiare le cose. Solo decidere come viverle. Inoltre: Anna Rita Sena con Donne. Vita, amori e speranze e Mario Barale con Il raspio della Strega. Introduce l’incontro l’assessore alla Cultura Laura Pompeo, e come moderatori partecipano Luigia Gallo, Claudio Sturiale e Marco Nuzzo. Ingresso libero fino ad esaurimento posti e diretta facebook.

Un gustoso approfondimento dedicato alla produzione letteraria di qualità – dichiara l’assessore alla Cultura Laura Pompeo – Si tratta di autori radicati nel nostro territorio e giustamente valorizzati nell’ambito di una proposta editoriale, quella di Pathos, originale e fuori dagli schemi”.

Angelo Arlunno

Quanto è vicina la felicità?

Il romanzo narra la vita di Maria, attraverso le trasformazioni del nostro Paese, dal dopoguerra ai giorni attuali. Narra dei suoi giorni di bambina, poi ragazza, donna, e infine nonna, tra le vicissitudini di una Italia in preda agli sconvolgimenti della guerra. La felicità va conquistata, è un lavoro continuo su di sé e sul mondo, di comprensione e accettazione degli eventi, ai quali mai dovrà rassegnarsi, qualsiasi cosa accada. Quel consiglio di suo padre, quando ancora era bambina, le tornerà più che mai utile.

Celeste Di Gregorio

Non fasciarti la testa. Non posso cambiare le cose. Solo decidere come viverle

Durante il percorso universitario in Biotecnologie mediche, i temi studiati da Celeste nei diversi anni, si riversano su di lei costringendola a vivere in prima persona tutto ciò che aveva sempre studiato. Celeste aveva mille progetti, tra cui la laurea che è riuscita a conseguire tra una chemioterapia e l’altra, tirando fuori quella forza e dinamismo che non pensava neanche di avere. Inizia così una lunga tappa della sua vita tra visite, biopsia, interventi e terapie.

Anna Rita Sena

Donne. Vita, amori e speranze

La prima pubblicazione della poetessa Anna Rita Sena si presenta come un involucro di immagini vibranti che esprimono sentimenti ed emozioni universali, nelle quali il lettore può riflettere se stesso e le proprie vicende esperienziali. Lo stile proposto è costruito in una forma semplice che arriva dritto al cuore e riflette pienamente la sua personalità. Gli argomenti trattati esprimono l’importanza che l’autrice avverte nei confronti dell’universo femminile in tutte le sue forme e sfaccettature.

Mario Barale

Il raspio della Strega

In una notte stellata del 1669 Domiziana, una giovane fiorentina figlia del popolo, sale di nascosto alla Rocca di Sangrimale, si spoglia e posa per Marta Signorelli, una valente pittrice che rende immortale il suo corpo acerbo, comprando da lei silenzio e sofferenza in cambio di poche monete d’argento. Quando il desiderio di vedersi ritratta si scontra con il diniego dell’artista, la curiosità spinge Domiziana ad infrangere il patto stipulato, scoprendo un segreto mortale.

L’ibrida bottega “Dialoghi al Quarto di Luna”

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Conversazioni a ruota libera su passato, presente e futuro di Torino per il ciclo di incontri “Dialoghi al Quarto di Luna” ospitati dalla libreria Librida bottega, che è il rifugio prediletto di ostinati lettori da 12 anni ai piedi della collina e affacciata sul Po.

 

Il programma prevede 9 incontri (ingresso libero, ma su prenotazione) fino al 3 giugno. Tutti altamente conviviali, in piena libertà, a ruota libera e più voci per declinare i mille volti della città.

Così “L’ibrida bottega” si riconferma libreria indipendente capace di fare comunità; e grazie alla collaborazione e all’interazione di un pool di amici ha messo a punto la scaletta degli appuntamenti. Il titolo di ognuno si ispira a un romanzo e prevede una coppia di relatori che si confrontano anche con il pubblico.

Il primo è stato un successo, il tema era “Lettere da Torino: sulle tracce antiche e future della città”. Protagonisti sono stati Walter Barberis, storico e presidente della casa editrice Einaudi e Adrea Malaguti, neo direttore della Stampa, (quotidiano torinese che collabora all’iniziativa).

