Cosa succede in città- Pagina 134

Antichi Stati di Savoia, a settembre il rinnovo dei voti di Superga

SABATO 9 SETTEMBRE CONVEGNO A SAN FILIPPO NERI SUL TEMA “TORINO 1706-2023: LA FESTA DEL RINNOVO DEI VOTI GIA’ FESTA NAZIONALE DEGLI STATI DI SAVOIA – ASPETTI STORICI, MILITARI E RELIGIOSI”

DOMENICA 10 SETTEMBRE TRADIZIONALE FESTA DEL RINNOVO DEI VOTI ALLA BASILICA DI SUPERGA CON LA SFILATA DEI GRUPPI STORICI, LA SANTA MESSA, L’OMAGGIO ALLE TOMBE REALI

Torna anche quest’anno a Torino l’ormai tradizionale appuntamento con la cerimonia del “Rinnovo dei voti” di Superga e “Festa nazionale degli antichi Stati di Savoia”, una duplice ricorrenza che ricorda la liberazione dell’allora capitale sabauda dall’assedio franco-spagnolo del 1706 e rinnova il voto religioso con cui il duca di Savoia (poi re) Vittorio Amedeo II si impegnò edificare una grande chiesa in onore della Madonna, la futura Basilica di Superga.

L’importante avvenimento, promosso dalla delegazione “Piemonte e Stati di Savoia” del movimento culturale “Croce Reale – Rinnovamento nella Tradizione” con il sostegno della Presidenza del Consiglio Regionale del Piemonte e la collaborazione della direzione della Basilica di Superga, affidata alla comunità religiosa del SERMIG (Servizio Missionario Giovani) di Torino, avrà inizio sabato 9 settembre, presso la sala oratoriana della chiesa di San Filippo Neri, nel cuore della Torino sabauda, con il convegno sul tema “Torino 1706-2023: la festa del Rinnovo dei voti già festa nazionale degli Stati di Savoia – aspetti storici, militari e religiosi”.

L’incontro, in programma a partire dalle ore 16.30, sarà preceduto dai saluti di Fabrizio Giampaolo Nucera, presidente del movimento culturale “Croce Reale – Rinnovamento nella Tradizione”, e dall’introduzione storica a cura di Paolo Barosso, e vedrà la partecipazione di quattro esperti relatori: Alessia Maria Giorda, Referente della Valorizzazione del Patrimonio Artistico e Storico del Museo e della Residenza Sabauda di Rivoli, che interverrà sul tema “La Fojada, vardé bin, i lass-roma pa pijé Turin. Storie torinesi durante l’Assedio di Torino del 1706”; Eugenio Garoglio, formatosi presso il dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino, cultore di storia militare e armi antiche e oplologo per il Ministero della Cultura, che parlerà di “L’eclissi del Re Sole. L’assedio di Torino del 1706”; Pier Giuseppe Menietti, studioso e ricercatore, collaboratore volontario del Museo «Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706», che illustrerà al pubblico la figura e le opere del beato Sebastiano Valfrè con una relazione dal titolo “Padre Bastiano nella città assediata”; infine padre Simon Parada, che concluderà l’incontro focalizzandosi sulle vicende storiche e religiose della “Confederazione dell’oratorio di San Filippo Neri”.

Il programma della giornata di sabato prevede anche un’iniziativa all’insegna della convivialità con la cena in bianco organizzata a Pianezza (To) dalla Pro Loco a partire dalle ore 19.30 e allietata dall’accompagnamento musicale della fisorchestra che eseguirà brani dedicati.

La manifestazione entrerà poi nel vivo domenica 10 settembre sul colle di Superga dove alle ore 9.30 avrà inizio la tradizionale Festa del Rinnovo dei Voti con la sfilata dei gruppi storici in costumi d’epoca seguita alle ore 11.30 dalla celebrazione della Santa Messaall’interno della basilica e alle ore 12.15 dall’omaggio alla Beata Vergine delle Grazie e atto del Rinnovo dei voti. La cerimonia si concluderà alle ore 13 con la discesa alle Tombe Reali e l’omaggio agli esponenti della dinastia sabauda.

Sempre nell’ambito della cerimonia del Rinnovo dei voti e della Festa nazionale degli antichi Stati di Savoia, si terrà sabato 23 settembre alle ore 11, presso la Real chiesa di San Lorenzo, nella centrale piazza Castello a Torino, la seconda edizione del tradizionale concerto “Festival sabaudo di musica sacra”.

L’evento di Superga perpetua la memoria del voto fatto dal duca Vittorio Amedeo II per la liberazione della capitale sabauda dall’assedio del 1706: salito il 2 settembre, in compagnia del cugino principe Eugenio, sulla cima del colle, punto di osservazione ideale per concertare il piano di battaglia, il duca Vittorio Amedeo II, come racconta la tradizione, si raccolse in preghiera dinnanzi all’effigie della Madonna nel piccolo oratorio di Santa Maria sub pèrgolam, implorandone l’intercessione e promettendo di far edificare sulla vetta della colle una grande chiesa dedicata alla Vergine, che avrebbe poi visto la luce a partire dal 1717 con la posa della prima pietra della grandiosa Basilica di Superga, frutto dell’ingegno dell’architetto messinese Filippo Juvarra.

Sempre nel quadro delle celebrazioni legate al Rinnovo dei voti e Festa nazionale degli antichi Stati di Savoia, è in programma nella giornata di sabato 23 settembre, con inizio alle ore 11, la seconda edizione del tradizionale concerto “Festival sabaudo di musica sacra”, che andrà in scena nella splendida cornice barocca della Real Chiesa di San Lorenzo, nella centrale piazza Castello.

L’evento del “Rinnovo dei voti” e “Festa nazionale degli antichi Stati di Savoia” si collega alla vittoria conseguita il 7 settembre 1706 dall’esercito austro-sabaudo, guidato dal duca Vittorio Amedeo II di Savoia e dal cugino, principe Eugenio di Savoia-Soissons, contro l’armata franco-ispanica, forte di 45.000 soldati, che dal mese di maggio cingeva d’assedio la città di Torino, capitale degli Stati di Savoia, nel quadro del conflitto di portata europea conosciuto come “Guerra di Successione Spagnola” (1701-1714).

