CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 127

Tutti i volti di Torino tra risate e stereotipi. Intervista a Davide D’Urso

 

Non si dovrebbe dire, ma ammettiamolo: l’abito – in qualche occasione- fa il monaco.
Passeggiando per strada, boccheggiando tra la fiumana del centro il sabato pomeriggio davvero nessuno di voi si è mai soffermato ad osservare alcune persone, pensando ad esempio: “ma quella sicuro è di Crocetta”, oppure “quelli saranno di Barriera”, fino a “vedi quelli di Parella, la zona che cartella”?
Camminate, andature, abbigliamento, modi di dire che ci rendono – tutti quanti, credetemi- stereotipi ambulanti convinti che il luogo comune non ci riguardi.
Ogni città ha le proprie suddivisioni interne, i propri quartieri che si portano appresso giudizi e dicerie, ma a Torino tale aspetto emerge più che da altre parti, quasi come se le zone urbane fossero in realtà ecosistemi indipendenti, accozzati per caso l’uno accanto all’altro, con tradizioni diverse e individui “sui generis” spesso riconoscibili ad una prima occhiata.
Lo sa bene il giovane comico torinese Davide D’Urso, che ha spopolato sui social proprio giocando sullo spiccato senso d’appartenenza dei cittadini alle proprie zone di vita.
Davide riesce a farsi conoscere dal grande pubblico partecipando alla trasmissione televisiva “Eccezionale veramente”, dove stupisce Paolo Ruffini e Diego Abatantuono che lo portano fino al termine del programma in atto. L’avventura di D’Urso continua con l’ingresso nel cast di “Colorado”, in onda su Italia1, in seguito arrivano le collaborazioni con i Pampers e i diversi spettacoli a teatro, tra cui il fortunato one man show “LIVE – É PROPRIO D’URSO”, esibizione dinamica e irriverente, in cui si alternano giochi di magia e monologhi ispirati a storie vere.
Eppure la svolta avviene per caso, dopo la pubblicazione di un post su Instagram che raggiunge nel giro di poche ore moltissime persone che da quel momento in poi iniziano a seguirlo prima sui social e poi nei teatri.
Quando lo chiamo al telefono, Davide mi risponde subito, con cortesia e gentilezza: mi colpisce la sua naturale disponibilità, qualità più che apprezzabile e tutt’altro che scontata, specie tra persone di una certa notorietà. “Ciao Ale!” mi saluta, squillante e amichevole, seguono piacevoli convenevoli, dopodiché entriamo nel merito dell’intervista. Gli chiedo subito dei suoi inizi, mi racconta a ruota libera della sua infanzia e di come in principio abbia dovuto affrontare diverse problematiche, tra cui questioni personali assai spiacevoli.
Davide: “Io nasco come mago, perché, fin da quando ero ragazzino, con dei giochi di magia riuscivo a far sorridere un po’ tutti, a farli stare meglio, e così, molti anni dopo, ho capito (non è troppo tempo che ho preso coscienza di questo fatto), che lo facevo in primis per aiutare me stesso a uscire da quel mio primo periodo triste e problematico. Ho iniziato quindi ad appassionarmi sempre più di magia, al punto che in questo ambito ho frequentato una scuola torinese: il “Circolo Amici della magia”. Diciamo che ero convinto, e speravo, di poter arrivare a un livello alla Sylvan o qualcosa di serio, ero diventato invece un Forest. Allora lì ho iniziato a scrivermi delle battute per i giochi di magia e man mano ho sempre più scritto battute e studiato meno magia, cioè mi sono reso conto che in realtà non facevo appunto magia per la magia in sé ma per far ridere la gente.”
Continua poi il racconto della sua formazione.
Davide: “Da lì mi sposto al CAB 41, che è un locale storico torinese, dove ho iniziato i cosiddetti laboratori. Per anni ho fatto il comico in questo teatro, che era un po’ un punto di riferimento, qui mi hanno cresciuto, mi hanno aiutato a stare ore e ore sul palco; certo non posso dire di essermi formato in una scuola, o in un’Accademia artistica, perché questo lavoro l’ho appreso direttamente sul campo, stando davanti alla gente. Mi esibivo lì anche 3-4 volte a settimana, presentavo i comici più famosi che venivano come ospiti e così ho iniziato a far parte del settore della comicità. Dieci anni fa, o poco più, ho conosciuto i Pampers, con i quali ho iniziato a impostare i video sui social: sono andato in tournée con loro, e così ho potuto accumulare tante esperienze. Quindi tramite il CAB, e i Pampers e diverse altre sperimentazioni, sono riuscito a partecipare anche a programmi in TV, come: “Colorado” nel 2016 e nel 2019, e posso dire con mia soddisfazione personale che sono uno dei comici più giovani ad aver presenziato a “Colorado”. Tra le mie esperienze televisive, ricordo: da Amadeus a “Comedy Central”, su La Sette “Eccezionale Veramente” con Diego Abatantuono, Ruffini, Cirilli. Tuttavia, non riuscivo ancora ad emergere, ossia non riuscivo a creare una mia specifica “identificazione”. Allora, pur non tralasciando il mio desiderio di fare spettacolo, mi sono dedicato anche ad altri lavori: il cameriere, l’agente immobiliare, il “call center”, insomma, mi sono attivato per riuscire a vivere. È stato molto faticoso. Ormai ero abbastanza rassegnato a non emergere, erano tanti anni che ci provavo, ma alla fine sono arrivati questi video su Torino, con cui è cambiato tutto. Preciso che, avendo io studiato cinema, inizialmente mi sono dedicato alla realizzazione di video il più possibile precisi dal punto di vista tecnico, ci mettevo anche un mese per crearne uno, campo, controcampo, il drone, il green screen, la proof, però mi rendevo conto che era tutto un disastro, e che quel tipo di linguaggio in realtà sui social non funzionava. Mancava qualcosa, mancava un po’ di verità, e me ne sono reso conto solo col tempo. Quella verità lì l’ho ritrovata raccontando una delle cose che amo di più al mondo, cioè la mia città.
Mi sono chiesto: che cosa conosco bene della mia città e che cosa so fare? Ecco, mi sono dato una risposta, io so percepire i dettagli della gente”.
Provo a insistere e chiedo a Davide se ci possiamo soffermare su questo punto di svolta.
Davide: “ Ma è nato veramente da solo questo format dei video su Torino. Un giorno in cui avevo delle commissioni da svolgere in varie zone, mentre camminavo sentivo che le persone avevano delle parlate e degli atteggiamenti differenti, ho tirato fuori il telefono e mi sono ripreso mentre imitavo ciò che vedevo attorno a me; quando ho finito il video, avevo aspettative zero: lo pubblico, e intanto mi guardo un film, poi riapro Instagram e vedo addirittura 200.000 visualizzazioni in due ore. Quel video è arrivato poi a 2 milioni e mezzo, figurati, e da quel momento la gente mi ha scoperto come il comico di Torino. E la cosa che fa molto ridere è che tutti quelli che mi hanno scoperto per i video, mi dicono quando mi incontrano oppure mi scrivono sui social, “senti, ma perché non fai il comico?”
Ride.
Davide: “E quindi adesso, grazie al potere del social, mi sto dedicando al mio lavoro, ossia sto facendo il comico: presento eventi importanti nella nostra città, sono considerato nelle diverse iniziative che organizzano il Comune e la Regione, insomma sono, per così dire, “tra i punti di riferimento” degli eventi cittadini. e tutto ciò mi rende straorgoglioso! E’ bello che sia nato tutto spontaneamente, questo mi lusinga molto.


