CULTURA E SPETTACOLI

La materia delle forme, la mostra di Edward Weston

Dal 12 febbraio 2026 gli spazi di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino accoglieranno l’esposizione dedicata a “Edward Weston – la materia delle forme”, la grande mostra organizzata da Fundación Mapfer, in collaborazione con CAMERA che, dopo le tappe di Madrid e Barcellona, approda in Italia per la prima volta. Con una selezione di 171 immagini, il percorso espositivo, curato da Sergio Mah si configura come un’ampia antologia che vuole ripercorrere le fasi della produzione di Edward Weston, nativo dell’Illinois, nel 1886, e spentosi in California nel 1958. Vuole offrire un punto di vista europeo sull’eredità di una delle figure di spicco della fotografia nordamericana. Si tratta di un corpus che si pone, come un contrappunto estetico e concettuale, al modernismo delle prime avanguardie fotografiche europee. La mostra attraversa oltre 40 anni di attività, dal 1903 al 1948, del grande forografo statunitense, dalle prime prove segnate dal pottorialismo alla piena affermazione come figura centrale della Straight Photography. Il progetto vuole mettere in luce il ruolo di Weston nel riconoscere la fotografia come linguaggio poetico e intellettuale, oltre che come chiave interpretativa dell’estetica e dello stile di vita dell’America tra le due guerre. Pioniere di una visione moderna, Weston scelse la fotocamera Grande Formato come strumento privilegiato, realizzando immagini in bianco e nero di straordinaria nitidezza e ricchezza di dettagli. Il suo rigore tecnico, unito al profondo legame con natura, luce e forma, ha generato un corpus che comprende nature morte, nudi, paesaggi e ritratti oggi considerati iconici. Radicata nel paesaggio e nella cultura statunitense, l’opera di Weston offre una prospettiva unica sul processo di affermazione della fotografia e sul ruolo centrale che essa ha assunto nella cultura visiva contemporanea.

La mostra rimarrà aperta fino al 2 giugno 2026.

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – via delle Rosine 18, 10123 Torino

www.camera.to

Mara Martellotta

 “Avvocato Malinconico”, di  De Silva e Gallo al Carignano

Venerdì 26 dicembre, alle ore 19.30, debutta al Teatro Carignano “Malinconico. Moderatamente felice” di Diego De Silva e Massimiliano Gallo, che è anche protagonista e regista dello spettacolo. Le scene sono di Luigi Ferrigno, i costumi di Eleonora Rella, il disegno luci di Alessandro Di Giovanni, le canzoni originali di Joe Barbieri. Accanto a Massimiliano Gallo saranno presenti Biagio Musella, Eleonora Russo, Diego D’Elia, Greta Esposito, Manuel Mazzia. Gallo è figlio d’arte, il padre Nunzio Gallo e la madre Bianca Maria Varriale, darà voce e corpo al personaggio dell’Avvocato Malinconico della serie televisiva, da lui interpretata, e trasmessa su Rai 1 nell’ottobre del 2022.

Questo progetto teatrale nasce dall’idea di portare in scena la voce e il corpo narrante dimun perosnaggio letterario e, successivamente, televisivo che, negli anni, ha donquistato un vasto pubblico di lettori e spettatori: Vincenzo Malinconico, l’avvocato dalla carriera sgangherata e dalla vita sentimentale instabile, è forse per questo amato da un pubblico che non ama la prevedibilità dei vincenti. Lo spettacolo vedrà in scena, nella pienezza delle sue attitudini da interprete, il solo Vincenzo Malinconico, che si abbandonerà con il suo flusso narrante, filosofico e irresistibilmente comico, ma sempre votato alla riflessione, perché per far ridere è necessario convincere, parlare all’intelligenza dell’altro, e si concederà a un monologo con il pubblico, in cui si racconterà tematicamente. Lo spettacolo si svolgerà su tre tronconi: professione, sentimenti, famiglia. I tre campi campi di gioco su cui si svolge la vita di ognuno di noi. Uno spettacolo essenziale e coinvolgente, in cui letteratura e teatro si incontrano, e che darà modo al pubblico di ritrovare, nella causticità fisica del palcoscenico, un personaggio dalla vita irrisolta, che ci fa più ridere quando la scopriamo più simile alla nostra.

“Quello di Malinconico è un progetto cui sono legato – dichiara Massimiliano Gallo – e che ho voluto fortemente. È un personaggio che ho amato e ascoltato, ci siamo fidati l’uno dell’altro e, finalmente ne ho indossato i panni. Grazie alla penna di Diego De Silva ho potuto dargli corpo e anima. Ora c’è da cucirgli un abito in cui stia comodo, una scena funzionale, un amico immaginario e cinque attori che gli faranno compagnia. In video gli interventi dei suoi amici e amori del suo complicatissimo mondo. Sarà una regia amorevole, nella speranza di farvi conoscere Vincenzo per come io lo conosco”.

