Torino e i suoi teatri. Storia del Teatro: il mondo antico

Torino e i suoi teatri

1 Storia del Teatro: il mondo antico
2 Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti
3 Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri
4 I teatri torinesi: Teatro Gobetti
5 I teatri torinesi :Teatro Carignano
6 I teatri torinesi :Teatro Colosseo
7 I teatri torinesi :Teatro Alfieri
8 I teatri torinesi :Teatro Macario
9 Il fascino dell’Opera lirica
10 Il Teatro Regio.

 

1 Storia del Teatro: il mondo antico

Per scaramanzia non lo diciamo a voce troppo alta, ma le cose sembra stiano migliorando e si ha la comune impressione che, poco a poco e con le dovute precauzioni, si possa tornare a togliersi qualche sfizio.

Il mese scorso io stessa ho riscoperto il piacere di andare al cinema e, lo ammetto, mi è parso un delizioso diletto dal gusto antico, sedersi – distanziati- sulle poltroncine, osservare le luci che si assopiscono, quell’attimo di buio afono che separa l’inizio della pellicola dall’incessante parlottio delle pubblicità. Le piccole cose dunque non sono poi così tanto piccole: i divertimenti, le passioni, gli “hobbies” fanno parte di noi così come i grandi insegnamenti dei libri e della scuola.
Torino ovviamente offre una molteplicità di scelte non indifferenti per quel che riguarda come trascorrere il tempo libero, le vie del centro brulicano di locali dove sedersi per un aperitivo, le panchine lungo il Po costeggiano il fiume sia per i viandanti affaticati che per le coppiette innamorate e le sale dei cinema sono nuovamente pronte ad accogliere gli amanti della celluloide. Eppure tra i tanti modi di occupare una serata ce n’è uno che talvolta passa in sordina: andare a teatro.
In questo nuovo ciclo di articoli vorrei proprio dedicarmi a raccontarvi qualcosa dei maggiori teatri torinesi, quali il Gobetti, il Carignano o ancora il celeberrimo Teatro Regio, nella speranza – cari lettori- di intrattenervi piacevolmente, di narrarvi qualcosa di nuovo o di cui vi eravate momentaneamente dimenticati e, soprattutto, con l’augurio di spingervi a passare qualche piacevole serata estiva in compagnia di attori e musicisti.

Tuttavia prima di addentrarmi nel vivo dell’argomento, vorrei proporvi una più che breve storia del teatro e dello spettacolo, a partire dalle origini fino alla contemporaneità. Va da sé che la materia è assai vasta, complessa e articolata, tenterò dunque di svolgere l’esposizione nel modo più esaustivo possibile, cercando di non tediarvi con eccessivi cavilli.
Che queste letture siano appunto uno svago, un breve passatempo mentre osservate lo scorrere del fiume o sorseggiate un Martini al Caffè Torino.
La parola “teatro” deriva dal greco “θέατρον” (théatron), “luogo di pubblico spettacolo”, termine che rimanda al verbo “θεάομαι” (theàomai) “guardare”, “essere spettatore” e indica un insieme di diverse discipline che vanno a concretizzarsi nell’esecuzione di un evento spettacolare dal vivo.
Il teatro ha una storia antichissima, pare infatti che ancora prima della tragedia greca fosse praticato nell’antico Egitto, sotto forma del culto dei “Misteri di Osiride”.
Il primo punto da sottolineare è che la “storia del teatro” non equivale alla “storia della drammaturgia” e la “storia dello spettacolo” non è la “storia delle opere”; la “storia del teatro” è invece la materia che mira a ricostruire l’immagine di fenomeni perduti sulla base di diverse testimonianze, che possono comprendere documenti letterari, diretti, indiretti o figurativi, oggetti concreti, come ad esempio vasi su cui è stato rappresentato un attore, fino a prove più astratte come una moderna registrazione televisiva.
Caratteristica essenziale del teatro è l’essere “effimero”. Tale peculiarità viene apprezzata anche da diversi ambiti artistici in quanto “non produce prodotti” così come la “performance”, “l’action painting” o la “body art”, tutte modalità creative che volutamente pongono l’attenzione non sul prodotto artistico finale ma sulle modalità del suo farsi.
Da un punto di vista più storico-artistico e sociologico gli studiosi sono soliti far risalire le origini del teatro ai riti religiosi o alle identificazioni magiche tra l’uomo-attore e l’animale o l’oggetto interpretato, non di meno fanno altresì parte della storia del teatro quelle teatralità diffuse quali le feste o gli spettacoli popolari, alcuni tipi di giochi, le sfilate, le processioni o alcune esibizioni individuali.