Alessia: “E quindi com’è il tuo rapporto con il mondo dei social? È assolutamente tutto un “pro”? Tutto idilliaco? Tutto meraviglioso?
Davide: “Io li odiavo, perché io ero il più grande hater dei social. Un po’ per frustrazione, perché per anni e anni ci provavo e non succedeva nulla. Però in seguito ho capito che il problema ero io, e nient’altro. Un rapporto di amore e odio e sono grato al social per quello che mi sta succedendo. Sono testimonianza che la TV ormai non sposta più gli equilibri come anni fa, il social ti porta tutto perché entri proprio direttamente nella vita quotidiana delle persone. Una lama a doppio taglio, che devi saper usare con assoluta precisione, devi essere sicuro che quello che dici non vada a ledere la sensibilità di nessuno e questo è davvero molto complicato.”


Alessia: “Con la questione de”politicamente corretto” diventa difficile dire qualsiasi cosa, cosa ne pensi?”

Davide: “Sì, è così. Come ti dicevo, non è facile mettersi nei panni di tutti proprio per la questione politically correct, perché una parola sbagliata può portare il pubblico a sfogarsi contro di te, che è il lato oscuro del social, dietro la tastiera tutti si credono Jason Momoa”


Alessia: “Questa attenzione così forte nei confronti del “questo lo posso dire, questo non lo posso dire” secondo te c’è sempre stata??
Davide: “No, no, basta andare a vedere i video degli youtuber o dei creator di dieci anni fa e se li riguardi oggi quasi ti stupisci. Perché una volta non c’era tutta questa attenzione alle differenze, e, se ci riflettiamo un po’ su, anche questo è un discorso che potremmo portare avanti all’infinito. Per me non ci sono differenze e quindi mi viene da scherzare su tutto, perché siamo tutti uguali, no?
È delicato dal mio punto di vista, perché faccio ironia e satira. Sai, se fai musica, basta che parli d’amore, parli d’altro. Se fai comicità, devi andare a toccare anche temi un po’ particolari, ed è complesso. Per questo io sposo la filosofia di mettere un contenuto quando è pronto e non stare dietro ai ritmi che ti chiede l’algoritmo, preferisco inserire un contenuto quando so che quel contenuto ha una certa valenza.
Ma il mio obiettivo non è vivere dei social, è vivere di teatro, quindi a me basta avere una fan base che crede in me e in quello che faccio e che viene a vedermi agli spettacoli. Questo è il mio obiettivo finale. Anzi, se arrivassi un giorno al punto in cui posso non usarli, vuol dire che è andato tutto bene.”


Alessia: “Quindi l’ambiente, il mondo che ti piace di più è quello del teatro?”
Davide: “Sì, sì
. Vorrei fare tournée, portare il mio spettacolo ovunque. E poi un domani magari sogno il cinema, però senza alcun tipo di fretta. Mi piace avere il pubblico lì a contatto, perché è un’altra cosa che nel cinema manca. E manca anche nei video, manca sempre un riscontro immediato dei commenti delle persone, averle davanti è un’altra cosa, è un’emozione inspiegabile e quindi io punto a questo aspetto in assoluto.
L’empatia a teatro sale tantissimo, anche l’ascolto, perché poi quando sei sul palco ormai il tuo copione lo sai a memoria, non pensi più a quello che devi dire, pensi a viverti il momento e a capire come adattarti al pubblico. Io ad esempio ho fatto queste due date a teatro, lo spettacolo è lo stesso, ma sono venute due serate completamente diverse, perché era diverso il pubblico”.


Alessia: “A riguardo ci sono stati dei momenti che assolutamente ti ricordi? Degli spettacoli significativi dove è capitata magari un’interazione specifica col pubblico, nel bene o nel male?
Davide: “Per fortuna sempre nel bene. Mi ricordo una volta di una ragazzina che videochiama il padre, io scendo, prendo il telefono e rispondo. Inizio questo dialogo con la ragazza dicendo che il padre in quel momento non può rispondere. Adesso non ricordo i dettagli, però è stato esilarante. Aveva tipo 15-16 anni quindi è stata anche al gioco, ed è stato incredibile.”


Alessia: “Invece riguardo a quest’idea di prendere spunto dai vari quartieri di Torino, quello che ti fa un pochino più ridere?”
Davide: “A me piace tanto imitare gli abitanti di Carmagnola, da quando andavo al liceo con il mio migliore amico e riuscivamo a imitare un papà di un nostro compagno che parlava proprio con quella cadenza. Quindi è una cosa che lego a questa storia inconsciamente e mi diverte farlo, perché per me sto ancora imitando il papà del mio compagno dopo 15 anni.
Mi metto là, scelgo un tema, Natale a Torino, immagino il Natale in tutti i quartieri e quei 5 o 6 che mi fanno più ridere li metto poi nel video. Tanti invece dicono, ma perché non fai quel quartiere lì? Perché non fai l’altro? Ah, ce l’hai con noi di Pozzo Strada perché non ci nomini mai, ce l’hai con noi di Barca, ce l’hai con noi di…. In realtà non ce l’ho con nessuno, è che il video deve durare un minuto e mezzo, non posso metterli tutti sempre.”


