Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Vanessa Montfort “La donna senza nome” -Feltrinelli- euro 20,00
Questa volta la scrittrice spagnola 46enne narra la vicenda romanzata di una frode letteraria del secolo scorso, «..forse la più grande frode della storia della letteratura universale, non solo spagnola».
Gregorio Martínez Serra, considerato il padre letterario del modernismo spagnolo e autore di famose opere teatrali di inizio Novecento, non le avrebbe scritte lui. Sarebbe stata invece la moglie María de la Lejárraga.
Vanessa Montfort imbastisce un corposo romanzo lungo 600 pagine -oscillante tra feuilleton e affresco storico- diviso su due piani temporali.
C’è la storia vera di un legame d’amore; quello che ha unito Maria e Gregorio, il loro connubio teatrale è all’origine di alcune delle più importanti opere spagnole.
Poi la scrittrice si avvale di un escamotage, la finzione letteraria che le permette di portare a galla una verità sommersa. Lo fa inventando le ricerche e le indagini di una regista teatrale, Noelia Cid, che nel 2018 deve portare in scena per la prima volta un’opera perduta del secolo scorso, “Sortilegio”, tragedia attribuita al drammaturgo Gregorio Martínez Serra. Chi è il vero autore?
La storia che la Montfort ricostruisce è per lo più vera, e annovera personaggi realmente esistiti. Un romanzo denso di atmosfere, che ci immerge nella Parigi di inizio Novecento, della Belle Époque con i suoi fermenti culturali e il primo Moulin Rouge; la Madrid letteraria degli anni Venti e l’esilio durante la guerra civile spagnola. Poi la tragedia del Titanic e delle due guerre mondiali, e tanto altro ancora, compresi gli anni d’oro di Hollywood. Nel corso della sua vita Gregorio Martínez Serra raccolse un successo dopo l’altro e venne a contatto con i personaggi più importanti della sua epoca.
Ma centrale è l’indagine che si dipana strada facendo e mette in primo piano un personaggio poliedrico come quello di Maria de la Lejárraga, morta a 100 anni a Buenos Aires nel 1974. Un secolo di vita in cui è stata maestra, moglie, scrittrice, drammaturga, politica (deputata nella Spagna pre-franchista e poi esiliata), femminista, scopritrice di talenti.
Il suo legame con Gregorio è stato una storia d’amore, lei era quella forte che lo proteggeva come un figlio e gli perdonava tutto; ma ci fu anche il tradimento, sentimentale e professionale. Lui aveva una relazione con l’attrice Catalina Bárcena che gli diede una figlia. Maria lo scoprì, lo lasciò, ma non divorziò mai e si firmò fino all’ultimo María Martínez Serra.
Si è sempre pensato che al massimo avesse solo collaborato alla stesura delle opere del marito.
Invece Vanessa Montfort ha scavato a fondo e scoperto che lui avrebbe scritto ben poco, mentre il genio creativo sarebbe stata Maria. Tant’è che dopo la fine della loro convivenza Gregorio le scrisse continuamente scongiurandola di continuare a scrivere visto che lui non aveva nuovi testi.
Una tesi sostenuta anche da altre autorevoli studiose. Lui fu un punto di riferimento innegabile per il teatro, innovatore nella produzione e nella regia; ma la voce delle sue opere, per lo più, era quella di Maria.
Resta la domanda: come è stato possibile che una donna di tale tempra sia rimasta volutamente nel cono d’ombra del marito e fino all’ultimo non abbia mai pensato di rivendicare la paternità dei suoi scritti, lasciando a Gregorio tutta la gloria?
Emuna Elon “La casa sull’acqua” -Guanda- euro 18,00
Emuna Elon è nata a Gerusalemme, è cresciuta tra Israele e New York, ed è docente di letteratura ebraica, editorialista e consigliera del primo ministro israeliano per quanto concerne la condizione femminile.
“La casa sull’acqua” è il suo primo romanzo pubblicato in Italia, e ci viene da augurarci che altri seguano.
La storia che racconta è densa, emozionante e fa riflettere su cosa significhi essere dei sopravvissuti.
Protagonista è Yoel Blum, romanziere di successo, esponente della nuova letteratura ebraica, conosciuto a livello internazionale. Marito, padre e nonno -a volte distaccato affettivamente- uomo realizzato anche se con qualche ossessione, manie, e vuoto nell’anima.
