In occasione della commemorazione dell’assassinio del procuratore della Repubblica, Bruno
Caccia, avvenuta il 26 giugno 1983 a Torino, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina
dei Diritti Umani, propone per ricordarlo il contributo del giovanissimo studente Nicholas Corrado
classe III sez. C del Liceo scientifico “Filolao” di Crotone, che così scrive:
“Il 26 giugno 1983, la città di Torino fu scossa da un atto di violenza che segnò una delle pagine
più buie nella lotta dello Stato contro la criminalità organizzata. Bruno Caccia, Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Torino, fu assassinato dalla ‘Ndrangheta. Questo tragico evento
non solo spense la vita di un uomo incorruttibile, ma rappresentò anche un duro colpo per tutti
coloro che credono nella giustizia e nella legalità.
Bruno Caccia dedicò la sua vita a combattere l’illegalità in tutte le sue forme. Iniziò indagando
sulle violenze e sui pestaggi che caratterizzavano ogni sciopero dell’epoca. La sua azione
investigativa si estese poi ai terroristi delle Brigate Rosse e ai traffici illeciti della ‘Ndrangheta in
Piemonte, rivelando una determinazione e un coraggio che lo resero un bersaglio per le
organizzazioni criminali.
La sera del 26 giugno, una domenica, Bruno Caccia aveva deciso di lasciare a riposo la propria
scorta. Una scelta dettata forse dalla fiducia nella propria città, che si rivelò fatale. Alle 23:30,
mentre portava a passeggio il suo cane, fu avvicinato da un’auto con a bordo due sicari. Senza
scendere dal veicolo, gli spararono 14 colpi, e per essere certi della sua morte, lo finirono con tre
colpi di grazia.
Le indagini iniziali puntarono sulle Brigate Rosse, in un periodo segnato dagli anni di piombo e
dalla lotta al terrorismo. Tuttavia, la rivendicazione dell’omicidio da parte delle Brigate Rosse si
rivelò presto falsa. La svolta arrivò grazie alla collaborazione di Francesco Miano, un boss della
cosca catanese detenuto a Torino, che tramite i servizi segreti raccolse le confidenze di Domenico
Belfiore, uno dei capi della ‘ndrangheta torinese. Belfiore confessò che fu proprio la ‘ndrangheta a
decretare la morte di Bruno Caccia, poiché “con il procuratore Caccia non ci si poteva parlare”.
Le indagini di Bruno Caccia furono troppo incisive e pericolose per la sopravvivenza della
‘ndrangheta in Piemonte. Questo coraggio e questa dedizione alla giustizia costarono la vita a un
uomo che non si piegò mai davanti alla criminalità. Nel 1993, Domenico Belfiore fu condannato
all’ergastolo come mandante dell’omicidio, ma la ferita inferta alla giustizia italiana rimane ancora
aperta.
Bruno Caccia non è stato solo un magistrato, ma un simbolo della lotta contro la criminalità
organizzata. La sua memoria deve continuare a vivere nelle azioni di chi crede nella giustizia, nella
legalità e nella dignità umana. Ricordare Bruno Caccia significa mantenere vivo l’impegno per un
futuro libero dalle mafie, onorando il sacrificio di un uomo che ha dato la vita per i valori in cui
credeva.”
Ricordare oggi la figura di Bruno Caccia a quarantuno anni dal suo omicidio nelle aule scolastiche
significa far sventolare la bandiera della legalità e accendere nei cuori sentimenti di gratitudine per
chi ha esercitato con onore il proprio ruolo e manifestato la propria responsabilità nei confronti
della collettività.
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto
“#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti,
storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.
Prof. Romano Pesavento
Presidente CNDDU