Alessia: “E hai dei punti di riferimento diciamo reali per ogni quartiere?”
Davide: “Sì, sì, per ogni quartiere ho un punto di riferimento. E non c’è nessuno mai che ci sia rimasto male, si sia un po’ offeso, è una cosa molto divertente. Una delle battute che mi dicono di più è, no vabbè, ma sei uguale al mio amico, sei uguale alla mia amica. Incredibile. Come fai a farlo in maniera così accurata? Ecco, “accurato” è il commento che mi è stato detto di più. Accurato. Ad esempio, il mio tamarro di Mirafiori, no? Da tanti personaggi è stato realizzato il tamarro nella vita, tanti comici hanno interpretato il tamarro, però sempre sopra le righe, in maniera eccessiva. Invece a me hanno detto: tu sei proprio il mio amico, sei esattamente così, non è uno stereotipo, è proprio reale. E la cosa è assai
divertente, oppure quelli di Nichelino. Ormai gioco con i miei amici a indovinare le zone solo guardando le persone. E oh, quelli di Nichelino, non sbaglio mai, mai, perché già l’approccio è diverso. Quando mi fermano per strada arrivano dicendo, secondo te di che zona sono? Sono gli unici che lo chiedono, quindi già che mi fai la domanda, dico, ok.”


Alessia: “Quindi noi di Nichelino, abbiamo anche questo primato!”
Davide: “Sì, sì, sì. Poi è bello che ora si chiamino “sbraua” – il verso è di difficile trascrizione- tra di loro. sento la gente per strada che si chiama “sbraua”, questa roba è
fantastica, è entrato nel gergo popolare dei ragazzi.
Vado spesso anche nelle scuole a parlare ai liceali, ad esempio Primo Levi, Einstein, Alfieri, Volta. Adesso devo andare al Majorana. E quando entro parte il coro Sbraua! Quella cosa lì mi piace un sacco perché sono entrato nel loro gergo, questo è bellissimo.”


Alessia: “E com’è il pubblico? Com’è fare uno spettacolo davanti a dei ragazzi adolescenti?
Davide: “Nelle scuole vado a parlare, a fare delle interviste, quindi non è mai show. Ci sono state volte un po’ più complesse perché magari non avevano tanta voglia, se no di solito c’è molta curiosità. Ecco, ho notato che non osano comunicare. Perché quando chiedo, ragazzi, fatemi tutte le domande che volete, alzano due o tre mani. Allora ho fatto un test un giorno e ho detto scrivetemi le domande su Instagram, ok? E io le leggerò in maniera anonima, non dirò chi me le ha scritte. I ragazzi mi hanno scritto delle robe allucinanti, sia profonde sia di altro tema, insomma hai capito. Cioè, tanti ragazzi seduti davanti a me non sanno rispondere alle mie domande, poi gli dai quello strumento lì in mano, gli chiedi la stessa identica cosa e mi arrivano questioni senza filtro.. Però è bello, mi piace. Poi alla fine chiedono tutti le foto, stanno là. Magari sono timidi, quindi non si sono lanciati durante l’incontro a essere molto partecipi, però poi dopo vengono e mi chiedono un abbraccio. Se posso fare il video ai genitori. Sei l’idolo di mia nonna.. Fai un video a nonna Rosetta che ti saluta. Là capisci di essere arrivato, quando fai i video per nonna Rosetta”


Alessia: “Un’ultima domanda: i tuoi idoli?”
“Per quanto riguarda il teatro, Gigi Proietti, Aldo Giovanni e Giacomo, due mondi completamente differenti di fare comicità, però adoro entrambi. E mi piace anche molto la parodia musicale alla Checco Zalone, anche Checco, il Checco di tanti anni fa però, quello di Zelig, non quello dei film. Anche se i film sono dei cult per me, però trovo molta ispirazione nella musica e nelle storie di cantanti. La musica mi ha suscitato l’ispirazione più grande, forse. Ad esempio i Pinguini, ci conosciamo, siamo diventati amici e ora andrò a tutte e quattro le date dei loro spettacoli.”

ALESSIA CAGNOTTO

Iaad, incontro con Carlo Lucarelli

Venerdì 10 maggio, ore 14 IAAD. Torino, Corso Regio Parco 15 ADD DIALOGUE TO YOUR DESIGN

 

Il male fa parte del mondo, ci affascina e ci respinge. Ma come si racconta? L’incontro con lo scrittore, sceneggiatore e conduttore televisivo Carlo Lucarelli di venerdì 10 maggio allo IAAD. per “Add dialogue to your design”, in dialogo con Andrea Bozzo, avrà come tema l’evoluzione della rappresentazione del male a partire dai grandi casi di cronaca, tra parole, immagini e canali di comunicazione, cercando il punto di incontro tra l’aspetto emotivo e l’oggettività dei fatti.

 

“Add dialogue to your design” è un originale ciclo di incontri in presenza, ideato e promosso da IAAD., con alcuni protagonisti del nostro tempo, talenti di spicco in differenti campi di ricerca e di esercizio professionale: per loro, coniugare l’esperienza creativa al valore del dialogo è, allo stesso tempo, un esercizio necessario e un dovere imprescindibile.

Il dialogo è uno dei cinque valori fondanti dell’identità IAAD., uno dei concetti chiave che l’Istituto d’Arte Applicata e Design adotta per rappresentare, definire e comunicare il proprio ruolo e le traiettorie del suo impegno culturale e formativo. Nel campo del design, il dialogo diventa l’orchestratore silenzioso che tesse lo sviluppo del processo creativo e ne guida il risultato finale. “Essere IAAD.” significa credere, oltre che nel dialogo, nei valori dell’immaginazione, del coraggio, della cultura e del rispetto.

BIO

Carlo Lucarelli (Parma 1960) è uno scrittore, autore televisivo e sceneggiatore. Dal 1990 ad oggi ha pubblicato oltre 20 romanzi, diversi saggi e raccolte di racconti. Per Einaudi ha pubblicato la serie di romanzi con protagonista l’Ispettrice Grazia Negro, la serie con l’Ispettore Coliandro, quella con il Commissario De Luca e la serie di romanzi storici ambientati durante il periodo coloniale L’ottava vibrazione, Albergo Italia, Il tempo delle Iene. Per la RAI è stato autore e conduttore del programma Blu Notte. Su Sky Arte HD ha scritto e condotto Muse Inquietanti ,“Inseparabili – vite all’ombra del genio” e “In compagnia del lupo – il cuore nero delle fiabe”. Dal 2017 è presidente delle Fondazione Emiliano-Romagnola per le Vittime dei Reati.