Teatro Carignano-26 dicembre/4 gennaio – 26,27,29,30 dicembre ore 19.30/ 28 dicembre e 4 gennaio ore 16 / recita del 31 dicembre fuori abbonamento.

Teatro Carignano – piazza Carignano 6, Torino – biglietteria@teatrostabiletorino.it – 011 5169555

Mara Martellotta

Open week alla scuola di Circo Flic per gli aspiranti allievi

La Flic Scuola di Circo apre le sue porte dal 16 al 20 marzo 2026 con la Open Week, una settima a dedicata alla scoperta e alla conoscenza approfondita dei corsi professionali di una realtà formative tra le più prestigiose del circo contemporaneo. Si tratta di un’occasione unica per vivere un’esperienza immersiva e sperimentale in prima persona nei metodi didattici e nella filosofia della scuola, per valutare il proprio futuro nel settore. L’iniziativa è pensata per ragazzi e ragazze che vogliano conoscere da vicino il mondo della Flic, e approfondire le opportunità offerte dai corsi professionali, anche in vista delle audizioni per il corso di formazione per l’artista di circo contemporaneo 2026/2027. Durante l’Open Week sarà possibile da parte dei partecipanti prendere parte a laboratori multidisciplinari pratici sulle discipline circensi, partecipare a incontri formativi sulla struttura dei corsi e sulle prospettive professionali, e confrontarsi con gli allievi già in percorso. Si tratta di un’esperienza per approfondire la conoscenza dei requisiti richiesti, valutando le possibilità fisiche e creative sotto la guida degli esperti docenti della Scuola. Un’opportunità concreta per valutare se il sogno di diventare artista del circo contemporaneo possa trasformarsi in realtà frequentando i corsi professionali della Flic. La partecipazione all’Open Week non è vincolante per accedere alle audizioni di luglio, ma rappresenta una semplice occasione per fare una scelta consapevole. La quota partecipativa è di 50 euro, da versare entro il 6 febbraio 2026 in caso di selezione. Sono disponibili 30 posti e le candidature sono da presentare entro il 16 gennaio 2026, che verranno valutate secondo l’ordine cronologico di ricezione. Le audizioni 2026/2027 si svolgeranno presso la sede centrale di via Magenta 11, a Torino, dal 7 al 10 luglio 2026. La partecipazione è gratuita.

Info: info@flicscuolacirco.it

Mara Martellotta

HEROES: Un viaggio tra maschere, corpi e identità

 

Nella nuova creazione di Caterina Mochi Sismondi al Teatro Café Muller

“Ho creato in me varie personalità. Creo personalità costantemente. Ogni mio sogno si incarna immediatamente nell’attimo stesso in cui è sognato, in un’altra persona che comincia a sognarlo, una persona diversa da me”. – Fernando Pessoa

Queste parole di Fernando Pessoa sono il cuore pulsante di Heroes, nuova produzione della compagnia blucinQue diretta da Caterina Mochi Sismondi. Uno spettacolo che attraversa teatrodanza, performance contemporanea, musica dal vivo e tecniche circensi, per esplorare l’identità come territorio frammentato, instabile, in continuo mutamento.

In Heroes non esiste un’unità compatta del corpo o dell’io: esistono parti, zone, indizi, frammenti che suggeriscono qualcosa senza mai ricomporsi in una totalità definitiva. Il corpo diventa così un assemblaggio poetico, un insieme di sintagmi fisici e visivi, un luogo attraversato da metamorfosi continue. In scena, sei performer e una musicista dal vivo evocano un caleidoscopio di identità cangianti, attraversando mondi diversi e contrastanti. Ogni personaggio è ispirato a figure emblematiche della cultura pop, del cinema e della storia dell’arte performativa: David Bowie, cui lo spettacolo deve il titolo, il presentatore di Cabaret, i grandi clown storici come Grock e la famiglia Fratellini.

Non si tratta di citazioni illustrative, ma di presenze archetipiche, di immagini che emergono come fantasmi, attraversano il corpo dei performer e subito si trasformano. Le identità si sovrappongono, si incrinano, si moltiplicano, restituendo una galleria di personaggi sospesi tra comicità e dramma, tra leggerezza e vertigine, tra esposizione e nascondimento. Al centro di Heroes si colloca la figura contraddittoria del clown, inteso non come semplice personaggio, ma come agente di un movimento fisico che lascia un segno.

Il clown è colui che richiama e svela, attraverso la più piccola delle maschere, il naso rosso, una verità nascosta, fragile, spesso dolorosa. La creazione abbraccia il desiderio di svelarne le contraddizioni, di riconoscerne fragilità, difetti, paure, particolarità, senza nasconderli, ma trasformandoli in materia viva, in forza espressiva. Il clown diventa così una figura “fuori luogo”, specchio dell’essere umano contemporaneo, costretto a indossare maschere per sopravvivere e, allo stesso tempo, desideroso di liberarsene. Il lavoro si inserisce pienamente nel percorso artistico di blucinQue, mantenendo viva la commistione tra l’immanenza orizzontale della danza e del teatro e la verticalità delle tecniche circensi. Una ricerca che mette in dialogo terra e aria, peso e sospensione, caduta e slancio, in una costante tensione verso il disequilibrio.

