E’ entrata in vigore il 12 novembre la norma che obbliga i gestori di siti porno a verificare l’età dei navigatori per consentirne l’accesso solo ai maggiorenni.
In realtà finora era sufficiente un’autodichiarazione, cliccando sul tasto SI, dove il navigatore dichiarava di essere di età legale nel suo Paese e tutti eravamo felici; a parte che se uno è minorenne la sua dichiarazione non ha valore e, dunque, tanto valeva non porre quella verifica.
Ora l’AGCOM, in applicazione del comma 1 del c.d. decreto Caivano che sancisce «un divieto di accesso a contenuti a carattere pornografico, in considerazione delle capacità lesive della loro dignità e del benessere fisico e mentale, costituendo un problema di salute pubblica», ha disposto che 48 siti (su decine di migliaia di siti porno esistenti al mondo) debbano verificare l’età di quanti si connettono ad essi. Da ciò si comprende come l’Agcom abbia realizzato un provvedimento perfettamente inutile e dannoso dal punto di vista economico per i 48 siti penalizzati.
Come troppo spesso succede nel nostro Paese le scelte vengono sull’onda dell’emozione, a parte la possibilità di collegarsi agli stessi siti per quanti vivono al confine con altro Stato (Francia, Svizzera, Austria, Slovenia) agganciando una rete estera, il divieto è facilmente aggirabile utilizzando una Vpn (Virtual Private Network) con IP straniero ed il divieto cesserà automaticamente.
Considerando che, secondo alcuni sondaggi, fanno uso di materiale pornografico quasi il 90% dei maschi e oltre il 40% delle femmine, va da sé che il problema assume dimensioni importanti.
Naturalmente l’impedimento tecnico non potrà essere subito realizzato perché Agcom ha comunicato la data del 12 novembre quale deadline solamente a fine ottobre, non consentendo ai siti porno di adeguarsi correttamente per tempo, anche se di fatto il vero e proprio obbligo scatterà dal 1° febbraio 2026.
Inoltre, il controllo dovrà essere effettuato da soggetti terzi, estranei quindi al sito, che gestiscano i dati su due fronti diversi, garantendo anonimato a chi si collega e, al contempo, a chi riceve la visita. Visto che sembrerebbe cosi facile, mi domando perché altrettanto non venga fatto per il voto elettronico in sostituzione delle arcaiche schede elettorali.
Resta da capire con quale criterio siano stati scelti i siti, considerando che dall’elenco dei 48 (mi ricorda l’Indice dei libri proibiti ad opera di Papa Paolo IV) siti infami ne mancano molti italiani oltre a moltissimi stranieri.
Ho l’impressione che anche questa volta si sia creato il problema per dimostrare di aver trovato la soluzione; soluzione, tuttavia, che non soddisfa nessuno, non argina né tantomeno risolve il problema anche perché anche un criceto sa che basta chiedere all’amico appena maggiorenne di darmi l’accesso ed il divieto è aggirato. E se il riconoscimento facciale su cui si basa l’algoritmo che dice “tu si, tu no” si sbaglia? Se dimostro meno della mia età e vengo bloccato o, per contro, se ne dimostro di più e vengo ammesso pur non avendone titolo?
Chi mi segue sa che ho scritto altre volte sul tema della pornografia e sono in linea di massima contrario ad una diffusione così massiva e senza controllo del materiale pornografico; sono però fortemente convinto che nella soluzione di un problema occorra valutare cosa è più importante: salvaguardia del benessere fisico e mentale o della privacy? Perché non usare lo SPID o la CIE per una connessione consentita? D’altronde, quando è convenuto allo Stato, lo SPID andava bene per qualsiasi esigenza di mobilità sul territorio quando eravamo detenuti senza processoper il Covid. Dov’era l’Agcom allora?
Oltretutto, con l’identità digitale sarebbe molto più semplice ed immediato risalire a chi navighi su siti di pedopornografia, riducendo costi e tempi per l’amministrazione della giustizia.
Sergio Motta
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