Ma c’è ancora qualcosa che lega il calcio di ieri – degli anni ‘60, ‘70, 80, ‘90, – con quello di oggi? E lo dico e lo chiedo proprio in questi giorni, ricordando quel drammatico 15 ottobre 1967 che vide la morte di Gigi Meroni, idolo dei tifosi del Torino e icona dell’intero calcio italiano in un incredibile incidente automobilistico avvenuto nel centralissimo corso Re Umberto nel capoluogo piemontese. Il “George Best del calcio italiano”, veniva chiamato in quegli anni, paragonandolo al grande campione del Manchester United. Ma Meroni era molto di più. Era innanzitutto un ragazzo – quando muore aveva appena 24 anni ed era già un campione riconosciuto a livello nazionale ed europeo – che amava la vita, giocava a calcio ma non rinunciava affatto ai suoi ideali e al suo “stile inconfondibile”. Uno stile che lo ha portato in quegli anni – metà degli anni ‘60 – a convivere con una donna già sposata, a vivere in una minuscola soffitta di Piazza Vittorio Veneto a Torino, ad essere noto anche come pittore e creatore di vestiti ma, soprattutto, era una persona con un forte profilo umano e una grande dirittura morale. Ed era, per fermarsi all’ambito calcistico, un giocatore che amava il Torino, la maglia granata, il popolo granata. Insomma, Gigi Meroni era un punto di riferimento dell’universo granata anche e soprattutto per la sua inconfondibile personalità. Un leader in campo e fuori dal campo che ha fatto di Meroni l’emblema di un calcio umano, popolare, legato al territorio e anche espressione di valori veri, autentici e solidi. Sì, eravamo negli anni ‘60 ma si tratta, comunque sia, di un calcio romantico che infiammava i tifosi, e non solo i tifosi. Galvanizzava una città, una regione e un intero paese. La violenza non era di casa, la criminalità organizzata non gestiva le curve degli stadi perchè, molto semplicemente, i tifosi erano degli appassionati di calcio e non professionisti della violenza o del teppismo cittadino. I calciatori non erano miliardari in quegli anni – c’era ancora la lira, come ovvio – anche se erano indubbiamente ben pagati ma non affatto dei “paperoni”.
Insomma, e al di là di qualsiasi regressione nostalgica o passatista, è indubbio che quel calcio non torna più. Appartiene ad una fase che è ormai consegnata alla storia. Eppure le icone di quei tempi, i miti di quelle stagioni continuano ad essere al centro dei ricordi dei tifosi, dei simpatizzanti e di tutti coloro che amano un calcio fatto di competizione, di sudore, di tecnica e raffinatezza, di profumo dell’erba, di cori e slogan, di sberleffi e di colonne sonore, di colori della squadra e di serietà e professionalità dei calciatori. Cioè dei protagonisti del campo. E Gigi Meroni, a quasi 60 anni dalla sua scomparsa culminata in una piovosa domenica sera dopo una gara vinta al Comunale per 4-2 contro la Sampdoria con tre reti di Nestor Combin, grande amico della “farfalla granata”, continua ad essere un punto di riferimento. Soprattutto per chi continua ad amare un calcio dal volto umano e ricco di valori. E Gigi Meroni ce lo ricorda ancora oggi. E non solo ai tifosi del Torino.
Giorgio Merlo
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