Giovane chef respira il dinamismo di Londra, la salsedine della Grecia e le promesse dell’Australia. E dopo aver riempito il suo bagaglio professionale con ingredienti di ogni dove, fa rientro a casa: mamma Italia ha qualcosa che l’estero non ha, e ce lo racconta così
“Mia mamma ha sempre cucinato ogni cosa con le sue mani, e io l’ho sempre osservata con ammirazione, studiavo ogni suo movimento: le nuove generazioni sono abituate a comodità per cui fare la pasta in casa è una cosa straordinaria, mentre cinquant’anni fa era straordinario non saperla fare.”
Fresco di diploma al Beccari, a 18 anni Alessandro Scardina inizia a lavorare per Diego Rista (Tre Galline e Tre Galli): “Diego è stato il mio maestro ed è tutt’ora il mio mentore”. Dopo poco la voglia di viaggiare lo porta alla ri-scoperta della sua terra, la Sicilia, ma servita sui piatti d’argento degli stellati, nei grandi alberghi. “Se vuoi investire su te stesso rimanendo in Italia devi accettare una paga bassa e darti da fare: se ami ciò che fai, ne vale la pena.”
Dopo una stagione nella terra natia, attratto dalla cultura multietnica e iper dinamica di Londra, come tutti i giovani italiani, Alessandro parte alla scoperta di nuovi sapori. “Consiglio a tutti i giovani di partire con un biglietto di sola andata. A Londra le offerte di lavoro sono tante, affrontavo anche 4 colloqui al giorno, e il clima che si respira è proattivo e positivo: ottime retribuzioni significano ottimi sorrisi, ottimi sorrisi sul lavoro significano più impegno, più impegno significa più soddisfazione”.
“Ho vissuto in una casa con 10 persone, tra cui il mio migliore amico, compagno di ogni mio viaggio.” La cucina di Londra non ha un sapore identificante, ma come ben sappiamo, è un’insalata di gusti multietnici: tratti che Alessandro prova ad introiettare durante il suo soggiorno. “La cucina intesa come locale ha una struttura di stampo francese, diversamente da quella Italiana: è divisa in sezioni come carne, pesce, antipasti, primi. Lì ero un capopartita, e in quanto tale comunicavo solo con quelli della mia stessa sezione.” La cucina inglese è una macchina strutturata per funzionare, la cucina italiana è un gruppo di romantici strutturato per far innamorare il cliente. “In Italia è’ più familiare, i rapporti con i colleghi sono di fiducia, di collaborazione, sono umani, come lo è ciò che creiamo.” Sicuramente la disciplina è il carburante perfetto per una macchina che funziona, ma quando si tratta di cibo, non si dice che un piatto è ben fatto quando è fatto con amore?
Dopo essere stato capocuoco per la start up di un ristorante medio orientale, alla ricerca forse di un qualcosa di meno meccanico, Alessandro parte per l’Australia. Contaminato dall’interesse e dalla volontà di studiare ancora i sapori dell’est, approdato dall’altra parte dell’equatore lavora per un Italo-Giapponese fusion, “un posto da sogno”.
Non ancora soddisfatto, probabilmente in modo inconscio alla costante ricerca di un mood italiano, più casalingo e genuino, Alessandro si sposta ad Alonissos, isolotta greca di 2000 abitanti, dove viene chiamato per l’apertura di un ristorante italiano. “Mi sono ritrovato a casa, con i profumi della mia italia e i modi di fare di mia mamma: il pesce lo pescavo io personalmente -adoro pescare, mio nonno era un pescatore- e sceglievo le verdure direttamente dall’orto del ristorante. Lì ho capito che il mio mare era e sarebbe sempre stato il Mediterraneo, e non l’Oceano”.
Nel frattempo, la moda gastronomica trascina in Europa le tradizioni culinarie peruviane, che Alessandro trova da subito stuzzicanti in quanto portano con sè una notevole influenza giapponese: richiamato quindi dal latente amore per la cucina orientale e incuriosito da quella peruviana, Alessandro rientra nuovamente a Londra per studiarne ogni commistione, lavorando in uno dei primi ristoranti peruviani della città.
Conclusa l’esperienza, si torna dove si è stati bene: Alessandro rientra ad Alonissos, “perchè si sta troppo bene a piedi scalzi”.
Ad oggi troviamo Alessandro e la sua creatività a Torino, la sua città, in Brasserie Bordeaux, via Baretti 15.
I piatti della Brasserie raccontano il suo stile e la sua esperienza di viaggio: sono rigogliosi ma minimal perchè “si mangia prima con gli occhi e poi con la bocca”. Sono proposte di paesi lontani, paesi che sanno di rosmarino e sale, tipicità imparate con mamma e suggestioni di studi precedenti: “a me piace fare le cose buone. Cucino d’istinto, di ricordi”. Aggiunge sorridendo “però senza Daniele Milone il pane, la pasta, le ricotte che preparo non sarebbero lo stesso”.
A questo punto, non resta che andare a scoprirlo.
Martina Calissano
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