Il lungo assedio, segnato da continui bombardamenti sulla città con palle di pietra e bombe incendiarie, ebbe termine con la battaglia del 7 settembre, che obbligò i franco-ispanici alla ritirata: negli anni successivi alla grande impresa si affermò, a Torino e nell’intero territorio degli Stati Sabaudi, la consuetudine di celebrare la ricorrenza della vittoria e della liberazione dall’assedio come una grande festa nazionale, e questa gloriosa tradizione, interrotta per un lungo periodo, è stata in tempi recenti riportata in auge, coinvolgendo gruppi e delegazioni provenienti da tutte le province storiche degli antichi Stati, in particolare Nizza e Savoia.

RINNOVO DEI VOTI DI SUPERGA E FESTA DEGLI STATI DI SAVOIA

Per informazioni sull’evento e prenotazioni scrivere a: superga1706@gmail.com

Da Torino alla conquista di “Mister Italia”

Quattro torinesi in Abruzzo per le fasi finali del concorso di bellezza

 

Ci sono anche quattro ragazzi torinesi (due del capoluogo, uno da Rivoli e uno da Susa) tra i pretendenti allo scettro di “Mister Italia 2023”.

Si tratta di Marcello Buzzi, 21 anni impiegato in uno studio commercialista, Gianni Comperchioli, 33 anni ballerino, Nicolò Maida 25 anni operaio di Susa e Dino Ceravolo, 26 anni rivolese impiegato nell’azienda di famiglia.

I quattro esponenti della bellezza torinese saranno tra i 95 prefinalisti provenienti da tutta Italia che giovedì 24 agosto a Giulianova (TE) si contenderanno i 40 pass per la finalissima condotta da Jo Squillo in programma due sere dopo allo Stadio del Mare di Pescara.

Marcello, Nicolò, Gianni e Dino in Abruzzo potranno quindi andare a caccia del titolo più ambito in un concorso che nel corso degli anni ha lanciato, tra gli altri, alcuni protagonistidel mondo dello spettacolo e della tv come Luca Onestini,Raffaello Balzo, Paolo Crivellin, Luciano Punzo e Luca Vetrone.

Insieme ai 40 bellissimi finalisti sul palco di Pescara sabato 26 agosto ci saranno anche le 25 ragazze finaliste del concorso di Miss Grand Prix.

Entrambi i concorsi, organizzati da patron Claudio Marastoni, hanno il sostegno e la partnership di Ducati, Caffe Mokambo, Bes Italy, e il patrocino del Comune di Pescara e del Comune di Giulianova.

Per restare aggiornati con tutte le news sul concorso si possono seguire i canali social: Instagram e Facebook @concorsomisteritalia e @missgrandprix.

L’arte come una “Jam Session”

Al “Flashback Habitat” di Torino le arti visive dialogano con la musica in un armonico intreccio di voci

Fino al 1° ottobre

Variazioni improvvisate ma perfettamente gestite. Libere nel gioco virtuoso delle note e nell’assoluta arbitrarietà di segno e colore. Una vera e propria Jam Session, totalmente dedicata alla creatività e alla “ricerca metropolitana”. Di qui il titolo, “Torino Jam Session. Energiche e liberatorie ibridazioni nell’arte”, dato alla mostra con cui prende avvio l’estate 2023 di “Flashback Habitat. Ecosistema per le Culture Contemporanee”, il nuovo hub culturale aperto nel novembre scorso in corso Giovanni Lanza a Torino, in occasione di “Flashback Art Fair”, la Fiera diretta da Ginevra Pucci e Stefania Poddighe. Nata da una bizzarra ma brillante idea di Alessandro Bulgini, artista e direttore artistico di “Flashbak Habitat”, la rassegna, in agenda fino a domenica 1° ottobre, si pone ai visitatori come una sorta di “display espositivo” in cui far confluire il più variegato gioco di nuove, e perfino improbabili, sperimentazioni attraverso la musica e le arti visive. Le cifre: 70 opere, per 15 differenti Jam Session, “risuonanti” in 15 sale, che allo stesso tempo sono “luogo di partenza e luogo di arrivo della composizione”. Come nasce l’idea della mostra ce lo spiega lo stesso Bulgini: “Nel 1989 avevo un ‘blues bar’ a Livorno, ‘Vernice Fresca’, un luogo dove arti visive e musica si mescolavano. In una di quelle sere vennero a mangiare da noi due importanti musicisti afroamericani della grande ‘jazz band’ di Lionel Hampton che si trovava in città per due spettacoli. Mentre mangiavano pensai di provocarli chiedendo al mio amico Richard di suonare al piano uno ‘standard’ per vedere le loro reazioni. La reazione non tardò ad arrivare, entrambi lasciarono le forchette e imbracciarono tromba e sax. A fine serata ubriachi di ‘Vecchia Romagna’, ringraziando Dio per quanto avvenuto, chiesero di poter tornare il giorno dopo e così fu, e con loro gli altri trenta componenti della band più altrettanti musicisti livornesi. Ne nacque una serata indimenticabile nonostante fosse improvvisata”.

Da ripetere, in versione “Flashback Habitat”. Ed eccoci all’oggi, al secondo piano dell’hub di corso Giovanni Lanza , con “terzetti” e “quartetti” di opere di artisti visivi combinati in intriganti atmosfere scandite dal ritmo della batteria di Donato Stolfi. In un suggestivo percorso “misto”, che ci porta dai “Dervisci” di Aldo Mondino alle tele dal “forte ritmo musicale” di Giorgio Griffa. Dai plurimaterici lavori di Marco Gastini ai paesaggi alieni di Pierluigi Pusole e alle fotografie di Monica Carocci, per non dimenticare i “taciti ritratti” della tedesca, torinese d’adozione, Elke Warth e gli scatti “etici” di Turi Rapisarda, ideatore nell’‘80 del torinese “Gruppo Fotografia Psicogeografica”. E via ancora con le creative composizioni di Bartolomeo Migliore,Victor Kastelic (origini americane da Salt Lake City), Luigi Gariglio, Enzo Obiso con il suo “Fish Eye”, Pierluigi Meneghello, Alessandro Rivoir e Bruno Zanichelli. Per finire nello spazio esterno della struttura. Dove, nell’ambito del progetto “Vivarium” (parco artistico in divenire), troviamo una nuova opera a firma di Fabio Cascardi, una surreale installazione in acciaio e vernice antirombo dal titolo “Sedie nello spazio”: nulla di strano per l’artista torinese, la cui costante è proprio il riutilizzo e la conversione di oggetti e di materiali di recupero.

