IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Anche a Finale, se escludiamo un mitico locale di Varigotti, non ho trovato di meglio. La mia compianta amica, la scrittrice Giusy Audiberti, si troverebbe a disagio, lei che invitava sempre in posti belli e buoni. Anche a Savona un celebre locale noto a tanti torinesi per il nome non proprio invitante, ha cambiato del tutto ed è diventato deludente. I posti dove andavo con il mio amico partigiano autonomo – specie ormai quasi estinta in Liguria – Lelio Speranza non ci sono più o sono gestiti in malo modo. Anche il mitico ristorante sul mare di Bordighera a pochi passi da Sant’Ampelio, ha preso ormai da tanti anni la strada della perdizione. Prezzi alti e cibi mediocri sono le caratteristiche quasi standardizzate di un’offerta gastronomica appiattita sulla banalità. Ho il sospetto che con la scusa del pesce abbattuto finisca di prevalere il pesce scongelat. In un locale di Albenga ho avuto la nettissima sensazione di aver mangiato una gommosa coda di rospo non proprio fresca … Nel dubbio fondato non sono più andato in quel locale. In un carugio del Ponente ho visto due contenitori di “olio“ di frittura sospetto che forse i NAS sanzionerebbero. La vecchia trattoria di Cisano sul Neva dove andavo con Sergio Pininfarina ha mantenuto qualità e prezzi che sono il blasone della famiglia Priano. Sono stato anche a Perinaldo, a Dolceaqua e alla Mortola, ma le cene sono state deludenti. Ho sempre amato molto andare a cena fuori casa con gli amici che in parte purtroppo non ci sono più. Andare a cena con Soldati o con Olivetti, con Ronchey o con Casalegno era un’occasione per ritemprare il fisico e l’intelletto. Per non dire delle cene da “Armando al Pantheon“, dal ”Bolognese” e da Cesaretto dove cenai con Pannunzio, Flaiano e Maccari. Era il 1967.

A volte nelle cene c’erano anche amici, spesso giornalisti, che era meglio perdere che trovare: ti invitavano, ma poi si facevano pagare la cena. Per un certo periodo sono stato assiduo cliente di un buon ristorantino di corso Matteotti; dovetti desistere perché il titolare mi chiese 30mila euro in prestito e mi telefonò parecchie volte fino ad obbligarmi a bloccare il suo telefono. Sulla collina torinese esistevano molti locali non tutti buoni, ma alcuni più che discreti. Anche la collina è oggi desertificata. Erano locali piacevoli non solo in estate. Anche il ristorante celebre per i tanti antipasti ha chiuso dopo un periodo di crisi comatosa per non parlare della “Fontana dei Francesi“ che era già da evitare negli anni 80 del secolo scorso. Ho scritto in passato un articolo in cui ricordavo tutti i locali torinesi dove ero stato, chiusi da tempo. Erano locali importanti, direi storici. E’ rimasto solo il “Cambio”, il locale storico per eccellenza in cui lo stile lasciato dal suo proprietaria comm. Parandero resta un elemento della sua storia multisecolare. Tutto sommato, a Ferragosto, parlare di ristoranti anche non buoni è sempre meglio che ridursi a litigare su Gaza o su Putin. Anche una pizza è meglio. Per alcuni anni, transitando da Bordighera alla casa di campagna di Almese mi fermavo a pranzare ogni Ferragosto alla Locanda della Posta di Cavour quand’era ancora il ristorante dei Grassoni. Ogni volta mangiavo funghi reali in insalata, funghi fritti e fonduta con i primi tartufi. Oggi, in primis le condizioni climatiche lo impedirebbero: verrebbe anche considerato un lusso sfrenato mentre quei pranzi erano alla portata di un universitario. Buon Ferragosto!
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