IL NODO

Il bullismo, la famiglia, la scuola: il “quando” e il “perché” di una tragedia

“Il nodo” di Johnna Adams, sino al 6 febbraio al Carignano per la stagione dello Stabile

Una classe di prima media nella scuola pubblica di Lake Forest, un piccolo centro nei dintorni di Chicago, una pedana e pochi banchi nel chiuso di una stanza. Un luogo che potrebbe essere completamente cancellato, l’universalità rende il “dove” non importante, è importante il “quando”, è importante soprattutto il “perché”. L’azione potremmo ritrovarla qui o chissà dove, non avrebbe nessuna importanza, le troppe storie che leggiamo ormai quotidianamente ci hanno sentiamo che i confini sono stati infelicemente cancellati.

È l’orario per i colloqui con gli insegnanti, la signora Heather Clark, madre single di Gidion, arriva inaspettata – intimamente devastata: la ferita è recente ma quella devastazione non si vede, non è conclamata, si è lì per lottare, quello è un ring, con un ordine da sovvertire mandando ogni cosa a gambe all’aria, è una lotta all’ultimo sangue, per i sentimenti da squadernare non c’è spazio – davanti all’insegnante Corryn Fell, dell’appuntamento non c’è traccia, eppure Heather deve interrogare, deve sapere. Le prime parole aspre, i primi alterchi, i primi tentativi di ricomporre una situazione, le prime ambiguità, quelle stesse ambiguità che sono il perno intorno a cui ruota il testo. Dovrà pur sapere perché suo figlio abbia ricevuto nei giorni precedenti una lettera di sospensione, forse per un comportamento scorretto o per un rimprovero troppo forte, inadeguato, proprio da parte della Fell, perché lo abbia visto tornare a casa con dei lividi, vittima di bullismo?, chi lo abbia picchiato e per quali motivi, se la vittima sia stata lui o se al contrario sia stato proprio lui a molestare, quale peso abbiano avuto quei compagni più vicino a lui. Deve sapere perché pochi istanti dopo si sia chiuso nel garage di casa per non uscirne più.

“Il nodo” della scrittrice americana Johnna Adams, nella traduzione di Vincenzo Manna e Edward Fortes inserito nella stagione dello Stabile torinese, fa domande ed esige risposte, mentre la disgrazia del suicidio di Gidion aleggia in una continua tensione, un realismo che, complice il cambio di luci, si tramuta quasi in una favola, per un attimo, alla lettura dell’ultimo tema del ragazzo. Domande e risposte che faticano ad uscire fuori dalle bocche, e dai cuori, mescolate tra sospiri e urla, tra parole scandite e frasi che nella rabbia si sovrappongono l’una all’altra, tra rimproveri e verità che sfuggono. Il privato si mescola al pubblico, qual è il peso dell’educazione, quale il peso di una famiglia o della scuola, con i piccoli successi e le sconfitte irreparabili, le parole della madre single ribattono a quelle dell’insegnante che meriterebbe in altro tempo una commedia a sé (l’insegnamento forse portato avanti senza gioia, disperatamente subito, non un figlio, non uno straccio di famiglia, i giorni uno eguale all’altro), la ricerca della verità che dura realisticamente 80’, nel quesito senza spegnimento di chi sia la colpa e la responsabilità, la ricerca delle cause e non degli effetti.

Incisiva, alla ricerca di dare ancora più spessore alle parole, ai “momenti”, del testo, la regia di Serena Senigaglia, che cattura con bravura gli anfratti continui che emergono tra le parole; forti interpreti, preziose nella loro verità di attrici, Ambra Angiolini (che è Heather) e Arianna Scommegna (che è Corryn), indimenticata “Misery” un paio di anni fa. Sala osannante, con le attrici a ringraziare in proscenio, pronte allo stupore e anche alla furtiva lacrima. Da vedere, si replica al Carignano sino a domenica 6 febbraio.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Azzurra Primavera

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