 

INFO

Venerdì 10 maggio 2024, ore 14

IAAD. Torino, corso Regio Parco 15

Carlo Lucarelli

www.iaad.it

Andrea Pennacchi in: “Mio padre – Appunti sulle guerra civile”

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO) Giovedì 9 maggio, ore 21

 

 

 

Andrea Pennacchi in “Mio padre – Appunti sulla guerra civile” mette in scena il monologo su suo padre Valerio, nome di battaglia Bepi, partigiano e prigioniero nella sua Odissea di ritorno in un’Italia devastata dalla guerra.

«Domenica 6 maggio 1945, alle 10 e tre quarti, mio padre, nome di battaglia Bepi, mio zio Vladimiro e il tenente degli alpini Stelio Luconi – medaglia d’oro al valor militare in Russia – scoprono di aver vinto la Seconda Guerra Mondiale. Quando è morto mio padre, mi sono svegliato di colpo, come ci si sveglia dopo una festa in cui non ti divertivi e hai bevuto anche il profumo in bagno. È mattina, ti svegli e stai male, ma il peggio è che non ti ricordi niente e c’è un casino da mettere a posto. E tuo papà, che era bravo a mettere a posto, non c’è più. Così sono finiti i miei favolosi anni ’90. La fine di una festa, la nascita di una nuova consapevolezza. Come Telemaco, ma più vecchio e sovrappeso, mi sono messo alla ricerca di mio padre e della sua storia di partigiano, e prigioniero, ma più ancora della sua Odissea di ritorno in un’Italia devastata dalla guerra. Sperando di trovare un insegnamento su come si mettono a posto le cose».

 

ANDREA PENNACCHI – BIO

Teatrista dal 1993, il suo viaggio è iniziato col Teatro Popolare di Ricerca di Padova. Ha composto Eroi, finalista al Premio Off del Teatro Stabile del Veneto, con il supporto di Giorgio Gobbo e Sergio Marchesini. Seguito, nella trilogia della guerra da: Trincee: risveglio di primavera e Mio padre: appunti sulla guerra civile. Ha debuttato nella drammaturgia con Villan People prodotto da Pantakin, poi selezionato al festival Tramedautore del Piccolo Teatro Grassi di Milano e al Premio Fersen per la regia nel 2014.

Per anni, con la collaborazione di Arteven, ha ideato e portato in scena una serie di lezioni-spettacolo con le quali ha girato le scuole superiori del Veneto. Questi progetti dedicati alle scuole tuttora girano grazie alla compagnia Teatro Boxer da lui fondata. É direttore artistico di Terrevolute – festival della bonifica e della rassegna Odeo days. Ha recitato in cinque produzioni del Teatro Stabile del Veneto sotto la direzione di registi come Damiano Michieletto, Bepi Emiliani e Emanuele Maria Basso e Natalino Balasso. Ha inaugurato la stagione 2019/2020 del Teatro Verdi di Padova con Da qui alla luna, spettacolo scritto da Matteo Righetto e musicato da Giorgio Gobbo insieme all’Orchestra di Padova e del Veneto. Per il cinema, ha lavorato con Andrea Segre, Carlo Mazzacurati, Silvio Soldini. Per la televisione, oltre ad essere stato il Ragionier Galli ne Il paradiso delle signore, ha lavorato in Grand HotelNon Uccidere 2Don Matteo, e A un passo dal Cielo. É spalla di Paola Cortellesi in Petra, serie Sky uscita a settembre 2020.

Con il personaggio di Pojana è ospite fisso del programma Propaganda Live su LA7. Ha pubblicato due libri con People: Pojana e i suoi fratelli e La guerra dei Bepi. È uno dei protagonisti del film di Andrea Segre Welcome Venice. Il film, accolto con entusiasmo dalla critica, ha inaugurato le Notti Veneziane, lo spazio off realizzato dalle Giornate degli Autori alla Biennale del Cinema di Venezia 2021.

Giovedì 9 maggio, ore 21

Mio padre – Appunti sulla guerra civile

Di e con Andrea Pennacchi

Musiche dal vivo di Giorgio Gobbo, Gianluca Segato

Produzione Teatro Boxer/Pantakin

Biglietti: intero 18 euro, ridotto 16 euro

Manuela Repetti al Salone del Libro con “Sotto la neve”

Manuela Repetti è per la seconda volta in libreria con il nuovo romanzo “Sotto la neve” (edizioni Epoké), nel quale l’autrice di Novi Ligure – già parlamentare e oggi impegnata nella cybersicurezza- affronta molti temi di attualità quali la solitudine come ostacolo al sentirsi parte di un tutto e il rapporto con gli altri e la natura.

La presentazione si è tenuta al Salone del Libro di Torino con la partecipazione di Giovanni Terzi e dell’editore Simone Tedeschi. In sala il presidente del Museo del Cinema di Torino Enzo Ghigo e l’ex ministro della Cultura Sandro Bondi, marito di Repetti.

IL LIBRO

Quando l’inverno scende su Lastville, il ghiaccio si mescola alle ombre più cupe: una bambina è scomparsa e tutto il paese è chiamato a cercarla. Ma nel cuore della tundra canadese, dove la neve nasconde perfino le impronte più profonde, la verità è spesso indistinguibile. Lo sanno bene Linda e Philip, mentre l’inverno che avanza mette a dura prova le loro solitudini. L’unico fascio di luce proviene dalla natura incontaminata e dai suoi animali, da cui Linda cerca disperatamente conforto.

“Expanded With” in “EXPOSED Torino Foto Festival”

Anche il “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea” omaggia la prima edizione del “Festival” che si terrà sotto la Mole per tutto il mese di maggio

Fino al 25 agosto

Rivoli (Torino)

Un labirintico tappeto di uova. Anzi tre. E quattro gambe (presumibilmente) femminili che coraggiosamente ne sfidano il passaggio, facendo ben attenzione a non trasformare i suddetti tappeti in enormi frittate. Il primo pare essersela, più o meno (più meno che più), cavata. Sugli altri due stendiamo un pietoso velo.