Mi pare doveroso – prima di affrontare argomenti più conosciuti- un rapido accenno al teatro dei popoli “primitivi”, per lo più legato ad una periodicità fissa, cioè quella dei cicli stagionali. Tali manifestazioni, a cui partecipa l’intera comunità, diventano strumento essenziale per abolire metaforicamente la netta distinzione tra passato, presente e futuro, a favore di un’esperienza collettiva che coinvolge la storia e il destino del gruppo. Durante queste manifestazioni teatrali-rituali non solo avviene l’insegnamento dei fenomeni naturali attraverso l’azione del “mimo” – l’anziano “mima” ai fanciulli i comportamenti degli animali o le fattezze delle piante- ma si assiste anche alla trasmissione in termini rappresentativi del patrimonio mitico-culturale; questi riti, spesso consistenti in brevi cerimonie, sono soliti avere una medesima struttura, essi sono divisi in tre momenti essenziali: le prove fisiche o psichiche, la manifestazione degli spiriti e la rivelazione agli iniziati che in realtà gli spiriti non sono altro che uomini mascherati.

Pur non dimenticando l’importanza di tali realtà, è necessario sottolineare che la base storica della tradizione teatrale dell’Occidente è da ricercarsi in Grecia nelle rappresentazioni tragiche e comiche dell’Atene del V secolo a.C. Questi spettacoli sono a loro volta connessi a precedenti forme rituali connotate con il termine “ditirambo”, ossia il canto lirico-corale, di cui troviamo testimonianza nella “Poetica” di Aristotele e nelle “Storie” di Erodoto. Da questi testi si evince che il “ditirambo” viene cantato e accompagnato da danze, dunque non si tratta solamente di una forma letteraria bensì di uno spettacolo a tutti gli effetti.
Gli spettacoli tragici in Atene si svolgono in tre periodi dell’anno, durante le “Grandi Dionisie”, le “Lenee” e le “Dionisie rurali”, tutte festività in onore del dio Dioniso; essi hanno luogo in un edificio costruito su una collina, in modo da sfruttarne la pendenza, dotato di una scenografia e di un’orchestra, dove si muove il coro. Peculiarità del teatro greco è il crearsi di una forte simbiosi tra attori e spettatori, il pubblico infatti viene coinvolto in un’esperienza unica, che provoca la “catarsi”, una sorta di purificazione dell’anima. Questo avviene durante l’azione della tragedia, che suscita nello spettatore la necessaria riflessione per liberarsi dagli impulsi e “rinascere purificato”.
Gli spettacoli sono organizzati per conto e sotto la sorveglianza dell’autorità pubblica e sono un vero e proprio concorso (“agone”), al quale vengono ammessi tre poeti finemente selezionati, mentre la cura e le spese della messa in scena sono affidate ai cittadini più abbienti; vengono altresì dati dei premi alla migliore realizzazione scenica, al miglior poeta e al miglior attore.
È Aristotele che sottolinea l’evoluzione architettonica e scenografica del teatro, che si modifica in parallelo a quella degli stilemi scenici della rappresentazione tragica, costituita dal dialogo tra gli attori e il coro, composto da quindici persone a nome dei quali parla il “corifeo”. Tali dialoghi sono in realtà gli “episodi” – i nostri “atti”- intercalati da intermezzi lirici cantati dall’intero coro, gli “stasimi”. Se negli “stasimi” nessun attore è presente, nel momento di maggior tensione drammatica, il “kommòs”, anche l’attore è coinvolto nel canto e nella danza. In principio il dialogo avviene tra il solo attore e il coro, successivamente con Eschilo viene introdotto un secondo attore, infine Sofocle ne aggiungerà un terzo. Ricordiamo subito che tre sono i massimi poeti della tragedia ateniese del V secolo a.C., Eschilo, Sofocle, Euripide.

