Il referendum del ‘46 secondo il romitiano Fornaro

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Il quotidiano “La Stampa“,  sempre più lontano dal giornale fondato da Frassati e sempre  più vicino all’”Unità“, ha recensito con enfasi compiaciuta il nuovo libro dell’on. Federico Fornaro di Leu che compare spesso nei Tg, ma quasi mai viene intervistato. Il libro, edito da Bollati – Boringhieri, è dedicato al referendum del 2 giugno  1946 tra Monarchia e Repubblica. E il quotidiano, di proprietà del  neo cavaliere del Lavoro Elkann, lo ha definito come la dimostrazione dell’assoluta  regolarità di quel referendum che ha suscitato da sempre dubbi e polemiche

Fornaro che oggi è nella  estrema sinistra radicale , viene dal PSDI  e appartenne alla corrente di Pier Luigi Romita, figlio del ministro degli interni Giuseppe all’epoca del referendum, che apparve subito,  per sua stessa ammissione, non arbitro imparziale, prima e nel corso del referendum istituzionale  , quando non ebbe remore – lui garante sulla carta  dell’imparzialità del confronto elettorale – a dichiararsi accesamente  repubblicano, agendo di conseguenza.
Sono fatti troppo noti che chiunque abbia letto qualcosa in merito, conosce bene. Le irregolarità, se non i brogli,  durante il referendum, furono indiscutibili. E ci furono probabilmente  da ambo le parti.  La Cassazione non proclamò mai la Repubblica  e una nuova  guerra civile venne evitata solo perché Umberto II decise di partire per l’esilio di fronte alla assunzione arbitraria da parte di De Gasperi del ruolo di capo provvisorio dello Stato prima che venissero presi in esame i  ricorsi  presentati. Il ministro Romita soprattutto  non garantì pari opportunità ai due contendenti durante la campagna elettorale e questo è un dato di fatto incontrovertibile . Al Nord i monarchici subirono violenze e intimidazioni che non consentirono una campagna elettorale neppure lontanamente paritaria . Repubblicani e repubblichini si ritrovarono stranamente alleati contro il Re che fu oggetto delle più infami calunnie. Romita mise negli organici della Polizia 15 mila partigiani e già solo questo fatto spiega il suo atteggiamento istituzionalmente non corretto. Che adesso un politico di Leu, ex seguace della famiglia Romita nel partito più clientelare d’Italia, il PSDI,  abbia l’ardire  di scrivere una storia del referendum del 1946 appare davvero stupefacente. Fornaro non è uno storico, non è un accademico, non è neppure un ricercatore:  è un politico di mestiere. Non ha titoli per scrivere libri di storia,   anche se ha biografato Giuseppe Romita e Saragat in due pessimi libri celebrativi che non hanno nulla di storico. E‘ un provinciale alessandrino  che è rimasto tale, malgrado l’esperienza romana di senatore e deputato. Nel suo libro  non porta documenti nuovi che dimostrino la regolarità  del referendum dal quale furono escluse intere province e tanti prigionieri di guerra. La Repubblica, anche accettando i risultati di Romita, ebbe una maggioranza  comunque risicata. La differenza tra i voti validi e i votanti era un fatto dirimente che non venne mai chiarito. La Repubblica nacque  nel modo peggiore possibile e recuperò solo con De Nicola ed Einaudi. Se Umberto II avesse fatto valere la legge con la quale venne indetto il referendum, Romita sarebbe finito in galera. Umberto non volle reagire e sciolse i militari dal prestato giuramento con un sacrificio personale di superiore nobiltà A 75 anni da quei fatti abbiamo diritto a storie credibili. Non lo sono quelle monarchiche prodotte dall’ala aostana dei sostenitori dei Savoia, ma quella  di Fornaro è una non storia. Gianni Oliva scrisse una storia del referendum, considerando i torti e le ragioni con equanimità.  Non c’era bisogno che Fornaro partorisse un  altro lavoro, perché  il suo libro è un’opera partigiana e  inaffidabile, paragonabile a certi libri sulle foibe che recentemente  le hanno giustificate. Anzi appartiene allo stesso disegno  politico. Questi non sono storici, ma agitatori politici. Fornaro si accontenti di fare il deputato fino alla fine della legislatura. Poi scomparirà anche dalla politica e potrà godersi la meritata pensione. Gli consigliamo fin d’ora, di non scrivere altro. Il suo ultimo libro dice, una volta per tutte,  che non è uno storico. Come consigliava Voltaire, torni a coltivare il
suo giardino.
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