Il 13 agosto del 1935 il disastro della diga di Molare, 111 morti, un piccolo Vajont piemontese. È passato tanto tempo, pochi lo ricordano in Piemonte ma non certo ad Alessandria e in provincia dove anche quest’anno, il 13 agosto, le campane suoneranno per commemorare le vittime di quella tragedia che ricorda, per fortuna con un un numero molto più basso di morti, la catastrofe del Vajont in Veneto nel 1963 (quasi 2000 vittime). Nell’alessandrino crollò la diga secondaria del lago di Ortiglieto e le vittime furono un centinaio. Gravi danni si registrarono a Ovada, Molare e Castellazzo Bormida. L’estate del 1935 fu molto siccitosa. All’alba di martedì 13 agosto eccezionali precipitazioni sconvolsero le valli Orba e Stura e in meno di otto ore caddero sulla zona oltre 40 centimetri di pioggia. Fortunatamente la diga maggiore, che preoccupava di più i tecnici di Ortiglieto, evitò il crollo e resse per la solidità del terreno sottostante. Lo stesso non successe con lo sbarramento secondario, quello della sella Zerbino, che cadde riversando nell’Orba, già in piena, un fronte d’acqua fangosa largo due chilometri e alto venti metri, della portata di oltre 30 milioni di metri cubi. A Molare l’acqua risparmiò il centro abitato e persero la vita tre persone ma ingenti danni riguardarono la centrale elettrica, alcune cascine e tutti i ponti, compreso quello della ferrovia Asti-Genova. Le località al confine con la città di Ovada, a nord-est, furono in gran parte distrutte e l’ondata inghiottì in quella zona almeno venti persone e una settantina di case. Nel primo pomeriggio del 13 agosto l’acqua raggiunse Ovada, che all’epoca contava 10.000 abitanti. Furono danneggiati diversi ponti e crollò quello che collegava piazza Castello al quartiere Borgo, che venne quasi completamente distrutto. Furono rase al suolo trentacinque abitazioni e perirono sessantacinque persone. Dopo Ovada l’ondata colpì ancora i paesi di Silvano, Capriata e Predosa per poi riversarsi nel Bormida a Castellazzo.

Cento i morti, i corpi di alcuni di questi furono trovati molti anni dopo. Nel processo per il disastro i responsabili della progettazione e costruzione della diga secondaria, una decina di persone tra ingegneri, dirigenti e direttori, furono scagionati da qualsiasi colpa. Il 4 luglio 1938 la Corte d’Appello di Torino assolse tutti gli imputati poiché l’impianto era stato edificato senza violare alcuna legge e l’eccezionalità della precipitazione del 13 agosto 1935 avrebbe reso inutile anche il funzionamento degli scaricatori. Ai familiari delle vittime fu recapitato dallo Stato un indennizzo di 30.000 lire. Nelle tragedie ci sono, a volte, anche vicende dal lieto fine. Si racconta ancora oggi nell’alessandrino il miracoloso episodio della culla trascinata dalla corrente con sopra una neonata e un gatto che, spostandosi da un lato all’altro della culla, riuscì a tenerla in equilibrio, mantenendola a galla e salvando la bimba. Sembra quasi una leggenda urbana, invece, andò proprio così. Filippo Re
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