In questo caso sedie riattate e prolungate in altezza in un “gioco” d’arte in cui immaginazione e creatività fanno sentire alla grande i loro diktat. Il tutto, mentre fuori dagli spazi di “Flashback Habitat”, nella Barriera di Milano in piazza Bottesini, mercoledì 21 giugno scorso, s’è avviata la nona edizione (creatura sempre di Alessandro Bulgini) di “Opera viva, il Manifesto”, che quest’anno porterà il titolo originale di “Opera viva, Luigi l’addetto alle affissioni”, con manifesti che si ritroveranno (per sbaglio di Luigi?) tutti capovolti, testa all’ingiù. Primo appuntamento con Sergio Cascavilla e il suo “L’arte povera E’ INGombraNTE OBsoleTA”.

Gianni Milani

“Torino Jam Session. Energiche e liberatorie ibridazioni nell’arte”

“Flashback Habitat. Ecosistema per le Culture Contemporanee”,corso Giovanni Lanza 75, Torino; tel. 393/6455301 o www.flashback.to.it

Fino al 1° ottobre

Orari estivi: ven. sab. e dom. 11/20

Nelle foto:

–       Aldo Mondino: “Dervisci”, olio su linoleum, 1999

–       Fabio Cascardi: “Sedie nello spazio”, acciaio e vernice antirombo, 1995

–       Sergio Cascavilla: “L’arte povera E’ INGombraNTE OBsoleTA”

Torino sempre più verde. In autunno tremila nuovi alberi in città

La Città di Torino è costantemente impegnata nella cura e nella salvaguardia del proprio patrimonio arboreo. In questi giorni una serie di analisi approfondite hanno interessato alcuni alberi campione in corso Re Umberto.

Si tratta di approfondimenti che hanno lo scopo di raccogliere informazioni aggiuntive sullo stato di salute degli alberi che con i controlli standard risultano stabili, ma che potrebbero nascondere altri problemi. Con i dati raccolti sarà possibile prevenire situazioni di pericolo quali lo schianto improvviso di piante apparentemente sane, come quello avvenuto l’anno scorso proprio su corso Re Umberto, dove cadde un grosso ippocastano.

Nello specifico, vengono eseguite prove di trazione, per simulare la tenuta dell’albero e dell’apparato radicale con l’azione del vento superiore ai 100 km/h. Attraverso un leggero scavo manuale, poi, si indagano le condizioni delle porzioni di fusto che nei decenni sono state interrate nelle varie trasformazioni del viale e che potrebbero aver danneggiato l’apparato radicale. Inoltre si prelevano dei campioni che saranno oggetto di analisi molecolari, svolte con la collaborazione di DISAFA – Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, con lo scopo di valutare la presenza precoce di funghi agenti di marciumi, anche di assenza di manifestazioni esterne e visibili nella pianta.

Questi approfondimenti rientrano nei controlli di stabilità sugli alberi previsti nell’appalto operativo dall’autunno del 2021, che finora ha portato al controllo di oltre 35 mila alberi.

Un altro esempio di questi controlli straordinari è l’intervento di cura realizzato nei mesi scorsi su una grossa quercia del parco Rignon. L’albero presentava gravi problemi di stabilità, con cavità a livello di fusto e di branche, e i tecnici della Città, in accordo con i professionisti incaricati dei controlli, per salvarlo hanno deciso un intervento di potatura associato al consolidamento con cavi, per ridurre i rischi e delimitare l’area di potenziale caduta delle branche.

Tra le strategie di gestione della “foresta urbana” torinese (costituita da oltre 150 mila alberi a cui si aggiungono 220 mila alberi presenti nei boschi collinari di proprietà comunale) queste verifiche rappresentano un tassello fondamentale ed indispensabile nella cura del verde cittadino, che consente di avere una fotografia aggiornata e precisa delle condizioni di salute e stabilità degli alberi, una risorsa ambientale unica da salvaguardare e incrementare.

Gli alberi svolgono infatti un ruolo sempre più importante di contrasto ai cambiamenti climatici, ma proprio in ambito urbano vengono sottoposti ai maggiori stress e a importanti sollecitazioni.

Uno degli effetti più evidenti dei cambiamenti climatici è l’aumento degli eventi meteo estremi, come le piogge intense e i venti forti, che si verificano con sempre più frequenza e che possono portare ad allagamenti, a cadute di alberi o di loro porzioni. Sono fenomeni sempre più violenti, che possono accentuare le fragilità dei patrimoni arborei pubblici e privati caratterizzati da piante adulte, cresciute in un ambiente urbano non sempre favorevole.

Anche la siccità dell’anno scorso ha causato inoltre danni significativi, a Torino come in molte altre città italiane ed europee. Si stima che nella nostra città siano ad oggi circa 1400 gli alberi adulti che sono stati abbattuti. Sono piante inevitabilmente compromesse e sulle quali gli stress sono difficilmente gestibili e a poco servono le irrigazioni di soccorso. In questi casi l’unica strada possibile è l’abbattimento, in quanto le piante secche possono costituire un grave pericolo per l’incolumità di persone e cose.

Gli effetti della siccità che ha interessato Torino nel 2022 potrebbero purtroppo durare ancora a lungo, ed entro fine anno il calcolo degli alberi da abbattere potrebbe arrivare a circa 2mila e 800/ 3mila unità. Tra gli ultimi interventi realizzati, segnaliamo quello sui 30 carpini secchi di corso Galileo Galilei mentre, da questa settimana, altri 70 in corso Tazzoli dovranno purtroppo subire la stessa sorte. Proprio i carpini, insieme ai faggi, sono le specie arboree che più hanno risentito della siccità.

