Crisi della moda artigiana in Piemonte: “Un’intera filiera a rischio scomparsa”

Il settore dell’artigianato moda in Piemonte è in forte difficoltà. Negli ultimi sei anni, il comparto ha visto la chiusura di 229 imprese: al 31 marzo 2019 erano 2.458, mentre al 31 marzo 2025 ne restano solo 2.229 (fonte: Unioncamere Piemonte). Un calo che solleva forti preoccupazioni sulla sopravvivenza di un’intera filiera produttiva, composta in larga parte da microimprese a conduzione familiare.

Il comparto dell’artigianato moda in Piemonte – che comprende tessile, abbigliamento, pelletteria, cuoio e calzature – continua a registrare segnali di sofferenza. Una crisi che non riguarda solo il contesto regionale, ma si riflette su scala nazionale, rendendo urgente un’attenta analisi delle dinamiche di mercato per individuare strategie di sostegno efficaci e concrete.

Le imprese del settore sono in gran parte realtà familiari, spesso tramandate da generazioni, e oggi si trovano in seria difficoltà. Il rischio concreto è la scomparsa di un’intera filiera produttiva artigianale, simbolo del saper fare italiano.

Secondo i dati di Unioncamere Piemonte, al 31 marzo 2019 – prima della pandemia – le imprese artigiane della moda attive in regione erano 2.458. Sei anni dopo, al 31 marzo 2025, ne restano 2.229: 229 aziende hanno cessato l’attività. Un segnale chiaro del progressivo indebolimento del comparto.

In Italia, la moda artigiana rappresenta una componente strategica dell’economia, con circa 60.000 imprese manifatturiere e oltre 600.000 addetti. Per questo motivo, diventa sempre più urgente un intervento mirato da parte del Ministero per contrastare la crisi in atto.

“La qualità delle nostre produzioni sono riconosciute in tutto il mondo e riteniamo che sia arrivato il momento di garantire una maggiore stabilità ad un marchio di alto valore come il Made in Italy – afferma Samantha Panza, Presidente Abbigliamento di Confartigianato Imprese Piemonte. Il settore ha retto il periodo pandemico, ma altre situazioni geopolitiche internazionali e le nuove misure imposte a livello europeo, anche sulla sostenibilità, stanno mettendo a dura prova la sua resilienza. Il Governo ha riconosciuto lo stato di crisi del settore, prova ne è la convocazione del Tavolo di Crisi del Sistema Moda convocato per il 6 agosto, ma la sfida è alta”.

Un appello forte arriva anche da Giorgio Felici, Presidente di Confartigianato Imprese Piemonte: “Al Ministero chiediamo, tra le altre, misure ad hoc per la salvaguardia dei livelli occupazionali, una politica mirata di sostegno al credito e disposizioni normative per agevolare l’implementazione di nuove tecnologie e strumenti digitali. Se vogliamo che il Made in Italy continui ad essere il fiore all’occhiello della produzione del nostro Paese ed un’eccellenza da esportare in tutto il mondo – dichiara Giorgio Felici, Presidente di Confartigianato Imprese Piemonte – è necessario valorizzare e sostenere le aziende, soprattutto quelle di medie e piccole dimensioni, che garantiscono qualità, professionalità e l’artigianalità che tutti ricercano”.

Il sistema moda non è composto solo da grandi marchi. Come dimostra la realtà locale, esiste una rete capillare di piccoli artigiani che seguono l’intero processo creativo, dal disegno al taglio, realizzando capi unici. Creatività e qualità sono da sempre le leve vincenti per distinguersi, soprattutto di fronte alla concorrenza di aziende che sfruttano impropriamente il termine “artigianale” per prodotti importati o industriali, spesso realizzati senza il rispetto delle normative che vincolano invece i laboratori regolari.

Confartigianato ha portato al tavolo di confronto ministeriale una serie di osservazioni che evidenziano la natura strutturale della crisi. La rapida crescita dell’e-commerce ha penalizzato le imprese meno digitalizzate; l’inflazione e l’adeguamento delle condizioni di lavoro hanno inciso pesantemente sui costi; e l’accesso al credito rimane difficile per molte microimprese, che non soddisfano i requisiti richiesti dagli istituti bancari.

A ciò si aggiunge la concorrenza internazionale, in particolare quella proveniente da Paesi a basso costo del lavoro, che mette sotto pressione i produttori italiani. Le mutate abitudini dei consumatori, sempre più orientati verso l’abbigliamento casual e sportivo, stanno riducendo la domanda per capi tradizionali e di alta gamma, mentre cresce la diffusione del fast fashion, più accessibile ma meno sostenibile.

Nel contesto nazionale permangono inoltre sacche di illegalità, con laboratori clandestini che impiegano personale sottopagato e privo di tutele, generando una concorrenza sleale nei confronti di chi opera nel rispetto delle regole.

Infine, le normative europee sempre più stringenti in materia di sostenibilità e trasparenza impongono alle aziende adeguamenti onerosi, spingendo al contempo il mercato verso produzioni più etiche e green. Anche l’internazionalizzazione, pur rappresentando un’opportunità, richiede competenze e risorse che non tutte le realtà artigiane sono in grado di sostenere.

Una risposta istituzionale tempestiva e strutturata è oggi fondamentale per salvaguardare un patrimonio economico, culturale e occupazionale che rischia di essere irrimediabilmente compromesso.

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