La legge di stabilità tenta di assecondare la debole ripresa

Palazzo-chigi

LA GANGALA VERSIONE DI GIUSI /

di Giusi La Ganga

 

Si coglie una qualche attenuazione dell’impegno della lotta all’evasione fiscale e alla riduzione della spesa pubblica improduttiva.  L’aumento del tetto  all’uso di contanti e il sostanziale accantonamento della spending review sembrano essere qualcosa di più di un indizio. D’altra parte il consenso, in tempi di populismo e demagogia, si conquista più facilmente così che con il rigoroso spirito riformatore. Ed è purtroppo comunque meglio questo delle alternative che, a destra come a sinistra, minacciosamente incombono

 

 Era difficile commentare subito la legge di stabilità approvata dal Consiglio dei Ministri, perché per molti giorni è stata ballerina.  Con una procedura, che ha dei precedenti, ma che stavolta è apparsa esageratamente disinvolta, il CdM non ha approvato un testo preciso, ma indirizzi generici, che poi per molti giorni successivi si sono tradotti in norme più precise, ma cangianti.  Ora che la pallina della roulette sembra si sia fermata, si può azzardare qualche commento, anche se di qui all’approvazione parlamentare cambierà ancora parecchio.

 

  Partiamo da una cosa positiva: l’impostazione generale della manovra è leggermente espansiva, per assecondare gli ancora deboli segni di ripresa dell’economia. Non so come finirà il braccio di ferro con l’Unione Europea, ma il tentativo di superare i vincoli stretti imposti va considerato positivo. Così come l’indirizzo generale, reclamizzato assai più che concretamente praticato, di una riduzione della pressione fiscale.  In sostanza la riduzione si limita alla tassazione sulla casa. E’ discutibile partire dalla tassazione sul patrimonio anziché da quella sul reddito, ma tant’è: meglio questo che niente.

 

Le altre riduzioni sono in realtà mancati aumenti (le famose clausole di salvaguardia, che avrebbero dovuto far aumentare di due punti l’IVA) e quindi non percepibili dal cittadino. Bene anche qualche segnale di sostegno alla spesa sociale, anche se, appena possibile, sarebbe opportuno pensare ad un ridisegno globale e, perché no, affrontare la questione di un reddito minimo garantito, collegato a politiche che organizzino il reimpiego dei disoccupati.

 

  Naturalmente molto dipenderà da come concretamente si svilupperà, al di là delle norme, l’azione di governo. Se, ad esempio, il gettito dei soppressi tributi sulla casa sarà compensato da trasferimenti di entità e con tempi identici, i comuni non subiranno contraccolpi, altrimenti l’impatto sarà fortemente negativo. Ed a poco vale il proclama per cui gli enti locali non potranno aumentare le tasse. Alcune aumenteranno lo stesso, perché sono corrispettivi di servizi (tassa rifiuti, p.e.) ovvero, ineluttabilmente, qualche servizio dovrà essere ridimensionato. Speriamo che non finisca così.

 

   Segnalo inoltre una questione poco chiara.  L’odiato canone Rai è stato leggermente ridotto, ma renderà 500 milioni in più, perché riscosso insieme alla bolletta elettrica.  Il maggior gettito andrà, non so con quanta legittimità, allo Stato e non alla Rai. Un canone infatti corrisponde ad un servizio reso, altrimenti diventa una banalissima sovrattassa.  A questo punto non sarebbe stato meglio abolire il canone, sostituendolo con un moderno tributo sull’uso dell’etere per le telecomunicazioni?  Idea che gira in Parlamento da una trentina d’anni.

 

   Infine mi pare di cogliere una qualche attenuazione dell’impegno della lotta all’evasione fiscale e alla riduzione della spesa pubblica improduttiva.  L’aumento del tetto  all’uso di contanti e il sostanziale accantonamento della spending review sembrano essere qualcosa di più di un indizio. D’altra parte il consenso, in tempi di populismo e demagogia, si conquista più facilmente così che con il rigoroso spirito riformatore. Ed è purtroppo comunque meglio questo delle alternative che, a destra come a sinistra, minacciosamente incombono.

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