Non esistono limiti imposti al corpo né allo spazio scenico: il movimento diventa atto di spiazzamento, il gesto fisico lascia una traccia, il corpo si espone come luogo di rischio e di rivelazione. Collocandosi volutamente “fuori luogo”, Heroes assume tonalità oniriche, sviluppandosi in quadri visivi di forte impatto emotivo, dove l’immagine non illustra ma suggerisce, non spiega ma apre possibilità. La composizione originale, eseguita dal vivo da Beatrice Zanin al violoncello ed elettronica, accompagna e attraversa l’intero dispositivo scenico. Il suono non è semplice accompagnamento, ma presenza drammaturgica, paesaggio emotivo che amplifica tensioni, fragilità e slittamenti identitari.

Corpo e suono si muovono insieme, creando un’esperienza immersiva che coinvolge lo spettatore in un viaggio sensoriale e poetico.

Heroes è un invito a riconoscere la divina irrealtà delle cose, a cercare frammenti di verità nelle pieghe del paradosso, a lasciar emergere un’identità più autentica e vibrante, celata dietro la finzione del travestimento. Uno spettacolo che, attraverso il corpo e il suono, esplora il confine tra identità e finzione, rendendo visibile la complessità dell’esistenza umana.

Mara Martellotta

“Dove le liane s’intrecciano”, al “PAV” di Torino

La natura per raccontare … nella mostra personale di Binta Diaw 

Fino all’8 marzo 2026

Le liane. Il riferimento alle piante rampicanti, caratteristiche in particolare delle regioni tropicali, “capaci di adattarsi e resistere, simbolo di alleanze vitali e resilienze collettive”, è da subito focus illuminante di quanto l’artista italo-senegalese Binta Diaw voglia proporci, attraverso opere installative e multimateriche, nella personale presentata, fino a domenica 8 marzo 2026, al “PAV– Parco Arte Vivente” di via Giordano Bruno a Torino. Ma ancor più elemento chiarificatore è il “sottotitolo” dato alla rassegna: “Resistenze, alleanze, terre”. Curata da Marco Scotini (direttore di “FM – Centro per l’Arte Contemporanea” di Milano e responsabile del programma espositivo del “PAV”), dopo le personali dell’artista indiana Navjot Altaf, dell’indonesiana Arahmaiani e della guatemalteca Regina José Galindo, la mostra di Binta Diaw (nata a Milano nel 1995) ma cresciuta fra Italia e Senegal, rappresenta un nuovo importante capitolo nell’indagine da tempo percorsa dal “PAV” sui “legami tra natura, corpo femminile e pensiero decoloniale”. Attraverso installazioni ambientali, che diventano “forma estetica” attraverso i più vari “materiali organici e simbolici” (come terra, gesso e corde fino ai capelli sintetici e alle bandiere arrotolate) l’artista affronta tematiche di stretta e strettissima attualità, ma anche di forte impronta storica come la “memoria diasporica afrodiscendente”, in un lungo cammino che arriva ai nostri giorni, agli ingorghi della contemporaneità, come la “sopravvivenza ecologica” e la “resistenza o resilienza femminile”.

In tal senso sono due le opere chiave, al centro della rassegna. La prima, quella “Dïà s p o ra” (2021), installazione già presentata alla “Biennale di Berlino 2022”, composta da una struttura sospesa simile a una ragnatela, realizzata con trecce di capelli ed evocante la resistenza silenziosa delle donne senegalesi schiavizzate, che nascondevano semi e mappe nei capelli, trasformando la materia in archivio vivente e luogo di sopravvivenza clandestina; la seconda “Chorus of Soil” (2019), riproduzione della “pianta” della nave negriera “Brooks”, realizzata con terra e semi. Qui, le sagome degli schiavi, simbolo di oppressione, diventano anche germinazioni vegetali, trasformando la nave in un “giardino di memoria e rinascita”.

La serie “Paysage Corporel” “Nature” (2023) ha come protagonista il corpo dell’artista, trasformato in una sorta di sfumate “dune desertiche” e reinterpretato (stampa a getto di inchiostro su carta di cotone montata su dibond – pannello composito di alluminio) come “paesaggio”.

Completa il percorso l’opera video “Essere corpo”, che sintetizza, in un unico “dove”, le connessioni tra memoria, corpo e natura, trasformando lo spazio espositivo in un luogo di passaggio corporale e mentale, in cui far rinascere una costruttiva relazione fra esseri viventi.