Per compensare queste perdite, a partire dall’autunno la Città avvierà un importante intervento di riforestazione urbana, con 3mila nuovi alberi da verde urbano (altezza 2-2,5 metri e circonferenza fusto 16-20 cm) che verranno messi a dimora nei punti maggiormente interessati dagli abbattimenti.

In autunno la Città avvierà inoltre una collaborazione con il Disafa, per capire come tutelare gli alberi adulti dagli effetti dei cambiamenti climatici e dalle patologie che possono insorgere, perché in situazione di stress funghi e batteri possono creare maggiori danni alle piante.

L’assessore al Verde pubblico Francesco Tresso ha commentato: “Per compensare le perdite causate dal caldo anomalo e dalla straordinaria siccità che nel 2022 ha colpito anche Torino, come Città ci siamo impegnati a realizzare un importante programma di piantumazione, andando a rimpiazzare gli esemplari abbattuti, perché morti o deperiti, con 3mila nuovi alberi. Continuiamo quindi con convinzione nel nostro programma di valorizzazione della foresta urbana torinese  – continua l’assessore -, una risorsa fondamentale per rendere la città più sostenibile e capace di adattarsi ai cambiamenti climatici, attenta a valorizzare i benefici prodotti del verde per una migliore qualità della vita dei suoi cittadini”.

Un’estate di grande fotografia. Porte sempre aperte a “CAMERA” con la retrospettiva su Dorothea Lange

Narratrice della “Grande Depressione”, e gli scatti di “FUTURES 2023”

Fino all’8 ottobre

In parete, fra le oltre 200 immagini esposte fino a domenica 8 ottobre, è ben presente anche una delle massime icone fotografiche del secolo scorso, la toccante che di più non si può “Migrant Mother” datata 1936, autentico pilastro della ritrattistica documentaria del Novecento. A firmarla, la grande Dorothea Lange, cui– dopo l’esposizione su Eve Arnold, oltre 27mila visitatori – “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia” dedica la sua “estate – fotografica”, sempre sotto il segno delle più celebri fotografe del XX secolo. In contemporanea, in “Project Room”, il “Centro” di via delle Rosine a Torino presenta un’altrettanto interessante collettiva dedicata a sei giovani talenti del Progetto “FUTURES Photography”, titolata “FUTURES 2023: nuove narrative”. Curata dal direttore di “CAMERA”, Walter Guadagnini, e da Monica Poggi, la mostra “Dorothea Lange. Racconti di vita e di lavoro” presenta la carriera della Lange (Hoboken, New Jersey, 1895 – San Francisco, 1965) in particolare negli anni Trenta e Quaranta, apice assoluto della sua attività e decennio nel quale la fotoreporter (“per scelta un’osservatrice sociale e per istinto un’artista” com’ebbe acutamente a definirla John Szarkowski, fotografo e direttore emerito del Dipartimento di Fotografia del “Museum of Modern Art” di New York) seppe documentare con ruvida ma poetica umanità gli eventi epocali che drasticamente modificarono l’assetto economico e sociale degli States.  Fra il 1931 e il 1939, il Sud degli Stati Uniti fu infatti colpito da una grave siccità e da continue tempeste di sabbia, che misero in ginocchio l’agricoltura dell’area, costringendo migliaia di persone a migrare.

E proprio in quei terribili anni Dorothea Lange fu chiamata a far parte del gruppo di fotografi chiamati dalla “Farm Security Administration” (agenzia governativa incaricata di promuovere le politiche del “New Deal”) a documentare la storica “Grande Depressione” e l’esodo dei lavoratori agricoli in cerca di un’occupazione nelle grandi piantagioni della “Central Valley”. La Lange realizzò, in quei terribili frangenti, migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti, riportati poi nelle dettagliate didascalie a completamento delle immagini. E proprio in questo contesto, realizzò il ritratto, passato alla storia, della giovane madre disperata e stremata dalla povertà (“Migrant Mother”), che vive insieme ai sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse. Scatti di realtà remote, eppur così vicine.

Crisi climatica, migrazioni, discriminazioni, povertà e disperanti umiliazioni: nonostante ci separino diversi decenni dalle immagini cristallizzate da Dorothea Lange, i temi da lei trattati ritornano oggi di assoluta attualità e forniscono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul presente, oltre a evidenziare una tappa imprescindibile della storia della fotografia del Novecento. “La mostra – sottolineano i curatori – offre quindi ai torinesi e ai turisti un’occasione imperdibile per conoscere meglio l’autrice di una delle immagini simbolo della maternità e della dignità del XX secolo e interrogarsi sul presente”.

Sempre fino all’8 ottobre e in parallelo alla retrospettiva dedicata a Dorothea Lange, “CAMERA” propone anche la collettiva “FUTURES 2023: nuove narrative”, a cura di Giangavino Pazzola, coordinatore dei suoi progetti di ricerca. Oltre 40 gli scatti esposti, incentrati sul tema della “rappresentazione visiva” della contemporaneità e realizzati da sei giovani talenti fotografici, selezionati per il programma europeo di promozione e valorizzazione degli artisti emergenti “FUTURES Photography”, cofinanziato dal “Programma Europa Creativa” dell’UE.

I loro nomi: Andrea Camiolo (Leonforte, 1998), Nicola Di Giorgio (Palermo, 1994), Zoe Natale Mannella (Londra, 1997), Eleonora Roaro (Varese, 1989), Sara Scanderebech (Nardò, 1985), Alex Zoboli (Guastalla, 1990). “Attingendo a diverse pratiche di creazione fotografica, da quelle di riutilizzo di immagini e materiali di archivio fino a quelle che prevedono l’impiego di software e nuove tecnologie – spiega Giangavino Pazzola – i progetti presentati indagano non solo usi e costumi della società odierna, ma anche le nuove tendenze che attraversano il panorama della fotografia contemporanea”.