L’uovo scelto “come perfetta metafora della coesistenza di vita e di morte diventa anche simbolo di speranza e rinnovamento”. A raccontarlo in un possente trittico fotografico in bianco e nero, dal titolo “Entrevidas” (“Tra le vite” – della serie “Fotopoemação”1981-2010) è Anna Maria Maioli (“Leone d’Oro” alla carriera alla “Biennale di Venezia” di quest’anno), in quella che può considerarsi la sua prima performance, avvenuta a Rio de Janeiro nel 1981 e presentata come installazione, nello stesso anno, a San Paolo del Brasile. Dietro ci sta tutta l’incertezza dell’allora situazione politica brasiliana, determinata dalla scarsa fiducia di gran parte della popolazione rispetto alla promessa di un ritorno alla democrazia da parte del presidente brasiliano, João Figueiredo. La Maiolino, calabrese di Scalea, trasferitasi da bambina con la famiglia prima in Venezuela e poi in Brasile (dove vivrà gli anni del regime militare che segneranno profondamente tutta la sua attività artistica articolatasi ecletticamente attraverso la performance, l’installazione e la fotografia) decide di riempire lo spazio di uova, invitando poi gli spettatori a “camminare tra le uova, trovandosi così in una situazione che richiede cautela e concentrazione e potendo direttamente esperire questo senso di indefinita precarietà”. “Precarietà” neppur tanto “indefinita”, ma ben chiara agli occhi di chi osserva l’opera, sicuramente fra quelle più interessanti scelte dalla curatrice Marcella Beccaria per la mostra collettiva “Expanded With”, pensata, insieme ad Elena Volpato(conservatore e curatore presso la “GAM” torinese), in occasione di “Exposed”, il Festival Internazionale della Fotografia di Torino.

 

 

Allestita al piano terra, piano ammezzato e terzo piano della “Manica Lunga”, la mostra raccoglie, fino al 25 agosto, opere di 23 artiste e artisti, attivi in più Paesi, nelle quali il “medium fotografico” è il punto di partenza per indagare in “campo allargato” – citando gli scritti della teorica dell’arte americana Rosalind Krauss – diversi tipi di relazione con il paesaggio. Dalle “azioni performative” degli anni 60-70, la mostra comprende opere di pionieri della “Land Art” (Dennis Oppenheimer, su tutti), dell’“Arte Povera” (Giulio Paolini e Mario Merz, fra gli italiani) e della “Body Art” (suggestiva quella “silhouette di fuochi d’artificio” della cubana Ana Mendieta), includendo inoltre l’uso della fotografia come strumento concettuale, per arrivare a ulteriori esperienze più contemporanee. E che dire, allora, di quell’inquietante ma pure ironico e divertente “LeonArdo”, fra i “tableaux vivants” (intrisi di passato e presente, occidente e oriente) del bolognese di Grizzano Morandi, Luigi Ontani?

“Expanded With” è parte di “Expanded”, una mostra in tre capitoli pensata per valorizzare il nucleo fotografico della “Collezione della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT” in comodato al “Castello di Rivoli” e a “GAM- Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino”. Proponendo un unico percorso coerente, la mostra è quindi articolata nelle sedi del “Castello di Rivoli”, della “GAM” e delle “OGR” Torino, e presenta la fotografia da tre angolature speciali, “Expanded With” al “Castello di Rivoli”, “Expanded Without” presso le “OGR” e “Expanded – I Paesaggi dell’arte” presso “GAM” a Torino.

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In concomitanza con “Expanded With”, nella “Sala 18” al secondo piano del Museo sarà inoltre possibile visitare (fino all’8 settembre) la mostra “Paolo Pellion di Persano. La semplice storia di un fotografo”, a cura di Marcella Beccaria e Andrea Viliani, che riunisce per la prima volta un importante corpus di fotografie dell’artista (Castagneto Po, Torino 1947-2017), tra cui molti inediti, restituendo uno straordinario racconto dal quale emerge la vitalità artistica di Torino (a partire dai fermenti sociali anni ’70) e del suo territorio, oltreché la lunga relazione di Pellion con lo stesso “Castello di Rivoli”, di cui documenta l’inaugurazione nel 1984 e che segue con continuità fino al 2012 e oltre.

Gianni Milani

“Expanded With”

“Castello di Rivoli”, piazzale Mafalda di Savoia 2, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 o www.castellodirivoli.org

Fino al 25 agosto

Orari: dal merc. al ven. 10/17; sab. dom. e festivi 11/18

Nelle foto: Anna Maria Maiolino, “Entrevidas”, 1981-2010; Ana Mendieta, “Senza titolo- Anima, silhoutte di fuochi d’artificio”, 1976; Luigi Ontani, “LeoNardo”, 1970. Paolo Pellion: “Marisa Merz”, 1973