Con il tempo anche la funzione del coro cambia, perdendo sempre di più il ruolo centrale che aveva in Eschilo; anche l’aspetto stesso degli attori muta, come si può notare se si pensa ai costumi imponenti utilizzati per impersonare i personaggi di Eschilo e li si confronta con gli abiti degli attori sofoclei, vestiti, pare, solamente di stracci (“rakia”).
A tali cambiamenti corrispondono le modifiche architettoniche dell’edificio del teatro. L’aspetto della “cavea”, cioè le gradinate destinate agli spettatori, nel tempo si allontana sempre di più dalla forma originale trapezoidale e assume le sembianze dei teatri arcaici, a pianta a semicircolare.
Secondo tradizione gli spettacoli più antichi, come le tragedie di Tespi, di cui quasi nulla sappiamo, ma che fu considerato l’inventore del genere tragico (VI sec. a.C.) o di Eschilo (come sopra indicato il primo dei tre grandi tragici greci) avvengono su piani distinti, uno per il coro che si trova nell’ “orchestra” (una zona circolare al centro del teatro nel cui mezzo si trova un altare) e l’altro dedicato all’attore, che si muove su una piattaforma – l’equivalente del nostro palcoscenico- innalzata al fondo dell’orchestra e appoggiata a una struttura di sfondo denominata “skenè”, utilizzata sia dagli attori per cambiarsi, sia come vera e propria scenografia. Con Sofocle la “skenè” viene per la prima volta adornata con pitture e motivi architettonici; in seguito sulla “skenè” compare una porta centrale adornata con un protiro e affiancata, a partire dal 450 a.C., da due piccoli edifici aggettanti, detti “paraskenia”. La “skenè” diviene dunque il fulcro dell’azione, anche se il coro continua ad entrare attraverso dei corridoi laterali, le “parodoi”.
La storia della tragedia, ossia del teatro europeo, si apre per noi con il vertice poetico di Eschilo, che – come prima indicato – con l’aumento degli attori da uno a due consente il confronto e l’opposizione di individui e di idee, e riconosce all’organismo drammatico la possibilità di esprimere tutto un mondo di valori. Dal rapporto tra l’ineluttabilità del destino e la responsabilità dell’uomo dell’opera drammatica di Eschilo, alla suprema armonia della tragedia di Sofocle, che si duole della fragilità dell’uomo, a Euripide, che raggiunge l’intensità della più alta poesia, e che comprende lucidamente che la vita ordinaria è pervasa da una umanità degradata, ma tanto più capace di soffrire. Le creature da lui rappresentate guardano dentro di sé, con una introspezione acuta e spietata. Ben a ragione sul suo sepolcro così recita l’epitaffio: “Di Euripide è monumento l’Ellade tutta intera”.