Gianni Milani

“Dorothea Lange. Racconti di vita e di lavoro” e “FUTURES 2023”

“CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881151 o www.camera@camera.to

Fino all’8 ottobre

Orari: lun. merc. ven. sab. dom 11/19; giov. 11/21; mart. chiuso

 

–       Dorothea Lange: “Migrant Mother”, Nipomo, California, 1936

–       Dorothea Lange:”Toward Los Angeles”, California, 1937

–       Dorothea Lange: “Nisei girl with baggage”, Oakland, California, 1942

–       Nicola Di Giorgio: “Borgo Nuovo 1957-1983, diciottesimo quartiere di Palermo”, 2022

–       Zoe Natale Mannella: dalla serie “Taxidi”, 2018

 

Dai bruciaprofumi ai candelieri ai vassoi, in mostra al “MAO” l’arte islamica medievale

“Metalli sovrani”

 

Fino al 17 settembre

Dopo la suggestiva rassegna “Lustro e lusso dalla Spagna islamica”, il “MAO-Museo d’Arte Orientale” di Torino continua il suo viaggio di avvicinamento alla grande mostra del prossimo autunno, incentrata sull’arte dei “Paesi tra Estremo Oriente e Centro Asia fino alle sponde del Mediterraneo”, con la presentazione, all’interno della “galleria islamica” e fino a domenica 17 settembre, di un progetto espositivo dedicato ai più raffinati oggetti di arte islamica medievale in metallo. Dal titolo “Metalli sovrani. La festa, la caccia e il firmamento nell’Islam medievale”, la mostra – curata da Veronica Prestini – rappresenta la prima collaborazione fra il “Museo” di via San Domenico e la britannica “The Aron Collection”. Bruciaprofumi, bottiglie porta profumo, portapenne, candelieri, vassoi, bacili e coppe: in esposizione troviamo una mirata selezione di quella “metallistica” datata XII – XV secolo che, insieme alla “miniatura”, può essere considerata fra le più alte espressioni della creatività artistica islamica e che dalla Persia raggiungeva a Oriente l’India e la Cina, arrivando in Occidente fino alle pendici dell’Atlante e alla stessa Europa, dimostrando quanto le percezioni estetiche viaggino sempre per conto loro, assolutamente incuranti di frontiere politiche e religiose. Fra i soggetti preferiti, in fase di decorazione, al primo posto é sicuramente quello della “caccia”, in particolare l’iconografia del re a cavallo affiancato da alcuni animali (falconi e ghepardi, soprattutto) e da una schiava (artista scienziata o musicante); non meno “gettonati” i temi dell’“astronomia” e dell’“astrologia” che rivestivano un ruolo centrale nella vita dei sovrani, influenzandone le scelte politiche, militari e perfino amorose. Altri soggetti, realizzati non di rado dagli artigiani del tempo, erano le “scene di festa e banchetto”, legate al genere letterario Bazm-o-Razm, ovvero “banchetto e battaglia” ad indicare come le piacevolezze della pace non potessero mai disgiungersi dal ciclico ardore dei combattimenti. E’ dunque un repertorio artistico “straordinario e metafisico”, quello che possiamo leggere in mostra, associato ad uno stupefacente “rigore calligrafico” applicato in prevalenza negli oggetti destinati all’illuminazione, quali candelieri e lampade, fondamentali nella vita quotidiana, ma anche nella più sfarzosa dimensione spirituale e sacra.Fra gli oggetti più raffinati in esposizione troviamo un “Portapenne incrostato in argento” (Mosul, Iraq, fine XIII secolo), che reca una raffigurazione del sole circondato dai pianeti (motivo iconografico tipico degli oggetti destinati a governanti e ad altri membri dell’élite nonché emblema dell’iconografia astrologica nell’Islam medievale) e un grande “bacile in ottone inciso e ageminato in argento” (Fars, Iran meridionale, XIV secolo) dalla decorazione altamente simbolica, con scene di caccia che ricorrono su tutta la superficie dell’oggetto, espressione di una prerogativa reale che, rimandando alle eccezionali qualità di combattente del sovrano, ne legittimavano il potere.

Piacevolissima sorpresa (ma neppure tanto, essendo pratica ricorrente per le mostre del “MAO”), la volontà di intrecciare arte antica e contemporanea, con l’esposizione dell’opera “Monochrome bleu” (1959) del francese, precursore della Body art, Yves Klein(1928-1962). E mai intreccio, come in questo caso, fu più centrato e illuminante. L’opera esposta di Klein (uno degli oltre mille dipinti monocromi da lui realizzati a partire dal ’56) appartiene al periodo del “solo blu”, tinta che “doveva unificare il cielo e la terra e dissolvere il piano dell’orizzonte”, quel blu oltremare “saturo e luminoso” (da Klein addirittura brevettato col nome di “International Klein Blue” che però non venne mai prodotto) che, in qualche modo rappresenta il compiersi di una ricerca che ha origini antichissime.  Il blu oltremare, il cosiddetto “blu di Persia”, domina infatti nelle pregiatissime miniature islamiche medievali ed è spesso sapientemente accompagnato dall’uso della “foglia oro”. In quest’ottica “Monochrome Bleu” permetterà di “apprezzare l’evoluzione della sapienza tecnica, artigianale e artistica, in continua tensione espressiva, divenuta un modello filosofico nell’interpretazione di Klein, e poter godere appieno della profondità dirompente del suo colore”.

Gianni Milani

“Metalli sovrani. La festa, la caccia e il firmamento nell’Islam medievale”

MAO-Museo d’Arte Orientale”, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino al 17 settembre

Orari: da mart. a dom. 10/18. Lunedì chiuso

Nelle foto:

–       Particolare dell’allestimento, Ph. Perottino

–       “Portapenne (qalamdam)”, Iraq (Mosul), XIII sec, Lamina di ottone, battuta, incisa ed incrostata d’argento e oro, Ph. Valerio Ricciardi

–       Yves Klein: “Monochrome bleu”, 1959, Pittura su carta, Collezione privata, Torino, Ph. Paolo Mussat Sartor

10.959 visitatori dal 12 al 15 agosto alla GAM, al MAO e a Palazzo Madama

 

 

 

Sono 10.959 le persone che hanno visitato nel ponte di Ferragosto, tra sabato 12 e martedì 15 agosto 2023, la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, il MAO Museo d’Arte Orientale e Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, approfittando dell’opportunità di visitare le collezioni permanenti dei musei e le mostre temporanee.

