“Ma, Castagnetti che fine ha fatto?“. Anselmo Ruspanti lo chiese, con sguardo interrogativo, ad Albano Galavotti che a sua volta, allargando le braccia, lasciò intendere che lui non ne aveva la più pallida idea.

“Forse la Marietta ci può essere d’aiuto”, intervenne Flavio Rizzato, più noto come “cìaparatt”, grazie all’abilità con cui liberava cantine e solai dalla presenza dei roditori. E infatti Marietta, abituata a farsi gli affari di tutti in paese, s’affrettò ad informare i tre che lo “spelafil”, l’elettricista Giuseppe Castagnetti, era andato per funghi alle “Cascine” e, probabilmente da lì era salito al monte Vago. “Oh, Madonna! Ma è diventato matto? E adesso? Come facciamo a metter su l’impianto elettrico dato che i fili li ha lui?”. Carmine Degrelli, che aveva sentito tutto, diede voce alla preoccupazione dei presenti. Senza l’elettricista non c’era modo di collegare il cavo elettrico alla batteria da camion che Galavotti portava nel baule della sua “giardinetta”, una Fiat 1100 familiare color caffelatte. E senza il collegamento elettrico le “trombe” dell’impianto di amplificazione sarebbero rimaste mute e l’onorevole Figurelli non poteva fare il suo comizio. “Bisogna inventarsi qualcosa perché tra poco arriva e se vede in che stato siamo conciati, s’incazza come una belva e poi, apriti cielo..”, lamentò Anselmo che, in quel momento, rappresentava la massima autorità sul campo, in quanto responsabile del PCI per i comuni della sponda occidentale del lago. Per l’onorevole Figurelli, dopo i discorsi in piazza Motta a Orta e al circolo operaio di Lavignino ad Armeno, quello in piazza Marconi ad Ameno era il terzo e penultimo appuntamento del giorno, prima di passare da Omegna e risalire la valle Strona fino a Luzzogno per l’ultimo appuntamento, sul calar della sera. Tutto era programmato con precisione poichè d’autunno il sole tramontava prima e alla sera in pochi sarebbero usciti di casa per andare a sentire Figurelli, nonostante fosse conosciuto e ben stimato. Un ritardo ad Ameno avrebbe compromesso il resto della giornata. E non andava per niente bene. Mentre Galavotti stava armeggiando attorno alla batteria per capire cosa si potesse fare spuntò da un vicolo, allegro e fischiettante, il Castagnetti. “Giuseppe, testa di legno, dove ti eri cacciato, eh?”, l’apostrofò Ruspanti, rosso in volto. Per tutta risposta l’elettricista mostrò il cestino di vimini che portava a tracolla, colmo di sanissimi porcini. Per un attimo i presenti temettero che Anselmo volasse addosso allo “spelafil” ma l’intervento provvidenziale di Flavio, il “cìaparatt”, riportò tutti alla realtà: “Non c’è tempo da perdere. Tra poco arriverà l’onorevole e bisogna essere pronti. Dai, Giuseppe, corri a prendere i cavi mentre noi prepariamo il resto”. Detto e fatto, quando il sidecar guidato da Paulin Nobelli entrò in piazza, con l’onorevole seduto nel carrozzino ,l’allestimento era completato: impianto collegato, microfono funzionante, due bandiere rosse posizionate ai lati di un piccolo leggio. Figurelli, da esperto oratore, sapeva “tenere” i comizi. E quando capitava su di una piazza, una piccola folla s’accalcava e spesso non si trattava solo di sostenitori. Talvolta anche i curiosi s’intrattenevano perché i comizi erano vissuti come degli spettacoli, per di più se si svolgevano all’ aria aperta e l’oratore di turno era capace di catturare l’attenzione degli astanti. In quel caso raccoglieva più di un applauso. Ma, prima di ogni altra cosa, il saper affrontare e risolvere gli imprevisti rappresentava un’arte che disponeva di pochi maestri e di moltissimi intenditori. Tra i primi senz’altro s’annoverava il Figurelli. Così, quando nel bel mezzo del suo appassionato discorso sopraggiunse una grande auto bianca che si fermò sul ciglio della piazza, lui non tradì nessuna emozione o turbamento, infilando frasi e concetti con proprietà di linguaggio.Lo stesso non si potè dire del pubblico che guardò con stupore quell’auto, una sfavillante e lussuosa Cadillac Eldorado in versione berlina, bianca come il latte. Un modello di quel genere, con le pinne posteriori che la rendevano unica e le sue dimensioni inusuali in lunghezza e larghezza, era impossibile non notarlo. Quando poi dalla vettura scese un signore di mezza età, fasciato in un abito di alta sartoria, con un bastone dal pomello d’avorio pronunciando con voce sonora il nome di battaglia dell’onorevole quand’era partigiano ( “Cippo!”), sulla piazza cadde il silenzio. Figurelli lo guardò dritto negli occhi e, allargando le braccia, gli andò incontro gridando a sua volta: “Amico mio!”. I due parlarono fitto per una decina di minuti sotto gli sguardi increduli e curiosi del pubblico.Poi, salutato l’onorevole con una vigorosa stretta di mano, lo sconosciuto signore risalì sulla Cadillac e proseguì per la via che portava fuori dal paese guidando lentamente e restando a centro strada, attento a non rovinare la carrozzeria di quel gioiello. L’onorevole Figurelli, a sua volta, riprese il comizio dal punto in cui l’aveva interrotto e nel breve di un quarto d’ora terminò tra applausi e grida d’approvazione.Salutato il pubblico, prima di risalire sul sidecar che Paulin aveva già messo in moto,venne avvicinato da Ruspanti e Galavotti che chiesero lumi sull’episodio. Chi era quell’uomo? Come mai si conoscevano?La risposta di Figurelli li lasciò di stucco: “Cari compagni, non ho proprio la benchè minima idea. Non l’avevo mai visto prima d’ora anche se mi ha parlato di un suo prossimo viaggio a Roma quasi fossimo grandi amici. Ho persino il sospetto che mi abbia scambiato per un altro anche se si è rivolto con il mio nome di battaglia che però è noto a tutti. Io, comunque, non mi sono fatto scappare l’occasione: uno così, con un macchinone tale, fa sempre scena in paesi piccoli dove noi comunisti siamo visti con un pò di sospetto”. Ecco cosa significava, in concreto, saper dominare gli imprevisti.
