Più thriller che analisi uno dei momenti più importanti della Chiesa

/

“Conclave” di Berger sugli schermi natalizi

 

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

Che sia racconto di più o meno nascoste verità o traliccio per far apparire note e soluzioni sopra le righe (leggi Don Brown con i suoi Codici), la Storia della Chiesa – il Papato tout court – ha interessato nel più recente passato e continua a interessare i cineasti. Sotto differenti lenti lo hanno guardato Moretti con tutti i dubbi di Piccoli pronto a fare il gran rifiuto e Sorrentino e Fernando Meirelles diviso tra Benedetto e Francesco, oggi lo bisturizza – ma non poi tanto, non come si sarebbe voluto – l’austriaco Edward Berger, già autore di quel “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, dal romanzo di Remarque, vincitore nel 2022 dell’Oscar per il miglior film internazionale. Anche qui sta alla base un romanzo, autore Robert Harris, la sceneggiatura affidata a Peter Straughan che già mostrò ben altra forza con un precedente “La talpa” ricavato dalle pagine di John Le Carré. Con “Conclave” – scenograficamente e nella fotografia di Stéphane Fontaine perfetto – un’altra occasione per mettere sul palcoscenico della Storia una gran bella quantità colpi di scena, di falsità e di misteri che trovano un po’ troppo facili soluzioni, di cardinaloni che arrivano nei loro eleganti abiti da recita a confondere le acque, le certezze su cui non ci si dovrebbe mai facilmente accomodare e i dubbi che si dovrebbero sempre rinfocolare, gli sguardi e le spiate al riparo di una porta, i documenti segreti, i reazionari e i progressisti, i vecchi europei/americani e le forze nuove che ormai sembrano essere obbligatori dei più nuovi continenti.

Ogni cosa con buona pace dello Spirito Santo che da parecchio tempo fa fatto il suo tempo: ma tutto con tratto di buon manicheismo volto a se sia meglio abbarbicarsi alla tradizione e alla sua conservazione o se offrirsi a una apertura – calibrata e ragionata – all’altro. Il papa è morto e al cardinale Lawrence (Ralph Fiennes, combattuto sino alle lacrime, in profonda crisi di fede) tocca in qualità di decano mettere insieme i tantissimi tasselli per mettere in piedi la straripante costruzione del “Conclave”. A Santa Marta prendono alloggio i nuovi arrivati, sotto gli affreschi di Michelangelo e colleghi prendono posto i tavoli e le schede ove gli stessi dovranno segnare le personali preferenze (e la macchina da presa parecchio si sofferma sulla “bellezza” e l’antichità degli oggetti e dei riti): che sono poi frutto di dialoghi e di scontri, di giochi di potere più o meno espliciti, di voti comprati e di scandali annunciati, di retromarce e di sussurri lasciati arrivare là dove più si conviene. In mezzo, dando più spazi al thriller che all’analisi, tra le votazioni condotte alla luce (o al tanto buio che circola) di quanto sopra, le schede posate nell’urna e bruciate immediatamente dopo, i colori opposti a significare al cospetto del popolo raccolto in piazza (che non vedremo mai, la faccenda riguarda esclusivamente l’interno, le segrete stanze, le alleanze tra questo e quello) la fumata nera e l’ultima fumata bianca, le sconfitte e la vittoria: quest’ultima con un espediente e un finalino che inducono a sorridere un po’ dell’occhio strizzato alla modernità del cinema. Ovvero sul trono di Pietro un Innocenzo intersessuale, proveniente da Kabul.

Nei momenti clou dei dialoghi (che non tralasciano, ma come un velocissimo passaggio, il ruolo della donna e l’omosessualità) tra il nostro Castellitto, ironico quanto irascibile prelato legato a “ci fu un tempo” con tanto di messa in latino e antiislamista sino allo spasimo e il sempre perfetto Stanley Tucci che continua a sperare in tempi più limpidi, stanno i cedimenti di una sceneggiatura che semplifica troppo, mostra e fa sentire ogni cosa per sommi capi e per le tante frasi ad effetto là dove ci sarebbe stata necessità di maggiori approfondimenti, di parole più incisive, di fatti più concreti, di tortuosità che costruissero ben più solidi e filosofici misteri. Probabilmente la realtà è proprio (ahimè) quella narrata ma ogni cosa sa di prevedibile e di infelicemente previsto. “Conclave” è piuttosto un thriller ecclesiastico, il papa è defunto per un infarto che s’accomoda ad ogni stagione e che innesta nello spettatore qualche ragionevole dubbio, il papa è stato capace di nascondere nel testile del proprio letto dei documenti che mettono definitivamente in ombra il cardinale John Lithgow già perverso di suo, le cartelline che passano di mano in mano espongono ricerche di segreti che nemmeno CIA e KGB. E invece siamo in piena Santa Sede. Peccato, in ultimo, sciupare lo spazio ristretto di Isabella Rossellini, dal momento che la sua suor Agnes avrebbe potuto avere ben altra e più incisiva voce. E quando esce dall’anonimato fa sentire appieno la propria vincitore, dando modo all’attrice di porre una candidatura ai futuri Golden Globe.

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articolo Precedente

Fontana (Fi): “Aumento spaccio figlio del malessere socio economico”

Articolo Successivo

Appalti pubblici, protocollo d’intesa a Chieri

Recenti:

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA   Jean-Baptiste Andrea “Vegliare su di lei” -La nave

IL METEO E' OFFERTO DA

Auto Crocetta