«L’accordo sui dazi Usa al 15% mette fine all’incertezza di questi mesi ma non sarà indolore per le nostre imprese, poiché quello statunitense è il secondo mercato mondiale, dopo la Germania, per l’export made in Italy, con un valore di 66,8 miliardi di euro, pari al 10,4% delle nostre vendite all’estero. E proprio negli Stati Uniti, negli ultimi 5 anni, gli imprenditori italiani hanno messo a segno la maggiore crescita di esportazioni: +57%, pari ad un aumento di 24,2 miliardi. Chiediamo che il governo italiano e l’UE accompagnino questo accordo con misure compensative, semplificazioni doganali, e un piano di sostegno all’export per le imprese artigiane. Non possiamo permettere che chi fa qualità venga penalizzato solo per le dimensioni ridotte della propria impresa», dichiara Dino De Santis, Presidente di Confartigianato Torino.
L’accordo, sebbene rappresenti un passo avanti rispetto al rischio di tariffe più elevate, potrebbe avere ricadute significative, non solo per chi esporta direttamente negli Stati Uniti ma anche per l’intero sistema manifatturiero piemontese e nazionale.
Non solo export diretto: l’effetto domino dei dazi
Limitarsi a considerare l’export diretto verso gli USA rischia di offrire una visione parziale dell’impatto reale. Sono numerosi, infatti, i fattori indiretti da tenere in conto: tra questi l’andamento del cambio euro-dollaro, ma soprattutto i flussi commerciali intraeuropei.
Una parte rilevante dei beni prodotti in Italia viene prima esportata in altri Paesi dell’Unione Europea – come Germania, Francia o Paesi Bassi – dove entra in filiere produttive più complesse (macchinari, automotive, beni di lusso), per poi arrivare come prodotto finale sul mercato statunitense. In questo processo, il valore aggiunto generato in Italia si “nasconde” nelle esportazioni indirette verso gli USA, sfuggendo così alle statistiche ufficiali.
Un esempio emblematico è rappresentato dalla Germania, principale hub di trasformazione e riesportazione. In questo contesto, i dazi USA finiscono per colpire anche chi, pur non esportando direttamente oltre Atlantico, è parte attiva nelle catene globali del valore.
Appello alle istituzioni: competitività a rischio
«Non possiamo permetterci ulteriori ostacoli alla competitività – conclude De Santis – questo nuovo assetto tariffario rischia di tradursi in un colpo proprio per quei settori simbolo del nostro saper fare: gioielleria, occhialeria, macchinari, bevande. Ora è più che mai necessario che l’Ue si concentri su politiche industriali finalizzate ad aumentare la competitività delle aziende e dell’economia europee, a cominciare dalle indispensabili misure per il contenimento dei costi energetici: basti pensare che le imprese italiane pagano l’energia il 28% in più rispetto alla media europea, anche a causa di una eccessiva tassazione in bolletta.»
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