“La mostra si configura – si legge in nota – come un paesaggio corale in cui dimensione estetica e politica si intrecciano, offrendo nuove immagini di comunità e appartenenza. E dunque, con questa mostra il ‘PAV’ conferma il proprio impegno nella costruzione di una nuova ecologia politica, capace di ripensare i rapporti tra arte, natura e società globale”.

Da segnalare:

Nell’ambito della personale di Binta Diaw, mercoledì 10 dicembre, le “AEF/PAV – Attività Educazione Formazione” propongono “Wunderkammer d’Altrove”, corso di formazione ideato nell’ambito della Rassegna “aulArte”, sostenuta dalla “Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT”, per favorire l’accesso ai luoghi di cultura dei docenti delle scuole piemontesi ad attività di formazione basate sulle pratiche dell’arte contemporanea. Per le scuole e i gruppi che visiteranno la mostra “Dove le liane s’intrecciano. Resistenze, alleanze, terre” e le installazioni presenti nel Parco (23.500 mq) viene proposto “Radici volanti”, laboratorio in movimento che si situerà nello spazio interno al Museo o nel vasto Parco, dove i partecipanti “produrranno, punto dopo punto, una catena tessile per legarsi gli uni agli altri in un’azione ludica e collettiva”.

Gianni Milani

“Dove le liane s’intrecciano. Resistenze, alleanze, terre”

PAV – Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno 31, Torino; tel. 011/3182235 o www.parcovivente.it

Fino all’8 marzo 2026

Orari: ven. 15/18; sab. e dom. 12/19

 

Nelle foto: Binta Diaw; “Chorus of Soil” (2019); “Paysage Corporel – Nature I” (2023)

Una di quelle figure femminili che hanno cambiato la storia del teatro

Tutte le feste in compagnia della “Locandiera” con Miriam Mesturino

Quindici anni di repliche, un successo firmato Torino Spettacoli, repliche torinesi e in giro per tutta Italia. L’avventura di Mirandolina, “La locandiera”, andata in scena al teatro Sant’Angelo di Venezia il 26 dicembre 1752, è stato detto essere “la più bella commedia di Carlo Goldoni” (più esplicito l’autore: “la più morale, la più utile, la più istruttiva”), una delle più divertenti anche, per i suoi caratteri e per l’intreccio, allegria di finissimo rango o ombre di malinconia che possono sorgere qua e là, è sufficiente che il metteur en scène privilegi questo o quell’aspetto, un panorama di disfacimento, nella sua lettura sociale, che può abbracciare una borghesia e una aristocrazia come il lungo potere della repubblica veneziana. Protagonista di questo allestimento – che vede la regia di Enrico Fasella – Miriam Mesturino, per questa eccellente prova divenuta accreditata interprete goldoniana, che ha per compagni Enrico Caratto e Alessandro Marrapodi, nonché Barbara Cinquatti, Maria Elvira Rao, Sebastiano Gavasso e Stefano Bianco, con la partecipazione di alcuni Germana Erba’s Talents.

Una locanda ereditata dal padre, in quel di Firenze (una sorta di parafulmine, un modo da parte dell’autore, di preservarsi dai fulmini dei suoi concittadini?), serva Mirandolina – vero carattere di esistenza teatrale, a tutto tondo, rappresentante eccellente di una meravigliosa riforma: alle sue spalle scompare ormai del tutto una certa Colombina – a riverire e ossequiare ogni cliente abbia a mettervi piede ma pure padrona efficiente e capace di tenere ognuno al proprio posto, moderna, oggi la diremmo donna-manager che guarda con attenzione alla rispettabilità e alla giusta economia della sua proprietà, estremamente realista e legata in ogni piega alle proprie aspirazioni e ai propri interessi, un giusto avvicendarsi di furbizia e di malizia; e poi un cameriere devoto e pieno d’affezione come altresì di gelosia, un nugolo d’avventori che fanno a gara per accaparrarsi le grazie della bella locandiera, tra tornaconti e ostentazioni: il Conte d’Albafiorita, parvenu che non bada a spese, il Marchese di Forlipopoli spocchioso visionario di una antica ricchezza e di una presenta quanto inutile nobiltà, il Cavaliere di Ripafratta altezzoso e misogino (il “disprezzator delle donne”, è ispirato al patrizio Giulio Rucellai, al quale la commedia è dedicata) ma più di ogni altro ingenuo – “il pover’uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la femmina accorta con due lagrimette l’arresta, e con uno svenimento l’atterra, lo precipita, l’avvilisce” -: a rappresentare in gesti e parole differenti tutti e tre il vuoto che circola nella società che essi rappresentano, parassiti, instabili, vacui, ormai ridicoli. Tre caratteri con diverse visioni del mondo e della vita, che mercanteggiano in protezioni e titoli, in momentanei compromessi o ingenui raggiri, che si pestano i piedi l’un l’altro, che tentano quel traguardo a cui sanno, più o meno consciamente, vista la strenua difesa della donna, che non potranno mai raggiungere, ogni cosa risolta in un matrimonio finale, non si sa quanto d’interesse e quanto di qualcosa che somigli a un amore certo ancora ben stretto a una ventata di libertà, a cui Mirandolina non vorrà mai rinunciare, ma pur con un happy end che già il pubblico dell’epoca era solito pretendere. “La locandiera” è anche il risvolto del teatro goldoniano, l’esposizione e la conferma di nuove leggi, la cancellazione della commedia dell’arte e delle sue maschere, è il trionfo della quotidianità e del vivere che realissimo si conduce tra campielli e rivi settecenteschi, non più canovaccio ma vitale rappresentazione di azioni e di comportamenti. Una commedia dell’arte che si sfalda anche nelle figure delle due commedianti, Ortensia e Dejanira, pronte a recitare su un palcoscenico ma corpose e solide fuori della scena.

