Schierati per la parità di genere, emergenza climatica e uguaglianza sociale
È ricomparsa.
La bella Venere botticelliana sta di nuovo facendo un giro del web, adesso in gradita compagnia di altri emblematici volti angelici, tra cui “La ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer, l’autoritratto di Frida Khalo e la “Marylin Monroe” di Andy Warhol.
L’ultima volta che la dea aveva momentaneamente lasciato la sua conchiglia era stato per travestirsi da influencer, e, forse un po’ scocciata dalla monotonia delle coste di Zante, aveva deciso di prendersi una vacanza al grido del glamour e della mondanità.
Spogliata dell’intrinseco valore culturale, ora la sorridente figlia della spuma del mare di Cipro si riappropria della preziosità storico-artistica che la contraddistingue e scende in campo “nuda e cruda”, ammutolendo le masse attraverso l’esternazione estetica e visiva della realtà dei fatti.
Venere sostiene lo sguardo degli spettatori attraverso la grazia magnetica dei lineamenti sinuosi, nuovamente rimaneggiata, Afrodite ora si mostra tumefatta, con il volto deturpato e segnato da lividi, gli stessi che si possono notare sulle fattezze delle altre sette fascinose opere d’arte facenti parte dell’installazione artistica realizzata dal Comune di Gazzo, in provincia di Padova, titolata “Ogni donna è un’opera d’arte; non sfregiarla, rispettala!”, realizzata per celebrare il 25 Novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Ad ulteriore supporto dell’opera, viene realizzato uno spot pubblicitario riguardante la violenza domestica, in cui una Gioconda sfregiata torna pian piano all’antico splendore grazie all’aiuto di una persona che la ripulisce dalle sofferte ferite.
In questo caso ben quattro secoli di pittura vengono “scomodati”, modificati e digitalizzati per riflettere sulla sempre più preoccupante questione della violenza di genere: “ogni opera deturpata rievoca le tante mogli, madri, figlie e sorelle che ogni giorno sono costrette a subire violenza in tutte le sue sfaccettature: da quella fisica a quella psicologica e economica.” (“Ritratti di donne deturpati da lividi: così l’arte dice no alla violenza”, articolo a cura di Paola Pilotti).
L’installazione padovana non è certo un “unicum” nella storia contemporanea, infatti mai come in quest’ultimo periodo l’arte si trova invischiata in proteste socio-politiche, sia quando si tratta di rielaborazioni grafiche, sia quando l’atto del “contestatore” coinvolge le opere concretamente.
Si pensi ad esempio alla quantità di immagini di sculture o quadri rimaneggiati digitalmente circolano sul web con lo scopo di far riflettere la gente, o alle rivisitazioni decontestualizzate, come ad esempio “Il bacio” di Tvboy, attualizzazione ai tempi del COVID dell’omonima opera di Hayez, fino ad arrivare alle azioni tangibili degli attivisti che agiscono direttamente sull’opera, talvolta con la cognizione di preservare il bene culturale, talvolta con la volontà di deturparlo o distruggerlo.
L’arte è simbolo, l’arte è mezzo di comunicazione, l’arte è rappresentazione, l’arte è ideale.
Essa serve a scuotere gli animi, è impiegata per ponderare concetti alti quali la bellezza, l’armonia, la sensibilità dell’animo, ma l’uomo se ne può avvalere anche per gridare dissenso quando i diritti dei cittadini non sono rispettati.
Gli artisti da sempre svolgono un ruolo attivo all’interno della società civile, attraverso i loro elaborati offrono contributi essenziali per riflettere su sofferenze, guerre e momenti di difficoltà condivisa, essi portano a maturazione un sentimento privato e collettivo al tempo stesso attraverso un’istintiva urgenza espressiva che sfocia nella responsabilità sociale.
Ecco perché il valore dell’oggetto artistico non risiede –esclusivamente- nella connotazione estetica, bensì nella sua funzione civica, educativa, storica e pedagogica, poiché esso è capace di trasformare la cronaca in “Storia”.
