THE PASSWORD Torino oltre gli asterischi
Per la rubrica “The Password: Torino oltre gli asterischi”, in collaborazione con Il Torinese, Anna Gribaudo presenta La traversata notturna, penultimo romanzo di Andrea Canobbio, approdato sino alla finale di un importante premio letterario. Le pagine del libro narrano di un viaggio nella memoria familiare, tra le pieghe di un rapporto padre-figlio complesso, con Torino a fare da coprotagonista, nella sua cupa e malinconica ortogonalità.
La traversata notturna è il penultimo romanzo dello scrittore torinese Andrea Canobbio, classe 1962, pubblicato nel 2022 da La nave di Teseo. Il libro è stato finalista nella cinquina del premio Strega 2023, frutto di otto anni di lavoro. Come racconta l’autore in un’intervista al Circolo dei Lettori, il motivo scatenante per l’ideazione del libro era stata la solenne consegna, da parte delle sorelle, di una valigetta contenente le lettere che i genitori si erano scambiati durante il loro fidanzamento, tra 1943 e 1946, testimoni di una felice storia d’amore, sbiadita nel ricordo del figlio.
Al centro dell’opera c’è la famiglia Canobbio, e in particolare il complicato rapporto padre-figlio, sicuramente tra i più indagati nella storia della letteratura, da Ulisse e Telemaco fino a Kafka con la sua Lettera al padre: qui questa relazione è senza dubbio condizionata dalla malattia del padre, la depressione, di cui lo scrittore cerca di ricostruire le cause, ritrovandosi senza risposte definitive, se non con un sentimento di dolore inconfessato: «[…] non lo perdonavo di essere stato un depresso […]. Poi non riuscivo a perdonargli di non aver mai giocato con me, di non avermi mai parlato o incoraggiato, di non avermi mai trattato alla pari, come un adulto». Della malattia l’autore offre definizioni semplici e lapidarie: « […] e per me era questo il ritratto di mio padre, il ritratto della depressione, cioè del non vivere per non morire – come se la depressione fosse una scelta, una volontà di potenza o di impotenza […]».
Il libro è una “traversata” nel senso stretto del termine, un percorso per i sentieri tortuosi della memoria, con dei sopralluoghi tra le vie di Torino, città che si erge in tutta la sua ortogonalità come coprotagonista: «Il cielo stellato sopra di me, la pianta ortogonale dentro di me». Infatti, l’autore ha creato una griglia di 81 caselle con i luoghi più significativi della città, in cui si muove procedendo come un cavallo su una scacchiera, non passando mai due volte dalla stessa casella. Canobbio afferma di aver ripreso l’idea da La vita, istruzioni per l’uso di Georges Perec, che aveva fatto lo stesso ma per le stanze di un condominio. Torino è però oggetto di sentimenti ambivalenti da parte dell’autore; infatti, è prima di tutto la città dei genitori, in cui si sente spesso esiliato: «ma in realtà la disprezzavo [Torino] perché era la città di mio padre, e mi sembrava triste e grigia come lui, e anche quando fingevo di appartenerle me ne sentivo escluso per sempre».
A tratti romanzo storico, con squarci sulla Torino bombardata e ricostruita nel Dopoguerra, a tratti autobiografia, ma anche album di famiglia, con vecchie fotografie, appunti dell’agenda del padre, disegni, schizzi che si mescolano alle pagine, per cercare di mettere ordine tra quello che resta dopo un lutto. La stesura difatti è stata lunga, racconta Canobbio, anche per via del dolore che i ricordi risvegliano – per cui interrompeva spesso il progetto con altre letture, come Perec, Queneau, ma anche con opere etnografiche di Griaule e Leiris, che paradossalmente lo riportavano al proprio vissuto e ai propri genitori. Vedeva anche un parallelo tra il suo lavoro e quello degli etnologi, viaggiare nello spazio per viaggiare nel tempo, in quanto si guardava spesso alle popolazioni primitive come all’infanzia dell’umanità.
Tra le pagine trovano spazio anche momenti di tenerezza e di leggerezza, e divertite riflessioni sulla natura dei piemontesi e dei torinesi: «se non sta attento, un piemontese può allargare le vocali fino ad aprire voragini al centro del discorso», «perché la natura profonda del torinese è militare e religiosa, mentre il milanese è laico e mercantile», «era torinese e quindi per natura e cultura attratto dalla melancolia […]».
Un libro decisamente lungo, 514 pagine, ma dalla lettura scorrevole e dallo stile preciso, trasparente, elegante, che lascia questioni aperte e forse irrisolvibili: quanto si è responsabili della propria malattia? Quanto è difficile vedere i propri genitori come persone? E come perdonarli per non essere come vorremmo che fossero?
Anna Gribaudo – redattrice di The Password
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