Sottolineava Fasella nelle sue note di regia: “La storia di una donna che rifiuta Conti, Marchesi e Cavalieri, per impalmare Fabrizio, umile borghese quanto lei, al fine – neanche troppo dissimulato – di governare meglio la locanda, non può che essere una tipica allusione alla novità dei rapporti tra borghesia e nobiltà, nel particolare momento storico in cui l’intrigante vicenda si sviluppa. In MIrandolina, si visualizza, attraverso l’artificio scenico, quel mutamento che vede la borghesia conquistare maggior spazio a danno della nobiltà veneziana e non solo… L’immagine che Mirandolina mostra di sé, ammiccando con il pubblico e con la “storia”, zittisce ogni commento critico sul suo personaggio: la locandiera, più che onesta o crudele, più che infida o virtuosa, è un’efficiente donna d’affari, che pone la locanda al centro della sua vita e che al suo buon andamento subordinerà sempre, e oltre qualsiasi apparenza, ogni motteggio e ogni lusinga.” Recite al teatro Gioiello venerdì 26 ore 17, sabato 27 ore 21, domenica 28 ore 16, mercoledì 31 ore 21,30, venerdì 2 e sabato 3 ore 21, domenica 4 ore 16, martedì 6 ore 16.

Elio Rabbione

Nelle immagini, un momento della “Locandiera” e gli applausi del pubblico a Miriam Mesturino, Enrico Caratto e Alessandro Marrapodi.

Per il Concerto di Natale, sul podio dell’Orchestra Nazionale della Rai salirà Giulio Cilona

Martedì 23 dicembre, alle ore 20.30, presso l’Auditorium Rai di Torino, ci sarà una data unica e fuori abbonamento per il Concerto di Natale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Sul podio salirà Giulio Cilona, talentuosa bacchetta, non ancora trentenne, che sostituirà Ottavio Dantone, che non potrà esserci a causa di un’indisposizione. Il direttore d’orchestra siederà anche al clavicembalo nei brani che prevedono lo strumento, e torna alla guida dell’OSN per la terza volta in un anno. Cilena è attualmente “capellmeister” alla Deutsch Oper di Berlino, incarico che ricopre fin da giovanissimo. L’appuntamento natalizio è trasmesso in diretta su Radio 3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura. La serata si aprirà con cil Concerto in re maggiore per due trombe, archi e basso continuo RV 537 di Antonio Vivaldi, con protagoniste le prime trombe dell’OSN Rai Marco Braito e Roberto Rossi. Si tratta dell’unico Concerto per trombe scritto dal compositore veneziano, che torna sui leggii dell’Orchestra Rai dopo 45 anni. A seguire è proposta La Pastorale dall’Oratorio di Natale BWV 248 di J.S. Bach, uno dei più grandi capolavori dedicati alla nascita di Gesù. Di Mozart verrà eseguito il Mottetto in fa maggiore per soprano e orchestra “Ex sultate et jubilate” , con solista soprano Francesca Aspromonte, che sale per la prima volta sul palco dell’Auditorium Rai. Suddiviso in quattro movimenti, il brano fu composto nel 1773 per il cantante castrato Venanzio Rauzzini. A chiudere il programma la Sinfonia n.6 in fa maggiore op.68, detta Pastorale, di Beethoven, la più eccentrica ed enigmatica tra le sue sinfonie. Un quaderno di appunti conservati al British Museum di Londra, permette di gettare uno sguardo sul lavoro preparatorio alla Sinfonia, che fu elaborata tra il 1807 e il 1808. A margine del primo foglio del fascicolo, Beethoven scrisse “Sinfonia caratteristica”, aggettivo che nel ‘700 richiamava un insieme di aspetti peculiari dello stile e della forma di un brano musicale. Il concetto di “carattere”, in un’epoca influenzata dal Manierismo settecentesco, si riferiva in primo luogo all’espressione di un unico sentimento-affetto nell’arco dell’intera composizione. Nell’opera si usava definire “caratteristica” l’ouverture, legata al clima espressivo della scena. La Pastorale fu ultimata nel 1808 e diretta per la prima volta da Beethoven stesso, nel dicembre dello stesso anno, al Theater Anderwien di Vienna.