I primi dunque ad utilizzare l’arte per cercare di far scaturire reazioni nelle persone sono gli artefici stessi, un esempio per tutti: Ai Weiwei. Artista “totale” cinese, designer, attivista, architetto, regista e gestore per alcuni anni di un blog di pagine autobiografiche e discorsi poetici, lui stesso parla chiaramente del suo operato: “Non separo mai la mia arte dalle altre mie attività. C’è un impatto politico nelle mie opere e non smetto mai di essere artista quando mi occupo di diritti umani. Tutto è arte, tutto è politica”.
Altri artisti-intellettuali, inscrivibili nel movimento definibile come “Artivismo” (neologismo utilizzato a partire dal 1997 e derivante dall’inglese “Artivism”), che prediligono l’impegno politico al semplice fare arte sono ad esempio Banksy, Anselm Kiefer, Maurizio Cattelan, Björk se si parla di musica, Gianfranco Rosi per quel che riguarda il cinema, fino ai fumetti di Zerocalcare. Non da meno è ancora il lavoro di Iena Cruz (Federico Massa), interessato alla realizzazione di murales con particolari vernici colorate capaci di intrappolare gli agenti inquinanti, come lo smog, contribuendo così a ripulire l’aria circostante e partecipando in prima linea alla risoluzione della problematica dell’inquinamento e dell’allerta climatica.
Vi sono poi i “profani” dell’arte, gente più o meno esperta del settore che tuttavia ne riconosce il valore intrinseco e utilizza l’oggetto d’arte come mezzo per mandare un messaggio alla comunità.
Rientrano in questa categoria ad esempio i manifestanti per la parità di diritti di cui ancora oggi non tutti godono. La questione ha interessato in particolare gli Stati Uniti con il movimento “Black Lives Matter”, scaturito dalla vergognosa morte di George Floyd, tragico avvenimento che ha aperto un acceso dibattito culturale sul tema del razzismo. A seguito di queste proteste alcune statue commemorative di importanti figure storiche quali Cristoforo Colombo, Montanelli, Jefferson Davis, o il generale Robert Lee sono state rovinate o addirittura distrutte. Dalla cronaca si è passati ad un piano più ampio e concettuale che ha portato numerosi manifestanti a vandalizzare alcune opere d’arte intese dalla mentalità comune come simboli e icone di una tradizione razzista ancora vincolata a richiami di un’ideologia suprematista. La denuncia sociale necessita talvolta, per farsi sentire fino alle alte sfere, un’azione forte e netta: la distruzione effettiva del simbolo, la dissoluzione dell’arte che rappresenta “quella” storia.
È il finale auspicato anche da Alan Moore nel suo capolavoro illustrato da David Lloyd, “V for Vendetta”: l’esplosione dello storico palazzo del Parlamento inglese come simbolo della vittoria contro un regime corrotto e totalitario.
Distruggere un bene culturale per distruggere un’ideologia, può essere giusto o eccessivo: “ai posteri l’ardua sentenza”.
Ancora inscrivibili in questa categoria sono i moderni eco-attivisti, particolarmente suscettibili alle questioni climatiche, si pensi ai gruppi “Just Stop Oil”, “Extinction Rebellion”, nonché l’aggregazione italiana “Ultima Generazione”. Si tratta di giovani “se non del tutto giusti, quasi niente sbagliati” –parafrasando De André– che per sobillare gli animi lanciano cibaglie sui quadri esposti nei musei o si incollano ai vetri protettivi dei capolavori del passato. Tanto si è dibattuto su questo peculiare modo di manifestare, l’opinione pubblica si dimostra assai sensibile al riguardo, concentrando tuttavia l’attenzione sull’azione e non sul significato di tale agire, finendo con lo sminuire l’effettiva intenzione dei manifestanti. Tutto è iniziato il 29 maggio deL2022 al Louvre di Parigi, con l’imbrattamento del sorriso più conosciuto della storia dell’arte, quello di Lisa Gherardini, meglio nota come “Monnalisa” o “Gioconda”. Il dipinto viene preso di mira non solo perché conosciuto in tutto il mondo, ma per una motivazione decisamente più sottile e concettuale: gli attivisti ritengono Leonardo da Vinci come una sorta di loro precursore, in quanto egli è stato il primo acuto osservatore della natura e studioso meticoloso dei fenomeni naturali; l’artista, con occhio scientifico e meticoloso, proponeva nei suoi lavori –anche nell’enigmatica Gioconda- la riproduzione di paesaggi realistici soggetti alle variazioni climatiche che egli osservava con costanza; con il medesimo zelo gli attivisti climatici osservano –come faceva Leonardo- la natura che ci circonda, ne notano i drammatici cambiamenti e cercano di farli notare alla comunità.
