Filomena Nitti sfiorò il Nobel ma finì nell’oblio

IN UN LIBRO LA STORIA

Genio incompreso, donna ignorata per scarsa fiducia nel suo lavoro, o per una diffusa misoginia? Sono alcuni degli interrogativi sorti intorno alla figura della scienziata lucana Filomena Nitti, figlia dell’ex Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti, moglie di Daniel Bovet, Nobel per la medicina 1957, del quale fu indispensabile collaboratrice. Eppure lei dal Nobel rimase esclusa. Cosa la penalizzò?

La giornalista e scrittrice Carola Vai (nella foto), nel libro “Filomena Nitti e il Nobel negato” Rubbettino editore, realizzato con il contributo della nipote Maria Luisa Nitti, cerca di dare qualche risposta. Il volume, 200 pagine, 16 euro, in vendita nelle librerie, sul sito on line di Rubbettino e sui vari siti dedicati ai libri, narra per la prima volta l’intera vita della ricercatrice coetanea di Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina 1986, della quale Carola Vai ha scritto quella che è ancora l’unica biografia completa sulla scienziata torinese: “Rita Levi-Montalcini una donna libera”, sempre per Rubbettino. Filomena e Rita, caparbie, ambiziose, instancabili, diversissime, incrociarono spesso le loro vite in pubblico e in privato, senza mai diventare amiche. Ma mentre Rita non si sposò, Filomena ebbe due matrimoni e tre figli. Con il secondo marito, Daniel Bovet, come lei biochimico, collaborò tutta la vita al punto da firmare tutti i lavori con i rispettivi nomi e cognomi. Eppure lui ottenne il Nobel, invece lei venne ignorata.

Filomena, nata il 10 gennaio 1909 a Napoli, ultima dei cinque figli di Francesco Saverio Nitti, meridionalista, ministro sotto il governo Giolitti e poi Presidente del Consiglio nel 1919-1920, e di Antonia Persico, figlia del giurista Federico, trascorse un’infanzia tranquilla con la sorella, Maria Luigia e tre fratelli, Vincenzo, Giuseppe e Federico tra Napoli dove viveva con i nonni, e Roma dove abitavano più stabilmente i genitori, con il quale si ricongiungeva soprattutto durante le lunghe vacanze estive nella casa di Acquafredda, in Basilicata. Anni felici. Fino quando la famiglia Nitti venne presa di mira, prima lentamente, poi in modo sempre più violento dagli attacchi delle squadre fasciste. Il liberale Francesco Saverio Nitti inizialmente sottovalutò gli eventi. Ma dopo l’assalto alla sua residenza romana con la distruzione di ogni cosa scelse, nel giugno 1924 di rifugiarsi all’estero con tutta la famiglia, escluse le sue due sorelle rimaste vedove, che con l’anziana madre, decisero di restare in Italia. Prima tappa in Svizzera, a Zurigo, dove la vita si rivelò presto troppo costosa. Così, dopo un anno e molte ricerche, venne deciso il trasferimento a Parigi. Seguirono vari traslochi finché la scelta definitiva cadde su un alloggio in rue Vavin 26, dietro Montparnasse, vicino ai giardini del Lussemburgo, al costo dell’affitto annuale di ottomila franchi. Qui i Nitti abitarono per quasi 20 anni, fino al ritorno in Italia. Nitti si tuffò nel lavoro di giornalista, scrittore, conferenziere guadagnando il denaro necessario per tutta la famiglia. Intanto Filomena, imparato il francese, si ambientò presto a Parigi, e finito il liceo, si laureò specializzandosi in chimica biologica. Contemporaneamente per guadagnare qualcosa accettò di fare alcune ricerche nelle biblioteche parigine. In questo periodo, lasciato il giovanissimo fidanzatino Giorgio Amendola rimasto in Italia, conobbe e si innamorò, ricambiata, di un giornalista polacco, Stephan Freund o Priacel. Francesco Saverio Nitti e la moglie contrastarono subito il legame dei due giovani convinti fosse un errore. Ma Filomena educata fin da bambina a diventare una donna indipendente attraverso lo studio e il lavoro, a vent’anni sfidò il volere della famiglia. Sposò Stephan; con lui ebbe due figli, poi lo seguì a Mosca quando decise di raggiungere la Russia. Nel Paese governato da Stalin la giovane Filomena lasciata spesso sola affrontò difficoltà di vario genere mai del tutto chiarite. Capì presto di aver sbagliato. Con coraggio lasciò Stephan, e con i due bambini tornò a casa dei genitori, a Parigi, ottenne il divorzio, riprese gli studi fino diventare una scienziata. Non aveva ancora trent’anni. Attraverso una borsa di studio entrò nel prestigioso Istituto Pasteur di Parigi dove già lavorava il fratello Federico Nitti, ricercatore scientifico, insieme al collega e amico Daniel Bovet, svizzero emigrato in Francia per motivi professionali. L’incontro tra Filomena e Bovet sfociò presto in un grande amore fatto di tante promesse e pure una stretta collaborazione scientifica. La coppia si sposò ed ebbe un figlio, il primo per Bovet, il terzo per Filomena. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, difficoltà di vario genere, l’arresto del padre Francesco Saverio Nitti da parte dei tedeschi e la sua lunga prigionia, complicarono, ma mai frenarono l’impegno scientifico, famigliare, materno di Filomena. A fine guerra i due coniugi lasciarono la Francia e si stabilirono a Roma, assunti dall’Istituto Superiore di Sanità, impegnati nello stesso laboratorio e nelle medesime ricerche al punto da firmare tutti i lavori con i nomi e cognomi di entrambi. Seguirono anni di enorme impegno e grandi successi. I due chimici nel settore scientifico divennero due star. I loro nomi finirono sulle più famose riviste scientifiche nazionali e straniere. Innamorati, sposati da quasi vent’anni, Filomena e Daniel vivevano tra scienza, famiglia, figli, viaggi. Nel mondo della scienza tutti, o quasi, sapevano che la coppia portava avanti ogni ricerca insieme. Fino all’ottobre 1957. In una tranquilla mattina autunnale, una telefonata proveniente dal Karolinska Institut svedese annunciò il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia a Daniel Bovet. A lui soltanto. Nemmeno un cenno a Filomena Nitti, sua insostituibile collaboratrice. Perché? Carola Vai nel volume “Filomena Nitti e il Nobel negato” nel narrare la sua storia tenta qualche risposta per togliere la scienziata dalla quasi invisibilità benché per anni impegnata professionalmente a fianco del collega-marito.

