Breve storia di Torino
1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
Sono ormai alla metà del mio percorso riguardante la ricostruzione degli avvenimenti storici che segnano le vicissitudini di Torino dagli albori fino alla contemporaneità.
Ed è appunto arrivato il momento di approfondire il fatto che più di ogni altro ha segnato il destino dell’urbe pedemontana: il dominio sabaudo.
Prima di entrare nel merito della questione e di focalizzarci sulle imprese dei Principi di Savoia, è bene soffermarci sul contesto storico.
Anno 1250: muore Federico II. Nuovi drammatici eventi scuotono il territorio italiano da Sud a Nord: il papa Innocenzo IV investe l’imperatore Carlo d’Angiò, il quale nel 1266 uccide in battaglia Manfredi, re di Sicilia e, due anni più tardi, il nipote di Federico II, Corradino. La dinastia degli Hohenstaufen viene eliminata e i guelfi trionfano su tutta la penisola.
Tali fatti producono immediate ripercussioni sul Piemonte e su Torino.
Tommaso II di Savoia occupa la città pedemontana, forte delle concessioni che proprio Federico II gli aveva accordato; egli tuttavia trova difficoltà nella gestione delle terre, così, dopo diversi accordi altalenanti con i comuni limitrofi e gli altri signori locali, decide di schierarsi a favore di Innocenzo IV; a questo punto il Papa, per assicurarsi un sostegno duraturo da parte di Tommaso, emana una carta in cui riconferma la signoria sabauda su Torino.
La cittadinanza però non accetta l’insediarsi di Tommaso, né èconcorde a proposito dell’alleanza papale, tant’è che nel 1252 viene a crearsi una lega tra le città di Asti, di Chieri e di Torino, per opporsi ai piani del Principe. Nel 1255 i Torinesi catturano Tommaso e lo costringono a rinunciare alla pretesa di regnare sulla città e sui territori circostanti. Dal canto suo Tommaso si appella ai regnanti di Francia e d’Inghilterra, forte dei legami famigliari che i Savoia si erano creati nel tempo. Dopo un acceso dibattito i Torinesi lasciano libero il nobile prigioniero: è ormai evidente l’importanza che la famiglia sabauda ha acquisito a livello internazionale.
Un nuovo pericolo però si affaccia all’orizzonte: l’avanzata di Carlo d’Angiò. La nuova situazione preoccupa molti signori e diversi comuni e la necessità di fermare l’invasore comporta la costituzione di una nuova lega ghibellina capeggiata dalla città di Asti. Torino stessa fa parte di tale di alleanza, ma solo fino al 1270, momento in cui il vescovo Goffredo di Montanaro, guelfo ed oppositore dei Savoia, fa espellere il podestà e si instaura all’interno delle mura cittadine.
Gli scontri intanto proseguono, e ormai il regno angioino è destinato alla disfatta.
Trascorrono circa ottant’anni, durante i quali Torino cambia ben sette passaggi di potere: un tempo decisamente lungo e travagliato, che trova conclusione nel longevo periodo della dominazione sabauda.
La famiglia dei Savoia approfitta della confusione politica dovuta ai continui scontri tra signori locali per appropriarsi di alcune cittadine, apparentemente di minor importanza e indebolite dalla guerra. Tra queste si pensi a Susa, Pinerolo, Rivoli e Avigliana, ma è con l’acquisizione di Torino che i Principi consolidano la propria supremazia sul territorio piemontese.
Eccoli infine i due fattori che, a partire dall’epoca bassomedievale, determinano le future vicende torinesi: l’ascesa al potere della famiglia sabauda e la devastante diffusione della peste nera del 1348.
Con lo stabilirsi della nuova autorità, l’amministrazione cittadina viene relegata ad un ruolo marginale, le decisioni politiche e legislative sono nelle mani del nuovo signore, così come le famiglie dell’élite urbana. C’è da dire che i Savoia seppero ben compensare questa perdita di autonomia, rendendo la città il fiore all’occhiello del Piemonte: nel corso del Quattrocento infatti Torino diviene residenza di governo e della corte, anche per le visite ufficiali, nonché sede di una nuova università.
Mentre i Savoia si instaurano definitamente al comando della città, per le strade il morbo bubbonico si diffonde a macchia d’olio, la pestilenza decima la popolazione, sia nel centro abitato che nelle campagne, di conseguenza la produzione agricola cala drasticamente anche a causa dei numerosi abbandoni dei terreni. Ci vorrà quasi un secolo per recuperare le perdite economiche e demografiche causate dall’epidemia.
Mentre la malattia affligge la cittadinanza, i Savoia continuano ad estendere il proprio controllo sull’Italia nordoccidentale. Tra il 1313 e il 1314 ottengono Ivrea e Fossano, nel 1416 ricevono il titolo di duchi del Sacro Romano Impero, nel 1320 è la volta della conquista di Savigliano, seguita da quella di Chieri e Biella, i Principi si espandono fino a Cuneo (1382), Mondovì (1418) e infine Vercelli (1427).
