Oltre Torino. Storie, miti, leggende del torinese dimenticato
Torino e l’acqua
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Il fil rouge di questa serie di articoli su Torino vuole essere l’acqua. L’acqua in tutte le sue accezioni e con i suoi significati altri, l’acqua come elemento essenziale per la sopravvivenza del pianeta e di tutto l’ecosistema ma anche come simbolo di purificazione e come immagine magico-esoterica.
1. Torino e i suoi fiumi
2. La Fontana dei Dodici Mesi tra mito e storia
3. La Fontana Angelica tra bellezza e magia
4. La Fontana dell’Aiuola Balbo e il Risorgimento
5. La Fontana Nereide e l’antichità ritrovata
6. La Fontana del Monumento al Traforo del Frejus: angeli o diavoli?
7. La Fontana Luminosa di Italia ’61 in ricordo dell’Unità d’Italia
8. La Fontana del Parco della Tesoriera e il suo fantasma
9. La Fontana Igloo: Mario Merz interpreta l’acqua
10. Il Toret piccolo, verde simbolo di Torino
9. La Fontana Igloo: Mario Merz interpreta l’acqua
Torino non è solo nebbiosa e malinconica nei tristi mesi invernali, né è da considerarsi unicamente come capoluogo magico e misterioso.
Torino “enigmatica ed inquieta”, per dirla con De Chirico, è città ricca di storia che ha radici antiche, come testimonia il suo stesso nome, Augusta Taurinorum, il villaggio fondato dal princeps romano Augusto nel I secolo a.C., Torino città composta, circondata dalla cerchia delle imponenti vette alpine, città sobria ed elegante, dalle vie diritte, per secoli cuore del Regno dei Savoia, città teatro dell’Unità Nazionale. I grandi architetti che di qui sono passati hanno lasciato testimonianze importanti, ricordiamo fra tutti Juvarra e Guarini. Città capitale di un regno e di una nazione, divenuta poi capitale del cinema e dell’automobile. Torino però è anche importante città d’arte.
Numerosi sono i musei dedicati all’attività artistica, come la GAM (la Galleria d’Arte Moderna), il Museo delle Antichità, la Fondazione Merz, Camera, la Galleria Sabauda e molti altri ancora: la lista dei luoghi che proteggono e nello stesso tempo propongono al grande pubblico le opere d’arte è davvero molto estesa. Molteplici sono anche le iniziative volte ad avvicinare la cittadinanza a quello strano mondo che è quello dell’Arte, guardato sempre con distanza e ogni tanto con sospetto, soprattutto quando si tratta di arte contemporanea. Ma le opere non sono tutte all’interno delle gallerie, alcune si ergono coraggiose tra le strade della città, esposte alle intemperie e agli sguardi dei passanti, alcuni curiosi, altri critici, una tre queste è la Fontana Igloo di Mario Merz, (1925-2003). L’autore dell’opera è uno dei massimi esponenti dell’arte povera italiana; pittore e scultore, originario di Milano, si sposta quindi a Torino già in giovane età, dove si iscrive alla Facoltà di Medicina. Mario inizia a dedicarsi alla pittura grazie agli incoraggiamenti del critico Luciano Pisto, che lo inizia alla pittura ad olio. Il giovane artista dimostra fin da subito interesse per l’astrattismo-espressionista per deviare poi in un secondo momento verso una pittura più informale.
La prima mostra di Mario Merz viene allestita presso la Galleria Bussola di Torino nel 1954. É con gli anni Sessanta del secolo scorso che l’autore riesce a trovare la sua giusta espressività, lasciando la pittura e iniziando ad utilizzare materiali diversi, come i tubi al neon, il ferro, la cera e la pietra. Con queste nuove sperimentazioni crea i suoi primi assemblaggi tridimensionali, anche chiamati “pitture volumetriche”. Proprio in questi anni, e con le opere che esegue in tale periodo, entra a far parte di un gruppo di artisti, tra cui Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone e Lucio Fabro, che aderiscono alla corrente denominata “arte povera”. Caratteristica delle opere di Merz è l’utilizzo del tubo al neon, con il quale realizza degli slogan, soprattutto nel periodo di protesta studentesca del 1968; in seguito inizia a dedicarsi alla costruzione di grossi igloo, utilizzando materiali disparati che stavano a significare il definitivo superamento del quadro e della superficie bidimensionale. Successivamente, a partire dagli anni Settanta, Merz inserisce nelle sue opere la “successione” di Fibonacci, come simbolo e testimonianza dell’energia insita nella materia e della crescita organica.
Il termine “arte povera” viene utilizzato per la prima volta dal critico d’arte Germano Celant nel 1967 per descrivere uno specifico modo di lavorare di un certo gruppo di artisti italiani.
Tale movimento artistico d’avanguardia è stato uno dei più significativi e influenti tra i filoni artistici che nacquero nell’Europa nel decennio Sessanta-Settanta; gli artisti più significativi per lo sviluppo dell’arte povera furono circa una dozzina, tutti accomunati dalla caratteristica di utilizzare, per la realizzazione delle proprie opere d’arte, materiali di uso comune, che potevano richiamare epoche pre-industriali, come le rocce, la terra, la carta, la corda o degli indumenti vecchi. L’arte povera si pone in opposizione sia alla pittura astratta modernista, che aveva dominato tutti gli anni Cinquanta, (ed è per questo che la maggior parte delle opere di questi artisti è di tipo scultoreo), sia si contrappone al minimalismo americano e all’entusiasmo per l’utilizzo della tecnologia, (ed ecco l’utilizzo di materiali che rievocano un passato lontano, pre-industriale). Caratteristica del movimento è l’utilizzo di materiali semplici e artigianali, abbinati in genere a elementi che richiamano la cultura di massa e del consumo; le opere sono caratterizzate da un aspetto misterioso e mitico, di difficile comprensione, appositamente in contrasto con l’ “ovvio” design tecnologico e minimalistico americano; l’utilizzo dell’assemblage contrasta con la pittura astratta, considerata eccessivamente legata alla sfera emotiva.
Dopo questo breve excursus, torniamo a passeggiare tra le nostre strade cittadine, finché non ci imbattiamo in un bizzarro igloo circondato da macchine che sfrecciano in su e in giù verso chissà quali mete. È l’opera di Mario Merz, che fa parte dell’intervento urbano detto “Spina 2”, e viene posta all’incrocio tra corso Mediterraneo e corso Lione, nel grande viale finalizzato ad attraversare la città da nord a sud. Si tratta di un igloo con una struttura ricoperta di lastre in pietra e luci al neon, indicanti i punti cardinali, situato al centro di una grande vasca con delle canne verticali che gettano acqua.Inaugurata il 6 novembre 2002, l’opera è un’istallazione permanete e rientra nel progetto “Artecittà-undici artisti per il passante ferroviario” lanciato nel 1999 dalla città di Torino.
L’intera opera è un’allegoria dell’abitare, un’architettura equilibrata che contiene spazio interno e spazio esterno, quasi a simboleggiare le esigenze della vita. L’igloo si richiama ai processi naturali di crescita, come la spirale e i numeri delle serie di Fibonacci, entrambi temi di grande interesse e molto cari all’artista. La fontana è una delle ultime opere firmate da Merz, scomparso nel 2003 e rappresenta in maniera inconfondibile lo stile del maestro.
Alessia Cagnotto
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