L’analisi di Malaguti è partita dalla situazione delloscacchiere mondiale: tra guerre in corso e profonda crisi dei valori condivisi dalle collettività occidentali.

Torino è una delle città che (insieme a Roma e Napoli) ha visto il moltiplicarsi delle disuguaglianze e sta pagando maggiormente la crisi economica. Soprattutto deve trovare una sua nuova identità, visto che sono venuti meno i punti di riferimento del passato. Le potenzialità ci sarebbero, però occorre reinventarsi, affinare l’abilità di farsi conoscere, capire e autopromuoversi.

Barberis ha sottolineato lo sbandamento culturale degli ultimi anni e il frantumarsi della solidarietà. I grandi padroni oggi sono le multinazionali con sedi all’estero, e interloquire è complicato; mentre i contratti di lavoro dei giovani sono effimeri e li fanno sentire ininfluenti e facilmente sostituibili.

Le risorse ci sarebbero, Torino ha ingenti patrimoni che però restano immobilizzati. Barberis si augura un nuovo Rinascimento della classe imprenditoriale, un’alleanza tra le persone che hanno le possibilità di dare una svolta.Perché Torino non può vivere solo di turismo; ma deve inventare il suo nuovo futuro in un’Italia e in un Europa che sono sempre più marginali nel mondo. Questi alcuni dei nodi del primo incontro.

 

E last but not least.

“L’ibrida bottega” è sempre più una sorta di Shakespeare and Company subalpina (per energia e lungimiranza intellettuale ricorda quella fondata nel 1919 a Parigi da Sylvia Beach); le cui anime sono quelle di Federico Bena e sua moglie Cristina.

Da luglio si è trasferita nella nuova location in via Casale 10, sempre a Borgo Po (prima era in via Felice Romani). Nuova sede, lo stesso fascino di quella precedente, anzi accresciuto e molto più in grande.

Un’oasi di pace e cultura che ha guadagnato preziosi metri quadrati, sempre pronta ad ospitare novità, iniziative, autori e un pubblico affezionato in costante crescita.

Qui si entra e ci si ritrova accolti dall’abbraccio dei titolari che si alternano nell’orario continuato fino alle 20 di sera. Federico e Cristina di libri vivono: li respirano, li leggono e consigliano, e qualsiasi titolo andiate cercando loro si attivano per trovarvelo.  Scusate se è poco…soprattutto per chi rimpiange un bene oggi raro, ovvero l’antico rapporto con il libraio-amico col quale commentare e scambiare emozioni e pensieri.

 

Il prossimo incontro sarà il 5 Febbraio  “Il mestiere di vivere: la città e la fabbrica, ricordi e speranze”  con Sergio Chiamparino e Giorgio Marsiai, moderati dal giornalista Paolo Griseri.

E a seguire, tra i vari argomenti: la città e lo sport, la storia politica del capoluogo subalpino, la solidarietà, il cinema e passeggiare a Torino.

Per il programma completo scrivere a info@libridabottega.it .

LAURA GORIA

Saranno famosi: al Teatro Alfieri fino al 28 gennaio

“Fame”, chi non ha seguito le avventure della scuola americana che negli anni 80 ci incollava alla TV: gli studenti della prestigiosa High School for the Performing Arts di New York sognano in grande. Tra loro figurano Danny, un aspirante comico, Coco, un cantante e ballerino ambizioso, e Leroy, che spera di riscattarsi attraverso la danza. Un telefilm leggendario e intramontabile della cultura pop.
Sicuramente è stato influenzato Luciano Cannito che ha realizzato le coreografie, trasformandolo in un  musical, curando il coordinamento artistico e, mettendo in scena uno spettacolo al top in ogni sua combinazione, a partire dalla scelta degli artisti, ballerini, cantanti, musicisti bravi, ma anche scene, costumi e luci.

Nel rinnovato Teatro Alfieri a Torino si replica fino al 28 gennaio prossimo: uno spettacolo divertente,  due ore imperdibili per gli appassionati di danza e non solo. Tra gli interpreti Barbara Cola, Harrison Rochelle.

GABRIELLA DAGHERO

…E basta con ‘sti insulsi stereotipi!