Il Piemonte che non c’è più, 25 luoghi da non dimenticare

Era uno splendore di fronte al Duomo di Torino con un elegante porticato lungo 60 metri chiamato Palazzo dei Portici. Era Palazzo Richelmy, casa natale del cardinale Agostino Richelmy, gioiello barocco del Seicento, costruito da Carlo di Castellamonte. Nel 1937 si decise purtroppo di demolirlo per trasformarlo, negli anni Sessanta, nell’attuale Ufficio tecnico dei Lavori pubblici del Comune di Torino. Molti torinesi lo chiamano “Palazzaccio” per il forte contrasto con l’ambiente urbanistico circostante, davanti alla facciata della Cattedrale e per l’impatto estetico assai mediocre. Forse sarebbe stato meglio ricostruirlo com’era. Ma quello del “Palazzo Richelmy” è solo uno dei tanti esempi di importanti monumenti storici del Piemonte che non ci sono più o che per vari motivi sono stati abbandonati. Nella nostra regione ce ne sono tanti, dal Castello di Mirafiori a Torino al forte della Brunetta a Susa, dalla Grande Galleria di Carlo Emanuele I alle fortezze di Cuneo e ancora dal Castello di San Giulio d’Orta all’antica chiesa Santa Maria di Piazza di Casale. Simone Caldano, novarese, docente di storia dell’architettura e dell’urbanistica, scrittore e autore di numerose pubblicazioni, racconta nel suo libro “ Il Piemonte che non c’è più”, Edizioni del Capricorno, la storia di 25 edifici scomparsi in Piemonte tra cui chiese e monasteri, castelli e fortezze, regge e molto altro. Ecco alcuni esempi riportati nel volume.
Quant’era bella a Chieri la chiesa di Sant’Andrea. Nell’area occupata dall’edificio dell’ex scuola di via Tana è stato realizzato un parco e durante i lavori sono affiorati tratti di muratura riconducibili alla chiesa di Sant’Andrea, capolavoro progettato da Filippo Juvarra nella prima metà del Settecento e distrutto in età napoleonica. Sant’Andrea era il cuore di un monastero fondato nel Duecento dalle monache cistercensi a ridosso delle mura cittadine. Le monache lasciarono il monastero con le soppressioni del 1802 e la chiesa fu demolita alcuni anni dopo per ordine del governo napoleonico. L’edificio religioso superstite passò varie volte da un proprietario all’altro finché negli anni Sessanta il Comune di Chieri distrusse l’antico monastero per far posto a due scuole. E che dire della cattedrale di Santa Maria a Novara, risalente al IV secolo, più volte distrutta e ricostruita. Abbattuta e rifatta nel 1100, la chiesa fu restaurata a partire dal Quattrocento. Nel Settecento, su progetto di Benedetto Alfieri, fu restaurata in stile barocco mantenendo però le strutture originarie. Verso la metà dell’Ottocento Alessandro Antonelli pianificò la realizzazione della nuova cattedrale ma il progetto rimase del tutto incompleto. C’era una volta la Cittadella di Cuneo, una fortezza quasi inespugnabile, che, tra ‘500 e ‘700, respinse cinque assedi e si arrese al sesto assalto. Poi arrivò Napoleone che il 2 luglio 1800 cominciò l’abbattimento delle secolari difese della “città degli assedi”. La città fortificata con la sua cinta muraria che incorporava l’attuale Cuneo Vecchia sparì e “da quel momento non fu più il fulcro di una resistenza armata contro gli eserciti nemici e dove sorgevano i bastioni furono aperti nuovi viali e giardini”. Dalle rovine del passato nacque la nuova Cuneo. “E dire che in precedenza Cuneo era percepita proprio come una fortezza e non come un centro urbano”.
Ecco cosa resta del Castello tardo-medioevale di Verzuolo, a pochi chilometri da Saluzzo, dopo il crollo di gran parte di una torre nel 1916. Una triste fine e un disastro che causò anche la perdita dell’archivio del castello con la storia dei rapporti tra i marchesi locali, i Savoia e i re di Francia. Nel 1938 vennero demolite la rimanente torre quadrata, detta la Torre dell’Orologio, la torre del Belvedere e tutta l’ala, facendo così sparire tutta la facciata più bella del Castello. In seguito il maniero fu spogliato di tutti gli arredi, dei camini e anche della ricca fontana. Il degrado del castello portò negli anni successivi a nuovi crolli e demolizioni di gran parte della porzione meridionale dell’edificio. Da un anno il castello di Verzuolo ha un nuovo proprietario che ha l’intenzione di ristrutturarlo parzialmente e trasformarlo in una location, speriamo bene! A Casale invece una chiesa antica è stata distrutta per allargare il mercato mentre a Pinerolo la Cittadella fortificata, di grande importanza strategica, che inglobava l’attuale centro storico è andata perduta per sempre.
E si potrebbe continuare a lungo sfogliando le pagine del libro di Caldano. Si tratta in buona sostanza di un patrimonio perduto ma di cui oggi è importante conservare la memoria. È quello che Simone Caldano ha fatto nelle 178 pagine del suo volume. “La qualità degli edifici distrutti, annota l’autore, può suscitare una naturale indignazione e la comprensione delle circostanze nelle quali sono stati rasi al suolo richiederà uno sforzo di contestualizzazione, non così immediato agli occhi di un cittadino del XXI secolo. Ma ne varrà la pena: anche così s’impara a valorizzare i tesori che ancora ci circondano e a non ripetere gli errori del passato”.                            Filippo Re
Nelle foto
copertina libro “Il Piemonte che non c’è più, 25 luoghi da non dimenticare”, Simone Caldano, Edizioni del Capricorno
Palazzo Richelmy e il “Palazzaccio”,  piazza San Giovanni a Torino
Disegno che rappresenta Cuneo durante l’assedio del 1557

Al Bunker il nuovo disco di Luca Morino

Un concerto per espandere confini geografici e sentimentali, l’occasione per ascoltare per la prima volta dal vivo il nuovo disco di Luca Morino – fondatore e leader dei Mau Mau, giornalista e animatore culturale – pubblicato lo scorso marzo. Con De West Morino esplora infatti un luogo immaginario che travalica la definizione geografica dell’Alta Langa, dove tutto diventa più aspro e selvaggio e si confonde in un immaginario cinematografico e morriconiano dove i cespugli spostati dal vento rotolano fra vigne e noccioleti.

Al Bunker venerdì 10 maggio a partire dalle 21.30, nell’ambito del programma del Salone Off, Morino promette un concerto fuori dagli schemi e dal tempo, in cui i suoni analogici di chitarre elettriche, percussioni e organi Farfisa sono supportati da un’elettronica gregaria, ma presente. L’occasione dal vivo per ascoltare la nuova mezcla che lo stesso autore ha ribattezzato voodoo folk: dal canto gregoriano a Lana del Rey, da Piero Piccioni a Piero Umiliani, dall’amapiano – la nuova dance sudafricana – al chitarrista ungherese Gàbor Szabò, per citarne solo alcuni.

“Terre di frontiera, il Lontano Ovest, DeWest.
Il concerto al Bunker sarà l’occasione per portare dal vivo le ombre, i deliri e le accelerazioni di un mondo reale ma anche immaginario, grazie al riverbero dei film di Sergio Leone o di Werner Herzog.
Musica visionaria che si alternerà a momenti ritmici di forte impatto, grazie a una band potente e convinta e alle immagini animate che accompagneranno lo show.”

Insieme a Morino suoneranno Fabrizio Viscardi alle chitarre, Cristian Longitano alla batteria, Giorgio Boffa al contrabbasso, Paolo Rigotto alle tastiere, Elisa Belella ai cori. I suoni saranno affidati a Luca Biasetti mentre le immagini – parte integrante del progetto sonoro e del concept del nuovo album – sono di Licio Esposito.

