SCOPRI – TO ALLA SCOPERTA DI TORINO
Torino è una città dal passo lento e dallo sguardo profondo, una città che porta addosso il peso della storia e la grazia della sobrietà. Tra le sue strade eleganti, le piazze porticate e le fabbriche che un tempo ne scandivano il ritmo, si muove un sentimento che unisce e divide allo stesso tempo: quello per il calcio. Qui, dove la nebbia avvolge i palazzi e le domeniche profumano ancora di caffè e giornali sportivi, convivono due anime, due colori, due storie che raccontano in modo diverso la stessa passione. Da un lato la Juventus, simbolo di vittoria e rigore, di tradizione borghese e visione internazionale. Dall’altro il Torino, figlio del popolo, della fatica e del coraggio, della speranza che rinasce anche quando tutto sembra perduto. Due squadre nate a pochi anni di distanza, cresciute nello stesso terreno eppure così diverse per stile, carattere e destino. In una città spesso riservata e discreta, il calcio è diventato un linguaggio d’identità collettiva, una forma di appartenenza che supera generazioni e differenze sociali. Il derby della Mole non è solo una partita: è un racconto che si rinnova da più di un secolo, fatto di rivalità, rispetto e memoria. Torino vive di questi due cuori che battono all’unisono, anche quando sembrano scontrarsi. È una città che si riconosce tanto nella compostezza vincente della Signora quanto nell’orgoglio ferito ma indomabile del Toro.
La Juventus, l’eleganza della vittoria
La storia della Juventus inizia nel 1897, quando un gruppo di giovani studenti del liceo D’Azeglio, in una Torino ancora aristocratica ma già proiettata verso la modernità industriale, decise di fondare una società sportiva per divertirsi con quel gioco inglese che stava conquistando l’Europa. La chiamarono “Juventus”, parola latina che significa giovinezza, forse senza sapere che quel nome sarebbe diventato sinonimo di vittoria, disciplina e prestigio. I primi anni furono quelli dell’entusiasmo e dell’improvvisazione, con divise rosa e partite giocate su campi sterrati. Poi arrivò il bianco e nero, ispirato al Notts County, e con esso l’inizio di un’identità destinata a durare nel tempo. La Juventus cominciò presto a imporsi nel panorama nazionale, conquistando scudetti e costruendo una mentalità vincente che non l’avrebbe più abbandonata. Negli anni Venti e Trenta, con l’arrivo della famiglia Agnelli, la società trovò stabilità economica e visione. La Juventus divenne non solo una squadra di calcio, ma un simbolo dell’Italia che cresceva, lavorava, innovava. Nacque così la leggenda della Signora, elegante ma spietata, capace di risollevarsi dopo ogni caduta.

Nel corso dei decenni, la Juventus ha cambiato volti e stadi, ma non anima. Dal vecchio Comunale, teatro di mille imprese, al futuristico Delle Alpi e infine all’Allianz Stadium, un impianto moderno e funzionale che rappresenta la nuova dimensione globale del club. In campo, la storia è passata attraverso nomi che hanno scritto pagine indimenticabili: Giampiero Boniperti, simbolo di classe e leadership; Michel Platini, il genio francese che trasformava ogni punizione in un’opera d’arte; Alessandro Del Piero, capitano gentile e cuore bianconero per eccellenza; e Gianluigi Buffon, volto di un’epoca fatta di sacrificio e carisma.
Ma la Juventus non è solo un elenco di vittorie o di campioni: è un modo di intendere il calcio e la vita. È la capacità di ricominciare dopo le difficoltà, come accadde dopo la tragedia dell’Heysel o gli anni di Calciopoli. È una squadra che ha saputo vincere in silenzio e perdere con dignità, che ha costruito la propria grandezza sul lavoro e sull’equilibrio, proprio come la città che la ospita. A Torino, la Juventus rappresenta l’eleganza della vittoria, la misura di chi non ha bisogno di clamori per sentirsi grande.
Il Torino, la leggenda che non muore mai
Il Torino, invece, nasce dal dissenso, da un atto di ribellione e passione. Era il 1906 quando un gruppo di ex dirigenti e giocatori della Juventus decise di fondare una nuova squadra, libera da gerarchie e animata da spirito popolare. Nacque così il Foot-Ball Club Torino, e da quel giorno la città trovò la sua seconda anima. Il granata, colore scelto in onore di una squadra svizzera, divenne il simbolo di un popolo fiero, pronto a sostenere la propria squadra anche nei momenti più difficili. Fin dai primi anni, il Toro si distinse per il suo carattere combattivo, per la capacità di emozionare e trascinare. Il suo cuore pulsava al Filadelfia, lo stadio che per decenni è stato la culla del calcio romantico, il luogo dove i sogni diventavano realtà e dove ogni allenamento era una lezione di vita.
Negli anni Trenta e Quaranta, il Torino raggiunse l’apice della sua gloria con la nascita del Grande Torino, una squadra che superò i confini dello sport per diventare un simbolo nazionale. Guidati da Valentino Mazzola, un capitano carismatico e generoso, i granata dominavano i campionati, giocando un calcio moderno, veloce, fatto di armonia e coraggio. Erano anni difficili, con l’Italia che cercava di rialzarsi dalle ferite della guerra, ma quella squadra rappresentava la speranza, la voglia di rinascere. Il Grande Torino non era solo una formazione di fuoriclasse: era un esempio di unità e amicizia, un gruppo di uomini che in campo e fuori incarnavano il senso più autentico dello sport.

Poi arrivò il 4 maggio 1949, il giorno che cambiò tutto. L’aereo che riportava la squadra da Lisbona si schiantò contro la collina di Superga, alle porte di Torino. Nessuno sopravvisse. In un attimo, il calcio italiano e la città intera persero i loro eroi. La tragedia di Superga non cancellò però la leggenda, la rese eterna. Da allora il Torino è diventato molto più di una squadra: è un sentimento collettivo, una memoria viva che si tramanda di padre in figlio. Ogni anno, i tifosi si ritrovano ai piedi della basilica per ricordare quei campioni, e il loro nome risuona ancora tra le mura del nuovo stadio Olimpico Grande Torino, dove ogni partita è una preghiera laica, un modo per dire che la leggenda non morirà mai.
Dopo Superga, il Toro ha conosciuto anni di luci e ombre, ha vinto e sofferto, è caduto e si è rialzato mille volte, ma ha sempre conservato la propria identità. Giocatori come Paolo Pulici, Francesco Graziani, Claudio Sala e più tardi Gianluigi Lentini e Andrea Belotti hanno portato avanti quello spirito di appartenenza che fa del Torino una squadra unica. Il Toro non vive per vincere a ogni costo: vive per emozionare, per rappresentare la parte più sincera e appassionata della città. Se la Juventus è la perfezione del gesto, il Torino è il battito del cuore.
Torino, nel profondo, è questo: una città che ama attraverso le sue squadre, che si riconosce in due colori opposti ma complementari, che da oltre un secolo scrive la propria storia attraverso le vittorie, le sconfitte e le lacrime di un pallone. Nelle vie di San Salvario o lungo corso Vittorio, nei bar del centro o nei quartieri popolari, non passa giorno senza che qualcuno parli di Juve o di Toro. Perché qui il calcio non è un passatempo, è una forma di identità. Due squadre, due destini, un solo spirito. Torino vive così, sospesa tra eleganza e passione, tra gloria e dolore, tra due cuori che battono per la stessa città.
NOEMI GARIANO