In particolare, 2.002 persone hanno visitato la GAM, 2.584 il MAO e 6.373 Palazzo Madama.

Il picco di ingressi si è registrato il giorno di Ferragosto con tariffa speciale a 1 € per le collezioni permanenti + 1 € per le mostre temporanee: i visitatori della GAM sono stati 1.447, in 2.037 hanno visitato il MAO e 3.514 persone sono entrate a Palazzo Madama, per un totale di 6.998 ingressi.

Ferragosto, quando a Torino si pranzava al sacco in riva al Po

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTA’

Augusto l’ha inventato, noi lo festeggiamo.

In inverno è l’Epifania che “tutte le feste porta via”, in estate invece è il Ferragosto a farci assaporare il gusto malinconico di settembre.


Un giorno particolare, dunque, il 15 agosto, una giornata “confine” tra la spensieratezza delle vacanze e il solito nuovo inizio del “tran-tran” quotidiano, che ci aspetta impietoso, appena superata la metà del mese. Ferragosto va dunque festeggiato “come se non ci fosse un domani” di vacanza, con la felicità che si prova quando si rivedono gli amici dopo tanto tempo e con la consapevolezza del carpe diem” e quindivia veloci con i preparativi! Ed è proprio così – per fortuna- da questa bella giornata non si scampa.


Se penso ai miei ferragosti passati mi vengono in mente tanti bei momenti, alcuni immortalati da fotografie sfocate e mosse, altri -per fortuna- non documentati ma indelebilmente impressi nella memoria. Dunque il 15 agosto è una di quelle ricorrenze obbligate che di “obbligo” hanno ben poco e che da sempre vengono tenute in gran considerazione. L’abitudine di festeggiare e organizzare scampagnate fuoriporta nasce, in Italia, durante il ventennio fascista. A partire dagli anni Venti, infatti, il Regime organizzava, attraverso le associazioni dopolavoristiche delle varie corporazioni, tra i giorni 13 e 15 di agosto, moltissime gite popolari e proponeva offerte ferroviarie che permettevano anche ai meno abbienti di visitare diverse località della penisola. In particolare tra il 1931 e il 1939 vennero istituiti dei Treni popolari speciali, prevalentemente solo di terza classe, con prezzi fortemente scontati.

Esistevano le trasferte giornaliere, che si svolgevano nel raggio di 100 km e quelle di tre giorni, che invece arrivavano a coprire la distanza di 200 km; grazie ai “treni di ferragosto” molte famiglie italiane ebbero l’occasione di vedere il mare o la montagna per la prima volta, oppure poterono visitare alcune città d’arte. In tali uscite non era previsto il vitto, ecco dunque la nascita della tradizione del “pranzo al sacco”. Tempi lontani, quelli dell’ante-guerra, che troppo spesso vengono dimenticati e che altrettanto frequentemente non ci fanno pensare “di essere grati di essere nati nel lato del mondo che in fondo in fondo è perfetto”, per fare il verso ad una ormai datata canzone degli Articolo 31.
Ma la festa del Ferragosto ha origini assai più antiche.


Il termine deriva da “Feriae Augusti”, ossia il “riposo di Augusto”, una festività che si celebrava nell’antica Roma, istituita nel 18 a.C. proprio dallo stesso “princeps Augusto, perché, se il caldo lo soffrono i comuni mortali, figuratevi gli imperatori! Tale celebrazione si collegava alle già esistenti Vinalia Rustica” (festività in onore di Giove e Venere), ai Nemoralia” (tre giorni, durante le Idi di agosto, dedicati al culto di Diana) e ai ConsualiaLa ricorrenza non coincideva esattamente con il giorno 15 del mese, piuttosto le “Feriae Augusti” designavano la prima parte di agosto, periodo appunto dedicato a quell’otium che tanto piaceva ad Orazio e alle attività collegate alla tradizione dei Consualia, ossia le feste che si celebravano alla fine dei raccolti, in onore di Conso, protettore della terra e della fertilità.


In questo periodo in tutto l’Impero si organizzavano corse di cavalli e altri animali da tiro, come buoi, asini o muli, le bestie venivano quindi dispensate dal lavoro e agghindate con ghirlande e fiori. Proprio questa abitudine sopravvive ad esempio nel “Palio dell’Assunta”, che si svolge a Siena il 16 di Agosto, (Palio deriva da pallium, il drappo di stoffa pregiata, premio di chi vinceva la gara). Sempre in tale occasione i contadini porgevano i loro auguri ai proprietari terrieri, ottenendo in cambio una mancia. Le buone tradizioni si radicano velocemente, soprattutto se si tratta di guadagnarci qualcosa, e così in età rinascimentale tale usanza fu resa obbligatoria nello Stato Pontificio.  Ma se alcune abitudini vengono accettate e incorporate senza troppe discussioni, altri atteggiamenti “pagani” tanto ben inseritinegli usi e costumi, visto che non si possono proprio eliminare, vanno quantomeno camuffati.


Con l’avvento del monoteismo molte festività vennero appunto “cristianizzate”, e per salvare “capra e cavoli” alcuni nomi vennero sostituiti e sovrapposti, mentre le abitudini popolari rimasero tutto sommato le stesse. Si pensi ad esempio all’equinozio di primavera, il primo giorno in cui la natura si risveglia, momento dedicato ai concetti di fertilità, resurrezione e rinascita. Nel mondo ellenico, dopo l’equinozio si svolgevano le Adonie, celebrazioni per la resurrezione di Adone, splendido giovane amato da Afrodite e ucciso da un cinghiale, a causa della gelosia di Ares. Proprio Adone può essere assimilato alla divinità Assiro-Babilonese Tammuz, chiamato anche Adon (signore), il quale trascorreva sei mesi negli Inferi, nel periodo in cui il sole si trovava al di sotto dell’equatore e tornava poi in superficie nei sei mesi successivi, per ricongiungersi all’amata dea Ishtar. Una storia già sentita, vero?