Biglietti per il concerto esauriti. Eventuali titoli soggetti a rinunce saranno rimessi in vendita un’ora prima dello spettacolo

biglietteria.osn@rai.it

Mara Martellotta

I concerti dell’Accademia di Sant’Uberto 

Giunge a conclusione il percorso con le Residenze Reali Sabaude, che l’Accademia di Sant’Uberto ha proposto nell’arco di quest’anno, con gli ultimi due appuntamenti nell’ambito della rassegna “Cerimoniale e Divertissement 2025-tempi e luoghi della musica”. Al castello della Mandria, sabato 27 dicembre, e alla Palazzina di Caccia di Stupinigi domenica 28 dicembre. La rassegna, promossa in collaborazione con le Residenze Reali Sabaude, dal 2006 accompagna i concerti che si tengono presso la Reggia di Venaria e le altre Residenze Reali Sabaude. Sabato 27 dicembre, alle ore 14.45, il Salone delle Feste del castello della Mandria ospiterà il concerto “Musica rinascimentale-tra divertimenti e danze”, con i musicisti della Reale Scuderia. Il programma è un viaggio affascinante attraverso il mondo sonoro del Rinascimento. Il concerto è a ingresso libero fino a esaurimento posti. Nell’ambito del concerto al castello della Mandria, si può viaggiare in un’ambientazione  rinascimentale proprio grazie alla musica. I brani scelti provengono dai manoscritti, raccolte e codici dell’Europa rinascimentale, eseguiti con copie fedeli degli strumenti dell’epoca, per restituire il colore, la morbidezza e l’energia di quel tempo. Dalle Paduane solenni alle Gagliarde vivaci, dalle Frottole cortigiane alle danze popolari e internazionali, il concerto offre un mosaico di stili e atmosfere che raccontano la vitalità del Rinascimento europeo.

Domenica 28 dicembre, alle ore 17, si terrà il concerto alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. L’ensemble À l’Antica proporrà cinque Triosonate di Bach, e dei suoi quattro figli più noti, offrendo uno sguardo privilegiato sulla vita musicale della famiglia Bach e sull’evoluzione di uno dei generi cameristici più importanti del Settecento. Le opere, scritte nell’arco di circa trent’anni, testimoniano una pratica musicale condivisa, nata in ambito domestico, ma capace di raggiungere anche il pubblico, e mostrano il passaggio dal contrappunto barocco allo stile classico, anticipando Haydn, Mozart e Beethoven.

L’Accademia di Sant’Uberto è nata nel 1996 come associazione Percorsi. Svolge la sua attività di studio e ricerca nell’ambito del Loisir di Corte, in particolare presso la Corte Sabaudia di Ancien Régime. Nel 1996 è stato creato l’equipaggio della Reggia di Venaria da cornice da caccia, per promuovere il recupero della Reggia di Venaria, all’epoca ancora in stato di abbandono, e nel 2002 il Gruppo di Ottoni della Reale Scuderia. Nel 2006 prendeva inizio la vera e propria attività concertistica di musica barocca. Dal 2016 è stato avviato il progetto “Barocco”, in collaborazione con il liceo classico-musicale Cavour di Torino, per la formazione  di giovani musicisti. I concerti vengono tenuti presso la Reggia di Venaria e la Palazzina di Caccia di Stupinigi, e altre Residenze Reali. Nel 2014, le comunità di Italia e Francia hanno annunciato, presso la Palazzina di Stupinigi, la decisione di avviare la candidatura UNESCO dell’arte musicale dei Suonatori di corno da caccia. Il processo di candidatura si è concluso nel dicembre 2020, con l’inserimento della pratica Patrimonio culturale immateriale dell’umanità UNESCO.

Mara Martellotta

A Salvatore Seguenzia il Premio di Benemerenza per la “Scrittura creativa” 

Domenica sera presso la stupenda ed affascinante cornice dell’Oratorio di Santa Cita di Palermo si è svolta la kermesse in occasione del trentennale dell’Accademia di Sicilia. La scelta del luogo non è stata pura casualità, in quanto, la storia dell’Oratorio rimarca la duplice funzione liturgica e sociale, scandita dal contrasto architettonico con l’adorno interno splendidamente arricchito da superbi stucchi barocchi realizzati tra il 1685 ed il 1690 da Giacomo Serpotta (il busto in suo onore è stato realizzato da Antonino Ugo, esponente importante della letteratura artistica siciliana), il quale ha riprodotto l’episodio cardine della storica Battaglia di Lepanto in cui la flotta cristiana, protetta dalla Madonna del Rosario, vince contro i Turchi. Lo scrittore augustano è stato insignito dal Senato Accademico della Fondazione con la menzione “Per il prezioso impegno culturale profuso nell’arco del tempo; per essere umanista di grande qualità e rigore; per l’uso esemplare della parola viva che diviene epifanica nella originale e creativa opera letteraria”.