Il notevole ingrandimento del regno sabaudo rende Torino ancora piùimportante, fino a conferire all’urbe il nuovo status di capitale regionale, titolo che stimola la crescita economica e demografica della città.
Questo periodo di grande fermento comporta una diversificazione nella popolazione e una nuova struttura sociale, mentre si assiste ad un generale innalzamento del livello culturale, esplicita fonte di impulso economico. La “societas” si arricchisce di professionisti e burocrati introdotti dall’attuale governo, in più una ulteriore corrente migratoria porta l’immissione di nuovi mestieri, nuovi introiti commerciali.
Nel 1536 i Francesi occupano Torino, fermando momentaneamente la ripresa della città; i nemici però non hanno vita lunga: nel 1559 l’occupazione termina e Torino ne esce ancora più dominante.
Gli anni tra il 1334 e il 1418 vedono affiancarsi i due rami piùimportanti della famiglia, i Savoia e gli Acaia. È proprio Giacomo d’Acaia a governare il Piemonte durante gli anni trenta del Trecento, seppur all’ombra dell’importante cugino, il Conte Verde Amedeo VI di Savoia. L’accesa disputa tra i due termina intorno al 1360, quando Amedeo assume definitivamente il controllo della città di Torino e confina il cugino al di là delle Alpi.
Per affermare la propria posizione e nel contempo per ingraziarsi l’oligarchia urbana, il Conte ordina che vengano emendati i codici cittadini, costituiti da 331 capitoli eterogenei che compendiavano le varie leggi varate in passato dal comune e gli statuti emanati nel 1280 da Tommaso III. Tale codice regolamenterà i diritti e doveri del cittadino e degli altri funzionari fino all’Ottocento. Esiste ancora una copia del testo, gelosamente custodita presso gli archivi torinesi, conosciuto come “ Codice della Catena”, perché anticamente era messo a disposizione per la libera consultazione della cittadinanza in municipio, ma ben legato con una catena. Gli statuti del 1360 fanno sì che il Principe sia l’autoritàlegislativa suprema e definiscono i poteri delle varie cariche municipali; il testo riporta inoltre nel dettaglio i poteri legislativi del Consiglio e le le differenti funzioni amministrative a cui doveva assolvere, tra cui la manutenzione della cinta muraria, dei ponti, del palazzo del municipio, l’organizzazione del servizio di guardia presso le porte, la nomina del cerusico, del maestro della scuola – il “doctor grammaticae”– e degli altri funzionari civili minori.
Il Consiglio si distingue in due ambiti differenti che rispecchiano la divisione interna della classe dominante: da una parte le dinastie nobili che avevano retto la città fino a quel momento, dall’altra le famiglie arricchitesi in tempi recenti. La vecchia aristocrazia va assottigliandosi e nel contempo aumenta il risentimento popolare nei confronti dell’élite cittadina; in questo clima di turbolenza e instabilitài Savoia-Acaia approfittano delle tensioni sociali per consolidare la propria posizione. Ripristinano la Società di San Giovanni Battista, organizzazione di stampo popolare, che vietava l’accesso ai membri delle famiglie nobili, che però approva il nuovo statuto nel 1389. La Società è un’associazione armata il cui scopo è mantenere l’ordine pubblico e proteggere il popolo dalle ingiustizie dell’aristocrazia.
Ad Amedeo succede Ludovico Acaia (1404), il quale a sua volta èdeciso a rendere Torino un centro sempre più importante. Egli istituisce uno “Studium generale”, autorizzato dal papa Bonifacio IX e dall’imperatore Sigismondo. Il nuovo Ateneo diventa un punto di forza dell’università e richiama studenti anche dalle cittadine vicine. Ben presto l’Università di Torino diviene fucina di professionisti destinati ad occupare importanti cariche ufficiali.
Con la morte di Ludovico (1418) si estingue la linea degli Acaia e i vari possedimenti ritornano al ramo principale della famiglia. A Ludovico succede Amedeo VIII di Savoia, che si affretta a chiedere e ottenere giuramento di lealtà da parte di tutte le città e i vassalli piemontesi prima fedeli ai d’Acaia. Amedeo porta avanti una politica espansionistica, prediligendo però l’arte della diplomazia a quella militare; egli si adopera per dare unità politica ai territori, promulgando nel 1430 gli “Statuta Sabaudiae”, un vero e proprio codice generale vigente su tutti i domini.
Amedeo abdica e gli succede il fratello, Ludovico. Il nuovo re promulga un nuovo statuto, con il quale riorganizza il Consiglio di Torino, dividendolo in tre classi: nobiles, mediocres, populares, con il chiaro intento di dare un maggiore peso ai cittadini per contrastare l’élite urbana. La riforma non ha di fatto successo e le famiglie continuano incontrastate ad esercitare il loro potere.
Con l’estinzione del ramo d’Acaia, anche Pinerolo perde d’importanza, a favore di Torino, che accelera il proprio processo di diversificazione del tessuto urbano, con l’introduzione di una nuova classe di cittadini influenti che esercita il potere accanto ai nobili.