E così, invece di invocare Adon, la prima domenica dopo la luna piena che segue l’equinozio si festeggia la Pasqua cristiana, e la rinascita della natura diventa la resurrezione di Gesù. Questo gioco di sovrapposizioni ideologiche e teologiche non ha fine e l’elenco delle festività pagane rivisitate in chiave cristiana è assai lungo.  Vi propongo ancora solo un altro esempio: il tanto atteso Natale. Anche i più miscredenti sanno che Gesù è nato il 25 dicembre, e se pensate che sia un giorno come un altro, ecco è che qui “casca l’asino”. In realtà nessuno conosce la data esatta della nascita di Cristo, è stato il Concilio di Trento (1542-1563) a decretare che tale evento si fosse verificato proprio il 25 dicembre, confermando una già millenaria tradizione che si era sostituita nel tempo agli antichi culti pagani. Guarda caso, secondo tali tradizioni, in quel particolare momento astronomico la Dea-Notte diede alla luce il Dio-Sole. È davvero questo il momento in cui le giornate iniziano ad allungarsi, giusto quattro giorni dopo il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno, va da sé che per tutti i culti solari questo sia un momento di estrema importanza. Possiamo anche far riferimento al culto di Horus, partorito da Iside o alla vicenda di Mitra, nato dalla vergine Anahita e non ci vuole poi molto ad arrivare al “nostro” Gesù, “Sole Divino”, nato dalla Vergine Maria.


Ma non è questo il luogo per dissertare sulla cristianizzazione del paganesimo, né per intrattenerci sulle corrispondenze tra i miti e le credenze religiose. Se dunque il 14 del mese ci accalchiamo tutti nei supermercati o intasiamo le linee telefoniche per prenotare al ristorante è “colpa” della Chiesa, che ha voluto far coincidere il Ferragosto con la festa di precetto dell’Assunzione di Maria.
Non so quanti siano quelli che hanno a mente l’obbligo di partecipare alla Messa, come è scritto nel Codice di diritto canonico (ca.1247), ma conosco davvero molta gente che si appella “all’obbligo di astenersi dai quei lavori che turbano la letizia del riposo e della mente”. Forse non era proprio questo il concetto, ma non è il caso di essere così puntigliosi in questo giorno di relax.


Ferragosto dunque è una festa antica, una di quelle buone abitudini che si sono mantenute e che sono sopravvissute ai tempi che cambiano. E forse sarebbe il caso di ricordarsi ancora qualcosina in più, come l’abitudine dei lavoratori lombardi e piemontesi, i quali, fino agli inizi del XX secolo, nei cantieri edili, verso la fine di luglio, fissavano un grande ramo d’albero sulla parte più alta del fabbricato in costruzione, detto “pianta del faravòst”, che serviva a ricordare all’impresario la tradizione della mancia.


A Torino, invece, fino alla metà del XX secolo, era usuale pranzare al sacco in riva al Po, proprio vicino alla Chiesa del Pilone, tale giornata prendeva il nome di “festa dle pignate a la Madona dél Pilòn” (“Festa delle pentole alla Madonna del Pilone”). Per quanto apprezzi l’idea del “pick-nick” in quell’area particolare di Torino che tanto mi piace e che sempre ricorderò con affetto, avendo abitato lì per moltissimo tempo, devo dire che mi ritengo assai fortunata per aver avuto la possibilità di festeggiare Ferragosto –fino ad ora almeno- al mare. Ricordo le feste in spiaggia, quando ero ancora studentessa e gli amici erano davvero tanti, c’era chi portava la chitarra, chi da mangiare, chi invece era “l’addetto al bar” e poi alla fine si cantava tutti a squarcia gola attorno ad un piccolo falò che gentilmente chi di dovere fingeva di non aver notato.


Ricordo il bagno di mezzanotte in quel mare che di notte doveva essere caldo e che ci faceva prendere il raffreddore tutte le volte. Ricordo il giorno successivo, tutti al bar con il mal di gola e gli occhiali da sole anche se c’era brutto tempo. Tempus fugit”, le estati passano, la scuola finisce, alcune strade si dividono, le norme sulla sicurezza si fanno più ferree e l’acqua del mare diventa davvero fredda. Nessuno lo vuole ammettere ma le abitudini cambiano, molte in effetti, eppure la voglia di divertirsi e stare insieme resta: alla spiaggia si sostituisce la pizzeria o il giardino per fare la grigliata, ma “l’addetto al bar” c’è sempre.

 

