La nostalgia di quando a Capodanno si tornava a piedi in città

1973:  e’ il primo Capodanno che mi ricordo. Non era una tradizione familiare. Avevo 16 anni, beata gioventù

Si deambulava tra  scuola casa ed oratorio con annesso campo da Basket. Sarà stato il 29 dicembre ed un amico di disse: si sono liberati due  posti per il cenone, ci vieni? Presto fatto ed ho risposto di sì, e dopo il compito di convincere i miei.

 

Con mia madre una passeggiata, più difficile con il papà. Mi sbagliavo: con tutti e due fu facile. L’ eccitazione cresceva, obbiettivo Cavoretto. Manco sapevo dove era ma dovevo la sua conoscenza alle canzoni dialettali di Roberto Balocco: a ie’ na salita da Turin a Muncale’ se ti vade cun la bela cita. Per allora la lingua ufficiale era ancora il Torinese. Cose che sono capitate. Appuntamento alle 21, 30, oratorio Michele Rua. Pullman 57 fino in piazza Solferino e poi bus fino a Cavoretto. Nessuno aveva l’ auto e la relativa patente, i nostri stavano tranquilli. Verso le 23 eravamo seduti per iniziare. Tutto programmato per il panettone e spumante da stappare alle 24. L’ unica cosa che mi ricordo benissimo è la pessima qualità dello spumante. Avrei capito dopo che cosa era il vino buono. Prezzi modici e qualità così così. Carlin Petrini era da venire con il suo Slow Food. Più sfumato è il ricordo delle luci e della sala. Luci accecanti e coppie di signori attempati che aspettavano solo che arrivassero le ore danzanti. Grazie ad una grande vetrata le luci della città sono un vero spettacolo. Leggera tristezza che svanisce al rintocco delle 24. Ed anno nuovo fu. Fino all’ una per senso di dovere e per ammortizzare la spesa e poi giù verso Torino e la Barriera. Tutto rigorosamente a piedi. Taxi troppo costosi e mezzi pubblici non funzionanti. Dopo i botti il rumore di auto che si allontanavano. Insomma, diciamocela tutta tutta, nulla di eccezionale, anzi direi un po’ piatto e se si vuole banale. Ma è il primo capodanno degno di nota e di ricordo. Il primo simile a un  primo amore che non si scorda mai. Poi altri Capodanni come quello a Leinì. Singer occupata perché erano stati licenziati tutti gli operai. Non c’ era ancora la cassa integrazione ma una soluzione si trovò per tutti. O l’ anno successivo a Frattamaggiore,  in provincia di Napoli, nel giocare a Tombola con i fagioli come premio. Ci si evolve  anche nei Capodanni. E si cresce. Retorico? Forse ma è tanto bello ricordare con quel  goccio di nostalgia che non guasta mai.

 

Patrizio Tosetto

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1 Comment

  1. Ho lasciato la Barriera quando tu nascevi. Ricordo anch’io il mio primo capodanno trascorso con gli amici fuori porta, cibo discutibile per non parlare dello spumante… Ma che euforia. Tornare a casa a piedi saltellando e gonfi d’orgoglio. E di gioventù.

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