Dracula: l’eternità fa male

Di Renato Verga

Il TPE inaugura la stagione 2025/26 con un titolo che non è soltanto un evento teatrale, ma una vera
immersione emotiva: Dracula, nuova produzione firmata dal regista Andrea De Rosa e dal
drammaturgo Fabrizio Sinisi, liberamente ispirata al romanzo di Bram Stoker. Una libertà, quella di
Sinisi e De Rosa, che non si limita ad aggiornare il mito, ma ne scardina le convenzioni, liberandolo
dalle incrostazioni gotiche più ovvie per trasformarlo in un’indagine sul desiderio d’immortalità e
sulle sue conseguenze. Qui, il vampiro non è più soltanto il conte maledetto: è un dolore
perseverante, una ferita che non si rimargina, un’ombra che ritorna.
Varcare la soglia del Teatro Astra equivale a entrare nel castello del Conte. De Rosa ha infatti
rifunzionalizzato non solo lo spazio scenico, ma l’intero edificio, trasformandolo in una cattedrale
spettrale. Si attraversa un corridoio lungo e angusto, quasi un rito di passaggio, prima di essere
inghiottiti da una sala altissima, buia, vertiginosa. La luce è ridotta all’essenziale, i suoni –
metallici, taglienti – provengono da ogni direzione in un assedio acustico che disorienta. È in questa
perdita totale di coordinate che si manifesta il primo, decisivo effetto della messinscena: uno
spaesamento che non si placa, ma si moltiplica.
Figure in lontananza sembrano proiezioni di Nosferatu; rumori e presagi scendono dall’alto; voci
disincarnate emergono dal buio come fiati di un aldilà irrisolto. Al centro, tre tavoli autoptici
evocano un obitorio senza tempo. Sul tavolo centrale giace il corpo lattiginoso di una giovane
donna, mentre sopra di lei pulsa un enorme cuore sospeso a tubi traslucidi, simili a vene ingrossate.
È in questo scenario rituale e carnale che appare il Dracula di Federica Rosellini, magnetica
interprete capace di fondere ferocia e struggimento, inquietudine e pietà. Il suo non è un mostro
terrificante, ma una creatura prigioniera della propria invincibilità: condannata a un’eternità senza
scampo, alla solitudine radicale di chi ama troppo per potersi dissolvere.
La drammaturgia di Sinisi procede con ritmo poetico: pochi dialoghi, molti monologhi che oscillano
tra canto, confessione e meditazione. Le parole diventano materia liquida che trascina lo spettatore
attraverso immagini e visioni, fino a un punto di lucidità estrema. Dracula diventa così un lungo
monologo interiore, un tentativo di decifrare cosa significhi esistere sul margine della morte, senza
poterla mai raggiungere.
Rosellini restituisce al vampiro la sua dimensione simbolica, trascendendo qualsiasi riferimento di
genere. Il suo Dracula è un’entità ferita, che ha disimparato l’umanità e non riconosce più i confini
morali o affettivi dell’uomo. Vive in una sorta di “luccicanza maledetta”, sempre troppo tardi per
amare, troppo tardi per redimersi, troppo tardi per smettere di desiderare. In questo senso, il tema
dell’immortalità diventa un monito universale: spesso comprendiamo il senso di un amore o di un
gesto quando ormai “l’orchestra ha già smesso di suonare”. L’eternità, suggerisce lo spettacolo, è
una condanna quando arriva fuori tempo massimo.
Un’altra stratificazione emerge con chiarezza: l’immortalità come risposta violenta alla paura della
morte. Il Male, nelle sue forme storiche e quotidiane, appare come figlio di questa fame di
permanenza. Il mostro è uno specchio: non fa male perché è orrendo, ma perché è terribile. La
bruttezza non uccide; la terribilità sì.
Nella parte finale, l’incontro tra Dracula e Mina – da lui creduta reincarnazione dell’amata perduta –
porta la regia verso un registro più diretto, quasi cinematografico. Le luci si aprono, il ritmo
accelera, il sangue invade la scena: ciò che prima era solo evocato diventa materia viva. È un
cambio di tono brusco, ma necessario: all’incantamento iniziale segue il risveglio.
Il Teatro Astra, privato delle sedute e rimodellato, diventa esso stesso organismo pulsante,
contenitore di un’esperienza che è immersione totale. Nel tema stagionale “Mostri”, questo Dracula
non solo si inserisce perfettamente, ma ne diventa manifesto.
Accanto alla straordinaria Rosellini e alla intensa Chiara Ferrara, convincono Michelangelo Dalisi,
Marco Divsic e Michele Eburnea. Di rara qualità il lavoro sonoro di G.U.P. Alcaro – un paesaggio
che pare respirare – e le luci di Pasquale Mari, che scolpisce il buio come fosse marmo.
De Rosa sintetizza il progetto nelle sue note: Dracula è la storia di un uomo che non riesce a
morire. Ma è anche la storia di un pubblico che accetta di guardare dentro questa impossibilità.
Evocando l’espressionismo e il barocco cinematografico, lo spettacolo attraversa mito e carne,
visione e realtà. Ne nasce un Dracula che inquieta, seduce e non consola: un viaggio nel buio che
resta addosso molto dopo essere usciti dal teatro.

Da vedere assolutamente: al Teatro Astra fino al 30 novembre.

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