IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Il Presidente della Commissione Parlamentare antimafia Morra, a due giorni dal voto, denuncia 13 casi di candidati impresentabili ai sensi della Legge Severino, una delle leggi meno eque, come e’ stato dimostrato dai fatti, e più giacobine:
una triste eredità del governo Monti. Inoltre si rifà a a casi di infrazione del codice di autoregolamentazione dei partiti che non tocca all’antimafia far rispettare. Morra riecheggia Rosi Bindi che anche lei alla vigilia del voto fece una cosa analoga, ma almeno formalmente un po’ più corretta.
La Commissione antimafia ha compiti differenti che riguardano appunto la mafia e non la generica lotta alla corruzione e la denuncia di reati connessi. A due giorni dal voto significa intervenire in modo pesante nella partita del voto nella sua fase conclusiva e più delicata, sollevando polveroni. Morra doveva semmai agire con tempestività, sempre però attenendosi alle sue competenze specifiche in relazione a reati di mafia. In questa Italia infestata da giacobini che vogliono tagliare teste come fossero cavoli (uso una metafora del grande Hegel) non c’è affatto bisogno di un nuovo grande inquisitore. Il 20 e 21 i cittadini voteranno. Poi si vedranno le ineleggibilità per chi, eletto, non gode dei requisiti di eleggibilità stabiliti dalla legge. Questa è la regola a cui anche Morra – Robespierre deve sottostare. Morra si lascia andare anche a valutazioni etiche che debbono essere estranee a valutazioni giuridiche. La morale deve restare fuori, ma l’integralismo manicheo grillino non permette di capire le ragioni profonde di una distinzione fondamentale in uno Stato di diritto, propria di una visione liberale che è del tutto estranea a Morra, come lo era alla Bindi.
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