A “OFF TOPIC”, la presentazione del libro “Che palle sti stereotipi”, scritto a quattro mani da Laura Nacci e Marta Pettolino Valfré

Giovedì 18 gennaio, ore 18,30

“Quella sì che ha proprio le palle!”: bruttissima, infelice, stupida (e sessista?) espressione. Eppure, chissà quante volte ci sarà capitato, accolta anche da un coro di ammiccanti sorrisetti, di sentirla e magari (non nascondiamoci dietro un dito) di buttarla lì a caso, fra goliardici “compagnucci di merenda”, anche noi. Scagli la prima pietra … E ci siamo capiti! Rivolta, soprattutto, senza nessun preciso e scontato riferimento (per carità!), alle donne che “osano” far carriera politica o incamminarsi per sentieri ancor oggi riservati in gran parte ai “maschietti”, trattasi proprio di un’infelice, da bieca figuraccia, espressione. Una delle tante. Uno dei tanti cosiddetti “stereotipi” (non solo “di genere”) che lasciano il tempo che trovano e di cui si potrebbe e si dovrebbe far volentieri a meno. Già “stereotipi”, “cliché” per fare i fini, ovvero “qualsiasi opinione – dalla ‘Treccani’ – rigidamente precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente su persone o avvenimenti e situazioni”.

 

Ad essersi decisamente rotto le “scatole” (ahi, “stereotipo”?) dell’enorme quantità di queste, a volte imprevedibili e insensate cascate di pregiudizievoli “scorciatoie mentali”, sono Laura Nacci e Marta Pettolino Valfré (la prima linguista e docente di temi legati alla “gender equality”, la seconda giornalista esperta di comunicazione e linguistica cognitiva nonché docente all’“Università di Torino”) che, insieme, hanno prodotto “Che palle sti stereotipi: 25 modi di dire che ci hanno incasinato la vita”, libro che verrà presentato giovedì 18 gennaio, alle 18,30, all’Hub culturale “OFF TOPIC” di via Pallavicino a Torino, a cura di “The Goodness Factory”. L’evento vuole essere un “viaggio ironico, ma serissimo”, attraverso i modi di dire “stereotipati” e “stereotipanti” di uso quotidiano che nasce nell’ambito di “MIND THE GAP OFF”, il ciclo di eventi in avvicinamento al Festival transfemminista “MIND THE GAP. Moderatrice: la copywriter e digital strategist, Ella Marciello.

Dicono le autrici: “Occuparsi delle parole vuol dire soprattutto prendersi cura di sé e della propria mente e non esistono cose più urgenti di dedicarci a noi e al rapporto con le altre persone. Questo viaggio, ironico e al contempo serio, ci porta, attraverso i modi di dire che spesso usiamo inconsapevolmente, all’interno di una società ancora troppo maschilista, nella quale le donne troppo spesso mettono in atto comportamenti auto-sabotanti. Sono parole ‘di seconda mano’, che utilizziamo senza compiere una vera e consapevole scelta, sono parole non nostre ma che, nel momento in cui le pronunciamo, dicono tanto anche di noi, di chi siamo, di cosa (senza rifletterci) pensiamo e di come ci comportiamo”.

Il libro della coppia Nacci –Pettolino Valfré dovrebbe in qualche modo aiutarci a riflettere, a trovare la chiave atta a disinnescare i nostri “automatismi”, in modo che “quando – ancora le autrici – staremo per esclamare a una donna:Hai proprio le palle!’, ci verrà da ridere ripensando a cosa vuol dire, a quanto sia assurdo, e ci porterà a domandarci: ‘Sono veramente io che sto scegliendo questi termini?, ‘Chi è la padrona o il padrone della mia mente?’. E ancora: ‘Posso amare le parole che ho detto?’”.

Per info: “OFF TOPIC”, via Giorgio Pallavicino 35, Torino; tel. 011/0601768 o www.offtopictorino.it

g. m.

Nelle foto:

–       Cover libro

–       Laura Nacci

–       Marta Pettolino Valfré

Harmonie in San Francesco con l’orchestra Polledro

Il maestro Federico Bisio sul podio per il concerto nella chiesa di San Francesco a Moncalieri giovedì 25 gennaio

 

L’Orchestra Polledro presenta , con il patrocinio della città di Moncalieri, il concerto Harmonie in San Francesco”, con il maestro Federico Bisio sul podio, direttore stabile dell’Orchestra e quale primo oboe il maestro Carlo Romano, già primo oboe dell’orchestra RAI e oboe solista scelto dal maestro Morricone.