Per la prima volta il tour promozionale lo porta ad Amsterdam, invitato dal suo editore olandese. Yoel arriva con la moglie Bat-Ami, per un ciclo di conferenze. Durante la visita al Museo Ebraico… la folgorazione e l’innesco della storia. Nelle immagini di un filmato di archivio riconosce il padre Eddy -poi morto in un campo di concentramento- e sua madre Sonia, giovanissima con in braccio un bambino biondo…..che non è lui.
Angoscia, dubbi, mistero e un passato di cui non sa nulla, tutto da ricostruire.
Sapeva di essere nato all’ospedale ebraico di Amsterdam, ma poi era cresciuto in Israele con la sorella Nettie e la madre che gli aveva fatto promettere di non tornare mai più in Olanda. Aveva tenuto a mente le parole di Sonia «Ricordati Yoel e non dimenticare: hai una madre, una sorella e hai te stesso. Tutto qui. Il resto non conta».
Ora invece il paese in cui è nato lo chiama con tutta la forza della Storia e della sofferenza dell’Olocausto, al quale è scampato.
Ritorna ad Amsterdam, poco dopo e senza moglie, deciso a indagare il passato e scrivere il libro che lo attende da sempre, quello decisivo, il capolavoro: la storia della sua famiglia e la tragedia del suo popolo. Alloggia in un alberghetto modesto che si affaccia sul quartiere ebraico dove vivevano i Blum. Ingannati dalla finta gentilezza con cui erano stati invitati a iscriversi all’anagrafe cittadina come ebrei e a cucirsi addosso la stella della condanna.
Yoel, giorno dopo giorno percorre le strade. Immagina la casa in cui la giovane Sonia aveva supplicato il marito di nascondersi; e lui ingenuamente aveva risposto «Mi prendono perché sono un medico. Hanno bisogno di medici. Non mi faranno del male». Invece Eddy non tornerà mai più e lei si ritroverà sola con due bambini, in cerca di salvezza.
Emuna Elon ci guida nei meandri della storia, fa rivivere al suo protagonista le tragiche atmosfere del passato: quando si pensava che in Olanda non sarebbe successo quello di cui arrivavano echi dalla Germania.
Invece la storia si è compiuta in tutto il suo orrore e Yoel ricostruisce i rapporti della madre con l’amica Bett, con la dubbia figura del banchiere ebreo de Lange che, anziché aiutare la gente del ghetto, sembra aver deciso la sorte dei suoi simili senza possibilità di appello.
Soprattutto, aiutato anche dalle rivelazioni della sorella e da incontri che fa ad Amsterdam – importante quello con Raphael, uno dei tanti bambini che erano stati nascosti presso famiglie cristiane- ricompone il puzzle complesso grazie al quale riuscirà a conoscere la verità su se stesso.
Laura Pezzino “A New York con Patti Smith. La sciamana del Chelsea Hotel”
-Giulio Perrone Editore- euro 15,00
Laura Pezzino è una giovane giornalista decisamente brava e si occupa principalmente di letteratura; interessantissime sono le sue interviste ai principali scrittori contemporanei, non solo italiani. Preparata, multilingue, ci regala preziosi articoli, soprattutto per chi ama leggere e vuol saperne di più sui suoi autori preferiti.
In questo libro -che è una sorta di geo biografia- insegue Patti Smith nei luoghi newyorkesi che ne hanno segnato maggiormente il cammino umano e artistico. Ci guida alla scoperta della Big Apple come era ai tempi in cui la mitica cantante vi mise piede.
Ci appassioniamo a lei giovanissima e senza un soldo che dal New Jersey plana nella città piena di fervore artistico e culturale; sono gli anni Sessanta degli hippies e di una pletora di artisti in erba, alcuni dei quali sfonderanno per diventare veri e propri miti…un esempio? David Bowie.
Laura Pezzino ha una sensibilità tutta particolare nei confronti di questa artista che ha sempre amato la poesia e che non immaginava di diventare una delle cantautrici più talentuose e celebri del XX secolo, ancora adesso sulla breccia a 75 anni.
Nel racconto della giornalista scopriamo l’amore della rockstar per i libri, la lettura e le poesie, trasmessole dalla madre. E non è un caso che Patti Smith abbia lavorato spesso nelle librerie, templi adattissimi a lei.
