Malagodi, che veniva dal Nord produttivo e finanziario, diventò naturaliter il nuovo capo, mandando Villabruna a fare il Ministro. La sinistra liberale lo accusò quasi subito, per bocca di Carandini – grande proprietario terriero come lo stesso Malagodi e la sua famiglia – di aver “affittato“ il partito all’ Assolombarda, se non alla Confindustria. Dopo poco ci fu la scissione radicale nel 1955 che non riuscì nel suo intento perché i gruppi parlamentari restarono con Malagodi ,se si esclude il solo Villabruna. Nelle elezioni del 1956 , del 1958 e del 1960 il PLI incrementò i suoi voti, i Radicali, alleati prima con il PRI e poi con il
PSI, raggiunsero percentuali, come si disse successivamente per scherno , da prefisso telefonico ante litteram. Malagodi venne spesso accusato di autoritarismo nella conduzione del partito, mentre i Radicali finirono per sciogliersi nel 1962 per beghe personali e politiche che giunsero persino in tribunale. La storia, non le opinioni personali, diede ragione a Malagodi, la cui unica colpa fu quella di non lasciar crescere a fianco a se’ nuovi leader liberali, anche se la sua attenzione ai giovani della GLI fu sempre molto viva e attenta : Patuelli fu segretario nazionale della GLI che ebbe un notevole consenso soprattutto nel mondo universitario. E’ quasi un paradosso che il Segretario liberale forse più attento al movimento giovanile non sia riuscito a scegliersi un successore che andasse oltre ad una figura spenta come Agostino Bignardi. Dopo il centrismo nel quale il PLIfu protagonista, venne la stagione del centro- sinistra che trovò i liberali all’opposizione. I socialisti, secondo Malagodi, erano immaturi per un’esperienza di Governo e la sinistra democristiana dei Moro e dei Fanfani si era già rivelata profondamente illiberale. Il disegno perseguito da Giolitti di un Governo tra liberali, cattolici e socialisti, naufragato esattamente cent’anni fa nel 1921 , non era fattibile nel 1963 . E Malagodi condusse con rigore e fermezza un’opposizione senza sconti contro le nazionalizzazioni e contro l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario che avrebberomassacrato le finanze statali e compromesso l’unità nazionale.
Questa seconda battaglia oggi rivela la lungimiranza quasi profetica del leader liberale che vide nel regionalismo divisivo – aggravato oggi dalla riforma del titolo V della Costituzione – un grave errore. L’esperienza dimostra che aveva ragione. Questa posizione isolò Malagodi al centro, non volendo egli un rapporto con i monarchici che in parte finirono di passare nel PLI – non ben accolti – un po’ alla chetichella . Nel 1963 Malagodi portò il Partito al 7 per cento dei voti, ma anche la crescita parlamentare non genero’ nuovi leader qualificati , ma quasi sempre si trattò’ di assessori locali eletti deputati e senatori con l’unica eccezione di Durand de la Penne e del vecchio Fossombroni. Non si creò una classe dirigente attorno al leader . Forse gli unici politici di calibro adeguato furono Gaetano Martino ,ministro degli Esteri,Vittorio Badini Confalonieri presidente del partito e Aldo Bozzi che fu un autorevole giurista e Francesco Cocco Ortu che in parte fu anche oppositore di Malagodi. Dopo quel successo iniziò il declino liberale, ma esso non è attribuibile ad errori suoi bensì ad un centro – sinistra diventato regime clientelare ed anche corrotto che creo’ attorno a se’ un facile consenso.
L’onesto Mario Pannunzio (che non aveva le ambizioni politiche frustrate di Carandini ) si rese conto che le politiche illiberali del centro – sinistra non avevano dato i frutti sognati per cui si era battuto nei famosi convegni del “Mondo“ e nel 1966 chiuse il suo giornale che nessuno riuscì più a risuscitare perché legato ad un’epoca storica definita ed uno stile inimitabile. Fu proprio la delusione subìta a portarlo ad abbandonare l’impresa, come anni dopo mi disse Arrigo Olivetti che fu editore del giornale e ultimo Segretario del Partito radicale. Dopo le elezioni del 1968 che segnarono un arretramento del PLI e dopo i successi del Movimento Sociale nel 1971 /72, ci fu un effimero governo Andreotti – Malagodi che la DC volle strumentalmente per coprirsi le spalle a destra. Restò in carica neppure un anno tra il 1972 e il 1973 e non è passato alla storia per qualcosa di significativo . Già l’accoppiata Andreotti – Malagodi che fu ministro del Tesoro, aveva un che di stonato e di contraddittorio.
Il governo cadde per iniziativa dei Repubblicani e lasciò spazio a nuovi Governi di centro – sinistra. All’interno del PLI per la prima volta si costituì una consistente corrente di sinistra capeggiata da Altissimo e Zanone che nel 1976 divenne Segretario e portò il Partito al suo minimo storico alle elezioni politiche di quel medesimo anno. Lo stesso Altissimo non venne rieletto deputato. Incominciò così l’inizio del ritorno dei liberali al Governo nel pentapartito auspicato da Pertini. La presenza liberale al governo fu quasi irrilevante e non poteva che essere così per lo scarso numero di eletti. Zanone svecchio’ il partito, ma non riuscì ad incidere politicamente. Ma questa è una vicenda troppo recente perché si possa storicizzarla , anche se gran parte dei suoi principali protagonisti sono morti. Resta però un fatto indiscutibile. Nella sua storia quasi centenaria ( il Partito liberale si costituì nel 1922 alla viglia della marcia su Roma ), il solo Malagodi spicca su tutti i leader in modo inequivocabile. Nessuno è stato come lui, neppure il mio amico Valerio Zanone che finì la sua carriera politica come senatore del PD.
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Malagodi, il più grande liberale del secondo ‘900
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A ricordarlo in modo diretto è rimasta solo la rivista “Libro aperto” da lui fondata e diretta da Antonio Patuelli, parlamentare liberale ed attuale presidente dell’ABI, a sua volta l’unica figura di matrice liberale che ricopra oggi un’importante carica istituzionale. Malagodi pare sia scomparso dal dibattito storico – politico, anche se fu Ministro, Presidente del Senato e leader incontrastato del PLI per vent’anni. Era un uomo coltissimo, aveva un’esperienza internazionale di rilievo che lo portò anche a presiedere l’Internazionale liberale, era corazzato di cultura economica acquisita sul campo come banchiere ed era un oratore sobrio, ironico, efficace che parlava più alla ragione che al cuore. Queste qualità oggi sono quasi introvabili in una stessa persona, escludendo a priori i politici alla ribalta. Malagodi veniva da lontano, in certo senso era figlio d’arte perché suo padre Olindo era stato deputato e stretto collaboratore di Giovanni Giolitti. Fino al 1953 non si era occupato direttamente di politica, solo in quell’anno si candidò, su invito di Enzo Storoni, eminenza grigia liberale, alla Camera nel Collegio di Milano e venne eletto. Già nel 1954 divenne Segretario Generale del PLI , una carriera ancora più rapida di Spadolini, che dovette attendere la morte di La Malfa per diventare leader. Il PLI del dopo guerra era in affanno perché mancava di un vero leader. Le figure carismatiche di Benedetto Croce e di Luigi Einaudi non bastavano,specie dopo l’elezione del secondo alla presidenza della Repubblica. Gli altri liberali, da Cassandro a Villabruna, erano personalità oggettivamente fragili.