L’opera rinascimentale è stata la prima ad aprire la strada a questo particolare sistema di protesta, in seguito molti altri capolavori sono stati “colpiti” -nel vero senso del termine- quali “The Hay Wain” di John Constable, “La Primavera” di Botticelli, “I girasoli” di Vincent Van Gogh, “Il pagliaio” di Monet, senza contare poi gli incatenamenti alla struttura che sostiene la scultura “Forme uniche della continuità nello spazio” di Umberto Boccioni o ancora il presidio di tre giorni nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Per chi volesse ascoltare, i membri stessi di questi gruppi spiegano chiaramente il loro intento: “Il nostro non è vandalismo, ma il grido di allarme di cittadini disperati che non si rassegnano ad andare incontro alla distruzione del Pianeta e, con esso, della propria vita” e ancora: “non ce ne faremo nulla dell’arte e dei capolavori su un pianeta che brucia. Servirà a poco la bellezza quando non avremo acqua né cibo”.
Tutto sta divenendo più complicato, anche comprendere l’arte, tanto più se si tratta di arte socialmente impegnata, o capire gli intenti dei nuovi manifestanti. L’ideologia novecentesca della politica, delle problematiche sociali e civili, lascia ormai spazio ad un “attivismo globale” ostico da comprendere poiché intrinsecamente collegato a fenomeni di sensibilità diffusa, pulsioni e urgenze condivise su larga scala. Inoltre è ormai necessario fare i conti con il dilagare della spettacolarizzazione del mondo, così come denuncia Vincenzo Trione, nel suo ultimo libro “Artivismo”, edito Einaudi: “Gli scenari più drammatici del nostro tempo, spesso, non evocano più choc, né rischi e neanche timori, esistono soprattutto come proiezioni, schermi, simulacri, spettacoli a oltranza, fatti di immagini prodotte dai media”.
In questo periodo di profondo cambiamento, a modificarsi è soprattutto la comunicazione, pare soprattutto quella dei giovani. La dimensione virtuale dilaga a trecentosessanta gradi, tant’è che ormai pensare ad una vita priva della dimensione digitale è del tutto impossibile oltre che anacronistico, i social sono mezzo obbligato per dichiarare pensieri, sentimenti e bisogni, sia privati che pubblici, persino le notizie sono fruibili sulle pagine web prima ancora che attraverso i telegiornali.
Eppure, mentre il doppio tecnologico di noi stessi dilaga come il Nulla ne “La storia infinita”, alcuni elementi utili per salvare la nostra “Fantàsia” permangono: la voglia di giustizia e parità, il sogno di un mondo migliore e l’arte, in tutte le sue sfaccettature.
D’altronde, dopo aver vinto i mondiali del 2006 tutti gli italiani cantavano di volere indietro “la nostra” Gioconda, riconoscendone con felice ironia il valore inestimabile.
Ecco, ora che bene o male tutti sappiamo che l’arte è importante, non ci rimane che capire quanto sia importante studiarla e tramandarla alle generazioni successive, imparando anche ad “usarla” non a sproposito.
ALESSIA CAGNOTTO