Alessia Cagnotto 

Più di 60 anni fa: Ferragosto, il profumo della felicità

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTÀ 

In fondo bastava veramente poco. Ci aiutava la fantasia. Niente televisione, niente video niente di niente. Magari, raramente,  un cinema di quarta se non quinta serie. Eppure lo sento ancora. Il profumo della felicità. Agosto di oltre 60 anni fa: Torino si svuotata, ma io per allora non capivo non sapendo. Sapevo solo che per 30 giorni 24 ore su 24 avevo a disposizione mio padre.
Monocamera affittata a Tuberghengo frazione di Viu’ in val di Lanzo. Ci si lavava in con il catino e per i bisogni c’erano i prati.
Si arrivava in corriera Soffietti. Da Torino si partiva dalla Torino Cirié Lanzo. Poi Venaria e la direttrice della Mandria. San Germano e poi i tornanti fino a Viu’. Cambio e corriera che andava al Col del Lys. 3 fermate, la curva di Tuberghengo. Poi 500 metri a piedi.
La casa era l’ultima verso la valle. Dal lato opposto Viu’. Si raggiungeva in mulattiera.
Giù fino alla Stura. A valle, sulla sinistra la falegnameria di Giacu. Tutto fatto a mano.
La piccola picozza come la piccola Gerla per portare il fieno. Stavo ore a guardare i montanari che facevano il fieno con la falce ed una pietra levigata per affilare la lama. Si aspettava uno o due giorni per essiccare l’erba  che diventava fieno. Poi il forcone per covoni. Non osservavo solo, soprattutto fantasticavo. Così i ruscelli diventavano inguardabili  fiumi tropicali. Già da piccolo avevo un debole per gli scopritori dei misteri delle giungle. La piccola picozza, a seconda delle necessità, poteva essere un machete o un fucile. I miei zii mi regalarono l’Enciclopedia Conoscere. Ogni settimana una dispensa.
Era piena di figure. Storia, geografia scienze, fauna e flora. Lo scibile umano per bambini.
Poi il mitico Salgari e Verne, tra Capitano Nemo e i pirati della Malesia. Il più delle volte bastava una fervida immaginazione condivisa con una totale fantasia. Altro che telefonini o computer. Ebbene si l’ ho detto. Ci bastava così poco. Sarà l’età avanzata ma ho nostalgia di quei tempi. Sicuramente di una giovinezza che non potrà mai tornare.
Ma anche nostalgia di un tempo che per trovare una nostro tempo dovevamo muoverci. Muoverci con le gambe e muoverci con la fantasia. Oggi può sembrare impossibile che vivevamo senza auto, senza telefono portatile, senza navigatori da consultare. Persino, solo per un mese, senza servizi igienici in casa. Mangiavamo  sempre in casa, al massimo pranzo al sacco nelle gite fori porta fino a Malciaussia. Con l’indimenticabile cioccolato Toblerone.
Un solo giorno era dedicato al ristorante: il giorno di Ferragosto. Ristorante per modo di dire. Un ” agriturismo ” ante litteram.
La cucina con il pavimento di terra ed il putage’ per cucinare. Il menù presto detto: antipasto di salumi. Primo la buseca e secondo o coniglio o pollo. Tutto a. Km 0.
I salmi del maiale ucciso e macellato a gennaio. La buseca: minestrone con la trippa e verdure dell’orto,  si intende. Polli ruspanti e conigli allevati dall’oste. Oste che era tutto. Cucinava e serviva. Forse zoppicante il vino, rigorosamente rosso imbottigliato da damigiane. Tanto non ne capivo nulla ed andavo di Coca-cola. La giornata volava via come le ferie. Come è volata via un po’ di felicità e di fantasia di quei tempi. Siamo cresciuti superando abbondantemente i 60 anni. Che poi , in fondo non è così da poco essere arrivati a questo punto.
Ovviamente buon ferragosto a Tutti.

PATRIZIO TOSETTO

(Da bambino nella foto)

Agosto, la distribuzione di cibo nei mercati di Torino non va mai in vacanza

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Non si arresta neppure ad agosto l’attività di recupero ecologico e solidale dell’ortofrutta, e in certi casi anche del pane, da parte delle Sentinelle Salvacibo dell’associazione Eco dalle Città, realizzate nell’ambito del progetto RePoPP. Nata nel 2016 con l’obiettivo di avviare un efficiente sistema di raccolta dei rifiuti organici e dei prodotti ortofrutticoli, l’iniziativa si propone altresì di combattere lo spreco alimentare e offrire un aiuto concreto a tutti coloro che si trovano in difficoltà.

 

Al termine della attività di vendita nei mercati volontari e collaboratori dell’associazione recuperano la frutta e la verdura invenduti e lo mettono gratuitamente a disposizione delle persone in stato di necessità. Dall’associazione un appello anche “a chi è rimasto in città ad agosto e può contribuire alla nostra attività salvacibo e contestualmente sostenere i mercati torinesi recandovisi per fare la spesa, possibilmente nell’ultima ora, quando ci siano anche noi, così da poter lasciare qualche ortaggio o frutto al banchetto Salvacibo in segno di solidarietà“.

Le sentinelle Salvacibo saranno presenti a Porta Palazzo e negli altri mercati in cui vi siano bancarelle anche il 14 agosto e “siamo pronti per ogni situazione che si presentasse in una città dove una parte importante delle attività in ferie, ma sono tante le persone che rimangono in città a cui dare la frutta e verdura recuperata”, spiegano.

Occasioni in cui poter fare la differenza contro lo spreco alimentare, perché recuperare non significa solo non buttare cibo, ma anche non sprecare l’acqua utilizzata per produrlo, il carburante necessario per spostare e stoccare, il lavoro di chi coltiva e raccoglie, il costo dell’inquinamento prodotto e, perché no? anche il nostro denaro.

“Già martedì 1 agosto ci sono stati segnalati da due supermercati altrettanti carichi di eccedenze con cibo buono in scadenza – raccontano -. In un caso abbiamo organizzato una distribuzione straordinaria alle 15 e 30 in via Montanaro 2, nell’altro caso abbiamo incrementato la distribuzione a Porta Palazzo”.

L’ azione di recupero e ridistribuzione delle eccedenze alimentari nei mercati cittadini prosegue con un calendario che si propone di garantire una copertura completa lungo l’intero arco della settimana, dal lunedì al sabato.

Di seguito il calendario delle distribuzioni:

– lunedì: Foroni h.14:00, Borgo Vittoria h. 14:00, Porta Palazzo h.14:30 (previo ritiro numero tagliacoda alle 13:30);
– martedì: v. Porpora h. 14:00, c. Svizzera (piazzetta Zamenhof) h.14:00, v. Onorato Vigliani h: 14:00 Porta Palazzo h.14:30 (previo ritiro numero tagliacoda alle 13:30);
– mercoledì: p. Foroni h. 14:00, c. Cincinnato h. 14:00, Santa Rita/Sebastopoli h. 14:00, Porta Palazzo h.14:30 (previo ritiro numero tagliacoda alle 13:30);
– giovedì: Porpora h:14:00, Borgo Vittoria h:14:00, v. Onorato Vigliani h. 14:00, c. Svizzera h. 14:30, Porta Palazzo h.14:30 (previo ritiro numero tagliacoda alle 13:30);
– venerdì: c. Cincinnato h:14:00, Santa Rita/Sebastopoli h. 14:00, Porta Palazzo h.14:30 (previo ritiro numero tagliacoda alle 13:30), via Montanaro h. 15:30, Parco Dora (Skate Park, sotto la tettoia) h: 16:30
– sabato: c. Taranto h:13:30, Borromini h:14:00, v. Porpora h: 15:30, Svizzera (piazzetta Zamenhof) h.15:45, c. Cincinnato h:17:00; Borgo Vittoria 18:00, p. Foroni h:18:30; Onorato Vigliani h: 18:30, Santa Rita/Sebastopoli h. 19:30, Porta Palazzo h.19:30 (previo ritiro numero tagliacoda alle 18:30).