Con quest’ultimo riconoscimento l’autore megarese rafforza il suo modo di scrivere ossia: fantasie maccheroniche, valorizzate da un linguaggio siciliano che lo porta a mescolare la sua esperienza professionale (Ispettore della Guardia di Finanza) ai racconti e i trascorsi dei suoi avi. La Sicilia, per lui, è la musa ispiratrice dei tre libri pubblicati (la totalità di questi dalla casa editrice “Aletti editore”) attraverso un intercalare: di paesaggi, storpiati nel loro nome d’origine; del suo dialetto che per l’autore più che definirlo vernacolo, ritiene essere una vera e propria lingua utilizzata nelle conversazioni tra i vari personaggi. Un “Dialogare” goliardico che induce il lettore a voltare una pagina dopo l’altra e proseguire, tutto d’un fiato, la lettura senza interromperla. Lo stesso Seguenzia afferma che “la libertà nello scrivere è un’autentica ricchezza che si manifesta sugli eventi esterni, come conseguenza di ciò che si è e del modo in cui ci si evolve nel corso del tempo”. Quando descrive le varie vicissitudini o le esperienze nei propri scritti, narra un misto tra il modo di essere di cinquant’anni fa e l’attuale vita quotidiana rendendone le conclusioni sempre un “finale aperto”, in cui il lettore è libero di fantasticare con la propria immaginazione.

Lo scrittore megarese ama descrivere la sua Terra, fonte di grandi cantori e cantastorie ed il suo messaggio è rivolto soprattutto ai giovani siculi, nonché a chi si ritrova per lavoro in Sicilia a vivere: del profumo del mare, del calore della montagna, della melodia del dialetto, dell’antica arte e del valore delle tradizioni. Per l’autore scrivere significa dare sfogo ai propri desideri anche se spesso si imbatte nella fatidica domanda: “E le eventuali critiche? «Cerco di prenderne atto – risponde Salvatore – ma talvolta ripropongo a me stesso una celeberrima parola che Andrea Camilleri ripeteva sempre nelle sue opere, diventata in seguito una delle mie espressioni preferite: “stracatafottersene”». Un profondo e sincero ringraziamento è rivolto al Presidente del Senato Accademico Ill.ma Prof. Patrizia Allotta e al Presidente dell’Accademia Prof. Ill.mo Umberto Palma.

“In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta…”

Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia

In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a meta’, c’e’ l’isola di San Giulio”. Così comincia uno dei più bei racconti di Gianni Rodari, “C’era due volte il barone Lamberto”. Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia: il lago d’Orta e l’isola di San Giulio.

Infatti, Gianni Rodari, nacque ad Omegna, all’estremità nord del lago, il 23 ottobre del 1920. Lì, suo padre – originario della Val Cuvia, che domina la sponda “magra” del lago Maggiore – aveva un negozio di commestibili e gestiva un forno da pane, svolgendo il mestiere del prestiné, del fornaio. La casa e la bottega erano vicine al lago che, come ricordava Rodari, «giungeva a pochi metri dal cortile in cui crescevo». Leggendone le pagine prende forma l’immagine del più occidentale fra i laghi prealpini, originato dal fronte meridionale del ghiacciaio del Sempione. Che s’accompagna alla sua singolarità. Infatti, contrariamente a quanto accade con molti laghi alpini, che hanno un emissario a sud, le acque del lago d’Orta escono dal lago a nord. Attraversano la città di Omegna, dando vita al torrente Nigoglia che confluisce nello Strona il quale, a sua volta, sfocia nel Toce e quindi nel lago Maggiore.