De West
https://on.soundcloud.com/8ruQRpewGTJfPa298

L’Istituto Confucio al Salone del Libro

Grandi autori cinesi e storici esperti di Cina. L’Istituto Confucio al Salone del Libro di Torino

 

L’Istituto Confucio al Salone del Libro si trova al Padiglione 3, stand “Isola del futuro” P06 Q05 e partecipa alla 36esima edizione del Salone del Libro , che sarà in corso dal 9 al 13 maggio al Lingotto Fiere di Torino, dal titolo ‘Vita immaginaria’.

All’interno del Lingotto e nelle sedi universitarie per il Salone OFF, l’Istituto Confucio organizza una serie di eventi dedicati alla storia della letteratura e alla storia della Cina contemporanea, con grandi nomi invitati a incontrare il pubblico.

Giovedì 9 maggio, alle 17.15, presso la Sala Internazionale del Lingotto, incontro e dialogo con Lu Min, autrice di “Cena per sei” presenta il suo ultimo libro, conducendo il pubblico alla scoperta della quotidianità nella periferia industriale della Cina anni Novanta. L’incontro affronterà il tema della famiglia nel quadro della costruzione e decostruzione delle classi sociali in Cina. Insieme all’autrice interverranno la sua traduttrice Natalia Riva e Stefania Stafutti, professore ordinario di Lingua e Letteratura cinese nell’ateneo torinese.

Venerdì 10 maggio, alle ore 18, l’appuntamento sarà con la storia contemporanea nell’ambito del Salone OFF, presso la Sala Lauree del Complesso Aldo Moro, in via Verdi, con l’incontro dal titolo “La Repubblica Popolare Cinese nella recente editoria”, che vedrà storici esperti del mondo asiatico e di quello occidentale dibattere sulla Cina contemporanea e sul suo ruolo di attore di primo rilievo sulla scena globale.

Partecipano Guido Samarani e Sofia Graziani, autori del volume “La Cina Rossa. Storia del partito comunista cinese” edito da Laterza, insieme agli storici dell’Università di Torino Marta Margotti e Paolo Soddu.

Domenica 12 maggio, alle 17.30, nella sala Bianca del Lingotto, il noto scrittore Yu Hua presenterà il suo nuovo romanzo “La città che non c’è”. Dopo otto anni di silenzio , Yu Hua torna a coinvolgere i lettori in una storia fatta di tante storie che ruotano intorno alla vita del protagonista, un uomo che con una neonata al collo parte alla volta di una “città che non c’è “.

Partecipano all’incontro la traduttrice di Yu Hua Silvia Pozzi e Stefania Stafutti. Allo stand il personale dell’istituto coinvolgerà il pubblico in dimostrazioni delle più affascinanti arti tradizionali cinesi.

MARA MARTELLOTTA

Torino e le sue donne: Carol Rama

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Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Con la locuzione sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nellespressione sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto sesso forte, uno stereotipo che ne ha sancito lesclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa categoria” appartengono  figure di rilievo come Giovanna Darco, Elisabetta I dInghilterra, Emmeline Pankhurst, colei  che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nellelenco anche Coco Chanel, lorfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel sesso debole” che non si è addomesticato, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan. 
Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario letimologia della parola donnadomna, forma sincopata dal latino domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere.  (ac)

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5 Carol Rama
Torino è anche arte. Molte sono le Gallerie, le Fondazioni e i Musei che promuovono larte in tutte le sue sfaccettature, dalla scultura allarte figurativa fino al cinema, sia che si tratti di arte classica, medievale, o contemporanea.  La storia di oggi è una storia darte, che ha per protagonista una delle donne che larte lha creata, lha vissuta e allarte si è completamente dedicata.  Carol Rama nasce a Torino nel 1918, inizia a dipingere ancora adolescente, senza alcuna formazione accademica ma sostenuta nella sua passione da alcuni incontri fondamentali, primo fra tutti Felice Casorati. Molti sono gli amici intellettuali da cui trae informazioni, conoscenze e stimoli: Edoardo Sanguineti, Massimo Mila, Albino Galvano, Carlo Mollino, Paolo Fossati, Carlo Monzino, Luciano Berio, Eugenio Montale e ancora Luciano Anselmino, grazie al quale entra in contatto con Andy Warhol e Man Ray. Della pittura fa una pratica ininterrotta, è il filtro attraverso cui elabora oggetti, situazioni, persone della quotidianità per convertirli in qualcosa di artistico. Carol è sempre aggiornata sulle varie tendenze darte, ma mantiene grande autonomia di lavoro, sviluppando nel corso del ventesimo secolo un percorso tutto personale, attraverso luso di materiali, temi e stili diversi. Negli acquerelli degli anni Trenta e Quaranta, la rudezza e la scabrosità dei soggetti è decantata nelleleganza compositiva del quadro. Si tratta di lavori eseguiti a cavallo dei suoi ventanni, con noncuranza verso i ben pensanti e le mode artistiche del momento, produzioni che denotano grande maturità tecnica e di ideazione. Negli anni che precedono lo scoppio della guerra, lartista si accosta anche alla pittura a olio, con dense paste di colore e soggetti spesso non tradizionali. La sperimentazione continua: agli stessi anni Quaranta risale linteresse per lincisione che si concretizzerà nella splendida serie delle Parche, (linteresse per tale tecnica rispunta verso la fine degli anni Novanta). Dopo una esperienza astrattista negli anni Cinquanta allinterno del gruppo torinese del MAC (Movimento Arte Concreta), Carol attua negli anni Sessanta una svolta decisiva: su macchie di colore di derivazione informale applica oggetti duso quali strumenti medicali, trucioli metallici, occhi di bambola. Loggetto 
è inserito con tutta la sua fisicità nel dipinto, diventa colore e forma del quadro, pur rimanendo cosa. Negli anni Settanta, sostenuta da colui che sarà il suo gallerista per i decenni successivi, Giancarlo Salzano, un nuovo materiale entra a far parte della sua composizione pittorica, si tratta di camere daria segnate dalluso e di guarnizioni in gomma, utilizzate in sostituzione del colore e incollate su tele monocrome. Questi lavori conservano tutta lincisività dellessere materia (gomma come pelle e carne) e sono un rimando allattività aziendale del padre (specie luso della gomma richiama il lavoro paterno). Nel 1979 Carol espone per la prima volta alla Galleria Martano di Torino gli acquerelli realizzati una quarantina di anni prima, poi scelti lanno seguente da Lea Vergine per la mostra itinerante sulle grandi artiste del Novecento, Laltra metà dellavanguardia. A partire dagli anni Ottanta, lartista ritorna alla figurazione e realizza mirabili quadri in cui dipinge figure e animali fantastici su carte prestampate. La conoscenza internazionale di Carol è dovuta alle mostre pubbliche, come la sala personale alla quarantacinquesima Biennale di Venezia nel 1993, a cura di Achille Bonito Oliva, allestita dallamico Corrado Levi, e lantologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1998, a cura di Maria Cristina Mundici. Il grande riconoscimento pubblico sul suolo Italiano le arriva nel 2003, quando le viene conferito il Leone doro alla carriera in occasione della cinquantesima Biennale di Venezia. Nel 2004 anche la sua città natale le dedica una ampia antologica presso la Fondazione Sandretto-Rebaudengo a cura di Guido Curto. Nel gennaio 2010, rappresentata da Corrado Levi, riceve il prestigioso Premio Presidente della Repubblica” da Giorgio Napolitano. Nel 2014 inaugura al Museo dArte Contemporanea (MACBA)  di Barcellona una importante mostra monografica a cura di Teresa Grandas, Beatriz Preciado e Anne Dressen, poi allestita anche a Torino nell’ ottobre 2016 alla GAM. Il consenso internazionale è ulteriormente consolidato nel 2017 dallampia personale tenutasi al New Museum di New York. Il suo ultimo lavoro conosciuto è del 2007 e chiude una intensa carriera durata oltre settantanni. Muore nella sua casa-studio torinese, il 24 settembre 2015.

