Domenica 9 novembre, alle ore 21, il teatro Juvarra ospiterà il concerto “Gli 8 violoncelli di Torino”, conosciuti anche come gli “8 celli”. Un programma accattivante dove i grandi compositori del passato si uniscono ai compositori di oggi. Bach, Verdi, Morricone ed Ezio Bosso saranno interpretati dagli 8 violoncelli di Torino. La passionalità della scrittura musicale, l’intensità, l’ipermelodia e la tradizione lirica saranno gli argomenti di spicco.
Gli 8 violoncelli di Torino nascono nel 2005 dal sogno nel cassetto del maestro Fabrice De Donatis, desideroso di creare un gruppo violoncellistico unico in Italia, con musicisti di consolidata carriera, ma caratterizzato da un legame di amicizia tra gli esecutori.
“Questi artisti – ha espresso la critica in proposito – hanno saputo valorizzare pienamente l’estensione tecnica ed espressiva del violoncello, per formare un gruppo a geometria variabile, capace di rendere la coralità di un’intera orchestra, la sensibilità tonale di un quartetto d’archi e la ritmici sensuale e travolgente di una band sudamericana”.
L’ottetto è stato più volte ospite di festival nazionali e internazionali, come il festival dei Suoni e dei Luoghi, il festival violoncellistico Alfredo Piatti, i Suoni delle Dolomiti, il Festival Violoncelles en Folie e il Festival de Musique de Chambre en Pays de Gex, in Francia, il Rio International Cello Encounter di Rio de Janeiro e molti altri. Dal 2019 gli 8 violoncellista di Torino sono costituiti da dieci elementi che si alternano in modo complementare in attività concertistica del gruppo. Da alcuni anni l’ottetto dedica anche parte delle attività a favore di Associazioni umanitarie con scopi benefici. L’incasso del concerto di domenica 9 novembre sarà destinato al restauro dell’organo a canne, presso la Chiesa dell’Immacolata, nel complesso degli Artigianelli. Tra gli 8 violoncellisti risultano Pier Paolo Toso, Relja Lukic, Francesca Gosio, Claudia Ravetto, Fabrice De Donatis, Alberto Capellaro, Paola Perardi e Giulio Arpinati.
Domenica 9 novembre 2025, alle ore 21, teatro Juvarra, via Juvarra 13, Torino
biglietto: intero 20 euro – ridotto 15 euro
info: teatrojuvarra.it – biglietteria online: Mailticket.it
Mara Martellotta
Passeggiare sotto i portici di Torino in una serata autunnale fredda e ventosa riporta alla mente nostalgie di stagioni lontane, di giornate luminose e vacanze ormai passate, quando il vento del mare ti accarezzava e ti lasciava il sale sulla pelle.

Morire a 94 anni è un privilegio di pochi, ma sicuramente Giorgio Forattini avrà vissuto gli anni del tramonto. Era il vignettista più famoso ed apprezzato. Quando a Torino “La Stampa“ in due periodi diversi lo sottrasse a “Repubblica“, divenne famoso anche tra lettori non acculturati perché una sua vignetta aveva l’effetto di un editoriale. Pochi tratti di matita e una battuta rendevano un’idea, un giudizio subito chiari e fulminanti. Era stato querelato una ventina di volte sempre da esponenti di sinistra, anche se la sua matrice originaria era la stessa, intesa però in senso anarchico – liberale. Fu considerato da alcuni politici un nemico, D’Alema, ad esempio, ma da altri, come Spadolini, una fortuna. Il Giovannone fiorentino grasso e impacciato nelle sue vesti professorali fu denudato da Forattini e reso subito popolare. Più severo Forattini fu con Craxi di cui senti’ il mussolinismo. Storica è la vignetta per la vittoria al referendum del 1984 quando disegnò una bottiglia di champagne il cui tappo era Fanfani. Ho conosciuto bene Forattini che aveva un sovrano disprezzo verso tutti i partiti e non accettò mai di diventare subalterno al Berlinguer di turno. Era un uomo libero che non prendeva ordini da nessuno. A mio modo di vedere può essere paragonato a Giovannino Guareschi anche se la vignetta di Forattini è molto più libera ed estemporanea. Guareschi aveva una storia alle spalle, era stato internato in Germania ed era vissuto in tutt’altro tempo tra il 1908 e il 1968. Forattini incominciò la sua carriera di vignettista a partire dagli anni ‘70 in un tempo caratterizzato dal livore ideologico. Non scrisse libri che non fossero la raccolta delle sue vignette, mentre Guareschi, non solo per il suo Don Camillo, è scrittore riconosciuto a livello internazionale. Ma lo spirito libero ha accomunato ambedue. Fu insignito del Premio “Pannunzio” di cui andava fiero. Era diventato un critico feroce di Scalfari e aveva vissuto sulla sua persona la violenza di una censura di sinistra che io definii quando gli consegnai il Premio, la “feroce egemonia gramsciana“. Non ci sono più in attività gli Angelo D’Orsi di turno, ma la ferocia resta in certi palazzi della cultura torinese. E’ una ferocia ancora peggiore perché la belva oggi appare ferita. Forattini mi mandò una vignetta in cui il Centro “Pannunzio” avrebbe liberato Torino da quella morsa. Non è accaduto come sparava lui che, non vivendo a Torino, era troppo ottimista. Pensare a Giorgio oggi mi riempie comunque di orgoglio perché l’assegnazione a lui del Premio “Pannunzio” fu una scelta giusta. Ebbi anche il consenso dell‘avvocato Agnelli che sarebbe venuto al Premio al “Cambio“ se la data non fosse coincisa con il suicidio del figlio. Forse il nipote Elkann non sa neppure chi sia stato Forattini. Un schiena diritta capace di andare controcorrente, capace di difendere Sogno anche quando era indifendibile.