La corte ducale e l’Università danno forte impulso culturale alla città, con il fatto che i Savoia sono sempre stati grandi mecenati. La famiglia sabauda aveva commissionato opere d’arte e decori per le residenze di Chambéry e Annecy, ora annettono al gruppo degli artisti il torinese Giovanni Jaquerio, autore tra l’altro, tra il 1426 e il 1430, di una serie di affreschi per il monastero di Sant’Antonio di Ranverso, nei pressi di Torino.
Per quel che riguarda l’Università, il polo culturale rimane uno dei piùimportanti e rinomati del territorio, anche se profondamente – e forse eccessivamente- legato alla tradizione. Lo stesso Erasmo da Rotterdam, che consegue proprio a Torino il dottorato in Teologia nel 1506, critica piuttosto aspramente l’Ateneo, giudicandolo estraneo alle nuove correnti rinascimentali.
Nel corso del Quattrocento i Savoia ordinano una serie di interventi volti ad abbellire Torino, tra questi il più celebre è sicuramentel’edificazione del Duomo, voluto dal cardinale Domenico della Rovere; il prelato incarica per la costruzione delle sue “pietre viventi”l’architetto toscano Bartolomeo di Francesco da Settignano, noto come Meo del Caprina, probabilmente conosciuto a Roma.
Vengono inoltre portate avanti varie regolamentazioni in materia di igiene pubblica, sostenute soprattutto dalla duchessa Bianca.
Mentre l’urbanistica della città viene messa a lucido, il Consiglio cittadino lavora incessantemente per portare avanti i compiti di ordinaria amministrazione.
Torino è nel turbine del rilancio economico, cause esterne contribuiscono all’incremento del commercio del pellame e del cuoio, mentre nel 1474 due artigiani di Langres si stabiliscono in città e aprono la prima bottega di stampa; per dieci anni contribuiscono alla diffusione di diversi testi religiosi e giuridici.
Le cose stanno cambiando, il fermento culturale ed economico non basta a sedare né le tensioni sociali, né le ostilità tra i Savoia e le famiglie aristocratiche. Il governo dei Savoia è per Torino fonte ambivalente, da una parte causa di successo ed estensione, dall’altra motivo di disordini e turbamenti. L’urbe è al centro delle lottedinastiche, l’instabilità politica incide in negativo sul tenore di vita dei cittadini, l’ordine pubblico è continuamente minacciato, eppure la vita culturale e religiosa pare svolgersi normalmente, come testimoniano le attività degli artisti Martino Spanzotti, Marino d’Alba e soprattutto Defendente Ferrari, allievo di Spanzotti e principale punto di riferimento per le successive generazioni di artisti piemontesi. Si diffondono nuovi culti, tra cui quello per la Vergine della Consolata, particolarmente sostenuto dalla duchessa Iolanda di Savoia, la devozione per il per il Divino Sacramento o Corpus Domini. Nel 1515 papa Leone X eleva la diocesi di Torino ad arcivescovado, separandola dalla sede milanese; nel 1517 viene nominato arcivescovo Claude Seyssel, un illustre prelato, prima insegnante di diritto presso l’Università di Torino.
La situazione tuttavia era precipitata già a partire dal 1454, circa una decina d’anni dopo la Pace di Lodi, quando l’invasione dei Francesi aveva scatenato un ciclo di guerre tra Francia e Spagna per il dominio della penisola. Gli scontri perdurarono fino al 1559, quando i possedimenti dei Savoia furono costantemente contesi dalle due potenze. È tuttavia il 1536 l’anno critico per la casata dei Savoia. In pochissimo tempo il duca Carlo II assiste impotente all’invasione degli eserciti francese, spagnolo ed elvetico; Francesco I si appresta ad un’altra incursione in Italia per sottrarre Milano al dominio di Carlo V e questa volta Torino viene occupata e espugnata dai Francesi.
Quando viene ordinato alla cittadinanza torinese di costruire nuovi bastioni, il popolo, stremato dalle tasse, si rifiuta di anticipare il denaro per la costruzione delle edificazioni; il 27 marzo Carlo V si congeda dal Consiglio cittadino e si ritira a Vercelli con un piccolo seguito di soldati, cortigiani e funzionari. Il 1 aprile l’esercito francese raggiunge i sobborghi torinesi e invia un araldo per chiedere la resa della città. I sindaci trattano con il comandante francese e ottengono la garanzia che le leggi e i privilegi dei cittadini vengano rispettati. La città apre le porte, le truppe francesi avanzano in città e qui si insediano, tra problemi di non facile soluzione, fino al 1559, quando la pace di Cateau-Cambresis restituisce Torino e il Piemonte ai Savoia, grazie a Emanuele Filiberto I (detto “Testa di ferro”), il duca che più di ogni altro ha influito sulla politica sabauda. Egli ha reso Torino difendibile costruendo la Cittadella, un sistema di fortificazione ancor oggi osservabile; a lui si deve la creazione di un apparato militare stabile formato non da mercenari ma da soldati piemontesi appositamente addestrati, a lui si ascrive la riorganizzazione dello Stato, ma di questo e altro, cari lettori, parleremo la prossima volta.
ALESSIA CAGNOTTO
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