“Le 8 montagne”, storia d’una amicizia, di stabilità, di fughe e di ritorni

Dal romanzo di Paolo Cognetti, Premio Strega 2017

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

È l’estate del 1984 quando Pietro, nelle vacanze in Val d’Aosta dove i genitori lo hanno portato, incontra Bruno. Lui vive a Torino, famiglia borghese, buona educazione, vietate le parolacce “perché noi non siamo così”, carattere solitario e chiuso, il nuovo compagno un ragazzino abituato a vivere tra le case di pietra e le strette strade del paese, legato alle sue montagne, ai piccoli lavori di muratore che ha appreso a fare, alle mucche che con lo zio malgaro accompagna agli alpeggi, ad una scuola che è l’ultimo dei suoi pensieri. Tra sentieri tutti da scoprire e laghetti in cui tuffarsi, tra scherzi e corse, tra voli d’uccelli e rituali della natura, tra gite verso le nevi bianche dei ghiacciai, quando il padre di Pietro s’impone freddamente a guida, tra giornate che trascorrono tutte eguali ma egualmente spensierate e allegre, nasce quell’amicizia che negli anni successivi si stringerà sempre di più. È il primo capitolo delle “8 montagne” – Premio della Giuria lo scorso maggio a Cannes, condiviso con “EO” di Skolimovski – che i registi belgi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, coppia d’arte e di vita, hanno tratto in pieno rispetto dal romanzo omonimo di Paolo Cognetti, Premio Strega 2017: romanzo di amore per la montagna e di descrizioni bellissime pronte a catturare completamente il lettore, romanzo di formazione e di rapporti, romanzo di ricordi e di vita e di psicologie che nella loro crudezza a volte sembrano fare a pugni con la bellezza dello scenario che le circonda e che le anima. È un romanzo di padri e di figli, i primi assenti o incapaci di costruire legami, legati come sono al personale mondo del lavoro, ad un’indifferenza di fondo, gli altri spinti a cancellare figure ingombranti o da sempre allontanate.

È il film (che abbiamo amato, come già il romanzo) della maturità, intriso ad ogni inquadratura di una malinconia che si sparge su uomini e cose, di una maturità che porta Bruno a consolidare i legami che ha stretto con la sua montagna, a trovare un punto stabile in quei ruderi verso cui s’impegna a ridare nuova quanto solida vita, quella montagna che ogni giorno va raggiunta con il fisico e con la mente, a cercare una maggiore fermezza nella famiglia, ma capace anche di ripetere gli stessi errori da sempre rinfacciati alla figura paterna; e che porta Pietro a cercare il proprio posto nel mondo, tra quelle montagne cui ad ogni momento è pronto a ricongiungersi, con un atteggiamento e con un una speranza sempre nuovi, per poi immediatamente abbandonarle, in un continuo susseguirsi di fughe e di ritorni, sino a spingersi sin nel lontano Nepal, dove forse troverà quella pace che per anni ha inseguito. Disegnare su un foglio un grande cerchio a simboleggiare il mondo, creare otto montagne e otto mari, al centro una montagna più alta: per scommettere chi ha appreso di più, se Pietro attraversando quelle montagne o Bruno richiudendosi su quell’unica vetta. Due diversi cammini; e nella scelta da parte degli autori, tra campi lunghi e inquadrature fisse, tra riprese dall’alto e visi catturati da vicino, del formato quadrato c’è la volontà di racchiudere in uno stretto spazio visivo l’intera storia di rapporti per porre in secondo piano la verticalità delle montagne.

Pietro e Bruno hanno i visi – e le chiusure e i sentimenti – di Luca Marinelli e Alessandro Borghi, due convincenti interpretazioni, forse Borghi con qualche applauso in più, un bell’incrociarsi di sguardi e di fisicità, la costruzione esatta e senza mai qualcosa di troppo dei personaggi, momenti allegri e increspature, la rabbia e le confessioni e la momentanea gioia di vivere intrise di vita autentica. Accanto a loro Filippo Timi e Elena Lietti, i genitori di Pietro. E ancora: un ritmo giusto, una cadenza di racconto condotta con maestria, anche nella brevità di certi passaggi, con la conseguente durata che supera le due ore, contrariamente ai rimproveri di una certa critica nei confronti del lavoro della coppia d’autori.

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