Vito Mancuso è un teologo e filosofo italiano, autore di numerosi saggi e attivo ricercatore di una fede autentica, consapevole e aperta al dialogo.
Nella conferenza che si è tenuta questa domenica, presso la Casa della Madia di Enzo Bianchi, dal titolo “Quello che finora ho capito sulla gioia di vivere”, Mancuso espone una visione chiara di cosa significhi questa gioia e di come potersi avvicinare ad essa.
La gioia di vivere viene descritta come un traguardo e non un qualcosa di contingente: ogni individuo dovrebbe aspirare a raggiungerla, come fine ultimo della propria esistenza.
Eppure, è proprio il pensiero della nostra finitudine che il filosofo tedesco Heidegger definiva come “essere per la morte”, che ci spaventa e ci porta nella direzione opposta a quella della gioia.
Il principale ostacolo, infatti, nasce dalla paura della conoscenza poiché essa comporta sensazioni, sentimenti e pensieri spiacevoli e ci obbliga a guardare le cose in profondità, chiedendoci di compiere un lavoro interiore per poter risalire da quegli abissi.
Avvertiamo che la conoscenza delle notizie e di quello che proviene dal mondo attorno a noi, compromette il nostro benessere psichico e ci distoglie dalla spensieratezza: ecco perchè le persone amano guardare le fiction, poiché hanno bisogno di finzione per poter evadere da ciò che le circonda.
Questa evasione porta ad una gioia dell’irrealtà e ci sono tanti modi per ottenerla, la religione stessa può essere vissuta in questa modalità distorta, senza profondità d’animo e come via di fuga dal mondo esterno.
Si preferisce, quindi, la felicità alla gioia. La prima è effimera, fatta di attimi e cose fugaci, dipende dall’esterno e può cambiare rapidamente in base alle condizioni. La seconda, invece, è consistente poiché dipende da noi stessi: è una condizione del vivere, nella quale siamo capaci di accettare anche il dolore, poiché tutto è vissuto con profondità e consapevolezza.
Possiamo definire la gioia come un “accordo di sé con sé stessi” mentre la felicità rappresenta un “accordo di sé con il mondo esterno”.
Ed è molto importante che questa gioia venga condivisa, che non sia solo una ricerca egoistica, ma che sia impregnata di altruismo e che arricchisca anche gli altri. La gioia vera la si riconosce poiché è pace interiore, è la sensazione di un avere un cuore calmo e di sentirsi sempre a casa e al sicuro.
Per arrivare alla gioia serve la consapevolezza: è necessario aprirsi al trascendente, alla profondità delle cose, accogliere i dolori e le difficoltà, compiere dei gesti concreti e coltivare onestà intellettuale e spirituale.
Si tratta di un vero e proprio cammino e la metafora che Mancuso sceglie per trasmettere questo messaggio è “Il mito della biga alata” di Platone: un messaggio lampante per comprendere come la gioia autentica emerga dalla sintonia tra le diverse dimensioni del nostro essere, con la consapevolezza come guida verso il bene e la verità.
IRENE CANE
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