Poi, tra le altre cose, c’è l’incontro con il geniale e tormentato Robert Mapplethorpe, di cui divenne amante, musa, compagna per un tratto di vita. Tra i due ci fu un sodalizio artistico indissolubile: vissero in stanze minuscole, sempre alle prese con la penuria di soldi, lavoravano sul letto disfatto e pieno di disordine, intrecciavano amuleti. Lui creava le sue installazioni, lei scriveva e componeva. Questo anche quando l’amore era ormai finito.
La Pezzino insegue Patti Smith anche negli anni che scivolano nei Settanta e in una serie di incontri giusti al momento giusto, l’ingresso in mondi destinati a entrare nel mito e nella storia. Come quelli nella Factory di Andy Warhol, Lou Reed, Allen Ginsberg, Jim Carroll ed altri artisti che molto avevano da esprimere.
Tantissime sono le suggestioni in questa ricostruzione della vita, delle svolte, dei topos newyorkesi: primo fra tutti il Chelsea Hotel, uno dei più iconici di New York, che ospitò nomi sacri dell’arte e della cultura.
Altra dote interessante di queste 150 pagine è l’abilità e la piacevole leggerezza con cui Laura Pezzino alterna ricordi personali della sua esperienza entusiasmante nella Grande Mela alla road map della vita di Patti Smith.
Sherill Tippins “Chelsea Hotel. Viaggio nel palazzo dei sogni” – EDT- euro 23,00
Questo libro non è recente, è del 2014, però è una pietra miliare nella ricostruzione degli anni d’oro dell’iconico Chelsea Hotel. E’ la storia di un edificio e soprattutto dei leggendari personaggi che abitarono nelle sue stanze.
Un edificio di 12 piani in mattoni rossi e finestre a bow window, situato al 222 della 23esima Ovest, nell’area di Chelsea, a Manhattan.
Fu costruito a fine Ottocento, nel 1884 aprì le sue porte e nelle intenzioni del fondatore doveva essere un progetto cooperativistico secondo le teorie socialiste di Charles Fourier: un esperimento di vita comunitaria che coinvolgesse più nuclei familiari di estrazioni sociali diverse.
L’idea di fondo era quella di farli convivere in un amalgama armonioso in cui tutti dovevano sentirsi a casa, accettati e rispettati pur nelle loro diversità. Soprattutto gli artisti che avrebbero dovuto vivere come in una comunità, condividendo cucina e spazi comuni dedicati per sentirsi una grande famiglia.
Una sorta di isola bohémien nel cuore della Big Apple, una delle città più capitalistiche del mondo.
Poi fu trasformato in hotel e abitato per lo più da artisti destinati a diventare grandi e famosi.
Furono davvero tantissimi…a partire dagli scrittori Mark Twain, Dylan Thomas, William Burroughs, Gregori Corso, e ancora…Arthur Miller e Tennessee Williams. Tra i musicisti transitati nelle stanze del Chelsea Leonard Choen, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Joni Mitchell, Patti Smith, Bob Dylan e tanti altri; come pure registi della caratura di Kubrick, Milos Forman, e poi pittori, musicisti e intere generazioni di menti creative.
La giornalista e scrittrice americana Sherill Tippins ha compiuto una mastodontica ricerca, accurata e approfondita, grazie alla quale ha ricostruito la vita degli anni gloriosi del Chelsea e, come derivato imprescindibile, quella di chi in quelle stanze ha creato arte, sogni. Ma anche autodistruzione, libertà al limite del borderline, uso di droghe varie, assortite e pericolose. Tra le sue pareti si sono abbattute inibizioni, consumati amori, ossessioni e incubi, tonnellate di genio e creatività nei più svariati campi.
Ma spesso si è anche infranto il sogno di poter cambiare il mondo attraverso l’arte, si sono sfiorati emarginazione, alienazione e nichilismo. Si giustificava l’autodistruzione con lo stereotipo dell’artista folle. Genio e follia ai massimi livelli.
Nel 2011 l’edificio è stato comprato da una importante società immobiliare newyorkese, ma a noi piace rivedere i suoi tempi dorati e immaginarci la grande Isadora Duncan che danzava per gli amici durante le feste.
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