E al centro del lago dove, dalle opposte sponde si guardano, una in faccia all’altra, Orta e Pella, si trova l’isola di San Giulio. Nel medioevo il lago era noto come “lago di San Giulio” e solo dal XVII secolo in poi cominciò ad essere conosciuto con l’attuale nome di “lago d’Orta”, acquisito dalla località di maggior prestigio e risonanza. La storia, se non vogliamo risalire al neolitico o all’età del ferro, quando il lago era abitato dai celti, ci dice che – alla fine del IV secolo – i due fratelli greci Giulio e Giuliano, originari dell’isola d’Egina fecero la loro comparsa sul lago e si dedicano con un certo accanimento(con il beneplacito dell’imperatore Teodosio)alla distruzione dei luoghi di culto pagani e alla costruzione di chiese. E qui la leggenda vorrebbe che San Giulio, una volta incaricato il fratello di edificare a Gozzano, all’estremità sud del lago, la novantanovesima chiesa, si mise alla ricerca del luogo più adatto per erigere la centesima. La scelta cadde sulla piccola isola ma, non trovando nessuno disposto a traghettarlo, Giulio avrebbe steso il suo mantello sulle acque navigando su di esso. Sull’isola dovette misurarsi con focosi draghi e orribili serpenti. Sconfitte e cacciate per sempre le diaboliche creature (ma erano poi così diaboliche? Mah…) , gettò le fondamenta della chiesa nello stesso punto in cui oggi si trova la Basilica di San Giulio. La storia s’incaricò poi di far passare molta acqua sotto i moli dei porticcioli del lago d’Orta. Dai longobardi fino all’assedio dell’ isola di San Giulio – in cui si era asserragliato Berengario d’Ivrea – furono secoli di guerre. Nel 1219 dopo una contesa ventennale tra il Vescovo e il Comune di Novara, nacque il feudo vescovile della “Riviera di San Giulio”. E ,più di 500 anni dopo, nel 1786, il territorio cusiano passò sotto la casa Savoia ( che videro riconosciuto il loro potere solo 31 anni dopo, nel 1817), trasmigrando così dalla Lombardia al Piemonte. Ma, vicende storiche a parte, il lago d’Orta – “ il più romantico dei laghi italiani” – è davvero un gioiello che ha sempre fatto parlar bene di se. Gli abitati rivieraschi d’Orta, Pettenasco, Omegna, Nonio, Pella, San Maurizio d’Opaglio, Gozzano.

O l’immediato entroterra di Miasino, Ameno, Armeno, Bolzano Novarese, Madonna del Sasso, sono state località meta di viaggi ed oggetto di cronache e racconti. Non è un caso che nell’Ottocento fosse quasi d’obbligo considerarlo come una delle più suggestive tappe del “Grand Tour” di molti aristocratici d’Oltralpe. Honoré de Balzac, che c’era stato, lo descriveva così nella “Comédie humaine”: “Un delizioso piccolo lago ai piedi del Rosa, un’isola ben situata sull’acque calmissime, civettuola e semplice, (…). Il mondo che il viaggiatore ha conosciuto si ritrova in piccolo modesto e puro: il suo animo ristorato l’invita a rimanere là, perché un poetico e melodioso fascino l’attornia, con tutte le sue armonie e risveglia inconsuete idee….è quello, il lago, ad un tempo un chiostro e la vita….”. E’ il lago che, soprattutto in autunno, riflette i colori della stagione e diventa un po’ malinconico, suggerendo a poeti come Eugenio Montale di dedicargli delle composizioni o ad Ernesto Ragazzoni di scrivere questi versi: «Ad Orta, in una camera quieta / che s’apre sopra un verde pergolato, / e dove, a tratti, il vento come un fiato / porta un fruscio sottil, come di seta, / c’e’ un pianoforte, cara, che ti aspetta, / un pianoforte dove mi suonerai / la musica che ami, e che vorrai: / qualche pagina nostra benedetta». Territorio ricco di fascino e di riferimenti letterari, meta ideale di artisti e scrittori, le località attorno al lago appaiono sovente nelle opere di altri importanti autori. Per Mario Soldati, grande regista e scrittore, Orta è uno dei luoghi di riferimento, visto che sul lago – nella frazione di Corconio –  iniziò a scrivere i suoi primi libri importanti come “America primo amore” e “L’amico gesuita”, oltre ad ambientarvi alcune pagine de “I racconti del maresciallo”.

Per non parlare poi d’Achille Giovanni Cagna ( con il romanzo “scapigliato” dedicato agli “Alpinisti Ciabattoni”), Mario Bonfantini( La tentazione ), Carlo Emilio Gadda (Viaggi di Gulliver), Laura Mancinelli con il suo dolcissimo “La musica dell’isola”, Carlo Porta, Friederich Nietzsche. Un altro “scrittore di lago”, ma di un lago “diverso” come il Maggiore – il luinese Piero Chiara – scrisse: “Orta, acquarello di Dio, sembra dipinta sopra un fondale di seta, col suo Sacro Monte alle spalle, la sua nobile rambla fiancheggiata da chiusi palazzi, la piazza silenziosa con le facciate compunte dietro le chiome degli ippocastani, e davanti l’isola di San Giulio, simile all’aero purgatorio dantesco, esitante fra acqua e cielo“.  Il lago d’Orta è un piccolo gioiello azzurro in mezzo ai monti, chiuso ad est dal Mottarone e riparato ad ovest dalle cime che dividono il Cusio dalla Valsesia. Certe mattine, appena s’accenna l’alba, la nebbiolina sospesa sull’acqua lo rende misterioso, affascinante. Tanto quanto se non addirittura più di quelle giornate d’autunno, nitide e terse, quando riflette i mille colori dei boschi nello specchio delle sue acque tranquille.

Marco Travaglini