Cesare Romiti. La morale e i profitti

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / Cesare Romiti  è stato un unicum del mondo economico e industriale italiano. Sia per la sua lunga vita sia per il fatto che da semplice manager è riuscito a diventare imprenditore in proprio. Il suo motto era che la morale di un imprenditore consisteva nel produrre profitti.

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La frase venne criticata anche aspramente come dozzinale perché la morale non poteva consistere nel produrre utili .Una cosa che avrebbe fatto inorridire Benedetto Croce che teneva dialetticamente distinte le categorie dell’etica e dell’utilità. In effetti, nella sostanza, Romiti metteva il dito nella piaga perché il punto era quello di produrre profitti senza i quali un’azienda chiude.

Ma la logica da cui Romiti proveniva era quella delle aziende statali che non necessariamente producevano utili e spesso i loro debiti erano ripianati dallo Stato. Una logica perversa che finì di sfociare nella svendita da parte di Prodi dei gioielli dell’Iri che non vennero privatizzati ,ma vennero dati per pochi soldi a compagnie straniere. A fianco di Romiti ci sono le figure di Gianni e Umberto Agnelli che insieme a lui si giocarono la partita della Fiat, vinta dei confronti dei sindacati (pensiamo alla famosa marcia dei 40 mila) ,ma persa nei confronti del mercato dell’auto. Dopo essere stato presidente succedendo ad Agnelli, Romiti andò in pensione con una buonuscita eccezionale che gli consentì di di diventare imprenditore in proprio con Impregilo ed editore con Gemina. Nella sua vicenda giocò un ruolo fondamentale l’ “eminenza grigia” Enrico Cuccia. Si può discutere su cosa abbia rappresentato per la Fiat e per sé stesso Romiti ma oggi ci appare, all’atto della sua morte, un grande protagonista che aveva saputo in primis amministrare, con indubbie capacità, la sua fortuna. Ebbe la saggezza di non lasciarsi sedurre dalla politica: diceva di non averne le capacità, mentre sicuramente era stato un attento lettore e allievo di Nicolò Machiavelli. Al di là della ruvidezza del tratto, appariva un gran signore con cui ebbi modo di scambiare qualche discorso. Era nel comitato scientifico del Centro Pannunzio, senza mai aver contribuito economicamente a suo favore. Mi mandava spesso libri per la biblioteca e ricordo in particolare una rara edizione di Tocqueville che mi disse che amava molto. Io resto convinto che prediligesse Il ”Principe” e addirittura sono sicuro che sarebbe anche stato un ottimo sindaco di Roma, se avesse accettato l’invito a candidarsi.

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Scrivere a quaglieni@gmail.com

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