L’invenzione del teatro rappresenta una delle eredità più importanti trasmesse dall’antica Grecia alla civiltà europea.
Dopo la tragedia, non possiamo non accennare alla commedia, di cui si occupa anche Aristotele nell’ultima parte della sua “Poetica”. Vi sono però anche altre fonti, come il filosofo Stagira, il quale racconta che la commedia deriva dagli “exarchontes”, coloro che intonano i canti fallici nel corso dei cortei celebrati in onore di Dioniso, alle cui origini vi erano certamente riti stagionali e di fecondità. Ad Atene le commedie vengono soprattutto rappresentate durante le feste Lenee, tra i mesi di gennaio e febbraio, ma anche in occasione delle Grandi Dionisie, quando una intera giornata è dedicata agli spettacoli comici. Si è soliti dividere la storia della commedia greca in tre fasi: antica, di mezzo e nuova. Della prima fase fa parte la triade citata dal poeta latino Orazio “Eupolis atque Cratinus, Aristofanesque poetae”. In questa fase l’elemento centrale delle commedie è la “parabasi”, una sorta di sfilata del coro e degli attori accompagnata da versi pungenti. Tra i vari autori spicca il nome del grande ateniese Aristofane (V-IV secolo a.C.), a cui si deve la stesura di celebri opere quali “Gli uccelli”, “Lisistrata” o “Pace”; le sue rappresentazioni sono il trionfo della fantasia creatrice, la scena è audacemente lanciata nell’irreale, nel regno del fantasioso, piena di una straordinaria vivacità e della sublimità del comico.
Le tematiche sono disparate, e passano dall’involucro del mito allo studio della realtà, alle disquisizioni sull’uomo e sul suo destino, alle riflessioni sulla politica e sulla società. Proprio perché gli argomenti sono condivisi dalla cittadinanza, non è insolito che il pubblico nel corso degli spettacoli partecipi in prima persona, al punto che si viene ad instaurare un vero e proprio dialogo tra gli attori, il poeta e gli spettatori.

Il totale sovvertimento della struttura formale e dei contenuti drammatici della commedia coincide con la perdita dell’indipendenza politica di Atene e con il conseguente venir meno degli ideali e dei valori legati all’impegno civile degli abitanti; nel 388 a.C. la “polis” ateniese viene sconfitta a Cheronea, e come riflesso le opere degli autori cambiano tono e finiscono per concentrarsi su tematiche legate al quotidiano. È il momento della commedia “nuova”, di cui i massimi esponenti sono Filemone di Soli ( 361-263 a.C.) e soprattutto Menandro (343-291 a.C). Con la commedia “nuova” si stabilizzano due elementi strutturali: l’intreccio e il carattere. Gli episodi sono organizzati secondo uno schema logico che parte da uno squilibrio iniziale e perviene a un equilibrato assetto finale. Ogni personaggio ha un suo tratto psicologico dominate, i “caratteri”. Da un punto di vista scenico scompaiono molti elementi, resta solo la smorfia mimica, accentuata dalle maschere. Lo spazio scenico e la scenografia rimangono dunque simbolici, anticipando un tratto tipico del teatro romano, la cui drammaturgia continua ad essere decisamente legata a rielaborazioni della commedia “nuova”.
Per quel che riguarda il teatro della commedia nella Roma antica, merita fare appena un breve cenno ai suoi due massimi esponenti Plauto (III sec. a C.) e Terenzio (II sec. a.C.), che si rifanno agli autori comici greci. Plauto, dominatore della scena teatrale, capace di smontare il suo modello greco per poi ricomporlo come un insieme coerente e originale, in una lingua di grandissima ricchezza e varietà, sia a livello lessicale che sintattico, un insieme davvero unico e inconfondibile. Della grandezza del poeta è testimonianza anche il celebre epigramma sepolcrale: “Da quando Plauto è morto, la Commedia è in lutto, la scena è rimasta deserta, il Riso, lo Scherzo, il Gioco, e i Ritmi innumerevoli tutti insieme sono scoppiati a piangere (“numeri innumeri simul omnes collacrimarunt”). Diversa dalla vivacità della commedia plautina, la commedia di riflessione di Terenzio, che si rivela stretto seguace del greco Menandro, poggia sulla serietà dei temi e dei personaggi; nella scelta linguistica assume come punto di riferimento la conversazione delle classi colte, con parole scelte, in un tono moderato ed elegante. Egli riprende l’ideale di “humanitas” della cultura filosofica greca e lo rende più corretto, insistendo sui comportamenti che corrispondono alla dignità umana.