Marco Travaglini

A differenza degli equini e dei bovini, animali da tiro e da soma, utili ai lavori nei campi o come “mezzo di trasporto” negli spostamenti, o delle pecore e delle capre – che fornivano latte e pelli – il maiale era invece solo ( e quasi tutto) carne commestibile, che costituiva la stragrande maggioranza delle riserve di “ciccia” già dalla preistoria. Un nobile animale, preziosissimo, che offriva il meglio di se per condimenti, grassi e sapori, sugna, lardo, strutto, cotenne (basti pensare che, in origine, la bagna càoda piemontese era fatta con lardo o sugna). La sugna serviva a tanti scopi: dall’ingrassare gli scarponi ( per mantenerli morbidi e protetti ) e le ruote dei carri, fino a farne candele e ceri. Nemmeno le ossa e i “peli” si buttavano del maiale: con le migliori veniva prodotto del sapone, dalle unghie si ricavava uno straordinario concime e con le setole s’imbastivano robustissimi ancorché rozzi, tessuti. Disporre di un maiale era un ottimo investimento: non è forse evocativo il fatto che, spesso se non sempre, i salvadanai hanno la forma di un porcellino? Fino a più di un secolo fa i maiali erano cresciuti liberi di ingozzarsi di ghiande nei boschi dove prevalevano querce e farnie. Finite quelle, esaurita la scorta di cibo, per così dire, “naturale”, non avendo altro cibo per ingrassarlo ancor più, il maiale passava al macello. E, sezionato in tutto e per tutto, finiva per gran parte sulla tavola. Spesso dire maiale equivale a dire prosciutto e salume anche se non solo col porcello si fanno ottimi insaccati. Dove sono nato, nel profondo nord del Piemonte e dell’Italia di “mezzanotte”, quando si parla di salumi è naturale pensare alle valli ossolane ed alle produzioni locali. Dal prosciutto crudo della Val Vigezzo alle mocette, dai violini di cervo e di capra alla mortadella. Nella valle Anzasca, ai piedi del Rosa, da Macugnaga a Castiglione, con carne della testa e del guanciale – cotta e aromatizzata – si produceva il salame di testa. Salamini, salamelle e salsicce da grigliare si trovano un po’ ovunque, mentre è difficile trovare ancora, la salsiccia di riso: un divertente salame povero con riso bollito e maiale che si conserva sotto grasso. C’è sempre, nelle lavorazioni artigianali, il “tocco” di qualità, il vanto di tradizioni che si trasformano in prelibatezze che, spesso, non ammettono confronti.
Costituita da un impasto a grana fine di fegato di maiale con carne di suino, grasso di sottogola e spezie, si presenta a forma di ciambella. Un particolare non secondario è l’impasto. Alcuni lo condiscono con del vin brulé, preferibilmente barbera; altri invece usano del vino bianco per dare “tono” alla mortadella che, in ogni caso, sarà poi fatta stagionare per qualche mese. A detta di alcuni ricorda la “salama” ferrarese e si può mangiare sia cotta ( con la purea di patate )che cruda o affumicata. In dialetto cusiano quest’insaccato è conosciuto come “fidighin”e trova la sua terra d’elezione sulla sponda orientale del lago d’Orta, tra il paese dell’isola di San Giulio e Gozzano, oltre che nell’areale tra l’aronese e Borgomanero. La pancetta drogata di montagna (conciata con spezie, aglio ed un “fiato” di grappa) non si trova solo dove i sentieri s’inerpicano e si devono fare i conti con le “ragioni della montanità”( asprezza dell’ambiente, altrimetria in crescita, clima conseguente, accessi ardui) ma anche in collina.Se ne producono di buonissime nel Vergante, nell’entroterra del lago Maggiore, sulle “motte” che fanno da contorno al vasto panettone del Mottarone, la “montagna dei milanesi”. Ma, tornando alla pianura del riso e variando sul tema del maiale, ci si può imbattere di nuovo nell’oca o nell’anatra e, parlando questa volta di prosciutto, è d’obbligo spendere almeno un cenno al petto affumicato d’oca. Minuscolo e signorile prosciutto senz’osso, ottenuto dal petto di uno dei più interessanti e prelibati protagonisti della vita sull’aia, si conserva a lungo e si consuma crudo. Raro da trovare, riserva delle sorprese molto piacevoli al fortunato che lo gusta, lentamente, con la stessa assenza di fretta con cui si confeziona. In subordinata si può deviare sul prosciutto d’anatra: una piccola coscia speziata, salata, lasciata all’aria o affumicata.