Il titolo del concerto è mutuato dal fatto che si terrà giovedì 25 gennaio prossimo, nella chiesa di San Francesco, in piazza Vittorio Emanuele II.

Il concerto, a ingresso libero, prevede un ricco programma musicale con la Serenata n. 10 in si bemolle maggiore K 361 detta “Gran partita” di Wolfgang Amadeus Mozart.

Un unicum per la sua ricchezza armonica e la densità della tessitura musicale, la cosiddetta Gran partita di Mozart (attributo apocrifo che non si deve tuttavia al compositore) KV 361 si colloca ai vertici del repertorio per fiati del XVIII secolo.

L’Harmoniemusik, ensemble di strumenti a fiato, ha iniziato a svilupparsi all’inizio del Settecento, quando sono nati gli oboi, i clarinetti e i fagotti moderni. L’ensemble era generalmente composto da una coppia di oboe o clarinetti, uno o due fagotti e una coppia di corni. Il genere più amato era la cosiddetta partita o parthia, una suite composta da tre a otto brevi movimenti. Questo genere musicale ebbe il suo primo sviluppo come accompagnamento alle battute di caccia e alle occasioni militari.

La situazione cambiò drasticamente nella primavera del 1782, quando l’imperatore austriaco Giuseppe II ordinò che la sua musica da tavola fosse curata da ensemble di otto strumenti (due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni) composto da membri della sua orchestra del teatro di corte ( i predecessori dell’Orchestra Filarmonica di Vienna). In questo modo la musica per banda di fiati doveva essere eseguita da musicisti professionisti e il virtuosismo della Harmonie Viennese, la banda di fiati imperiale, con i fratelli Stadler come clarinettisti, divenne il modello imperante. Il modello fu presto imitato e molte corti dell’Europa centrale ebbero a disposizione un ottetto di fiati simile.

Non si riconosce esattamente l’anno di composizione di questa serenata per 13 strumenti K 361, ma si ha ragione di ritenere che essa sia stata scritta a Vienna intorno al 1783-84, contemporaneamente al concerto per pianoforte in mi bemolle maggiore K 449. L’annotazione apocrifa di “Gran partita” riportata sulla prima pagina della partitura, non è attribuibile a Mozart. Secondo la notizia poco attendibile del primo biografo di Mozart, Georg Nikolaus von Nissen, questa serenata fu il dono di nozze di Mozart alla moglie. Notizie certe di un’esecuzione della Gran partita ci riportano a Vienna nel 1784, quando quattro movimenti della serenata furono eseguiti dalla Harmonie, il gruppo dei fiati dell’orchestra della corte imperiale su iniziativa del clarinettista Anton Stadler, per il quale Mozart compose il suo Concerto per clarinetto k 622.

Nel catalogo mozartiano la Gran partita occupa una posizione di grande rilievo per la grandiosità della sua struttura formale che conta ben sette movimenti, per la felicità dell’invenzione melodica e armonica e per l’originalità dell’organico strumentale. Al convenzionale complesso di due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni, Mozart aggiunse una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, che fanno qui la prima comparsa nell’opus mozartiano, per riapparire poco dopo nel Ratto del serraglio.

Mara Martellotta

La serenata, cosiccome i divertimenti e le cassazioni, era destinata all’intrattenimento e spesso eseguita la sera all’aperto. La più celebre serenata mozartiana è, senza dubbio, Eine Kleine Nachtmusik, la piccola serenata notturna in sol maggiore KV 525 per archi.

Nella seconda metà dell’Settecento la serenata prende la forma di una successione di danze, spesso introdotte da una marcia. Di norma era intonata da un ottetto di fiati formato da due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti. Mozart dilata l’organico nella serenata in si bemolle maggiore KV 449 e aggiunge all’ottetto una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, strumenti appartenenti alla famiglia del clarinetto, ma dal suono più grave di questo, che per la prima volta compare nella produzione musicale dell’autore.