Nelle sale della Galleria Biasutti & Biasutti, sino al 19 marzo
Con l’esposizione di una quindicina di opere, la galleria Biasutti & Biasutti (via Bonafous 7/L) rende omaggio, a dieci anni dalla scomparsa, all’arte di Francesco Tabusso (era nato a Sesto San Giovanni nel giugno 1930, è scomparso a Torino nel gennaio 2012). Un’arte che si avvia all’ombra degli insegnamenti di Felice Casorati, nello studio di via Mazzini e nella casa di Pavarolo, tra il 1949 e il 1954, che vedrà le prime affermazioni in grado di portarlo ai premi e alle partecipazioni (le Quadriennali romane, le Biennali di Venezia), alle mostre-concorso bandite da diverse città italiane per dotare di nuove acquisizioni le proprie Pinacoteche e Gallerie d’Arte Moderne (nel ’60 “Paesaggio” trovò spazio a Firenze, tre anni prima anche il Museo Puškin di Mosca aveva avuto un’opera dell’artista, entrato a far parte ormai definitivamente del mondo torinese). Tra le tante affermazioni, nel ’75 Tabusso è impegnato nella grande pala absidale “Il Cantico delle Creature” nella Chiesa di San Francesco, costruita da Giò Ponti, al Fopponino di Milano, portata a termine con gli otto trittici del 1984, mentre negli stessi anni si sviluppa la ricerca attorno alle figure di Mathias Grünewald prima e poi con i maestri dei secoli antichi, dal Pitocchetto a Georges de la Tour, da Goya a Rembrandt e Caravaggio.
Periodi che hanno ricoperto una carriera lunga sessant’anni, con 150 personali e quasi 250 collettive, una importante collaborazione con i più importanti scrittori del Novecento, Piero Chiara (“La sostanza delle cose”, con 18 disegni), Dino Buzzati, Eugenio Montale, Diego Valeri (“Dodici mesi”, dodici litografie commentate dal poeta), Nico Orengo, Giorgio Bassani (“Immerso fino all’orlo dalle palpebre inferiori nella melma umida e fermentante del più profondo Piemonte agricolo, dialettale e, se vogliamo, sottosviluppato, nella cronaca minore e comica dei suoi giorni senza storia, il pittore guarda le umili cose che lo circondano come se intendesse estrarre da essa la loro realtà più nascosta, più vera”), Mario Soldati (“Vino al vino”) e Mario Rigoni Stern, forse il più vicino al suo mondo.
Oggi la galleria ci ripropone l’amore per il territorio, le nature morte – un susseguirsi di asparagi, zucche, melograni, funghi -, le tradizioni e i miti, i ricordi di viaggio (“Recuerdo gallego”), gli stormi di uccelli che solcano il cielo, uno dei tanti uomini col vischio visti nelle tante mostre del passato (“Uomo con vischio a Constant”, 2005), i montanari della val di Susa immersi nei panorami che Tabusso conosce bene e frequenta e colora, i paesaggi placidamente punteggiati dal cadere della neve, mentre magari un uomo e una donna con il loro bambino si preparano in semplicità ad una colazione fatta di panini e di frutta, le distese candide e i tetti del villaggio ricoperti di bianco – “E dalla neve estrae i colori, quelli che noi non riusciamo a vedere e che lui invece sa dipingere, regalandoci la meravigliosa sorpresa di poter guardare nei suoi quadri un qualcosa di altrimenti misterioso, inconoscibile. Un’atmosfera sottile delicata, soffice, impalpabile, confusa tra i personaggi-amici che fan calca sulla tela”, scriveva Gianfranco Schialvino nel 2011, presentando la mostra “Mac fiòca” alla “Galleria Gianpiero Biasutti”-, il nuovo “Boscaiolo” che il pittore rappresenta su una vecchia tela di cui salva, in un cielo plumbeo, pieno di nubi scure, la parte superiore, su cui s’accentra la gazza ladra in volo. È il riscoprire felicemente, ancora una volta, la sacra sensibilità di Tabusso, la propria “pietas” verso un mondo antico, fatto di ricordi e di piccole cose, di sensazioni lontane. Di volta in volta, ogni cosa viene guardata come attraverso un sogno, accennata, evanescente, suggerita quasi, in altra occasione il tratto è incisivo, oscuro, scompaiono i colori della natura e dei frutti e delle erbe, per lasciare spazio ad esempio alla grande tela “Uova nel cappello” del 1988, di sapore antico, un orizzonte infuocato su cui s’immerge l’uccello nero, la sedia impagliata in primo piano, il povero che tende il vecchio cappello. È il riscoprire ancora una volta la poesia dell’artista, il suo mondo fiabesco, reso a farsi quotidianità ed emozione chiara e immediata, tangibile.
Capolavori, decisamente: come un capolavoro è “Maria Giulia (o Ragazza) nella serra” del 1985, un bel viso femminile (“ha la stessa vitalità selvatica, la stessa sensualità scontrosa del gatto e del gallo che le tengono compagnia”, in altra tela), i capelli biondi e l’abito ingentilito da mazzi di viole, incorniciato da un susseguirsi di piccole piante, dal differente fogliame, verdi, vive, minuscoli ricami nella tela. Così scriveva Elena Pontiggia al termine della sua introduzione in occasione della mostra “Francesco Tabusso, pittore di Torino”, nelle sale della Promotrice tra il marzo e il maggio 2007: “Così, alla fine, ci appare l’opera di Tabusso: un lungo discorso amoroso. Il suo affollato gineceo ne è insieme l’emblema e la metafora. Tabusso ha composto con i suoi dipinti un canzoniere: un repertorio di canti popolari, intessuto di una fantasia che ha il sapore della verità. E mai come oggi (in cui spesso nell’arte mancano l’una e l’altra) sentiamo di averne bisogno”. Da vedere, fino al 19 marzo.
Elio Rabbione
Nelle immagini, Francesco Tabusso, “Maria Giulia nella serra o Fanciulla nella serra”, 1985, olio su tela, cm 90 x 150; “Uova nel cappello”, 1988, olio su tela, cm 140 x 120; “Castagneto in riva al laghetto”, 1986 – 2001, olio su tela, cm 70 x 100; “Recuerdo gallego”, 1999, olio su tela, cm 40 x 60.
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