L’arte “anacronistica” a braccetto con quella “industriale
Fino al 19 dicembre, la prima, e fino al 24 ottobre la seconda
Sarà anche strana coppia. Ma non di meno ci appare estremamente interessante e suggestiva l’accoppiata in mostra al “MEF-Museo Ettore Fico” di Torino del napoletano (da anni operante fra Roma e Spoleto e per la prima volta a Torino) Stefano Di Stasio e del collettivo “Aganahuei”. Entrambe curate da Andrea Busto (direttore del Museo di via Cigna) con testi in catalogo di Vittoria Coen, le due rassegne –“Un attimo di eternità”, fino al 19 dicembre, la prima e“A noi importa il tempo che viviamo”, fino al 24 ottobre, la seconda – evidenziano con tutta chiarezza e altezza di toni alcune fra le varie e di certo più suggestive strade che può assumere nelle sue mille sfaccettature interpretative il linguaggio dell’arte contemporanea. Esponente di spicco dell’ “Anacronismo”, movimento artistico teorizzato da Maurizio Calvesi negli anni Ottanta (rivolto ad esaltare un ritorno alla pittura tradizionale in contrasto con le tendenze concettuali dell’epoca), Di Stasio “attinge a piene mani – scrive Andrea Busto – dalla storia dell’arte, soprattutto quella italiana, fonte inesauribile e autogerminante ove il passato, il presente e il futuro sono sostantivi dal sugnificato incomprensibile”. Il suo è un acuto compendio della storia dell’arte di figurazione nelle sue più essenziali espressioni ed espressività.
Da quella rinascimentale al Barocco alla Metafisica dechirichiana (Di Stasio incontra De Chirico a soli dodici anni nella casa romana dell’artista di Volo e ne resta folgorato portandosi dietro negli anni le visioni e le intuizioni del Maestro, l’essenzialità delle sue architetture, la classicità delle forme e delle figure e quella particolre atmosfera onirica di enigmatica e trascendente surrealtà), finanche all’esperienza iperrealista degli anni Settanta. Tutta la matrice – la più profonda – di quel secolare percorso artistico ritroviamo nelle opere del pittore napoletano, in una sorta di caleidoscopio pittorico realistico e di vigorosa perfezione. Mai però di facile lettura. Perché i suoi sono “paesaggi dell’anima”, scrive a ragione Vittoria Coen, dai quali “affiora una conoscenza profonda della cultura classica, fatta di simboli e significati allegorici, a volte sorprendenti, come se l’artista, attraverso il lento fluire delle sapienti pennellate, ci svelasse il teatro della vita attraverso un intreccio di quinte, di piani contrapposti e intrecciati, di simultanea rappresentazione dello spazio e del tempo, in cui passato e presente sembrano confondersi nella visione notturna di un sogno che prende corpo sulla tela”.
Che diventa, afferma lo stesso Di Stasio, “percorso PER immagini e non pensiero che USA immagini”. Come dire: gesto pittorico lasciato libero di andare “alla potenza evocativa dell’immagine stessa”, come essa si presenta, in prima battuta, alla mente e prima che intervenga, a modificarne la visionarietà dell’intuizione, lo spirito razionale. Una mostra “storica” e di impegnativa interpetazione. Al centro le opere di un artista presente a varie “Biennali di Venezia” (nell’ ’84 fu lo stesso Calvesi ad invitarlo con una sala personale ad “Arte allo Specchio”) e a numerose “Quadriennali” di Roma, oltreché in innumerevoli e, fra i più prestigiosi, Musei nazionali e internazionali. Una proposta, l’antologica di Di Stasio al “MEF”, di preziosa godibilità, accanto a quella di “Aganahuei” , “fresca, nuova e divertente, per riprendere la vita -conclude Busto– in modo non troppo pesante”.
Collettivo di professionisti del mondo artistico (Bruno Sacchetto – Pietro de Carolis – Danilo Manassero – L. Ferrando –R. Fontanone), “Aganahuei” – ironica storpiatura all’Alberto Sordi dell’americano “I ‘m gonna away”– opera ad Alba ma, pur essendo piemontese doc, rappresenta una scoperta per il territorio. La produzione artistica dei cinque albesi si inserisce nel filone cosiddetto dell’ “arte industriale” o “arte in serie”, ispirata alla ricerca di Pinot Gallizio che proprio ad Alba realizzava con tecniche sperimentali, negli anni Cinquanta, “rotoli” di pittura industriale destinati ad essere venduti a metri e democraticamente per le strade così come nei grandi magazzini. Da “pret-à-porter” a “l’arte- à -porter”. Obiettivo: “rendere l’arte accessibile nella forma e nei contenuti al maggior numero possibile persone”. Dicono ancora i cinque: “Con l’arte industriale, l’artista torna ad essere un progettista, come già accadeva nelle botteghe d’arte del Quattrocento”. In mostra, attraverso percorsi di astratta informalità, troviamo installazioni realizzate con l’uso della tecnologia digitale e dei nuovi materiali prodotti dall’industria italiana: dal dibond all’alluminio al propilene sagomato, per arrivare alla stampa digitale su banner in pvc e vetroresina. Di creatività ce n’è davvero tanta.
Gianni Milani
“Un attimo di eternità” – “A noi importa il tempo che viviamo”
MEF-Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/853065 o www.museofico.it
Fino al 19 dicembre (Di Stasio) e al 24 ottobre (“Aganahuei”)
Orari: ven. 14/19 – sab. e dom. 11/19
Nelle foto
– Stefano Di Stasio: “Autoritratto dopo Cristo”, olio su tela, 1980
– Stefano Di Stasio: “Quartetto”, olio su tela, 1985
– Aganahuei: “Woman”, stampa digitale su banner
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