 

Alessia Cagnotto

Premio Letterario ADEI WIZO Adelina Della Pergola

Autori e Ospiti d’eccezione per concludere la XXIV edizione

 

A Torino l’8 maggio arriveranno Denise Pardo, Hugo Hamilton e Sarai Shavit. In collegamento Gila Almagor e Goldie Goldbloom, ospite d’onore Luca Barbareschi. Insieme per una Premiazione che celebra la forza della letteratura nel combattere il pregiudizio. Il giorno dopo è la scuola a essere protagonista. 

 

 Mercoledì 8 maggio alle 17.00, il Circolo dei lettori di Torino accoglie uno straordinario parterre di scrittori per la Premiazione del XXIV Premio Letterario ADEI WIZO Adelina Della Pergola. Da Roma arriverà la giornalista e scrittrice Denise Pardo, da Israele Sarai Shavit, dall’Irlanda uno degli autori più illustri della letteratura anglosassone: Hugo Hamilton. Mentre in collegamento ci sarà la scrittrice e attrice israeliana Gila Almagor e dalla sua casa di Chicago Goldie Goldbloom.

Cos’hanno in comune questi blasonati autori? Hanno tutti pubblicato in Italia nel 2022 un romanzo imperniato su vicende che riguardavano da vicino l’ebraismo, chi raccontando episodi storici, chi descrivendo personaggi, tradizioni e cultura appartenenti a questo mondo. Una scelta che li ha portati a essere scelti per questo Premio, nato nel 2000, per iniziativa dell’Associazione Donne Ebree d’Italia, parte della Federazione della WIZO (Women International Zionist Organization), con lo scopo di dare rilievo agli autori contemporanei viventi di narrativa che pubblicano libri di argomento ebraico e, allo stesso tempo, di far conoscere le loro opere al grande pubblico. Una particolare sezione della manifestazione è rivolta ai ragazzi delle scuole con l’idea di rendere l’iniziativa uno strumento fondamentale per sviluppare nei giovani una sana valutazione della storia libera da pregiudizi.

A gennaio una Giuria selezionatrice presieduta da Sira Fatucci ha indicato i quattro finalisti: per la sezione adulti Madre (ed Playground libri) di Goldie Goldbloom, e La casa sul Nilo (ed Neri Pozza) di Denise Pardo, mentre per la sezione ragazzi, Sotto l’albero delle Giuggiole (ed Acquario) di Gila Almagor Tra le pagine (ed Einaudi) di Hugo Hamilton. Dopo questo step è partito il lavoro delle due giurie popolari che ha coinvolto 500 donne di tutta Italia per la sezione adulti e circa 700 studenti degli Istituti italiani che hanno aderito all’iniziativa a cui sono stati inviati gratuitamente i libri in lettura.

A marzo sono stati proclamati i vincitori: rispettivamente Denise Pardo Gila Almagor a cui si è aggiunto un premio speciale della giuria andato a Sarai Shavit per il romanzo Lettera d’amore e di assenzaOra a Torino vivranno la loro consacrazione nel corso della Premiazione condotta dalla giornalista Ada Treves. Un incontro che vedrà la partecipazione di importanti esponenti del mondo delle Istituzioni e della cultura e un ospite straordinario: Luca Barbareschi, attore, regista, produttore, chiamato a portare la propria testimonianza sui temi del Premio. Sarà anche lui nella tavola rotonda che nella seconda parte della cerimonia vedrà gli autori dialogare tra di loro.

Susanna Sciaky, Presidente Nazionale ADEI WIZO ricorda così questo momento “In 24 anni la cerimonia di Premiazione è stata ospitata in tante sedi illustri alla presenza di nomi prestigiosi, ma i tragici avvenimenti di questi mesi hanno reso questa edizione molto particolare. Mentre alcune Istituzioni delegate alla diffusione della conoscenza si stanno macchiando di atti di immotivato boicottaggio nei confronti di Israele, ho visto con piacere un mondo della cultura stringersi intorno alla nostra iniziativa, nata proprio per costruire la consapevolezza necessaria per sconfiggere il pregiudizio. In molti hanno capito che leggere e immedesimarsi nelle storie di questi autori è sicuramente un modo per essere cittadini migliori”.

Il 9 maggio Torino ospiterà anche il tradizionale incontro con le scuole. Dalle 9.30 gli autori saranno al Liceo d’Azeglio, luogo che ha visto la formazione di una straordinaria concentrazione di intellettuali italiani come Primo Levi, Cesare Pavese, Giulio Einaudi, Leo Pestelli, Massimo Mila, Luigi Firpo, Vittorio Foa, Tullio Pinelli, Giancarlo Pajetta, Emanuele Artom, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio. Saranno presenti scuole da tutta Italia, come il Liceo Pietro Colonna di Galatina (Lecce), che da dieci anni manca mai a questa occasione.

Conduce l’incontro con le scuole la giornalista e scrittrice Manuela Dviri.