Le immagini di Andrea Macchia scrivono la storia del Festival delle Colline

Si inaugura all’Astra mercoledì 8 ottobre, i primi spettacoli

La scrittura di trent’anni di storia teatrale sono le immagini che dal 9 ottobre (sino al 9 novembre) si potranno ammirare nel Parcheggio Lancia, in piazzale Chiribiri, accanto alla Fondazione Merz. Le dobbiamo al mestiere e alla passione di Andrea Macchia, che dal 2012 segue, saremmo di dire quasi tallona, del festival gli spettacoli e gli incontri, ogni evento. Immagini che documentano, che fissano nella memoria, che raccontano tanti appuntamenti della nostra passione. E della lunga ricerca degli organizzatori. Non soltanto un lavoro per una catalogazione da trasmettere ostinatamente ad altri e a un domani, Macchia è un fotografo “capace di rubare con rispetto l’anima dei protagonisti in scena, di fermare l’attimo”. Tornare a scoprire alcuni dei tanti appuntamenti, i luoghi diversi, gli attori e le tante compagnie, italiane ed estere, più o meno lontane da noi, con cui in qualche modo abbiamo colloquiato. Migliaia di scatti disseminati negli anni di cui quelli esposti non sono che una piccola parte.

Un’idea di Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla, una delle tante, non certo l’ultima, delle tantissime che sono state l’anima, il punto d’eccellenza di questi trent’anni del Festival delle Colline, anch’essa raggruppata oggi – scrivevo ad una prima presentazione sull’inizio dell’estate – “in quel logo più che esplicativo – dovuto a Marzio Zorio -, tre grandi X che in obliquo formano una lunga linea compatta, attraversate dagli oscillii zigzaganti di una sorta di elettrocardiogramma emotivo che sta lì a decifrare trent’anni di spettacoli”. L’immagine di una storia, un anniversario importante, il desiderio di una prima resa dei conti. Una storia che ha inizio un tardo pomeriggio del luglio 1996, quando Galatea Ranzi, con una pioggia da poco terminata, sulla scalinata di villa Bria di Gassino dava voce ai versi (gran bella scommessa quei versi!) di Clemente Rebora, primo dei primi appuntamenti di quel festival in nascita, dove avresti incrociato un nume tutelare come Marisa Fabbri, dove capitava di perderti per la collina mentre eri alla ricerca del posto stabilito per la rappresentazione, dove c’era Pippo Delbono, dove t’appassionavi a quelle compagnie che inventavano nuove scritture, Raffaello Sanzio o Socìetas soprattutto, a quei nomi, per tutti quelli di Emma Dante e Antonio Latella, che avresti seguito poi, più da vicino. Ecco, il festival è stato un invito a scoprire, nelle serate delle colline torinesi.

Fedele anche quest’anno alla propria successiva urbanizzazione, il festival si distribuirà in sette location della città, taluni inattesi, dalla Fondazione Merz al teatro San Pietro in Vincoli a Le Roi Music Hall, dal teatro Astra al Museo Nazionale del Risorgimento Italiano al Palazzo degli Istituti Anatomici, sino alla prima cintura delle Fonderie Limone di Moncalieri. L’inaugurazione è fissata all’Astra nella serata di Mercoledì 8 ottobre e vedrà in scena l’Agrupaciòn Senor Serrano, per la quinta volta ospite del festival e nel 2015 premiato alla Biennale veneziana con il Leone d’oro per il nuovo linguaggio teatrale. Portano in scena “Historia del amor”, regia e drammaturgia firmate da Alex Serrano e Pau Palacios, interprete Anna Pérez Moyan. Un’unica attrice a interrogarsi come nasce l’amore, quando si manifesta, perché continuiamo a cercarlo all’interno della nostra vita. a interrogarsi perché amiamo e perché amiamo come amiamo. Ci sarà, per la durata di 80’, il tratteggiare la storia dell’amore e l’esperienza propria dell’interprete, il suo mettersi a nudo, negli affetti e nel percorso amoroso, forse esperienza/esperienze nella considerazione che ci possa accomunare e quelle possano diventare le nostre. “Tutto questo avviene in uno spazio a metà strada tra un laboratorio e una discarica, dove l’attrice trova oggetti, resti e rifiuti generati dalla Storia dell’amore che la aiutano ad attivare la trama. ‘History of Love’ si avvale di video dal vivo, performance, oggetti e teatro fisico per costruirsi di fronte allo spettatore.”

L’11 e il 12, ancora nella sala dell’Astra, Federica Rosellini sarà interprete e regista di un testo, scritto durante la pandemia, di Marina Carr, tra le più importanti drammaturghe irlandesi, “iGirl”, per la traduzione di Monica Capuani e Valentina Repetti, testo scritto “per questi tempi di incertezza”, rappresentazione che diventa quasi un rito moderno, “uno sconfinamento nell’arte contemporanea”, tra teatro videoarte e musica. Con la scrittrice e l’attrice, ancora Rä di Martino e Daniela Pes a formare un gruppo compatto di quattro donne che creano un unicum “inedito, ibrido, imprendibile”, ma anche “delicato, commovente, sconvolgente”, laddove la prima ha acceso la scintilla nel raccogliere frammenti poetici e ricordi privati, odi personali a grandi personaggi della storia e dell’epopea tragica, un grande affresco che si snoda in 21 quadri. Uno dei tanti interessi che porteranno a seguire lo spettacolo sarà quel linguaggio “selvatico” pronto a creare “un’esperienza scenica immersiva, in cui il corpo della performer diventa corpo transumante, corpo-graffito, corpo-tatuaggio, veicolo di rifrazione e trasformazioni continue”.

Elio Rabbione

Nelle immagini, un momento di “Come gli uccelli” (foto di Andrea Macchia), all’edizione dello scorso anno del Festival; Anna Pérez Moyan nello spettacolo “Historia del amor” e Federica Rosellini in “iGirl” dell’irlandese Marina Carr.

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articolo Precedente

Expo 2025 Osaka, il Piemonte conquista il Giappone tra cultura, imprese e futuro sostenibile

Articolo Successivo

Quando la solidarietà trabocca sul marciapiede

Recenti:

IL METEO E' OFFERTO DA

Auto Crocetta