Torino si è vestita di parole, di memoria e di emozioni per celebrare uno dei suoi figli più intensi: Cesare Pavese. Lunedì 1° luglio, nel cuore pulsante dell’estate torinese, si è svolta la passeggiata letteraria “La Bella Estate“, organizzato da Le Strade di Torino in collaborazione con il Circolo dei Lettori e Barneys Bar che ha condotto i partecipanti in un percorso letterario e umano, sulle tracce di Cesare Pavese. Un viaggio non da studiosi, ma da esploratori: un’esplorazione urbana fatta con il passo lento della memoria e lo sguardo acceso dalla bellezza.
Torino, per Pavese, non era solo uno sfondo: era una presenza viva, un nodo di contraddizioni. “Ed io faccio parte di una schiera, le condizioni ci sono tutte“, scriveva, dando voce a un malessere sottile, a un’esistenza che si consumava tra il desiderio di fuga e la gravità del quotidiano. E proprio su questo confine – tra adolescenza e maturità, sogno e disincanto – si muove l’itinerario costruito per raccontare il suo legame con la città.
Ogni tappa è una storia. Da Via Biancamano 2, sede della Casa Editrice Einaudi – il vero laboratorio della sua vita culturale e personale, dove traduceva autori americani e coltivava amicizie – fino al ristorante Le Tre Galline, dove amava ritrovare sapori di casa e osservare i volti, come personaggi in attesa di una pagina. Pavese aveva un’ossessione per la quotidianità: adorava gli orari fissi ma viveva in modo sregolato, cercava stabilità nei rituali, e nei gesti semplici trovava poesia.
Torino è anche la città dei suoi conflitti, quella che riappare in versi struggenti in Lavorare stanca, nella poesia Fumatori di carta, dove luogo e identità si mescolano in un rapporto d’amore e disillusione. Tra i muri del Liceo D’Azeglio, dove fu allievo di Augusto Monti e compagno di Leone Ginzburg, nasce l’intellettuale che sarà, nutrito di idealismo romantico e amicizie decisive. Natalia Ginzburg, che lo conosce bene, lo ricorda così: “Era, qualche volta, molto triste: ma noi pensammo, per lungo tempo, che sarebbe guarito di quella tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto: perché ci pareva, la sua, una tristezza come di ragazzo – la malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni.”
E poi c’è il Pavese traduttore, il lettore appassionato di letteratura americana. Al Cinema Massimo passava le sue serate, incantato dalla semplicità luminosa delle cittadine d’oltreoceano. In una lettera del 1930 scrive: “Siete la meraviglia del mondo.” Per lui, i film americani erano scuola di vita, una lezione silenziosa su come affrontare il mondo. “Guardavi il film come un bimbo per la piccola emozione estetica e godevi”, scrive ne Il mestiere di vivere.
Il percorso attraversa anche i luoghi più quotidiani e umani: il Caffè Fiorio, tappa fissa delle sue giornate, dove osservava la città che scorreva per appuntarla nella memoria. O il ricordo della madre, che vende la casa di Santo Stefano Belbo – e con quel gesto, lo radica per sempre a Torino, anche se con l’anima volta alle Langhe. In chiusura le letture da Il diavolo sulle colline – uno dei tre racconti brevi che compongono La bella estate – restituiscono il cuore pulsante della sua poetica: giovani pieni di sogni e di illusioni, che si muovono in una Torino densa di attese e contraddizioni.
La passeggiata letteraria si è conclusa in un clima conviviale con un aperitivo offerto da Barney’s Bar, un momento di condivisione che ha unito parole, calici e riflessioni, suggellando l’incontro tra la città, Pavese e chi ha camminato sulle sue orme
“La Bella Estate” non è stata solo una passeggiata ma un’esperienza intima e collettiva perché, come scriveva Pavese, “ogni città è fatta di storie” – e camminare è forse il modo più autentico per ritrovarle.
Valeria Rombolà
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE