Ikigai

Non soltanto chi si interessa alle discipline orientali, ma anche chi si occupa di spiritualità ha sentito parlare di ikigai.

Questo termine giapponese, che letteralmente significa “lo scopo nella vita”, è formato da iki, “vita”, e gai, “valore”; in pratica è il motivo per cui ci si alza (o ci si dovrebbe alzare) ogni giorno con la felicità di fare una cosa che piace, che ci permette di vivere, che è utile alla società.

Secondo questa pratica, ognuno di noi possiede un proprio ikigai; per essere felici è necessario e sufficiente trovarlo e farne uno stile di vita.

Ma cos’è l’ikigai?

Come mostra lo schema seguente per raggiungere l’ikigai dobbiamo:

1) Svolgere un’attività nella quale siamo abili
2) L’attività che svolgiamo deve permetterci di vivere
3) Dev’essere un’attività di cui il mondo ha bisogno
4) L’attività che svolgiamo deve piacerci

Com’è intuibile, è difficile far coincidere tutte e quattro le condizioni: spesso ciò che ci piace fare e che rendeeconomicamente è perfettamente inutile, oppure ciò che serve e ci piace non ci viene retribuito, per cui chi trova la combinazione di tutte le quattro condizioni può davvero definirsi felice.

Come si articola la strada per l’ikigai? Solitamente ci accorgiamo che ci piace fare qualcosa, magari fin da bambini, e cominciamo a provare piacere, soddisfazione nello svolgere quell’attività. Se qualcuno ne ha bisogno, saremo invogliati a continuare, perfezionarci, affinare le tecniche fino ad offrire un servizio o un prodotto migliore, in tempi minori, riducendo i costi anche acquistando le materie prime o gli utensili in quantità maggiori per risparmiare.

Il problema nasce quando non osiamo chiedere un corrispettivo per il nostro lavoro. Temendo di non essere adeguati, di non aver svolto un buon servizio o di venir considerati esosi, ecco che il lavoro lo regaliamo o ci accontentiamo di una cifra simbolica: in questo modo il nostro ikigai si è già allontanato e ci guarda con disperazione.

Uno dei requisiti è, infatti, che ci permetta di vivere evitando, ça va sans dire, secondi lavori, straordinari, ecc.

Poi, fattore altrettanto importante, è che sia richiesto dal mondo, dalla società: se io produco attrezzi ginnici per pidocchi del cane probabilmente potrò anche diventare il maggior esperto del settore, magari mi diverto pure a creare ma non penso proprio che le persone litighino per accaparrarsi il primo esemplare prodotto per ogni modello, e neppure il secondo o terzo.

Evidente, dunque, come le quattro qualità del nostro lavoro debbano coesistere, almeno nel luogo in cui vivo e lavoro (un tritaghiaccio nell’Africa sahariana non ha lo stesso significato che assume al Circolo polare artico), nell’epoca in cui vivo e debba procurarmi introiti sufficienti per vivere nel mio luogo di dimora abituale: se penso di trasferirmi negli Emirati Arabi dove la vita costa molto più che in Italia dovrò essere sicuro di poter guadagnare a sufficienza, o dalla mia vita devo togliere il concetto di ikigai.

Troppo spesso vedo giovani (ma anche meno giovani) inventarsi lavori creando nella mente delle persone una necessità inesistente unicamente per giustificare il loro operato; immaginate uno che inventi un prodotto per disinfettare le piastre rompifiamma della cucina a gas prima del loro utilizzo: non si sterilizzano da sole quando accendiamo il gas? Ecco, la nostra società è permeata di individui che convincono i poveri di animo che ciò che loro producono sia la panacea contro i moderni nemici invisibili.

Il risultato? I primi hanno preso in giro gli sprovveduti che hanno creduto in loro, e questi ultimi si ritrovano, più poveri e frustrati, a non aver risolto un problema semplicemente perché quel problema non esisteva.

La ricerca della felicità è un tema quanto mai attuale e dibattuto, al punto che qualche genio aveva proposto di inserire il diritto alla felicità nella nostra Costituzione: per fortuna l’hanno fermato in tempo; la felicità è un concetto quanto mai soggettivo, che cambia anche nello stesso soggetto al passare del tempo, all’aumentare dell’età e per effetto di esperienze, delusioni, conoscenze e riflessioni.

Una cosa però è sicura: occorre diffidare dai falsi profeti, da chi ha la ricetta per la crescita personale con magici seminari online o assemblee in stile bulgaro dove il guru viene osannato da una folla composta per un quarto da allocchi paganti e per tre quarti da complici del guru. Volete trovare la felicità che, come ho detto più volte, non è una meta ma uno stato d’animo che vi accompagna mentre raggiungete i vostri obiettivi? Cercatela in voi stessi: eliminate ciò che vi disturba, fate ciò che vi piace e vi fa stare bene, allontanate i ladri di tempo ed i vampiri energetici e la felicità comincerà a percorrere la strada di casa vostra.

Provate: cosa avete da perdere, visto che ora felici non lo siete? Ecominciate a costruire il vostro ikigai.

Sergio Motta

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