Poveri attori e povera storia nelle mani del regista burattinaio

Arriva da Cannes “Kinds of Kindness”, ultimo film di Yorgos Lanthimos

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Tre capitoli, “una favola” in tre atti come nel teatro d’altri tempi, affatto legati tra di loro ma sfacciatamente disgiunti (potremmo metterli sotto le bandiere di lavoro, amore, religione), salvo questo impercettibile mister R.M.F. che vi circola a suon d’apparizioni come insignificante tassello. Per un Yorgos Lanthimos uscito carico di lodi e di premi per il recente “Povere creature!”, oggi soltanto affetto da pretenziosità e insulsaggine per questo “Kinds of Kindness” (scritto con Efthymis Filippou, già suo collaboratore) presentato a Cannes in mezzo a giudizi mai così contrastanti. Ovvero fa di tutto (malamente) il regista per azzerare la sterzata del suo cinema, per abbandonare i lineari discorsi di ritratti femminili, di emancipazione e di sfrenato femminismo, di favorite e di Bella Baxter, ritratti che lo hanno fatto amare, per ricacciarsi – come in non pochi esempi di un percorso legato a miti e rivisitazione del suo paese natale, l’Ellade antica – in sbiaditi racconti filosofeggianti che alla fine navigano nella più piatta aridità.

Capitolo primo, “La morte di R.M.F.”, l’impiegatuccio Robert è vittima dei soprusi del proprio capo, un signor Raymond di radici mefistofeliche, che gli dice quando mettere i calzini e quando no, che gli fissa al cronometro l’orario riguardante gli amplessi coniugali (la coniuge, manco a dirlo, gliel’ha scelta lui), che gli intima la lettura di “Anna Karenina”, premiandolo con strani regali, come una racchetta rotta dalla rabbia irrefrenabile di McEnroe o l’ultimo casco di Senna. Il povero Robert ad un certo punto dice basta, l’ultimo ordine non lo può eseguire: è quello di far fuori in un incidente d’auto un povero cristo. Rifiuto, addio regali e vita agiata, lontano da un paradiso terrestre del nuovo millennio. Sempre che Robert non decida di riacquistare i privilegi del passato. Capitolo due, “R.M.F. vola”, Daniel è un poliziotto, la cui moglie Liz è stata data per dispersa in mare. All’apparizione improvvisa della donna, ecco che il consorte inizia a nutrire dubbi (perché se ha sempre rifiutato il cioccolato, adesso lo divora? perché quelle scarpe un tempo perfette adesso le vanno strette?) e prende a pretendere da lei sacrifici, come l’amputazione di un pollice e di servirglielo con tanto di soffritto e cavolfiori o, maggiormente, una bella padellata del suo fegato, fatto il che la poveretta manco a dirlo va diritta all’altro mondo. Salvo l’apparizione della legittima lei. Capitolo tre, “R.M.F. mangia un sandwich”, Andrew e Emily fanno parte di una setta e vanno alla ricerca di un nuovo capo che sappia resuscitare i morti. Lo troveranno in Ruth, che portata davanti al cadavere di R.M.F. saprà risvegliarlo. Ballo finale di Emily e R.M.F. davanti a un chiosco a rifocillarsi, mentre un dio o un destino saranno capaci di capovolgere ogni cosa, vittima la povera Ruth.

Gli attori (Emma Stone, Jesse Plemons – palmarès quale migliore attore: ma quanto era più convincente nel “Potere del cane” di Jane Campion -, Willem Dafoe e Margaret Qualley) si intrecciano in ruoli diversi nei tre momenti, soltanto fantocci malati di anonimato nelle mani del burattinaio Lanthimos, in un abbozzo di episodietti che non lasciano alcun segno privi come sono di contenuto, conditi semmai sino alla noia da una colonna sonora fatta di cupe strimpellature al piano e di gorgheggi gregoriani: il quale Lanthimos vuole stigmatizzare il perbenismo e le trasgressioni della società odierna? vuole dirci quanto sia importante in ognuno di noi la personale affermazione, lo sgusciar via dalle leggi che il mondo di oggi ci impone? intende mettere su di un piedistallo lo humour nero troppo spesso bistrattato o sdoganare montagne di attività sessuali divenute davvero stucchevoli? gioca con un colore intervallato da un bianco e nero di cui non si sente poi la eccessiva necessità, soltanto espedienti già saggiati per movimentare? Etichettare “Kinds of Kindness” come surreale o allegramente paradossale, assurdamente stravagante, significa dargli delle etichette che non ha (o che non merita neppure), c’è unicamente il desiderio di shockare, di affidarsi a certi brandelli macabri da film di serie B, di giocare con un grand guignol da quattro soldi, di autocompiacersi non sapendo bene dove si voglia andare a parare. Anche nel ridicolo.

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