Racconto di Natale / LA SECONDA OCCASIONE

Mi chiamo Antonio Gennaio, o almeno questo è il nome che, dieci anni fa, mi hanno dato alcuni di abitanti di Torino perché mi hanno trovato, accasciato nei pressi del Santuario della Consolata, il 17 gennaio, giorno in cui si festeggia Sant’Antonio Abate

Ero svenuto e ricoperto da vecchie cicatrici, come se tanto tempo prima fossi stato avvolto dalle fiamme. Quando mi sono svegliato nella canonica di don Pio non ricordavo nulla: né da dove venissi, né la mia età, nemmeno il mio nome. La mia vita è iniziata quando ho deciso di lasciar andare un passato che non ne voleva più sapere di me e che mi negava nomi, volti, persino dolori.

Avevo un nuovo nome, un giorno nel quale festeggiare il mio compleanno, una camera nella casa parrocchiale, un lavoro come assistente di don Pio: mi ero trasformato in una via di mezzo tra una perpetua, un chierichetto e un giardiniere. Dopo alcuni mesi, grazie ad un progetto di lavoro socialmente utile venni promosso a tuttofare del Comune: mi occupavo di piccoli lavori di giardinaggio e tenevo pulito il cortile della scuola elementare. All’inizio mi fu difficile convivere con il mio aspetto fisico, soprattutto perché temevo le beffe della gente. Non credo di essere mai stato bello, ma di certo le cicatrici dovute all’esposizione al fuoco mi rendevano orribile.

Ero un diverso, un mostro. Tuttavia, non lessi negli occhi delle persone paura, piuttosto una sorta di pietà, non vidi ribrezzo, ma tristezza per la mia condizione di esule senza nome, di apolide senza memoria. Dai bambini della scuola elementare mi giunse l’aiuto maggiore. Iniziarono a inventare storie su di me. Giovanni diceva che ero stato un pilota di Formula 1 scampato ad un incendio, mentre per Giuseppe provenivo dallo spazio. Soltanto Elisabetta interrompeva il suo pensieroso silenzio da bambina adulta, per dirmi: “Non importa da dove vieni. Ti voglio bene perché hai gli occhi buoni”, parole che avevano il potere di commuovermi.

Nel tempo libero per combattere la solitudine aiutavo la locale filodrammatica. Montavo le scenografie, spostavo pannelli, e facevo persino la comparsa. Spesso mi accontentavo di stare tra le quinte. La possibilità di assistere agli spettacoli mi rendeva felice. Gli anni trascorsero rapidi. Le domande sul mio passato continuarono a restare senza risposta. Fu come se Antonio avesse sempre vissuto a Torino, in quelle vecchie vie del Quadrilatero Romano. Ero ormai parte della comunità come il Santuario della Consolata o come Palazzo Barolo. O almeno credevo di esserlo fino a quando il destino decise di beffarsi di me.

 

Nell’autunno del 2019, infatti, i membri della filodrammatica del Quadrilatero decisero che lo spettacolo della Vigilia di Natale quell’anno sarebbe stato straordinario, diverso, originale, nulla a che vedere con i soliti temi triti e ritriti. Dopo settimane di ricerche, studi e discussioni, Luigi, primo attore della compagnia, appassionato di misteri, ebbe un’idea geniale: rendere omaggio al personaggio di Frankenstein, attraverso uno spettacolo teatrale. Proprio a Torino, infatti, nel 1920, Testa aveva realizzato il primo film horror italiano, “Il mostro di Frankenstein”. Certo il soggetto non era proprio natalizio, ma tutti erano stanchi di ripetere, anno dopo anno, le parti dei fantasmi di Scrooge o delle Piccole Donne della Alcott, tanto più che, ormai, i teatri cittadini proponevano da tempo per Natale opere teatrali crudeli come quelle di Agatha Christie. E così all’unanimità venne scelto il capolavoro di Mary Shelley.

 

Il mio inconscio mi trasmetteva messaggi inquietanti e mi tenni, per quanto possibile, lontano dalle prove. Ma il pomeriggio del 24 dicembre fui costretto ad assistere allo spettacolo. Tutti sembravano felici, eccitati. Tutti tranne me. Scena dopo scena, frase dopo frase, mi rendevo conto che era la mia vita, quella sepolta, quella dimenticata, a scorrere sul palco. Adesso sapevo chi ero. Adesso so chi sono: sono la Creatura nata grazie ad un uomo che ha osato sfidare le leggi della natura, che ha voluto sconfiggere la morte, senza sapere che avrebbe causato solo infelicità. Mary Shelley ha trascritto la mia storia e quella del dottor Victor Frankenstein, il mio creatore. Come tutti coloro che vengono al mondo non ero né buono, né cattivo.

Ero soltanto alla ricerca di qualcuno che mi amasse e che mi insegnasse ad amare. Non avevo chiesto io di tornare a vivere, non ero responsabile del mio aspetto deforme. Ma nessuno l’ha compreso. Ho ricevuto solo disprezzo, odio, tormento e ho risposto, infliggendo a mia volta disprezzo, odio e tormento. Ho ucciso e avrei meritato un’ultima definitiva morte.

autunno sul Po

Quando lo spettacolo è terminato, mi sono allontanato in silenzio e ho raggiunto il ponte di fronte alla Gran Madre. Ho deciso di scrivere queste righe per rivelare al mondo la mia identità e la mia dannazione prima di mettere fine alla mia disgraziata esistenza nelle acque del Po. Ma ora che sono arrivato al termine dell’ultimo capitolo mi rendo conto che è difficile lasciare questo luogo, che è difficile congedarsi da questa esistenza che non ho cercato, che non ho voluto, che mi è piombata addosso come un rapace. Qui, a Torino, non mi sono sentito un demone, ma solo un uomo che ha avuto una seconda opportunità. Con il mio scritto, stretto tra le dita, ho osservato l’acqua, la sagoma dei Cappuccini davanti a me, ho sentito i primi fiocchi di neve bagnarmi le guance e per la prima volta in tutte le mie esistenze ho capito di avere un’altra scelta. Ho lacerato la mia confessione.

Lasciamo credere a tutti che la Creatura sia soltanto un parto della fantasia di una giovane inglese, che il demone sia morto su una zattera, piangendo sul corpo del suo creatore. Il dottor Victor Frankenstein e il suo mostro resteranno, per sempre, leggenda. Io sono Antonio Gennaio, nato il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, tuttofare in una scuola elementare di Torino. Nulla di più. Nulla di meno. Tra poco scoccherà la mezzanotte e in questa notte di Natale, insieme al Salvatore del Mondo, rinascerò anch’io. La neve ha cancellato il mio passato. Mi asciugo una lacrima per quel mio papà che mi ha dato la vita, senza riuscire a capirmi. Requiescas in pace, Victor, povero padre mio.

 

Barbara Castellaro

 

 

 

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