L’ANGOLO DELLA POESIA
A cura di Gian Giacomo Della Porta
La morte di un Papa, così come quella di ogni guida religiosa, non mette in luce soltanto l’importanza di un momento storico e politico, la fine di un’era e l’inizio di un’altra, ma apre in tutti noi le porte alla spiritualità, confessionale o meno che sia. La sede vacante è una riflessione profonda sull’esistenza da interpretare nel passaggio del tempo che misteriosamente muta in futuro, sostenuto, come occorre, dalla sottigliezza del presente.
Il mio pensiero deve per forza di cose esprimersi nella dimensione della poesia, e non solo perché riguarda la mia intimità e lo strumento principale di cui dispongo per leggere e interpretare il mondo che mi circonda, ma anche per le parole di cui è composta la stoffa della poesia, quando da ispirazione (soffio vitale, spirito divino) diventa universale attraverso lo scritto del poeta, si diffonde nell’anima di ognuno di noi, nel cuore pulsante del corpo immerso in preghiera. William Shakespeare citava questa condizione ne “La Tempesta”, uno dei grandi testi dell’umanità, in cui vi è la visione quasi assoluta che ci avvicina al mistero della letteratura, del sogno e della vita stessa – “Noi siamo della stessa stoffa* di cui sono fatti i sogni” – che non significa illusorietà della vita, ma verità del sogno.
Il poeta sente e vive questa ambivalenza spirituale e religiosa, la certezza di essere credente e di non esserlo del tutto, o di essere ateo, ma mai completamente. Un poeta, anche se ateo, deve presumere l’esistenza di Dio.
Vi è una prova di questo nelle più ispirate opere dei grandi poeti, in cui Dio è inevitabilmente una presenza fissa, anche quando si esprime nell’assenza. Tralasciando gli esempi più scontati, dagli italiani Dante e Tasso fino agli inglesi Milton, Melville e Blake, è importante citare il capolavoro di Coleridge “The Rime of the Ancient Mariner”, in cui l’assenza di Dio tramuta il percorso di redenzione del vecchio marinaio (iniziato dopo aver ucciso l’albatro, simbolo del patto d’amore tra uomo e natura, in un momento di noia, di bonaccia, che da elemento di viaggio diventa malattia dello spirito, privazione di soffio divino) in una condanna senza assoluzione.
La poesia non è frutto di un’invenzione. Nasce con l’uomo. Come disse Brodskji nel discorso di ricevimento del Nobel: “la poesia è nel Dna dell’uomo”. Ma, come scrive il grande Shelley: la poesia ha due realtà: una è Poetry, la necessità e potenzialità poetica di ogni uomo, l’altra il Poem, o i Poems, le poesie, le opere con cui alcuni, pochi uomini dotati, ispirati e appassionati esprimono questa dimensione universale e silente, quasi sempre inconscia, facendone opere, poesie, dando forma al sogno congenito dell’uomo. La poesia non è inventata, ma nasce con l’uomo, come la religione, che non è l’adesione a una confessione o un credo, ma il naturale senso religioso.
*Nella più nota traduzione, la parola “Stuff” è tradotta come “Sostanza”. Personalmente sento più vera e intensa “Stoffa”.
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