L’epigenetica è un concetto che la nostra medicina ha scoperto relativamente di recente.
Mentre la medicina tradizionale ha da sempre legato la genesi di patologie varie allo stile di vita, all’alimentazione ed all’ambiente in cui viviamo, la nostra medicina, quella che cura i sintomi anziché rimuovere la causa, considera ogni patologia come un unicum.
Ecco, quindi, che in tempi vicini a noi, ci si è accorti che alcuni patologie risentono, per lo più negativamente, dell’ambiente in cui si vive sia nella loro insorgenza che nello sviluppo.
Senza arrivare a casi limite come le patologie oncologiche dovute all’uranio impoverito o il mesotelioma pleurico, sono ormai tantissime le affezioni dovute o aggravate a causa dell’ambiente.
Pensiamo ai danni da radiazione, dovuti alla vicinanza a sorgenti di alta frequenza: molti ricorderanno ancora l’ordinanza dell’allora pretore Guariniello, sempre in prima linea contro i danni alla salute, che vietò l’accesso dei bambini nel parco della Rimembranza (Colle della Maddalena) perché in zona erano state rilevate dosi massicce di radiazioni potenzialmente dannose durante lo sviluppo.
Siamo sicuri che gli smartphone, che ora hanno un antenna interna, non danneggino il cervello usandoli diverse ore al giorno come facciamo quasi tutti noi?
E la vista, tra computer, televisione, smartphone, luci artificiali?
Da molte parti sono stati sollevati dubbi circa l’innocuità della rete 5G, al punto che in diverse parti del Paese (non so all’estero) sono nati comitati in difesa dei cittadini: è davvero necessaria? In cosa consisterebbero i vantaggi?
Ed il wi-fi domestico, magari con ripetitori in alcune stanze per ricevere un segnale di intensità adeguata, è davvero innocuo?
L’ambiente in cui viviamo, intendendo con questo termine dieta, esposizione a sostanze nocive, distress, vita sedentaria può avere influenza sull’epigenoma, giungendo ad alterare le proteine attorno alle quali il DNA si avvolge, gli istoni.
E’ evidente che siamo talmente coinvolti in questo meccanismo perverso da rendere difficile l’uscita; tuttavia possiamo attenuare, non poco, gli effetti nocivi di tali meccanismi: da quanto non ci concediamo una camminata di 2-3 ore nel verde? Magari faticando moderatamente per eliminare un po’ di tossine. Assumiamo una dieta corretta? Dobbiamo necessariamente dormire con l’aria condizionata accesa? Un ventilatore orientato verso il soffitto (così da raffreddare l’aria calda che si trova più in alto, portandola in circolo) non sarebbe sufficiente? In tal modocontribuiremmo anche alla riduzione del fabbisogno energetico complessivo.
Vi sono alcune piante che aiutano a combattere le radiazioni: la sansevieria, per esempio, ha l’ulteriore vantaggio di avere una fotosintesi particolare per cui possiamo tenerla in camera da letto perché al buio produrrà ossigeno dall’anidride carbonica. Oppure la tillandsia, alcune piante grasse, la areca e molte altre ci vengono in aiuto.
Ma siamo capaci di prenderci cura della nostra salute, possibilmente prevenendo anziché curando, o lo stile di vita dominante ci ha intrappolati? Siamo capaci a lasciare il telefono sulla mensola, guardando gli occhi della nostra partner anziché il display del telefonino? Baciare la nostra compagna anziché muovere le labbra a culo di gallina per scattare un selfie? Siamo capaci di rinunciare allo shopping domenicale a vantaggio di una sana passeggiata lungo il fiume? E se lasciassimo la macchina dove l’abbiamo parcheggiata e completassimo le ultime compere proseguendo a piedi?
Non mi sono giunte segnalazioni di effetti collaterali o reazioni avverse da chi ha saputo, anche solo per un po’, tornare alle vecchia abitudini di quando non eravamo schiavi senza catene.
Pensiamoci.
Sergio Motta
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