Spesso magia e religione sono due mondi che condividono alcune sfumature. Entrambe infatti si occupano della sacralità, in maniera differente. Non c’è da stupirsi dunque che la città esoterica per eccellenza presenti anche una forte impronta di matrice cattolica. Infatti attorno ad essa orbitano proprio le storie di due reliquie di estrema importanza per la cristianità: si tratta del Graal e della Sindone, di cui Torino pare che custodisca i segreti e le storie.
Graal e Sindone: Torino e le leggende
Il Sacro Graal è, secondo il mito, il calice con cui Gesù celebrò l’ultima cena e il contenitore in cui Giuseppe di Arimatea raccolse il suo sangue durante la crocefissione. Infatti l’etimologia della parola pare derivare dal latino medievale “gradalis” (vaso), poi storpiato nel francese “Greal”: da qui nasce l’equivoco linguistico che trasforma il “san Greal” in “sang real”. Questa accezione del sangue reale andrà poi a gettare le basi al mito fondativo della dinastia dei Merovingi, che fecero risalire la loro stirpe ai figli di Cristo e Maria Maddalena.
Tutte queste narrazioni sono delle rielaborazioni fantastiche, dovute principalmente all’ampia letteratura che si è ispirata a quest’oggetto. Infatti si può trovare nei poemi cavallereschi francesi, principalmente nell’opera di Chretien de Troyes. L’autore l’ha associato per la prima volta alla figura di Parsifal, eroe del ciclo arturiano. Secondo le leggende metropolitane il Graal è collegato alla Gran Madre. In particolare per trovarlo risulterebbe fondamentale la statua che regge una coppa e scruta oltre il fiume. Seguendo il suo sguardo sarebbe possibile risolvere uno dei misteri più grandi di tutti i tempi.
I fatti storici
La Sindone invece è conservata all’interno del Duomo di Torino ed è visibile al pubblico solo in determinate occasioni di ostensione. Si tratta di un lenzuolo su cui è riportata l’impronta di un uomo con una corona di spine, che presenta delle ferite compatibili con una morte in croce. Dal 1889, momento in cui è stato reso pubblico il negativo di una foto scattata a questo sudario, sono iniziate varie indagini scientifiche per comprenderne la natura ed attestarne l’autenticità. Solo recentemente però è stata rilevata una datazione più precisa. La prova del carbonio 14 ha collocato storicamente la Sindone in un periodo che può variare dal XIII al XIV secolo.
La sua presenza a Torino è principalmente dovuta alla casata dei Savoia: il prezioso lino infatti era di proprietà di Goffredo di Charny. L’uomo lo donò alla Collegiata di Lirey. Dopo la sua morte, tornò in possesso della figlia Margherita a causa della guerra civile: il timore infatti era quello che potesse venire distrutto durante gli scontri. La donna però ne approfittò per venderlo ai Duchi nel 1453, scatenando non pochi malumori. Fu infatti scomunicata e citata in giudizio per ripristinare i precedenti equilibri, ma senza successo. Inizialmente il velo venne conservato a Chambéry ma poi venne trasportato da Emanuele Filiberto a Torino nel 1532. Fu questa infatti l’occasione del trasferimento della capitale dalla Francia al Piemonte.
Prima di queste date alcune fonti storiche ne riportano l’esistenza: l’unico dato sicuro risiede nella sua comparsa nella cittadina di Lirey a metà Trecento. Non si è tuttora riusciti a ricostruire in maniera certa la sua origine -anche se sono state rilevate tracce di pollini della Terra Santa- e il suo eventuale percorso fino all’Europa.
Francesca Pozzo
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