TFF, mai così tante star a Torino. Un successo, ma non si perdano le radici della rassegna

Si è da poco conclusa la 42° edizione del Torino Film Festival, la prima firmata dal direttore artistico Giulio Base, sotto l’egida del Museo Nazionale del Cinema, presieduto da Enzo Ghigo e diretto da Carlo Chatrian, con uno schieramento di divi hollywoodiani e italiani così come non si era mai visto all’ombra della Mole.

Una passerella continua di grandi nomi che hanno illuminato l’autunno torinese, regalandole un’allure ancora più internazionale. Da Ron Howard a Billy Zane, da Sharon Stone a Julia Ormond, da Emmanuelle Béart a Rosario Dawson, da Alec Baldwin a Matthew Broderick in compagnia di Sarah Jessica Parker e Vince Vaughn. Tra i grandi ospiti della cinematografia italiana, Giancarlo Giannini, Ornella Muti, Michele Placido, Claudia Gerini, Giuseppe Battiston, Maurizio Nichetti, Donatella Finocchiaro, Cristiana Capotondi solo per citarne alcuni. Molti di loro sono stati insigniti del premio Stella della Mole o nel corso delle conferenze stampe o alla presentazione dei film, in tutto sono stati consegnati dodici premi.

Ben riuscita la cerimonia di apertura per l’indiscusso effetto sparkling, il red carpet solcato da grandi personaggi internazionali, un dispiegamento di fotografi senza precedenti a Torino come a Cannes e Venezia. Persino i più allergici alle serate mondane si sono ritrovati in smoking e paillettes nelle poltroncine del Teatro Regio, che neanche alla prima dell’opera hanno osato tanto. C’era da aspettarselo in fondo con la presenza della moglie di Giulio Base, Tiziana Rocca, maestra di cerimonie, figura di spicco nell’organizzazione di grandi eventi ed esperta nello stanare e mobilitare le star più glamour del pianeta. Sul palco ritmo incalzante, avvicendarsi di ospiti illustri che hanno ricevuto il premio Stella della Mole, da Sharon Stone a Ron Howard, senza momenti letargici come in alcune passate edizioni e un bel film di apertura: il drama thriller di Ron Howard, con un cast di attori eccellenti del calibro di Jude Law, Ana De Armas, Vanessa Kirby, Daniel Brühl e Syndey Sweeney.

Protagoniste assolute del primo weekend del festival un tris di dive incredibili che è una dichiarazione di intenti se il messaggio dell’inaugurazione non fosse già stato chiaro: l’imperativo è brillare. Ecco Sharon Stone, Emmanuelle Béart e Angelina Jolie che si sono generosamente concesse in conferenza stampa, ai fotografi e ai numerosi fans in coda ad attenderle. La prima ha raccontato la sua parabola di attrice dagli esordi come modella qui in Italia ai sodalizi umani ed artistici con registi importanti come Scorsese e Sam Raimi, soffermandosi sulla strada che c’è ancora da percorrere nell’ autodeterminazione delle donne, nel riconoscimento dei propri diritti nella società e nella battaglia contro la violenza di genere, senza dimenticare il suo impegno nel sociale. Emmanuelle Béart ha presentato in qualità di regista e come portavoce della battaglia contro gli abusi in ambito familiare, essendone stata vittima da adolescente, il documentario Un silence si bruyant. Angelina Jolie, presenza annunciata all’ultimo a poche ore dall’inizio del festival, ha interloquito anche lei in una veste inedita, quella di regista raccontando la genesi del suo film Without Blood tratto dall’omonimo libro di Alessandro Baricco Senza sangue: dall’incontro magico con lo scrittore torinese al lavoro di trasposizione in immagini per rimanere il più fedele possibile alla scrittura dell’autore torinese. Dietro la cortina di glamour sono emerse personalità affascinanti e sfaccettate.

Massiccia la presenza femminile: dalle cineaste alle componenti delle giurie ufficiali, dai temi trattati alle dive simbolo di empowerment femminile. A proposito di temi dominanti sembra che il fil rouge di quest’anno fosse la maternità, quella desiderata e cercata ma anche quella negata, dal belga Holy Rosita di Wannes Destoop vincitore di questo festival, al danese Madame Ida di Jacob Møller, dal coreano My best, your least di Hyun-jung allo spagnolo Nina di Andrea Jauerrieta e al tedesco Vena di Chiara Fleischhacker. Anche se nelle intenzioni dei selezionatori sembra non sia stata una scelta voluta, il risultato è parso un po’ ridondante.

Al centro della retrospettiva di quest’anno Marlon Brando, anche qui scelta in controtendenza rispetto al passato perché si è deciso di dare risalto più all’attore inteso come figura iconica che a un regista o ad una figura autoriale che abbia avuto un impatto importante sul cinema moderno. È stata comunque una scelta molto apprezzata nel centenario della sua nascita, coronata nel corso della cerimonia di premiazione dalla proiezione di Waltzing with Brando. Il film scritto e diretto da Bill Fishman è stato presentato in anteprima mondiale alla presenza del regista e del protagonista Billy Zane.

Risultato di questa abbuffata di star: grande successo di pubblico, un pubblico diverso (forse si è aggiunto quest’anno quello più a caccia di selfie), meno film, anche se la qualità è rimasta intatta, meno sale ed eventi collaterali. Alcuni han gridato al miracolo e al ben venga tutto questo scintillio, mentre i puristi del festival sono rimasti delusi e su posizioni scettiche. La parata di stelle per quanto abbia illuminato la città, in qualche modo ha appannato l’identità di questo festival. Già, perché il TFF, ex Festival Internazionale del Cinema Giovani, che nasce nel lontano 1982, nelle intenzioni del suo fondatore Gianni Rondolino era chiara la vocazione di porsi come festival alternativo e critico alla supina sottomissione all’imperialismo hollywoodiano. E non perché il cinema americano non fosse apprezzato dai progenitori di questo festival, ma per dare risalto alla ricerca di esperienze non omologate, con un’attenzione alla scena più underground, alle strade meno battute. Lontanissimi i giorni delle retrospettive sul cinema messicano, la Nouvelle vague e le maratone di film horror ora che il cinema di Hollywood è rientrato dalla finestra.

Di sicuro con questa edizione la manifestazione ha acquistato un respiro ancora più internazionale, ma ha perso quel radicamento nel tessuto culturale cittadino se si considera che, nell’asciugare il programma, si sono perse per strada quelle sezioni e quei progetti che davano risalto al Piemonte, come Spazio Torino e Piemonte Factory ed è venuto a mancare quello spirito amante del rischio e della scoperta, tratto distintivo da sempre del Torino Film Festival. Ci si augura che venga recuperato nelle prossime edizioni, mantenendo se è possibile quel tocco patinato che a molti non è dispiaciuto.

Testo e foto  Giuliana Prestipino

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