I generi teatrali romani sono di importazione greca: la “palliata” (commedia) e la “cothurnata” (tragedia), vi sono poi la “togata” e la “praetexta” cioè commedia e tragedia pensate con un’ambientazione romana, la prima è una forma di spettacolo popolare a cui fanno riferimento anche l’ “atellana” – a cui si accosterà la commedia dell’arte- e il “mimo”, forma di recitazione priva di maschera e considerata estremamente volgare; la seconda, di maggiore levatura, è invece dedicata al portare in scena fatti storici.Tutta romana è anche la “pantomima”, genere che nasce in epoca augustea, in cui un coro o un cantore cantano i passi più belli delle tragedie, mentre un attore con una maschera a tre volti interpreta tutti i personaggi. In tale tipologia di spettacolo non importa più la forma né il contenuto, ma tutto è incentrato sulla gestualità.
Mi pare di essermi dilungata già eccessivamente sul teatro nel mondo classico e non vorrei correre il rischio di annoiarvi, ottenendo il risultato contrario a quello sperato. Tuttavia in chiusura mi piace soffermarmi brevemente su un dettaglio della nostra Torino antica, che anche in ambito teatrale ha qualcosa da mostrarci.

Vi è a Torino infatti il “Teatro romano”, compreso nelle vestigia romane dell’antica “Augusta Taurinorum”; i resti dell’edificio sono visibili nell’area del Parco Archeologico e risalgono al 31 a.C.
Tale edificio è l’unica struttura del Quadrilatero -la parte romana della città- ad averci lasciato numerose testimonianze delle diverse fasi costruttive, rendendo gli studi archeologici leggermente più semplici. L’edifico è rimasto abbandonato e in fase di drammatico decadimento per secoli, fino al 1899, quando, per volere di re Umberto I, finalmente viene riportato alla luce.
Il teatro sorge in quella che anticamente era la parte più agiata della città, circondato da abitazioni patrizie e vicino al “forum”; è stato edificato su un declivio, in modo da sfruttarne il pendio e a ridosso delle mura che circondavano la città, come si evince dal ritrovamento dell’“intervallum”, il camminamento ricavato nello spazio che intercorre tra le mura e gli edifici lì vicino. Esso risulta quindi essere stato parte integrante delle mura urbiche, la parete nord del teatro era probabilmente dotata di torri similari a quelle della “Porta Principalis Dextera”, in cui vi erano gli ingressi che consentivano l’accesso diretto al teatro per coloro che venivano da fuori città.

Il teatro romano torinese, che è uno degli esempi di teatro più piccoli del suo genere, ricorda nella struttura il teatro di Augusta Raurica, l’attuale Basilea.
Originariamente occupava un’intera “insula” ed era costituito da una “cavea” semicircolare realizzata in marmo e da una parete con tre portali che costituiva la “scaena”, che comprendeva anche il “pulpitum”, (il palcoscenico) e i due “parascaenia”; l’ “aulaeum” (il sipario) veniva probabilmente azionato da macchinari in legno ancorati a diversi pozzetti tutt’oggi visibili.
Sappiamo altresì che per ovviare alle intemperie la “cavea” era sovrastata da un “velarium”, una grande copertura in tela che riparava dalla pioggia ma anche dall’eccessivo sole estivo.
Con questo spunto conclusivo spero non solo di aver iniziato ad invogliarvi a “spulciare” quali spettacoli poter vedere in queste sere accaldate, ma mi auguro di avervi incuriosito ad andare a visionare il sito archeologico, poiché studiare e vedere le fonti è sempre il miglior modo per appassionarsi a qualsivoglia argomento. È ora di fermarsi e di riflettere sul fatto che siamo solo noi “moderni” a non sfruttare abbastanza quella che da sempre è stata una delle forme di intrattenimento più apprezzate e diffuse dalla notte dei tempi. È forse ora di smettere di considerare certi passatempi come “troppo lontani da noi” o rivolti solo ad un certo genere di pubblico, la cultura è e deve essere di tutti, così come il teatro.

Alessia Cagnotto

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