Lavia per Goldoni: una storia “verissima”, gli amori e il vecchio gabbato

Successo per “Un curioso accidente” al Carignano, sino a domenica 28 gennaio

Tutto (piacevolmente) sopra le righe, la rilettura di un testo che di prima apparenza dovrebbe scorrere via in modo tranquillo, entrate e uscite come da copione, merletti e parrucche come da tradizione. Invece Gabriele Lavia – con tutta la vitalità dei suoi ottantuno compiuti, andate a cercarvi e godervi qualche stralcio in rete che riproponga la fatica e l’immedesimazione delle prove: una scuola per chiunque e un vero divertimento – questo “Curioso accidente”, che Carlo Goldoni scrisse nel 1760, te lo sconquassa, te lo fa esplodere di gran dinamismo, di corse dal palcoscenico alla sala, di urla e di inseguimenti, di equivoci e di bisticci e di lotte di sfrenata fisicità. Tutto diventa “altra cosa”, diventa una festa del teatro. A cominciare da quel palcoscenico (la scena è firmata da Alessandro Camera), una scena sghemba, un affollato dietro le quinte semmai ben visibile, uno spazio che parrebbe pronto per l’apparizione fulminea di una Madama Pace, un palcoscenico che non soltanto ospita una dozzina di spettatori, accomodati sul fondo, nelle loro brave poltrone rosse, ma pure riempito di due pianoforti largamente adoperati con le musiche di Andrea Nicolini (su uno di essi, il fantoccio di un Arlecchino, una gamba penzoloni tra tastiera e spartito: in riposo, addormentato? certo morto no), un rosso sipario che scende sino in platea, le casse e i capaci bauli ad accogliere le palandrane, i “roboni”, e le uniformi degli attori, tappeti e scivolo a far da ponte tra chi recita e chi assiste, sedie, le grandi luci in bella vista, il camerino del primo attore a far da confessionale e casa, lo specchio con le sacrosante lampadine fulminate.

L’argomento di questa Commedia non è che un fatto vero, verissimo, accaduto non ha molto tempo in una Città di Olanda. Mi fu raccontato da persone degne di fede in Venezia al Caffè della Sultana, nella piazza San Marco”, avverte l’autore “a chi legge”, narrandoci poi che il periodo storico è quello della Guerra dei sette anni – con l’Inghilterra (e alleati) a combattere contro la Francia (e alleati), con la disfatta di questa e la perdita di territori in giro per il mondo -, dell’ospitalità da parte del ricco Filiberto, mercante della non belligerante Olanda e, peggio per lui, di una saggezza soltanto apparente, dello squattrinato Monsieur de la Cotterie e del suo attendente, dell’innamoramento per Giannina, la figlia del padrone di casa, dabbene oltremodo ma prontissima a guidare l’intero gioco, maliziosa e trasgressiva quanto conviene, buona rappresentante di uno schietto quanto fermo femminismo. Di come questa, pur ricambiandolo, tema i sospetti del genitore e il suo parere avverso a quella unione e pensi bene quindi di imbastire un nuovo innamoramento per il bel tenente, inconsapevole vittima Madamigella Costanza, figlia di un acerrimo nemico del mercante. Immancabile nasce una rete di imbarazzanti equivoci che non possono non coinvolgere ogni personaggio, che ignora e che è messo al corrente, che stupisce dinanzi ai nuovi comportamenti del ricco padrone, che qui non raccontiamo, che allinea altresì la servetta di turno che, in quell’atmosfera di amori caldeggiati e delusi, pretende giustamente il suo.

Lavia, per l’occasione divenuto pure paroliere con certe strofe che attraversano l’azione, immergendosi in un Goldoni che poco compare sulle scene, si ritrova tra le mani una gran bella materia, prima di tutto una divertente commedia degli equivoci che con approfondito ribaltamento si tramuta in un tratto amaro o certo amarognolo, campeggiandovi la quasi distruzione della figura paterna, la presa in giro di una sfacciata mascolinità, il tutto come decadente e sgangherato ma portato ad alti gradi di poesia. Lavia, se da un lato tra le risate alleggerisce con massime pseudo filosofiche e lui stesso esterrefatto cita grandi pensatori del passato, allo stesso tempo maneggia con sempre grande sicurezza la Storia che s’immette nella vita quotidiana e quell’aria di catastrofe (“Il mondo è finito!”) che minaccia da più parti, verso la caduta del secolo dei lumi e la Rivoluzione pronta di lì a non molto a dare i suoi primi tremendi scossoni. È uno spettacolo godibilissimo questo “Curioso accidente”, prodotto da Effimera, dal Teatro di Roma e dal Teatro della Toscana e presentato al Carignano sino a domenica 28 gennaio nel cartellone dello Stabile torinese. Godibilissimo (anche se il “gioco” verso il termine si scopre, non ha davvero importanza) perché a guidarlo, con il primo attore tutto sicurezza e dabbenaggine e sconfitta, una vera allegria vederlo “recitare”, è una compagnia che non bada a spese nel buttarsi a capofitto nella storia e in ciascun personaggio, de la Cotterie di Simone Toni ha i giusti slanci vitalistici e amorosi, Federica De Martino sottile innocenza e una bella grinta a gettare in prima linea la sua Giannina, Giorgia Solari e Beatrice Ceccherini giocano a divertire e a languire con loro e altrui divertimento. Con loro ancora Leonardo Nicolini, Lorenzo Terenzi, Andrea Nicolini divenuto attore con bella foga e l’Arlecchino “batocio” di Lorenzo Volpe: tutti negli abiti di Andrea Viotti, sporcati dei colori intensi del blu, del giallo, del verde. Serata divertita, risate senza risparmio, applauditissima: costretti a ricevere gli applausi anche gli spettatori in palcoscenico, schierati e mescolati in bella fila, se ci volesse ancora la prova del ponte che Lavia sa creare con il suo pubblico.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Tommaso Le Pera

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