La vittoria del Nobel da parte di Bovet sconvolse i tempi di tutta la famiglia e solo dopo un periodo di caotica organizzazione, l’abilità di Filomena consentì il ripristino dei ritmi quotidiani. Bovet venne invitato dalle università e organizzazioni scientifiche di tutti i continenti. Con lui quasi sempre anche Filomena, nel ruolo di moglie, raramente in quello di scienziata.

Nonostante l’umiliazione Filomena mantenne ovunque il sorriso, rimanendo quasi sempre in silenzio durante le molte interviste a Bovet. Tuttavia in un incontro con dei giornalisti nel 1985 ammise con una certa ironia: “avendo sposato un genio, naturalmente ho fatto quello che fanno le donne, ho fatto tutto quello che serviva a lui per alleviargli la vita, Ma l’ho fatto con piacere”.

Dopo gli anni del successo, arrivarono gli anni della sofferenza. I Settanta furono contraddistinti prima dalla morte in un incidente stradale di Gian Paolo Nitti, il figlio maggiore di Filomena, e qualche tempo dopo dalla morte del secondo figlio, Francesco, per soffocamento durante un pasto. Seguì l’inizio della malattia con alti e bassi di Daniel Bovet che morì l’8 aprile 1992. Filomena affrontò il dolore raccogliendo tutte le testimonianze scientifiche che inviò all’Istituto Pasteur. Nel passato aveva già raccolto tutti i documenti del padre, Francesco Saverio Nitti, e della famiglia, consegnando il materiale alla Fondazione Einaudi a Torino. Lei che mai si era sentita solo una donna di scienza e anche senza praticare la politica attiva, mai se n’era distaccata del tutto, alla morte di Bovet ebbe l’impressione di non avere più nulla da dire.

Tanto più che l’Inail, l’Istituto fondato dal padre e dal quale lei e Daniel avevano affittato la casa romana di piazza Navona, consegnò alla ottantacinquenne Filomena lo sfratto. Davanti ad un presente doloroso, ed un futuro grigio, Filomena forse travolta da una forte depressione decise di andarsene.

Carola Vai nel libro ripercorre il cammino di una donna dalla volontà di acciaio, con un’esistenza influenzata da eventi storici come la realtà di milioni di persone. Una storia terminata bruscamente il 7 ottobre 1994 a Roma. Trent’anni dopo, nel 2024, il suo nome e cognome, Filomena Nitti, sono stati aggiunti nell’aula dell’Istituto Superiore di Sanità per decenni intitolata solo a Daniel Bovet. Un riconoscimento ufficiale ad una donna trascurata per decenni.

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articolo Precedente

La tirlindana

Articolo Successivo

Ancora una medaglia agli Italiani per Lucia Tassinario

Recenti:

IL METEO E' OFFERTO DA

Auto Crocetta